TAR Roma, sez. I, sentenza 2017-04-26, n. 201704928

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2017-04-26, n. 201704928
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201704928
Data del deposito : 26 aprile 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/04/2017

N. 04928/2017 REG.PROV.COLL.

N. 11433/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11433 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato R I, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere Marzio, 3;

contro

Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, Corte dei Conti, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento, previa misura cautelare,

1) quanto al ricorso:

della deliberazione n. 73 del 7 maggio 2014 del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, notificata nelle forme dell'art. 140 cpc il 13 maggio 2014, con cui è stata inflitta al ricorrente la misura disciplinare della rimozione;

per i motivi di cui infra, di ogni altro atto - nessuno escluso - del procedimento disciplinare ed, in particolare di quelli citati nelle premesse (pagg. 1-6) del provvedimento impugnato, che qui si intendono espressamente richiamati, e di quelli comunque menzionati nel presente ricorso;

sempre in quanto di ragione e per i motivi di cui infra, del Regolamento di disciplina per i magistrati della Corte dei Conti approvato con deliberazione del Consiglio di presidenza 26 luglio 2000, n. 510/CP/2000, del quale sono ignoti gli estremi di pubblicazione;

se adottato ed in quanto occorra, del provvedimento di competenza del Presidente della Repubblica ai fini dell'esecuzione della deliberazione impugnata.

2) quanto ai motivi aggiunti:

del decreto del Presidente della Repubblica del 26 febbraio 2015, notificato al ricorrente l’8 aprile 2015, con cui gli è stata inflitta la sanzione della rimozione a decorrere dal 14 aprile 2011, e di ogni atto ad esso presupposto, connesso e conseguenziale, ed in particolare di quelli riportati nel citato decreto, nessuno escluso, tra cui nello specifico, la nota n. 80/Pres/Ris/P del 23 luglio 2014 a firma del Presidente della Corte dei Conti, in una con gli atti già formanti oggetto del ricorso ed ivi espressamente indicati.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, della Corte dei Conti e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la relativa documentazione;

Vista l’ordinanza collegiale istruttoria di questa Sezione n. 3805/2015 del 5 marzo 2015;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2017 il dott. I C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, il dr. -OMISSIS-, che all’epoca dei fatti originanti il presente contenzioso era magistrato della Corte dei Conti, chiedeva l’annullamento, previa misura cautelare, dei provvedimenti in epigrafe, da inquadrarsi nell’ambito di una complessa vicenda disciplinare e di servizio che aveva contraddistinto, sin dal 2004, i suoi rapporti con l’Istituto.

In sintesi, in merito a questa, può ricordarsi che il -OMISSIS-risultava, unitamente ad altro soggetto, imputato per il reato di cui agli artt. 110, 319 e 321 c.p. in merito a fatti risalenti al 2003 ed era riconosciuto responsabile di quanto ascrittogli con sentenza 14 marzo 2011 del Tribunale di Roma.

Il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, quindi, in seguito alla comunicazione del dispositivo di tale sentenza e alla definizione del procedimento penale, il 6 aprile 2011 deliberava la sospensione dal servizio e dalle funzioni ai sensi dell’art. 4 della legge n. 97 del 27 marzo 2001.

Il -OMISSIS-impugnava avanti a questo Tribunale tale determinazione - integrando poi l’impugnativa con “motivi aggiunti” avverso il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, nelle more adottato, con cui era stato sospeso dalle funzioni ai sensi dell’art. 4 della legge 97 del 27 marzo 2001 - e la relativa istanza cautelare era accolta, limitatamente all’omessa corresponsione dell’assegno alimentare per la durata del periodo di sospensione.

Nel dicembre 2011, esercitando la facoltà prevista dall’art. 16 del d.lgs. 503/1992 allora in vigore, il -OMISSIS-presentava domanda di trattenimento in servizio per un quinquennio oltre il limite del 70° anno di età, sulla quale il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti si esprimeva una prima volta in termini interlocutori.

Nel frattempo, la Corte d’Appello penale di Roma, pronunciandosi nel giudizio avverso la sentenza del Tribunale di Roma, il 14 maggio 2012 dichiarava di non doversi procedere nei confronti degli imputati, tra cui il dr. -OMISSIS-, poiché il reato ascritto era “estinto per intervenuta prescrizione”.

