TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2018-01-30, n. 201801085

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2018-01-30, n. 201801085
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201801085
Data del deposito : 30 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/01/2018

N. 01085/2018 REG.PROV.COLL.

N. 05811/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5811 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
D P, rappresentato e difeso dagli avvocati G C, V C, con domicilio eletto presso lo studio del dr. A P in Roma, via Barnaba Tortolini, n.30;

contro

Ministero della giustizia, Consiglio Superiore della Magistratura, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

nei confronti di

V P;

per l'annullamento

dei provvedimenti mediante i quali è stata determinata la non ammissione del ricorrente alle prove orali del concorso per il conferimento di n. 340 posti dei magistrato ordinario indetto con d.m. 5 novembre 2014, pubblicato il 21 novembre 2014, e degli atti presupposti e connessi.


Visto il ricorso;

Visti gli atti di proposizione di motivi aggiunti;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato plesso amministrativo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 24 ottobre 2017 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

I. Con l’atto introduttivo dell’odierna controversia il ricorrente, all’esito della partecipazione alle prove scritte del concorso per il conferimento di n. 340 posti di magistrato ordinario, indetto con d.m. Giustizia 5 novembre 2014, pubblicato il 21 novembre 2014, ha impugnato gli atti che hanno concretato la sua mancata ammissione alle prove orali, conseguente alla valutazione di “non idoneità” espressa dalla competente Commissione valutatrice sull’elaborato di diritto amministrativo.

L’interessato ha dedotto avverso gli atti impugnati articolate censure così riassumibili.

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 del d.lgs. 160/2006 e 12, 13 e 16 del r.d. 1860/1925 - Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione - Violazione di autolimiti - Eccesso di potere per difetto di presupposto, di motivazione e di istruttoria e per illogicità e irrazionalità manifesta - Violazione degli artt. 3 e 97 Cost..

Il giudizio di non idoneità reso sull’elaborato di diritto amministrativo sarebbe stato reso con formula non integrante idonea motivazione.

I criteri valutativi elaborati dalla Commissione sarebbero generici e non sufficientemente determinati e, pertanto, inidonei a supportare il giudizio di non idoneità.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 del d.lgs. 160/2006 - Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione - Violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost. - Difetto di istruttoria e di motivazione - Illogicità manifesta - Travisamento dei fatti.

Il giudizio negativo gravato sarebbe affetto da macroscopica illogicità e travisamento dei fatti, e, in quanto tale, sindacabile davanti al giudice amministrativo.

In ogni caso, nulla osterebbe alla verifica nella presente sede della rispondenza dell’elaborato di diritto amministrativo formato dal ricorrente ai criteri valutativi fissati dalla Commissione, come confermato dai pareri tecnici versati in atti.

3) Violazione dell’art. 296, comma 2, del TFEU - Violazione dell’art. 41 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea - Rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione ai sensi dell’art. 267 del TFUE.

Laddove non potesse aderirsi alla tesi sopra prospettata, la questione inerente la suscettibilità della formula “non idoneo”, prevista dall’art. 1, comma 5, del d.lgs. 160/2006, ad assolvere l’obbligo motivazionale dovrebbe essere sollevata dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea al fine di valutarne la compatibilità con il principio di motivazione richiamato nell’ordinamento comunitario e declinato in numerose pronunzie della Corte.

4) Violazione dell’art. 76 Cost. per eccesso di delega - Violazione della l. n. 150 del 2005 - Questione di legittimità costituzionale.

In ogni caso, l’art. 1, comma 5, del d.lgs. 160/2006 violerebbe l’art. 76 Cost. per eccesso di delega e per eccessiva genericità della legge delega: la questione dovrebbe indi essere rimessa alla Corte Costituzionale.

5) Violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost. per eccesso di delega - Questione di legittimità costituzionale.

Premesso che la formula “non idoneo” costituirebbe una assiologia valutativa, ancor meno sufficiente del voto numerico, collocato tra un minimo e un massimo, a esprimere una idonea motivazione, e che vi sarebbe una evoluzione ordinamentale di maggiore garanzia e trasparenza in tema di valutazioni delle prove di esami pubblici successiva alla sentenza della Corte Costituzionale n. 175 del 2011 che ha statuito la sufficienza del voto numerico per l’esame per avvocato, che non vi sarebbe alcuna ragione per stabilire una regola diversa per il solo concorso in magistratura, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, del d.lgs. 160/2006, per violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost., dovrebbe essere sollevata anche per ulteriori profili (la valutazione investe giudizi di particolare complessità;
assenza della esplicitazione del collegamento tra criteri predeterminati e giudizio).

6) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 del d.lgs. 160/2006 e 12, 13 e 16 del r.d. 1860/1925 - Violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’amministrazione - Eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria - Violazione dei principi in tema di verbalizzazione - Violazione delle regole procedurali fissate dalla stessa Commissione (violazione di autolimite).

La correzione del tema di diritto amministrativo del ricorrente sarebbe stata inficiata da superficialità e approssimazione (a ogni elaborato sarebbero stati dedicati pochi minuti;
dovrebbe dubitarsi della collegialità della valutazione, anche per l’assenza nel verbale della indicazione delle modalità con cui si è pervenuti al contestato giudizio, unanimità o maggioranza;
sarebbe stato violato il criterio dell’ordine numerico delle buste;
nessuno dei tre componenti del collegio che ha valutato l’elaborato sarebbe specializzato in tale branca di diritto;
il verbale fa riferimento a due soli elaborati, senza specificarli).

7) Violazione dei principi in tema di corretta verbalizzazione delle operazioni concorsuali - Eccesso di potere - Violazione dei principi di trasparenza e imparzialità ex art. 97 Cost..

Risulterebbero violate le regole in materia di verbalizzazione delle operazioni di scrutinio, atteso che per il tema in questione è stata riportata una prima annotazione di sufficienza (voto 12) e poi la sovrascrittura “non idoneo” senza interlineatura e sigla dell’autore della correzione.

8) Violazione dell’art. 5, comma 3, del d.lgs. 160/2006 - Violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art, 97 Cost. - Violazione dei principi in materia di giusto procedimento - Violazione di autolimite.

In via subordinata, sarebbero state violate le regole che presidiano la trasparenza delle operazioni concorsuali (la commissione avrebbe fissato i criteri di valutazione in seduta riservata e senza la presenza di dieci candidati;
le attività di verifica e controllo dei plichi non sarebbe avvenuta nella stessa seduta).

Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico della gravata valutazione negativa, e avanzate richieste istruttorie, il ricorrente ne ha domandato l’annullamento.

Costituitisi in giudizio, il Ministero della giustizia, la Commissione valutatrice e il Consiglio Superiore della Magistratura hanno concluso per il rigetto del ricorso, di cui hanno illustrato l’infondatezza.

II. Con motivi aggiunti depositati il 4 giugno 2016 il ricorrente, dopo aver preso visione di ulteriori atti della procedura concorsuale de qua , ha formulato i seguenti motivi aggiunti:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del r.d. 1860/1925 - Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.lgs. 160/2006 - Violazione dei principi in tema di corretta verbalizzazione delle operazioni concorsuali - Eccesso di potere - Violazione dei principi di trasparenza e imparzialità ex art. 97 Cost..

Il verbale non indicherebbe se la contestata valutazione sia stata adottata a maggioranza o all’unanimità di ciascun Collegio o della Sottocommissione e se e quando sia sorta l’esigenza di adire la Commissione in seduta plenaria, elemento di particolare rilievo nel caso di specie, in cui il verbale riporta, come detto, una prima valutazione di sufficienza e poi una sovrascrittura, senza indicare la sequenza cronologica delle attività materiali compiute, ciò che lascerebbe supporre che non si sia in presenza di un errore materiale ma di una valutazione “ritrattata”, illegittimamente avvenuta senza richiedere l’intervento della Commissione in seduta plenaria, come previsto dalle regole fissate dalla stessa Commissione.

2) Violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buona andamento dell’amministrazione -Eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria - Violazione dei principi in tema di verbalizzazione - Violazione delle regole procedurali fissate dalla Commissione stessa (violazione di autolimite).

Il criterio dell’ordine numerico delle buste fissato dalla Commissione sarebbe stato violato nell’intera procedura, vizio suscettibile di inficiare non solo la valutazione delle prove del ricorrente ma tutti gli atti della stessa.

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 del d.lgs. 160/2006 e 12, 13 e 16 del r.d. 1860/1925 - Violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’amministrazione - Eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria - Violazione dei principi in tema di verbalizzazione - Violazione delle regole procedurali fissate dalla Commissione stessa (violazione di autolimite).

L’accesso agli elaborati di altri candidati esaminati nella stessa seduta del ricorrente confermerebbe l’esiguità del tempo impiegato dalla Commissione per esprimere le proprie valutazioni e l’impossibilità di una lettura collegiale degli elaborati, dovendosi pertanto ritenere che la stessa sia mancata.

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 del d.lgs. 160/2006 e 12, 13 e 16 del r.d. 1860/1925 - Violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’amministrazione - Eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria - Violazione dei principi in tema di verbalizzazione - Violazione delle regole procedurali fissate dalla Commissione stessa (violazione di autolimite) - Disparità di trattamento.

L’accesso agli ulteriori atti confermerebbe che l’elaborato per cui è causa non è stato correttamente valutato, atteso che non solo i tre componenti del Collegio che lo hanno esaminato ma addirittura l’intera Commissione non sarebbe specializzata in diritto amministrativo: i temi ritenuti idonei nella materia presenterebbero infatti gravissime lacune.

La Commissione avrebbe reiteratamente ignorato i segni di riconoscimento inseriti negli elaborati.

Parte ricorrente ha indi reiterato le conclusioni già assunte in ricorso.

L’Amministrazione resistente ha replicato con memoria alle censure sollevate con i predetti motivi aggiunti.

III. Con ordinanza 20 luglio 2016, n. 4107, la Sezione ha favorevolmente delibato le censure riferite alla violazione dei principi in tema di verbalizzazione.

L’ordinanza in parola ha in particolare rilevato che “il verbale relativo alla correzione dell’elaborato di diritto amministrativo del ricorrente - giudicato non idoneo, ciò che ha determinato la mancata ammissione del candidato alle prove orali - riporta per il tema in parola una prima annotazione di sufficienza (espressa con la votazione pari a 12) e poi la sovrascrittura ‘non idoneo”, e che “tale correzione, al fine di non concretare violazione dei canoni che presiedono alla verbalizzazione delle valutazioni collegiali, improntate al principio di trasparenza, avrebbe dovuto essere corredata nello stesso verbale da elementi idonei a chiarirne l’origine e la paternità, che, invece, non risultano”.

Per l’effetto, la Sezione ha disposto con la stessa ordinanza “la ripetizione della correzione dell’elaborato valutato non idoneo da parte della commissione valutatrice in diversa composizione, con l’adozione di modalità idonee a garantire l’anonimato”.

Il deliberato cautelare, gravato in appello dall’Amministrazione, è stato confermato con ordinanza del Consiglio di Stato, V, 20 ottobre 2016, n. 4714.

IV. Con motivi aggiunti depositati il 16 novembre 2016 il ricorrente ha fatto constare di aver ricusato la Commissione esaminatrice con nota 21 ottobre 2016 diretta al Ministero della giustizia, e ha illustrato varie imprecisioni in cui sarebbe incorsa la nota di risposta del Ministero n. 0160573 del 9 novembre 2016, con la quel gli è stato comunicato che la ricorrezione dell’elaborato sarebbe avvenuta il 17 novembre 2016, in stretta aderenza a quanto previsto nell’ordinanza cautelare della Sezione.

Nel nuovo contesto per l’effetto determinatosi, il ricorrente, evidenziato che il Ministero e la Commissione non hanno dato esecuzione all’ordinanza cautelare nei tempi ivi previsti, ha domandato la modifica della misura cautelare di cui alla stessa ordinanza, ovvero, in particolare, la sospensione delle operazioni di ricorrezione già fissate e la ricorrezione del tema di dritto amministrativo del ricorrente a opera di altra commissione, a garanzia di terzietà e di imparzialità dell’adempimento, anche quanto alla necessità di assicurare l’assoluto anonimato del tema, ormai conosciuto dalla Commissione valutatrice.

A sostegno delle domande, il ricorrente ha esposto l’avviso che la Commissione valutatrice, ancorchè in diversa composizione, non soddisferebbe tali requisiti, sia in quanto il Presidente della Commissione, con nota 4 agosto 2016 indirizzata al Ministero della giustizia, aveva formulato riserve sul provvedimento cautelare della Sezione, perorando la sua impugnazione e individuando i relativi motivi, e in tal modo manifestando l’interesse di tutta la Commissione al mantenimento della posizione espressa in relazione all’elaborato di diritto amministrativo del ricorrente, sia in quanto la Commissione stessa ha poi effettivamente appellato, unitamente al Ministero della giustizia, l’ordinanza cautelare in parola, allegando il tema per cui è causa, venendo, vieppiù, condannata in solido con il Ministero della giustizia al pagamento delle spese processuali dell’appello cautelare conclusosi con la conferma dell’ordinanza stessa.

Inoltre, la fissazione dell’adempimento per il 17 novembre 2016 dimostrerebbe un pregiudizio sfavorevole al ricorrente, stante l’esiguo termine decorrente tra tale data e la data prevista per la conclusione dei lavori della Commissione e, indi, per l’eventuale prova orale del ricorrente (poco più di 10 giorni).

In finale, per il ricorrente, la ricorrezione affidata alla stessa Commissione integra una palese violazione della tassativa disciplina legislativa in tema di astensione di cui all’art. 51 c.p.c., punti 1 e 3 (interesse nella causa;
grave inimicizia;
sussistenza di rapporti di debito), estendibile a tutti i campi dell’azione amministrativa, e, in primis , alla materia concorsuale.

Il ricorrente, formulando le censure di eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, violazione del giusto procedimento, ha anche stigmatizzato come la predetta nota ministeriale 9 novembre 2016 riporterebbe erroneamente che lo stesso CSM si è espresso sulla istanza di ricusazione inviatagli dal Ministero, mentre, in realtà, sulla questione si è espressa solo la III Commissione consiliare, e sulla base dell’esclusivo esame della nota del Ministero (ovvero senza il diretto esame della richiesta di ricusazione del ricorrente).

VI. Con decreto cautelare 16 novembre 2016, n. 7212, la richiesta avanzata negli appena illustrati motivi aggiunti è stata respinta, rilevandosi che “il rispetto dei principi di imparzialità, terzietà e anonimato che presiedono all’effettuazione dei lavori delle commissioni giudicatrici dei concorsi pubblici risulta ampiamente assicurato, nell’ambito della ripetizione della correzione della prova scritta del ricorrente per cui è causa, dalle modalità individuate nella predetta ordinanza della Sezione n. 4107/2016, confermate in sede di appello”, e che “la lesione degli stessi principi, che allo stato risulta solo paventata, vieppiù in ragione della mera esplicazione da parte della Commissione valutatrice di un diritto fondamentale, quale quello della difesa in giudizio, potrà essere fatta valere dal ricorrente, ricorrendone i presupposti, all’esito della ripetizione della correzione dell’elaborato”.

Alla camera di consiglio del 20 dicembre 2016 fissata per la delibazione collegiale della domanda cautelare, la controversia è stata cancellata dal ruolo su richiesta della parte ricorrente, in considerazione dei motivi aggiunti in corso di proposizione.

V. Con motivi aggiunti depositati il 25 gennaio 2017 il ricorrente ha impugnato il giudizio negativo espresso dalla Commissione esaminatrice sull’elaborato di diritto amministrativo del ricorrente all’esito della ricorrezione.

L’impugnazione è stata estesa: alla relativa nota di comunicazione del 18 novembre 2016;
ai verbali della Commissione n. 369 e n. 370 del 16 e 17 novembre 2016, recanti, rispettivamente, la descrizione delle operazioni tese a garantire la garanzia dell’anonimato nella ricorrezione e la valutazione negativa;
agli atti 8, 9 e 16 novembre 2016, con cui il Presidente della Commissione ha nominato nell’ambito della stessa il Collegio incaricato della ricorrezione e ha respinto l’istanza del ricorrente volta alla sua astensione;
all’atto 17 novembre 2016 con cui i componenti della Commissione hanno respinto l’istanza del ricorrente volta alla loro astensione;
all’atto ministeriale n. 8939 che ha respinto l’istanza di recusazione della Commissione esaminatrice;
alle deliberazioni assunte dal CSM nelle sedute 20 settembre, 27 ottobre, 14 e 24 novembre 2016 in relazione al ricorrente;
alla graduatoria definitiva del concorso e a ogni atto approvativo;
a tutti gli atti richiamati in quelli impugnati e menzionati.

Con i motivi aggiunti in parola il ricorrente:

- ha censurato i provvedimenti adottati prima dell’attività di ricorrezione, e, in particolare, i provvedimenti con i quali tutti i componenti della Commissione hanno respinto l’istanza di astensione presentata dall’interessato ai sensi dell’art. 51 c.p.c., esponendo che la loro illegittimità si riverbera sul rinnovato giudizio di “non idoneità”;

- ha censurato la nuova valutazione di insufficienza dell’elaborato di diritto amministrativo, in quanto ritenuta avvenuta in violazione dei principi di imparzialità, neutralità e terzietà, e in assenza della necessaria verbalizzazione delle attività compiute;

- ha riproposto le medesime censure già svolte in sede di ricorso introduttivo del giudizio e nei precedenti ricorsi per motivi aggiunti.

Il primo gruppo di censure è stato affidato alle doglianze di:

1) Violazione dell’art. 51 c.p.c. - Eccesso di potere - Violazione dei principi di terzietà, anonimato e neutralità - Violazione dell’art. 97 Cost. - Difetto di istruttoria e di motivazione - Violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE;
2) Violazione del d.lgs. 160/2006 - Violazione del regolamento interno del CSM approvato con decreto 4 ottobre 2016 - Difetto di istruttoria e di motivazione - Violazione del giusto procedimento;
3) Violazione del d.lgs. 160/2006 - Violazione del regolamento interno del CSM approvato con decreto 4 ottobre 2016 - Difetto di istruttoria e di motivazione - Violazione del giusto procedimento - Violazione del principio di separazione tra controllore e controllato - Violazione del principio di autolimite - Violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE;
4) Violazione del d.lgs. 160/2006 - Violazione del regolamento interno del CSM approvato con decreto 4 ottobre 2016 - Difetto di istruttoria e di motivazione - Violazione del giusto procedimento - Violazione del principio di separazione tra controllore e controllato - Violazione del principio di autolimite - Violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE;
5) Violazione del d.lgs. 160/2006 - Violazione del regolamento interno del CSM approvato con decreto 4 ottobre 2016 - Difetto di istruttoria e di motivazione - Eccesso di potere per mancanza dei presupposti - Eccesso di potere per arbitrarietà e illogicità - Violazione dei principi in tema di verbalizzazione - Violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE;
6) Violazione del d.lgs. 160/2006 - Violazione del regolamento interno del CSM approvato con decreto 4 ottobre 2016 - Difetto di istruttoria e di motivazione - Violazione del principio di separazione tra controllore e controllato - Eccesso di potere per mancanza dei presupposti - Eccesso di potere per arbitrarietà e illogicità - Eccesso di potere per sviamento e falsità dei presupposti - Violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE - Violazione dei principi in tema di verbalizzazione.