L’interessato, allora, nel maggio 2012 presentava al Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti specifica istanza di “riammissione in servizio”, con contestuale rinnovo di quella per il trattenimento in servizio oltre il 70° anno di età, che avrebbe compiuto il giorno 21 di quello stesso mese, con l’allegazione della favorevole valutazione espressa dal Presidente della Sezione delle Autonomie presso la quale aveva svolto le sue ultime funzioni.

Proprio il 21 maggio 2012, il Presidente della Corte dei Conti, sulla scorta del parere espresso dalla competente Prima Commissione del Consiglio di Presidenza, emanava un decreto d’urgenza con cui le istanze del ricorrente venivano rigettate e, poi, con delibera di cui all’adunanza del 22-23 maggio 2012, il Consiglio di Presidenza stesso, considerata l’opportunità di deliberare separatamente le due istanze del ricorrente – appunto di “riammissione” e “trattenimento” in servizio – riteneva di non accogliere quella di “trattenimento” e rinviava l’esame della domanda di “riammissione”.

Avverso questi ultimi provvedimenti il -OMISSIS-proponeva secondi motivi aggiunti nell’originario ricorso a questo Tribunale sopra richiamato, ancora all’epoca pendente.

La relativa istanza cautelare era accolta, con sospensione della delibera consiliare nella parte in cui il Consiglio di Presidenza non aveva provveduto in merito alla riammissione del ricorrente, facendo salvi gli ulteriori provvedimenti adottandi.

Successivamente, con nota del 4 settembre 2012, al ricorrente veniva comunicato il DPCM dell’11 giugno, con cui era stato collocato a riposo per raggiunti limiti di età a decorrere dal 22 maggio 2012 ed ammesso al trattamento di quiescenza spettante per legge.

Avverso tale decreto il -OMISSIS-proponeva un terzo atto per motivi aggiunti, con il quale riproponeva nella sostanza le censure già formulate.

Con delibera adottata nell’adunanza del 2-3 ottobre 2012, il Consiglio di Presidenza si pronunciava in merito alla ratifica del decreto del Presidente della Corte dei conti del 21 maggio 2012 nella parte relativa al rigetto dell’istanza di riammissione in servizio del -OMISSIS-e disponeva la permanenza del ricorrente in posizione di sospensione facoltativa dal servizio e dalle funzioni nel periodo compreso dal 14 al 21 maggio 2012.

Con un quarto atto per motivi aggiunti il ricorrente impugnava anche la suindicata delibera.

Con sentenza n. 3388/2014, questa Sezione accoglieva le censure rivolte avverso entrambi i provvedimenti di rigetto delle istanze di riammissione e di trattenimento in servizio.

Tale sentenza era poi appellata dalla Corte dei Conti.

Premesso ciò, la vicenda che coinvolgeva il ricorrente proseguiva per quanto rileva nella presente sede, in quanto, con delibera del 7 maggio 2014, il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, previa riapertura del procedimento disciplinare in seguito alla presa d’atto della definizione del processo penale e ritenendo non rilevante la collocazione in quiescenza dell’interessato e pronunciandosi al fine di “…regolare in maniera definitiva l’assetto degli interessi provvisoriamente determinato dal provvedimento di sospensione cautelare, di per sé avente carattere interinale…”, disponeva di infliggere al -OMISSIS-la sanzione disciplinare della “rimozione”.

Il ricorrente, quindi, chiedeva l’annullamento, previa sospensione, di detta delibera, lamentando una serie di censure non formalmente rubricate.

In sintesi, il dr. -OMISSIS-, in prima luogo, lamentava la “ Estinzione del potere connesso alla cessazione del rapporto di impiego ”.

Il ricorrente evidenziava che, sebbene a suo tempo avesse presentato apposita istanza per il mantenimento in servizio, aveva cessato di appartenere all’ordine dei magistrati contabili per effetto del relativo provvedimento adottato dal Consiglio di Presidenza, con la conseguenza per la quale al momento dell’adozione del provvedimento impugnato era estinto ogni potere sanzionatorio da parte della relativo organo disciplinare, che si era pronunciato avverso un soggetto non più qualificabile come “pubblico dipendente”.