Con tali censure il ricorrente, premesso di aver proposto in via amministrativa istanza volta all’astensione dei componenti della Commissione, ha sostenuto che i medesimi, contrariamente a quanto da loro rilevato negli atti che hanno respinto tale istanza, avevano l’obbligo di astenersi dalla ricorrezione, ex art. 51 c.p.c., per avere interesse proprio e diretto nella fattispecie oggetto di scrutinio, una controversia pendente con il ricorrente, grave inimicizia e rapporti di debito con il ricorrente medesimo (spese del cautelare di appello).

Il ricorrente ha altresì sostenuto che i provvedimenti da adottarsi sulla istanza di astensione avrebbero dovuto essere assunti previa deliberazione del Plenum del CSM e del Ministro della giustizia, in conformità al procedimento previsto per la nomina dei componenti della commissione di concorso e al principio di separazione tra controllore e controllato, e come sostanzialmente rilevato dallo stesso Ministero nella nota 9 novembre 2016: a nulla varrebbe opporre il deliberato della III Commissione del CSM 27 ottobre 2016, che, oltre a essere affetto da incompetenza e dalle censure evidenziate in precedenza, sarebbe intervenuto sulla diversa richiesta di ricusazione.

Il ricorrente ha poi contestato l’individuazione dei componenti della Commissione incaricati della ricorrezione siccome effettuata dal Presidente, sostenendo che la stessa è viziata sia perché il Presidente era a conoscenza del tema e fortemente implicato nel procedimento, sia in quanto la formazione del Collegio avrebbe dovuto essere disposta all’esito di determinazioni del CSM e del Ministro.

Parimenti, i componenti della Commissione avrebbero erroneamente affermato l’insussistenza nei loro confronti di cause di astensione, ritenendo di poter compiere autonomamente la valutazione spettante, invece, al Ministro.

Infine, la scelta dei componenti del Collegio cui affidare la ricorrezione, avvenuta da parte del Presidente della Commissione senza fornire alcuna indicazione dei relativi criteri, risulterebbe disancorata da regole oggettive verificabili, nonchè arbitraria, in rapporto al mancato inserimento di un professore di diritto amministrativo, la cui presenza si sarebbe resa tanto più necessaria in considerazione della posizione assunta dal Presidente in occasione dell’impugnazione in appello dell’ordinanza cautelare del Tar, attestante un suo interesse di parte, e della sua conoscenza del tema da valutare. Non rileverebbe, sul punto, né che lo stesso Presidente non ha partecipato alla ricorrezione, circostanza che all’opposto attesterebbe il venir meno della sua posizione di imparzialità e terzietà, né la neutralità delle operazioni organizzative, atteso che le stesse impingono sui principi di trasparenza e imparzialità, utili a scongiurare anche il mero rischio di una valutazione perturbata.

Il secondo gruppo di censure è stato affidato alle doglianze di:

7) Violazione dei principi di anonimato, terzietà e imparzialità delle commissioni concorsuali - Violazione dell’art. 12, comma 3, del r.d. 1860/1925 - Violazione dell’art. 97 Cost. - Difetto di istruttoria e di motivazione - Eccesso di potere - Violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE;
8) Violazione dei principi di anonimato, terzietà e imparzialità delle commissioni concorsuali - Violazione dell’art. 12, comma 3, del r.d. 1860/1925 - Violazione dell’art. 97 Cost. - Difetto di istruttoria e di motivazione - Eccesso di potere - Violazione delle regole procedurali fissate dalla stessa Commissione (violazione di autolimite) - Violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE;
9) Violazione dei principi di anonimato, terzietà e imparzialità delle commissioni concorsuali - Violazione dell’art. 97 Cost. - Difetto di istruttoria e di motivazione - Eccesso di potere - Violazione del giusto procedimento;
10) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 del d.lgs. 160/2006 e 12, 13 e 16 del r.d. 1860/1925 - Violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’amministrazione - Eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria - Violazione dei principi in tema di verbalizzazione - Violazione delle regole procedurali fissate dalla stessa Commissione (violazione di autolimite);
11) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 del d.lgs. 160/2006 e 12, 13 e 16 del r.d. 1860/1925 - Violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’amministrazione - Violazione di autolimiti - Eccesso di potere per difetto di presupposto, di motivazione e di istruttoria e per illogicità e irrazionalità manifesta - Violazione degli artt. 3 e 97 Cost..

Con tali censure il ricorrente ha sostenuto che l’insieme di tutte le esposte circostanze ha creato una situazione di contrapposizione tra il ricorrente e la Commissione, e che quest’ultima possiederebbe una conoscenza dell’elaborato, cui consegue il venir meno in sede di ricorrezione delle garanzie dell’anonimato e dell’imparzialità.

Per il ricorrente, poi, la garanzia dell’anonimato, da valutarsi in via astratta, sarebbe comunque venuta meno già alla luce delle specifiche modalità operative prescelte per la ricorrezione.

Il ricorrente ha ancora sostenuto che anche la ricorrezione è affetta dalla violazione dei principi in tema di verbalizzazione.

Infine, il ricorrente ha rilevato che gli esiti della ricorrezione (che per alcuni candidati diversi dal ricorrente, e in particolare, per uno di essi, valutato prima sufficiente poi non idoneo, si sono discostati dai precedenti giudizi) confermerebbero i rilievi critici svolti nell’atto introduttivo del giudizio in ordine alla indeterminatezza e genericità dei criteri di valutazione elaborati dalla Commissione.

Quanto al terzo gruppo di censure, esse ripropongono motivi dell’atto introduttivo del giudizio e dei mezzi aggiunti depositati il 4 giugno 2016.

Il ricorrente ha quindi instato per essere autorizzato alla notifica del ricorso e dei motivi aggiunti per pubblici proclami ex art. 41 c.p.a., ha avanzato nuova istanza istruttoria, e ha ribadito le conclusioni demolitorie già rassegnate avverso il giudizio negativo gravato, e, in subordine, avverso gli atti di tutta la procedura concorsuale.

VI. Parte ricorrente, in esito a un ulteriore accesso agli atti, ha depositato il 22 marzo 2017 ulteriori motivi aggiunti avverso la relazione 19 maggio 2016 del Presidente della Commissione e le due relative note di trasmissione, i verbali 20 settembre, 27 ottobre, 14 e 24 novembre 2016 e 10 gennaio 2017 delle sedute della Terza Commissione del CSM, nella parte in cui assumono determinazioni relative al ricorrente, la graduatoria definitiva del concorso pubblicata sul Bollettino ufficiale del Ministero della giustizia.

Queste le censure.

1) Violazione dell’art. 51 c.p.a. - Eccesso di potere - Violazione dei principi di terzietà, anonimato e neutralità delle commissioni concorsuali - Violazione dell’art. 97 Cost. - Difetto di istruttoria e di motivazione - Violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE - Violazione del d.lgs. 160/2006 - Violazione del regolamento interno CSM approvato con decreto 4 ottobre 2016 - Violazione del giusto procedimento - Violazione del principio di separazione tra controllore e controllato - Violazione del principio di autolimite - Eccesso di potere per sviamento e mancanza dei presupposti - Eccesso di potere per arbitrarietà e illogicità - Violazione dei principi di verbalizzazione - Violazione dei principi di anonimato, terzietà e imparzialità delle commissioni concorsuali - Violazione dell’art. 12, comma 3, del r.d. 1860/1925 - Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 del d.lgs. 160/2006 e 12, 13 e 16 del r.d. 1860/1925 - Violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’amministrazione - Eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria - Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.

Il ricorrente ha esposto che la relazione 19 maggio 2016 firmata dal Presidente della Commissione, in rappresentanza di tutta la Commissione, e a cui è allegato l’elaborato di diritto amministrativo del ricorrente, dimostrerebbe una volta per tutte che l’intera Commissione non era nelle condizioni di garantire la ricorrezione dell’elaborato nel rispetto della garanzia dell’anonimato, di talchè il vulnus ai principi di imparzialità, terzietà e anonimato sarebbe stato inferto prima della ricorrezione e a prescindere dal suo esito.

2) Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione - Violazione di autolimiti - Eccesso di potere per difetto di o, di motivazione e di istruttoria e per illogicità e irrazionalità manifesta.

Il ricorrente ha osservato che le deduzioni svolte dalla Commissione avverso le censure ricorsuali con la predetta relazione sarebbero del tutto infondate.

3) Riproposizione delle censure svolte con ricorso introduttivo del giudizio e con i precedenti motivi aggiunti.

Parte ricorrente ha riproposto avverso gli atti qui gravati tutte le censure precedentemente svolte, da considerarsi integralmente richiamate.

In finale, parte ricorrente ha reiterato le istanze istruttorie, la richiesta di autorizzazione alla notifica a mezzo di pubblici proclami, le conclusioni già raggiunte nei precedenti atti.

VII. Il ricorrente, nel corso della camera di consiglio del 30 maggio 2017, ha rinunziato alla delibazione della domanda cautelare formulata negli ultimi due mezzi aggiunti.

Sia la parte ricorrente che la parte resistente hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie argomentazioni difensive e le repliche alle deduzioni avverse, la parte resistente, in particolare, sollevando anche eccezione di inammissibilità di alcune censure.

La controversia è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 24 ottobre 2017.

DIRITTO

1. Si controverte in ordine alla legittimità della mancata ammissione del ricorrente alle prove orali del concorso per il conferimento di n. 340 posti di magistrato ordinario, indetto con d.m. Giustizia 5 novembre 2014, pubblicato il 21 novembre 2014, discendente dalla valutazione di “non idoneità” espressa dalla competente Commissione valutatrice sull’elaborato di diritto amministrativo.

2. In via pregiudiziale, il Collegio, preso atto della sussistenza nel fascicolo di causa di tutti gli elementi necessari per delibare la controversia, ritiene la causa matura per la decisione.

Vanno, indi, respinte le richieste istruttorie e l’istanza di autorizzazione alla notifica del ricorso e dei motivi aggiunti a mezzo di pubblici proclami, avanzate dalla parte ricorrente.

3. Nel merito, si osserva che, come già rappresentato in narrativa, nel corso dell’odierno giudizio, con ordinanza 20 luglio 2016, n. 4107, la Sezione, in relazione alla originaria valutazione di “non idoneità” dell’elaborato per cui è causa, gravata con l’atto introduttivo del giudizio e con i motivi aggiunti depositati il 4 giugno 2016, ha favorevolmente delibato le censure con cui il ricorrente ha lamentato la violazione dei principi in tema di verbalizzazione.

L’ordinanza 4107/2016 ha, in particolare, rilevato che “il verbale relativo alla correzione dell’elaborato di diritto amministrativo del ricorrente - giudicato non idoneo, ciò che ha determinato la mancata ammissione del candidato alle prove orali - riporta per il tema in parola una prima annotazione di sufficienza (espressa con la votazione pari a 12) e poi la sovrascrittura ‘non idoneo”, e che “tale correzione, al fine di non concretare violazione dei canoni che presiedono alla verbalizzazione delle valutazioni collegiali, improntate al principio di trasparenza, avrebbe dovuto essere corredata nello stesso verbale da elementi idonei a chiarirne l’origine e la paternità, che, invece, non risultano”.

Per l’effetto, la Sezione ha disposto con la stessa ordinanza “la ripetizione della correzione dell’elaborato valutato non idoneo da parte della commissione valutatrice in diversa composizione, con l’adozione di modalità idonee a garantire l’anonimato”.

Il deliberato cautelare, gravato in appello dall’Amministrazione, è stato confermato con ordinanza del Consiglio di Stato, V, 20 ottobre 2016, n. 4714.

Nel prosieguo, la Commissione in diversa composizione ha provveduto alla ricorrezione dell’elaborato del ricorrente, pervenendo nuovamente a un giudizio di “non idoneità”.

Anche il nuovo giudizio negativo è stato gravato dal ricorrente con vari mezzi aggiunti, con i quali l’interessato, oltre a contestare il rinnovato giudizio in se, ha sostenuto che la ricorrezione avrebbe dovuto essere effettuata da una commissione completamente diversa, a garanzia della terzietà e dell’imparzialità dell’adempimento e in relazione alla necessità di assicurare l’assoluto anonimato del tema.

Tali ultime censure sono state proposte dal ricorrente, con i mezzi aggiunti depositati il 16 novembre 2016, anche prima di conoscere l’esito della ricorrezione

4. Nell’ordine logico imposto dall’andamento della vicenda controversa e dalla circostanza che l’esito della ricorrezione dell’elaborato disposta in via giudiziale ha sostituito l’originario giudizio negativo gravato con l’atto introduttivo del giudizio e con l’atto di motivi aggiunti depositati il 4 giugno 2016, con l’avvertenza che le censure svolte nei predetti atti sono state pressochè tutte riproposte negli ulteriori mezzi aggiunti svolti avverso il nuovo giudizio negativo, vanno immediatamente delibate le doglianze che si appuntano sull’asserito venir meno dei requisiti di terzietà e imparzialità in capo alla Commissione di concorso in diversa composizione che ha provveduto alla ricorrezione esprimendo il rinnovato giudizio di inidoneità, che costituisce, allo stato, l’atto lesivo dell’interesse del ricorrente.

4.1. Sul punto, deve, innanzi tutto, rammentarsi che la disciplina del concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria è costituita sia da disposizioni dettate dal r.d.15 ottobre 1925, n. 1860, sia da previsioni introdotte dal d. lgs. 5 aprile 2006, n. 160, come modificate dall’art. 1 della legge 30 luglio 2007, n. 111.

Queste ultime hanno stabilito, in particolare, una nuova regolamentazione concernente l’oggetto delle prove scritte e orali, i punteggi minimi per l’ammissione agli orali e il superamento del concorso, nonché la nomina e la composizione della commissione esaminatrice e la disciplina dei suoi lavori.

L’art.1 del d. lgs. n. 160 del 2006 ha disposto che:

- la prova scritta consiste nello svolgimento “… di tre elaborati teorici, rispettivamente vertenti sul diritto civile, sul diritto penale e sul diritto amministrativo ” (comma 3);

- la prova orale verte su dieci materie (diritto civile ed elementi fondamentali di diritto romano;
procedura civile;
diritto penale;
procedura penale;
diritto amministrativo, costituzionale e tributario;
diritto commerciale e fallimentare;
diritto del lavoro e della previdenza sociale;
diritto comunitario;
diritto internazionale pubblico e privato;
elementi di informatica giuridica e di ordinamento giudiziario) nonché su un colloquio facoltativo su lingua straniera indicata dal candidato tra inglese, spagnolo, francese e tedesco (comma 4);

- sono ammessi alla prova orale i candidati che conseguono “… non meno di dodici ventesimi di punti in ciascuna delle materie della prova scritta ” e conseguono l’idoneità i candidati che ottengano in ciascuna materia della prova orale “ non meno di sei decimi e comunque una votazione complessiva nelle due prove non inferiore a centootto punti ”, salvo il giudizio almeno di sufficienza nel colloquio facoltativo di lingua straniera (comma 5);

- “ agli effetti di cui all’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza è motivata con la sola formula "non idoneo" ” (comma 5).

Il comma 3 dell’art. 5 ha poi stabilito che nella seduta di cui al sesto comma dell’art. 8 del r.d. n. 1860 del 1925 (ossia a seguito del raggruppamento delle buste degli elaborati di ciascun candidato in unica busta contrassegnata da numero progressivo, operazione immediatamente prodromica all’inizio delle correzioni), la commissione definisce i criteri per la valutazione omogenea degli elaborati scritti, mentre i criteri per la valutazione delle prove orali sono definiti prima dell’inizio delle stesse.

A sua volta, l’art. 5, prescritto che “ La commissione del concorso per esami é nominata, nei quindici giorni antecedenti l'inizio della prova scritta, con decreto del Ministro della giustizia, adottato a seguito di conforme delibera del Consiglio superiore della magistratura ”, detta le modalità di composizione della stessa.

Nell’osservare poi che alle sottocommissioni e ai collegi trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 12, 13 e 16 e, quanto alle prove orali e all’assegnazione del punteggio finale, di cui agli artt. 14, 15 e 16 del r.d. n. 1860 del 1925 (comma 7 dell’art. 5), va ulteriormente rilevato come le disposizioni ora richiamate prevedano, a loro volta:

- le operazioni prodromiche alla correzione, nonché le modalità della correzione (esame contestuale da parte delle sottocommissioni o dei collegi dei tre elaborati riferibili a ciascun candidato, con assegnazione del punteggio, salvo l’eventuale annullamento di elaborati che risultino in tutto o in parte copiati da altro lavoro o dai quali risulti che il concorrente si sia fatto riconoscere: art. 12);

- le operazioni successive a ciascuna correzione (annotazione a cura del segretario della commissione e “a piede di ciascun lavoro” del voto assegnato, sottoscritta dal presidente della commissione o sottocommissione) e delle operazioni conclusive della correzione (apertura delle buste contenenti i nomi dei candidati, al fine dell’abbinamento con gli elaborati corretti e dell’individuazione dei candidati ammessi agli orali;
pubblicazione dell’elenco degli ammessi all’orale: art. 13);

- lo svolgimento in seduta pubblica delle prove orali (art. 14);

- le modalità delle interrogazioni dei candidati, di assegnazione della votazione e l’immediata pubblicazione del risultato della prova (art. 15);

- il numero di voti a disposizione di ogni commissario (sino a 10 per ciascuna prova scritta e orale), la cui attribuzione è subordinata alla valutazione, a cura della commissione o sottocommissione, se il candidato meriti di conseguire il punteggio minimo richiesto (art. 16).

4.2. Tanto premesso, le censure in esame sono infondate.

L’ordinamento di settore sopra illustrato affida infatti il giudizio di sufficienza o di insufficienza della prova scritta del concorso in esame, nell’ambito della valutazione di tutte le prove previste dalla selezione, alle commissioni all’uopo nominate per le specifiche tornate concorsuali con le modalità di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. 160/2006.

E a tale regola non può fare eccezione la fattispecie qui in esame, costituita dalla eventuale ricorrezione degli elaborati rinveniente dal giudizio amministrativo, che non può che sottostare alle stesse norme.

Infatti, la rimessione della nuova valutazione della prova o delle prove scaturente dal giudizio instaurato dal candidato escluso a un organo collegiale diverso da quello che ha provveduto alla prima valutazione comporterebbe l’insanabile violazione del principio di par condicio tra i concorrenti, canone che nelle procedure concorsuali assume un rilievo non minore dei principi di terzietà, imparzialità e anonimato invocati dal ricorrente, e che si sostanzia nella sottoposizione di tutti i candidati a identiche prove, da valutare mediante applicazione degli stessi parametri valutativi da parte di un unico organo complessivamente inteso, ovvero fatta salva la sua ripartibilità in sottocommissioni.

In particolare, per quanto l’operato di un diverso organo collegiale, in tesi, non potrebbe che sottostare agli stessi criteri predeterminati dalla originaria commissione competente, è evidente che le regole del concreto giudizio da rendersi per effetto della statuizione cautelare non potrebbero mai dirsi uniformi rispetto ai giudizi già resi, laddove non fosse preservata l’identità dell’organo collegiale giudicante prescelto per la specifica selezione.

Si tratta, infatti, di un giudizio caratterizzato da elevata discrezionalità tecnica, discendente dal fatto che le prove di esame in parola si collocano nell’ambito di un procedimento preordinato all’accertamento di un certo tipo di idoneità, che richiede che il candidato dimostri il possesso di una completa, complessiva ed equilibrata cultura e preparazione giuridica nell’ambito delineato dalla pertinente normativa, e formano oggetto di un giudizio che è frutto della valutazione, da parte della commissione, di una serie di elementi complessi, suscettibili di vario apprezzamento anche in virtù del delicato e prestigioso percorso professionale che consegue alla positiva valutazione (Tar Lazio, Roma, 14 marzo 2012, n. 2503).

Del resto, depongono per la correttezza delle raggiunte conclusioni, tra altri conformi, l’arresto giurisprudenziale secondo cui la garanzia d’imparzialità richiesta dalla Costituzione scaturisce dalla qualità di pubblici ufficiali dei commissari, i quali, nello svolgimento della loro attività, sono tenuti a operare nel rispetto dei principi dell’ordinamento e sono responsabili di eventuali danni arrecati al candidato o all’amministrazione per la quale operano, mentre nell’ordinamento non è rinvenibile - salvo il diverso caso della concomitante violazione della normativa sulla formazione dell’organo - un principio generale per cui a seguito dell’annullamento giurisdizionale di atti si debba procedere, per ciò solo, al mutamento del titolare dell’organo che li abbia adottati al fine della loro rinnovazione (C. Stato, VI, 30 giugno 2011, n. 3896).

Lo stesso indirizzo è confermato dalla statuizione di appello che, in un giudizio nel quale per la rinnovazione di prove dell’esame di avvocato era stata individuata una commissione operante presso altra Corte di Appello, anziché quella originariamente competente, ha stigmatizzato la scelta del primo giudice, “che ha ingiustificatamente fatto tamquam non esset delle regole in materia di competenza territoriale delle commissioni di esame per l’abilitazione alla professione di avvocato, introdotte in tempi relativamente recenti proprio per perseguire risultati di maggiore trasparenza e imparzialità delle valutazioni. Ed invero, laddove l’esigenza cui il Tar intendeva venire incontro fosse stata quella di garantire all’originario ricorrente la totale imparzialità della commissione chiamata a rinnovare il giudizio rispetto a quella che aveva posto in essere gli atti impugnati, a tanto sarebbe stato sufficiente ordinare che alla rinnovazione degli atti procedesse una diversa sottocommissione, o comunque una Commissione in composizione fisicamente diversa da quella che aveva in precedenza corretto gli elaborati” (C. Stato, 4 maggio 2010, n. 2557).

A considerazioni analoghe a quelle sin qui esposte soggiace, poi, il consolidato indirizzo giurisprudenziale circa la sostanziale irrilevanza dei pareri pro veritate prodotti in giudizio dai ricorrenti al fine di confutare le valutazioni delle commissioni valutatrici, fondato sul riconoscimento in via esclusiva in capo a queste ultime della competenza a valutare gli elaborati degli esaminandi, e sul principio che, fatta salva l'ipotesi residuale del macroscopico errore logico, non è consentito al giudice della legittimità sovrapporre alle determinazioni da essa adottate il parere reso da un soggetto terzo, quale che sia la sua qualifica professionale e il livello di conoscenze e di esperienze acquisite nella materia de qua (tra tante, C. Stato, IV, 30 maggio 2007, n. 2781;
11 gennaio 2008, n. 71;
17 aprile 2009, n. 1853).

4.2. Il riconoscimento della legittimità della ricorrezione in esame deriva inoltre, ab origine , dalla citata ordinanza cautelare della Sezione, in toto confermata dal giudice amministrativo di appello, che, in conformità a tutti i deliberati giudiziali vertenti su analoghi contenziosi, ha rimesso la nuova valutazione alla stessa Commissione valutatrice, in diversa composizione (C. Stato, IV, 4 maggio 2010, n. 2557;
Tar Campania, Napoli, VIII, ordinanza 11 gennaio 2017;;
Tar Sicilia, Catania, IV, 23 gennaio 2017, n. 128;
25 gennaio 2016, n. 3062).

4.3. Né vi è ragione di dubitare della bontà delle prescelte modalità a causa delle vicende evidenziate dal ricorrente, e, in particolare, della circostanza che la Commissione esaminatrice ha gravato in appello, unitamente al Ministero della giustizia, la ridetta pronunzia cautelare di primo grado, venendo poi condannata in solido con il Ministero alla refusione delle spese del secondo grado cautelare a favore del ricorrente.

Sul punto, il Collegio deve in primo luogo osservare che il poderoso impianto censorio messo in piedi dal ricorrente sulla base della predetta circostanza, a partire dall’atto di motivi aggiunti depositato il 16 novembre 2016, risulta configurato in modo da evocare uno scenario sul cui sfondo si intravede una sorta di “personalizzazione” della controversia in capo ai singoli componenti della Commissione, e in primis , al Presidente, mediante la rappresentazione dell’avvenuta assunzione da parte dei predetti soggetti di una strenua difesa del proprio operato, testimoniata dalla proposizione del citato appello anche in via autonoma.

Ma tale impostazione risente, in linea generale, dell’erronea imputazione ai Commissari della vicenda controversa quali u ti singoli , e non quali componenti di un organo straordinario dell’Amministrazione, cui è affidata la funzione della selezione dei nuovi magistrati e il perseguimento dei correlati interessi pubblici.

Inoltre, viene offerta una lettura parziale e distorta della complessiva vicenda contenziosa, sol che si consideri che il ricorrente tralascia di riferire e di considerare che egli stesso ha evocato in giudizio la Commissione valutatrice, a mezzo della notifica del ricorso, riconoscendole - peraltro correttamente, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a., trattandosi di organo che ha adottato la gravata valutazione - la qualità di parte del giudizio.

Ne consegue che non si comprende il motivo per il quale il ricorrente intravede un contrasto insanabile tra la funzione della Commissione e il diritto di difesa in giudizio che le compete e che, del resto, la medesima ha concretamente esercitato ben prima della proposizione dell’appello cautelare di cui sopra.

Invero, ancorchè l’atto di costituzione formale della difesa erariale faccia riferimento esclusivamente al Ministero della giustizia e al Consiglio Superiore della Magistratura, le memorie difensive depositate dalla stessa difesa (vedasi, in particolare, le memorie depositate il 3 giugno e il 12 luglio 2016), all’esito della notifica del ricorso anche alla Commissione, sono state prodotte nell’interesse delle predette Amministrazioni e della Commissione.

Pertanto, già al momento dell’adozione da parte di questa Sezione dell’ordinanza cautelare appellata, n. 4107 del 20 luglio 2016, la Commissione era parte pubblica resistente della controversia proposta dal ricorrente.

Conseguentemente, come già rilevato nel decreto cautelare della Sezione richiamato in narrativa (16 novembre 2016, n. 7212), mediante la proposizione dell’appello avverso l’ordinanza cautelare di primo grado favorevole al ricorrente, la Commissione non ha fatto che esplicare una delle facoltà facenti parti del diritto fondamentale di difesa in giudizio, di cui è titolare nella assunta qualità, discendente dalla nomina, di organo straordinario dell’Amministrazione della giustizia, che ha adottato l’atto avverso cui è stata adita la tutela giurisdizionale.

Non si attaglia, poi, alla Commissione in parola la fattispecie dell’interesse alla causa di cui al n. 1 dell’art. 51 c.p.c., disciplinante l’obbligo di astensione del giudice, che il ricorrente invoca quale fonte dell’obbligo di astensione della Commissione dalle operazioni di ricorrezione.

Esso è infatti un interesse di natura personale, ovvero proprio e diretto del soggetto (C. Stato, A.P. 24 gennaio 2014, n. 4), in quanto la disciplina dell'astensione viene regolata nell’ordinamento in riferimento a fatti, situazioni, interessi che ineriscono alle persone dei singoli magistrati e non a intere categorie di giudici e uffici giudiziari, che vanno esclusi nella fattispecie in esame, ove la Commissione in parola ha svolto i propri compiti e si è costituita in giudizio nella predetta qualità, temporaneamente assunta con la nomina, di parte pubblica, facendo valere un interesse correlato alla specifica funzione assegnatale e alla natura mista degli atti collegialmente assunti per l’effetto [natura “provvedimentale”, quanto all’ammissione o meno alla fase successiva della procedura;
natura di “giudizio”, circa la sufficienza della preparazione del candidato stesso al fine di detta ammissione (C. Stato, IV, 19 maggio 2008, n. 2293)].

Parimenti, non si attagliano alla Commissione le diverse fattispecie pure invocate dal ricorrente allo stesso fine di cui sopra, di cui all’art. 51, n. 3 c.p.c. (grave inimicizia, rapporti di debito con una delle parti).

Quanto alla prima, la giurisprudenza afferma che, in tema di incompatibilità dei componenti di una commissione giudicatrice, l'ipotesi della grave inimicizia, rilevante ai fini ricusatori per i suoi effetti, tipizzati come pregiudizievoli dell'imparziale capacità di giudizio del decidente, non è integrata dalla contrapposizione riconducibile alla qualità di parti nell'ambito di un processo (amministrativo) originato proprio dallo svolgimento della procedura selettiva in cui si esplica la ricusazione, dovendo preesistere, normalmente, allo svolgimento dell'attività valutativo-decisionale, cioè configurarsi come autonomamente insorta da rapporti interpersonali legati a vicende della vita estranee alle funzioni esercitate dai decidenti. Ciò al fine di escludere il ricorso alla ricusazione in caso di mera divergenza tra le aspettative e le interpretazioni di merito degli oggetti del giudizio proprie del soggetto sottoposto all'attività decisionale stessa e quanto espresso o esprimibile dal decidente (C. Stato, 7 febbraio 2012, n. 650).

Invero, “ove lo stato di grave inimicizia sarebbe causato dalla avvenuta presentazione, da parte dei commissari, di memoria difensiva in sede di giudizio di opposizione al decreto di archiviazione della denuncia di fatti penalmente rilevanti agli stessi attribuiti, non può non osservarsi come l’esercizio di un diritto di difesa, quale quello esercitato dai commissari, non possa ritenersi comprimibile, al fine di non ricadere nella ipotesi di cui all’art. 51, n. 3 c.p.c., di fronte a esposti o denunce che rendano necessario l’esercizio di un’azione di difesa” (C. Stato, IV, 1° aprile 2003, n. 3658).

Anche le Sezioni Unite della Cassazione hanno precisato che l’ipotesi di inimicizia di cui trattasi deve riguardare rapporti estranei al processo (8 ottobre 2001, n. 12345).

A maggior ragione, pertanto, la condanna alle spese di lite disposta nel considerato appello cautelare, in solido con l’altro appellante Ministero della giustizia, non vale a configurare un rapporto di debito nei sensi rilevanti di cui all’art. 51, n. 3, c.p.c., essendo tra l’altro stata disposta non nei confronti delle persone fisiche componenti la Commissione, bensì nei confronti della funzione esercitata.

4.4. Conclusivamente, alla luce di tutto quanto precede, va riconosciuta la legittimità delle operazioni di ricorrezione, sotto il profilo della loro effettuazione da parte della Commissione valutatrice in diversa composizione, e correlativamente, infondata la pretesa del ricorrente a che alle relative operazioni provvedesse una diversa commissione, ovvero, in subordine, la medesima Commissione, integrata da un esperto di diritto amministrativo.

Su tale ultimo punto, deve aggiungersi che la composizione della commissione di concorso di cui trattasi è regolata dal d.lgs. 160/2006 (art. 5), che, come visto, prevede anche le materie di esame (art. 1), di talchè deve escludersi che, ove la commissione incaricata risulti conforme alle previsioni di legge (e nessuna censura ricorsuale ha avanzato dubbi al riguardo), la stessa possa dirsi incompetente su una determinata materia costituente prova di esame.

4.5. Va, a questo punto, considerato che il ricorrente sostiene ancora che, stante la difesa svolta in giudizio, la ricorrezione a opera della stessa Commissione, ancorchè in diversa composizione, contrasterebbe comunque con il principio dell’anonimato.

L’affermazione non merita adesione.

Il principio dell’anonimato ha formato oggetto di apposita salvaguardia nel provvedimento cautelare della Sezione più volte citato, che ha rimesso le conseguenti incombenze alla cura della Commissione, che risulta avervi efficacemente provveduto con le usuali modalità messe a punto in casi similari.

In particolare, nessuno dei componenti della Commissione che ha operato in diversa composizione ha fatto parte del Collegio che ha esaminato in prima battura l’operato della ricorrente.

Il Presidente si è poi astenuto dal prendere parte alla stessa, all’esito di valutazioni che non presentano alcun profilo di criticità o di contraddittorietà.

La circostanza che la Commissione abbia collegialmente ritenuto di difendersi in giudizio, espletando le relative attività, non integra ex se la conoscenza dell’elaborato presupposta dalla censura.

Del resto, prima di procedere alla ricorrezione, tutti i componenti della Commissione in diversa composizione hanno respinto l’istanza di astensione presentata dal ricorrente, affermando espressamente di non aver mai letto l’elaborato per cui è causa (all. 1 al verbale n. 370 del 17 novembre 2016).

E le dichiarazioni contenute nei verbali relative alle operazioni delle commissioni di concorso inerenti alla valutazione delle prove, come noto, hanno valore probatorio in ordine sia alle modalità di svolgimento delle prove, che degli esiti delle stesse, fino a querela di falso (tra tante, C. Stato, IV, 26 settembre 2013, n. 4811), che non risulta proposta nel caso di specie.

4.6. Vanno, pertanto, respinti i motivi aggiunti depositati il 16 novembre 2016, con cui il ricorrente ha lamentato che la Commissione esaminatrice, ricusata dal ricorrente e a conoscenza dell’elaborato, ne ha effettuato la ricorrezione.

Resta ancora da aggiungere che:

- è irrilevante il ritardo, pure stigmatizzato negli stessi motivi, con il quale l’adempimento è stato effettuato:

- non si ravvisa il paventato pregiudizio sfavorevole al ricorrente, desunto dall’esiguo termine decorrente tra la data dell’adempimento e la data prevista per la conclusione dei lavori della Commissione e, indi, per l’eventuale prova orale del ricorrente.

Da nessun elemento è infatti dato desumere l’immutabilità della data di conclusione dei lavori della Commissione, trattandosi, appunto, di data “prevista”.

Ancora, quanto alla circostanza, pure fatta oggetto di censura negli stessi mezzi aggiunti, che la nota ministeriale 9 novembre 2016 che ha comunicato al ricorrente la data di ricorrezione degli elaborati affermerebbe erroneamente che lo stesso CSM si è espresso sulla istanza di “ricusazione” inviatagli, mentre, in realtà, emergerebbe, come da nota in atti, che sulla questione si è espressa solo la III Commissione consiliare, sulla base dell’esclusivo esame della nota del Ministero (ovvero senza il diretto esame della richiesta del ricorrente), essa, anche al di là della carenza di prova in ordine alla mancata trasmissione al CSM dell’istanza di ricusazione del ricorrente (tale non essendo la circostanza della mancata menzione della istanza di ricusazione nella comunicazione della III Commissione del CSM di cui trattasi), non ridonda in vizio di legittimità.

Lo stesso ricorrente attesta, infatti, che una determinazione del CSM sul punto vi è stata, e che essa ha ribadito che la ricorrezione avrebbe dovuto essere effettuata in conformità al disposto dell’ordinanza cautelare.

Nel descritto contesto, non si ravvisa alcun interesse del ricorrente meritevole di tutela a che la determinazione sulla sua istanza venisse adottata dal Plenum del CSM, tenuto conto, a monte, che l’obbligo di procedere alla ricorrezione con le contestate modalità ha trovato fonte nel provvedimento giudiziale e non in autonome determinazioni dell’Amministrazione.

5. Può passarsi quindi alla disamina dei motivi aggiunti depositati il 25 gennaio 2017 avverso l’esito della ricorrezione.

5.1. Vanno respinte le censure di cui al secondo gruppo, secondo la suddivisione operata in ricorso, ovvero le doglianze con le quali il ricorrente ha ulteriormente lamentato che la nuova valutazione di insufficienza dell’elaborato di diritto amministrativo è avvenuta in violazione dei principi di imparzialità, neutralità e terzietà, e del principio dell’anonimato.

Valgano, al riguardo, le stesse motivazioni già sopra rassegnate.

5.2. Vanno altresì respinte, sempre per le ragioni dianzi richiamate, le censure del primo gruppo, dirette avverso i provvedimenti adottati prima dell’attività di ricorrezione, e, in particolare, avverso i provvedimenti con i quali tutti i componenti della Commissione hanno respinto l’istanza di astensione presentata dall’interessato ai sensi dell’art. 51 c.p.c..

Come visto, infatti, non era ravvisabile in capo alla Commissione in diversa composizione l’obbligo di astensione di cui all’art. 51 c.p.c..

Il Presidente della Commissione inoltre, si è astenuto dalla ricorrezione, predisponendo solo le attività necessarie al suo adempimento (verbale n. 369 del 16 novembre 2016 e relativi allegati).

5.3. Quanto alle altre censure contenute nei mezzi aggiunti in esame:

- non costituisce vizio inficiante la circostanza che sull’istanza di astensione non ha provveduto il Ministro della giustizia, previa delibera del CSM, secondo l’esercizio di tali competenze previsto per la nomina della commissioni valutatrici del concorso de quo (art. 5, d.lgs. 160/2006).

Sul punto, correttamente la Commissione ha rilevato, nel già menzionato Allegato n. 1 al verbale n. 370 del 17 novembre 2016, che l’istanza di astensione ricalcava quella di ricusazione, già trasmessa al CSM e al Ministero della giustizia.

E non può convenirsi con il ricorrente quando afferma che le due istanze (di astensione e di ricusazione) vi fosse una sostanziale differenza.

E’ vero, infatti, che l’istanza di ricusazione non menziona espressamente la norma in forza della quale è stata formulata, come fa invece, l’istanza di astensione, in rapporto all’art. 51 c.p.c., ma è altresì vero che, secondo l’art. 52 c.p.c., la ricusazione può essere proposta nei casi in cui è fatto obbligo al giudice di astenersi, ai sensi dell’art. 51 c.p.c., e pertanto all’istanza di ricusazione formulata dal ricorrente va ascritto, ancorchè implicitamente, il riferimento alla disciplina legale di entrambi gli istituti.

Inoltre, le due istanze sono state presentate a brevissima distanza (21 ottobre 2016;
15 novembre 2016), e hanno fatto riferimento agli stessi presupposti, invocando gli stessi principi;

- quanto alla mancata indicazione da parte del Presidente della Commissione dei criteri seguiti per la individuazione dei componenti della Commissione in diversa composizione, l’unico criterio rilevante per l’adempimento si profila quello della non coincidenza tra gli stessi e i componenti della Commissione che hanno partecipato alla precedente correzione, che risulta espressamente menzionato (verbale n. 369 del 16 novembre 2016);

- quanto alla irregolarità che avrebbero compromesso le operazioni di ricorrezione, esse non si ravvisano, atteso che la ricorrezione riguardava, come evidente, il solo elaborato di diritto amministrativo, di talchè non si comprendono le ragioni in forza delle quali il ricorrente ritiene che in tale sede avrebbero dovuto essere resi anonimi anche le altre prove dei dieci candidati complessivamente rivalutati nella ricorrezione.

Altrettando deve concludersi per il rilievo secondo cui il verbale della ricorrezione avrebbe dovuto indicare le modalità e il luogo di conservazione degli elaborati di diritto civile e penale dei dieci concorrenti in parola, e i componenti della Commissione incaricata delle ricorrezione avrebbero dovuto essere scelti tra soggetti che non avevano valutato in precedenza alcuna delle altre prove.

Del resto, il ricorrente ipotizza, nelle descritte condizioni, che la violazione dell’anonimato sarebbe derivata dal possibile confronto di grafie tra i vari temi ovvero dalla conoscenza (meglio a dirsi, dalla avvenuta memorizzazione) dei temi degli altri 9 concorrenti, senza che tali ipotesi siano corroborate da elementi diversi da mere congetture;

- è irrilevante la circostanza che la Commissione in diversa composizione non abbia dato conto delle operazioni effettuate per verificare l’integrità dei plichi ricorretti. Pur in disparte, infatti, la circostanza che i relativi adempimenti sono previsti nel già citato verbale n. 369, si osserva che nel verbale n. 370 si dà espressamente atto che l’attribuzione dei voti è avvenuta “in condizioni di anonimato”;

- è del tutto infondata la pretesa del ricorrente che l’individuazione dei temi degli altri concorrenti idonei da rivalutare in sede di ricorrezione dovesse avvenire tra quelli riportanti tutti un giudizio di sufficienza pari a 12, al fine di non condizionare in senso negativo la valutazione del tema del ricorrente.

Una siffatta modalità avrebbe infatti violato il principio della par condicio , mentre la modalità prescelta per l’individuazione degli altri candidati da rivalutare, ovvero quella, usuale, dell’estrazione a sorte di nove buste, appartenenti cinque a candidati idonei e quattro a candidati non idonei (verbale n. 369 e allegati), è la più idonea a garantire sia la par condicio che il principio dell’anonimato;

- è infondata la censura secondo cui il verbale non riporta le modalità di formazione del giudizio, atteso che il verbale n. 370 dà espressamente conto della avvenuta lettura degli elaborati, affermazione che non può che essere intesa nel senso fatto proprio dalle relative parole.

Quanto alla mancata indicazione dell’avvenuta assunzione del deliberato a maggioranza o all’unanimità, ovvero della ricorrenza o meno di ipotesi di ricorso al Plenum della Commissione, si rammenta che, per costante giurisprudenza, laddove il verbale non contenga alcuna precisazione sul punto, ovvero non riporti alcun dissenso, deve concludersi che la deliberazione è avvenuta all’unanimità;

- è infondato il rilievo secondo cui gli esiti delle attività di ricorrezione (che per alcuni candidati diversi dal ricorrente, e in particolare per uno di essi, valutato prima sufficiente poi non idoneo, si sono discostati dai precedenti giudizi) confermerebbero i rilievi critici svolti nell’atto introduttivo del giudizio in ordine alla indeterminatezza e genericità dei criteri di valutazione elaborati dalla Commissione. Le valutazioni che concretano le operazione di correzione delle prove dei candidati nell’ambito di un concorso pubblico, e in specie dei concorsi che, come quello in esame, comportano la verifica di capacità espressive, cognizioni tecniche e costruzioni argomentative, nonché la ponderazione della plausibilità delle relative conclusioni, non possono infatti essere ragguagliate alla stregua di operazioni di carattere automatico, come, in sostanza, presuppone la censura.

5.4. Infine, i mezzi aggiunti in esame hanno riproposto censure già svolte in sede di ricorso introduttivo del giudizio e nei precedenti ricorsi per motivi aggiunti. Vengono al riguardo in rilievo i motivi aggiunti depositati il 4 giugno 2016.

5.5. Il ricorrente lamenta innanzitutto la carenza di motivazione del contestato giudizio negativo, in quanto reso con la formula sintetica “non idoneo”, che ritiene ancor meno utile del voto numerico a esplicitare le ragioni dell’insufficienza e il collegamento con i criteri predeterminati di valutazione.

Tali argomentazioni non meritano favorevole considerazione.

La Commissione esaminatrice ha infatti correttamente applicato la disposizione di cui all’art. 1, comma 5, del d. lgs. 160/2006, la quale, come già rammentato, dispone espressamente che “ agli effetti di cui all’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza è motivata con la sola formula ‘non idoneo’ ”.

Di talchè l’operato della Commissione si rivela pienamente coerente con la normativa di settore, della cui compatibilità con la Costituzione e con i principi comunitari il Collegio non ha motivo di dubitare, ciò che consente di respingere anche i successivi rilievi del ricorrente, volti a segnalare il contrasto tra il predetto art. 1, comma 5, e l’ordinamento costituzionale e comunitario.

Si ritiene, in particolare, pertinente all’ambito del ragionevole esercizio della discrezionalità della funzione che il legislatore abbia ritenuto di fissare un punteggio minimo per ciascuna prova scritta, pari a 12/20, corrispondente al voto di 6, in decimi, ossia alla tradizionale soglia della sufficienza, e di ragguagliare tutti gli elaborati insufficienti ad un’unica formula “non idoneo”, piuttosto che esigere una votazione numerica articolata su una scala da 0/20 a 11/20, tenuto conto dell’irrilevanza obiettiva dell’attribuzione di un voto numerico a elaborati giudicati inferiori alla soglia della sufficienza.

Del resto, tale previsione è coerente con gli arresti giurisprudenziali che costituiscono ormai vero e proprio “diritto vivente”, che la Corte Costituzionale (sentenza 30 gennaio 2009, n. 20) ha ritenuto conforme ai parametri costituzionali del giusto processo e del diritto di difesa.

Invero, consolidata giurisprudenza, cui la Sezione aderisce, ha costantemente riconosciuto l’adeguatezza della motivazione dei giudizi valutativi delle prove dei concorsi pubblici espressa dall’attribuzione del voto numerico o, come nella specie, della non idoneità, laddove prevista, qualora l’elaborato non raggiunga nemmeno la soglia della sufficienza, senza la necessità di ulteriori indicazioni e chiarimenti a mezzo di proposizioni esplicative e di glosse, annotazione e segni grafici (tra tante, C. Stato, V, 13 luglio 2010, n. 4528;
IV, 15 febbraio 2010, n. 835;
13 gennaio 2010, n. 92;
11 maggio 2009, n. 2880;
11 luglio 2008, n. 3480).

In altre parole, la giurisprudenza amministrativa è ormai consolidata nell’affermare che il voto numerico costituisce espressione sintetica, ma esaustiva, della valutazione espressa dalla commissione di un concorso pubblico, che, in quanto tale, soddisfa adeguatamente l'onere della motivazione di cui all'art. 3 della legge n. 241 del 1990, e, più in generale, dei principi sanciti dall'art. 97 della Costituzione.

Tale indirizzo è stato confermato anche in relazione al concorso in magistratura, ulteriormente valutato che, per esso, l'art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 160 del 2006 prevede che, a seconda della valutazione positiva o negativa da parte della commissione giudicatrice in ordine alle prove scritte dei candidati, vi sia rispettivamente l'attribuzione di un punteggio o, semplicemente, la formulazione del giudizio di inidoneità, che, di certo, implica il mancato raggiungimento della sufficienza necessaria per accedere alla prova orale, e che, pertanto, non necessita di essere ulteriormente esplicitato e motivato (tra tante, C. Stato, IV, 5 settembre 2013, n. 4457;
21 agosto 2012, n. 4580, Tar Lazio, Roma, I, 31 gennaio 2011, n. 879).

5.6. Il ricorrente sostiene ancora che i criteri valutativi elaborati dalla Commissione sarebbero generici e non sufficientemente determinati e, pertanto, inidonei a supportare il giudizio di non idoneità.

Al riguardo, si osserva che nella seduta del 17 luglio 2015 (verbale n. 8) la Commissione valutatrice ha enucleato tre parametri alla stregua dei quali considerare idonei i candidati, richiedendo che ciascuno degli elaborati nelle tre materie:

- “presenti una forma italiana corretta sotto il profilo terminologico, sintattico e grammaticale, e riveli adeguata padronanza della terminologia giuridica, nonché sufficiente chiarezza espositiva, requisiti tutti indispensabili per la corretta redazione dei provvedimenti giudiziari”;

- “presenti una pertinente ed esauriente trattazione del tema, dimostrando in capo al candidato una sufficiente conoscenza dell’istituto cui direttamente esso si riferisce e dei principi fondamentali della materia, nonché un’adeguata cultura giuridica generale”;

- “riveli la capacità del candidato di procedere all’analisi delle specifiche questioni a lui sottoposte e di proporne la soluzione, tuttavia senza che questa, se non condivisibile, possa assumere rilievo determinante nella valutazione, ove, nonostante ciò, sia comunque logicamente argomentata in coerenza con gli istituti e principi della materia”.

Ciò posto, i suddetti criteri si rivelano pertinenti, razionalmente coordinati alla preparazione richiesta per il superamento delle prove scritte di un concorso debitamente selettivo quale quello per l’accesso alla magistratura ordinaria, nonché sufficientemente esaurienti nella delineazione del profilo di “adeguatezza” richiesto all’elaborato.

Invero, il conseguimento di un livello minimale di sufficienza presuppone la dimostrazione di un grado di cultura generale (correttezza lessicale, sintattica e grammaticale del testo) e di cultura tecnico-specialistica (padronanza della terminologia giuridica), che integrano la presenza di indefettibili presupposti ai fini di una trattazione lineare, comprensibile, adeguatamente sintetica della traccia fornita.

E’ innegabile, poi, che la trattazione non possa non essere pertinente agli istituti giuridici da esaminare e per quanto possibile esauriente, tale da denotare la conoscenza degli istituti, dei principi fondamentali di ciascuna materia, della giurisprudenza e della dottrina, quale può conseguire soltanto da un previa corretta analisi e inquadramento delle questioni giuridiche affrontate.

In funzione della professionalità richiesta ad aspiranti magistrati, è stato richiesto che gli elaborati debbano inoltre dimostrare che il candidato è in grado di procedere all’analisi delle questioni giuridiche sottoposte e di proporre una soluzione argomentata coerente con la disciplina degli istituti e i principi generali della materia oggetto della prova.

In ogni caso, poi, deve aggiungersi, sul punto, che è noto che la individuazione dei criteri di valutazione delle prove appartiene comunque all’ampia sfera della discrezionalità tecnica delle commissioni esaminatrici insindacabile salvo che per profili di “manifesta e intrinseca illogicità e irrazionalità” ( ex plurimis , C. Stato, IV, 15 febbraio 2010, n. 835), non ravvisabili nella fattispecie.

5.7. Il ricorrente sostiene con altra censura che il giudizio negativo reso sarebbe affetto da macroscopica illogicità e travisamento dei fatti, e, in quanto tale, sindacabile davanti al giudice amministrativo.

Il ricorrente sostiene poi che dovrebbe essere ammessa al sindacato giurisdizionale anche la fattispecie in cui sia dimostrato che l’elaborato è suscettibile di favorevole apprezzamento, sulla base dei criteri predeterminati dalla competente Commissione, come risultante nel caso di specie dai pareri tecnici versati in atti.

Tali argomentazioni non persuadono.

La materia delle procedure concorsuali, specificamente investita dalla odierna controversia, ha costituito un terreno fertile per giungere a importanti conclusioni in ordine al necessario equilibrio da assumere nello svolgimento della funzione giurisdizionale amministrativa per garantire, da un lato, la effettiva e piena giustiziabilità delle posizioni vantabili dai soggetti che, partecipando alle selezioni pubbliche, si sottomettono alla valutazione altamente discrezionale delle commissioni valutatrici competenti, scongiurando, dall’altro, il pericolo che l’attività giurisdizionale, sfuggendo al ruolo che l’ordinamento vigente le assegna, possa trasformarsi in una sostanziale rinnovazione della valutazione già effettuata in sede amministrativa , ovvero in una autonoma verifica da parte del giudice del grado di livello culturale che si reputa necessario dimostrare da parte del candidato per il conseguimento del giudizio idoneativo.

E ciò elaborando il noto criterio, richiamato anche espressamente dalla censura in esame, secondo cui i giudizi negativi resi nel predetto ambito sono sindacabili davanti al giudice amministrativo solo laddove affetti da macroscopica illogicità, irrazionalità o travisamento dei fatti.

Indi, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, ogni ipotesi diversa da quelle considerate dal detto criterio darebbe luogo a una attività estranea alla sfera dell’esercizio della funzione giurisdizionale qui esercitata.

Ciò posto, si osserva che il ricorrente domanda proprio la rinnovazione del giudizio di merito già reso dalla Commissione esaminatrice in relazione al suo elaborato di diritto amministrativo.

A tale conclusione il Collegio perviene osservando che il ricorso non indica, neanche al livello minimale del “principio di prova” richiesto nel processo amministrativo, alcun elemento che possa denotare, far presumere o lasciar trasparire la sussistenza di un vizio del processo logico nel quale la Commissione sarebbe incorsa esprimendo i negativi giudizi gravati.

In altre parole, il ricorso, sostanzialmente, si limita, anche mediante il rimando ai due pareri tecnici allegati ai motivi aggiunti in esame, a sostenere che l’elaborato in parola, alla luce dei criteri di valutazione predeterminati dalla Commissione, meritava un giudizio di idoneità.

E siffatta prospettazione, per quanto sopra riferito, e alla luce delle due contrarie valutazioni espresse dalla competente Commissione, non può trovare, naturalmente ingresso.

5.8. Con altra censura si sostiene che l’art. 1, comma 5, del d.lgs. 160/2006, violerebbe l’art. 76 Cost. per eccesso di delega e comunque per eccessiva genericità della legge delega, che nulla dice per quanto riguarda la definizione di criteri per la valutazione delle prove scritte e per la deroga a un principio generale dell’ordinamento che impone alla pubblica amministrazione di motivare i propri atti: la questione dovrebbe indi essere rimessa alla Corte Costituzionale.

Anche tale doglianza va respinta.

Soccorre, al riguardo, in primo luogo, la sentenza n. 20/2009 della stessa Corte Costituzionale, che ha preso atto del "diritto vivente", validando la tesi "dell'insussistenza, nell'ordinamento vigente, di un obbligo di motivazione dei punteggi attribuiti in sede di correzione e della idoneità degli stessi punteggi numerici a rappresentare una valida motivazione del provvedimento di inidoneità”.

Va poi considerato che la legge delega in parola (l. 150/2005) ha previsto all’art. 2, tra i principi e criteri direttivi, “ che la correzione degli elaborati scritti e le prove orali si svolgano inderogabilmente in un tempo non superiore a nove mesi ” (art. 2, comma 1, lett. d), principio che evidenzia l’intendimento del delegante di introdurre nell’ordinamento regole volte a conciliare le esigenze della trasparenza con quelle della speditezza della procedura, novero cui appartiene la contestata previsione.

5.9. Il ricorrente denunzia poi che la correzione del tema di diritto amministrativo sarebbe stata inficiata da superficialità e approssimazione, dovendo dubitarsi della collegialità della valutazione, per l’assenza nel verbale della indicazione delle modalità con cui si è pervenuti al contestato giudizio, unanimità o maggioranza, e mancata indicazione dell’eventuale esigenza di adire la Commissione in seduta plenaria.

Si tratta di doglianze che risultano già precedentemente esaminate e respinte in occasione dell’esame delle censure formulate avverso il verbale di ricorrezione.

5.10. Con altra censura il ricorrente sostiene che sarebbero state violate le regole che presidiano la trasparenza delle operazioni concorsuali, in quanto la commissione avrebbe fissato i criteri di valutazione in seduta riservata e senza la presenza di dieci candidati, e le attività di verifica e controllo dei plichi non sarebbe avvenuta nella stessa seduta.

Le censure non sono fondate.

Alla luce del r.d. n. 1860/1925 (art. 8, sesto comma), la presenza di dieci candidati è richiesta solo per la constatazione della integrità dei sigilli e delle firme, e la verifica dell’integrità in parola risulta effettuata alla luce delle stesse affermazioni del ricorrente (pag. 3 del ricorso, nota 2), che la riferisce come effettuata a partire dal febbraio 2016.

5.11. Alla luce di tutto quanto sopra, anche i motivi aggiunti depositati il 25 gennaio 2017 devono essere respinti.

6. Nel passare all’esame dei finali motivi aggiunti depositati il 22 marzo 2017, si osserva che la prima censura è ripetitiva delle doglianze di violazione dei principi di imparzialità, terzietà e anonimato già precedentemente esaminati e respinti.

La seconda censura si sostanzia invece nella confutazione di un atto interno, ovvero le argomentazioni contenute nella relazione datata 19 maggio 2016 del Presidente della Commissione, indirizzata all’Amministrazione, avente a oggetto il ricorso del ricorrente, siccome proposto a tale data, atto che è del tutto irrilevante ai fini perseguiti dal ricorrente, atteso che le censure ricorsuali proposte dall’interessato sono già state tutte delibate nei sensi dianzi precisati.

7. Alle rassegnate conclusioni, assorbita ogni altra questione pure sollevata dalla difesa erariale, consegue il rigetto del gravame.

Le spese di lite in parte possono essere compensate tenuto conto della delibazione cautelare favorevole al ricorrente.

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