Tale conclusione, con riferimento proprio al personale della magistratura, era confermata da giurisprudenza costante desumibile da pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nonché dalle conclusioni del Consiglio Superiore della Magistratura, nelle quali si confermava la tradizionale impostazione amministrativistica che configura il potere disciplinare come un potere di “supremazia speciale” che necessita, per poter essere esercitato validamente, che il destinatario del relativo provvedimento sia qualificabile come “pubblico dipendente”. Ciò era confermato anche in sede normativa da quanto previsto dall’art. 19, ultimo comma, r.d. n. 511/1946, il quale esclude la possibilità di sottrarsi al procedimento disciplinare solo per effetto di dimissioni del diretto interessato in relazione alle quali il Ministro della giustizia ha comunque facoltà di reiezione. Negli altri casi, tra i quali rientrava quello della cessazione dall’impiego per collocamento in quiescenza per raggiunti limiti di età e relativa reiezione della richiesta di trattenimento in servizio, non poteva che ritenersi quindi estinto il potere disciplinare.

Né poteva convenirsi con le conclusioni del Consiglio di Presidenza di cui al provvedimento impugnato - ove si sosteneva che i magistrati contabili sono sottoposti a diverso regime ordinamentale rispetto a quelli “ordinari” - in quanto lo stesso Regolamento di disciplina dei magistrati della Corte dei Conti prevede che a questi ultimi, ai sensi dell’art. 10, comma 9, l. n. 117/1988, si applicano in materia di procedimento disciplinare gli artt. 32, 33, commi 2 e 3, e 34 della l. n. 186/1982.

L’art. 32 cit., in proposito, afferma che, per quanto non disposto direttamente da quella legge, si applicano ai magistrati contabili le norme previste per i magistrati ordinari in materia di sanzioni disciplinari e del relativo procedimento, escludendo in tal modo la presunta posizione di specialità dei magistrati della Corte dei Conti rispetto ai magistrati “ordinari”, specialità semmai riscontrabile unicamente nella concreta composizione del relativo organo disciplinare e nell’articolazioni di particolari cadenze procedimentali, in relazione – quindi - unicamente alle modalità di esercizio del potere e non al suo fondamento.

In secondo luogo, il ricorrente evidenziava anche l’impossibilità di applicare l’orientamento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8/1997 al personale della magistratura, in quanto i principi ivi individuati - secondo cui all’esito di un giudicato penale di condanna l’amministrazione può iniziare un procedimento disciplinare al fine di regolare gli effetti della sospensione cautelare disposta nei confronti di un pubblico dipendente, ancorché questi sia cessato dal servizio anteriormente al suddetto giudicato e al fine di dare compiuta e definitiva regolamentazione agli effetti provvisori delle misure cautelari adottate in costanza del procedimento disciplinare - traevano fondamento normativo unicamente dall’art. 96 T.U. n. 3/1957 e dalla preoccupazione del legislatore di determinare gli obblighi di reintegrazione in caso di maggior gravosità della misura cautelare rispetto alla sanzione disciplinare inflitta.

Nel caso di specie, profilandosi l’assenza di un collegamento normativo specifico con l’art. 96 cit. nel su richiamato Regolamento di disciplina, risultava applicabile unicamente la norma di cui ai ricordati art. 10, comma 9, l. n. 117/88 e art. 32 l. n. 186/82. Inoltre, anche l’ulteriore disciplina dedicata ai magistrati “ordinari” - che, in virtù del rinvio dettato dalle disposizioni ora richiamate, può applicarsi anche i magistrati della Corte dei Conti - regolante la definizione del trattamento da riservare alle sospensioni cautelari dal servizio sofferte prima della chiusura del procedimento disciplinare, di cui agli artt. 21, comma 5, e 22, comma 5, d.lgs. n. 109/2006, prevede esplicitamente un obbligo di reintegrazione ogni qual volta il procedimento disciplinare si sia concluso con una sentenza di non luogo a procedere, avvalorando in tal modo la conclusione per la quale, nel caso di specie, potevano semmai applicarsi i principi di cui all’art. 425 c.p.p. I quali prevedono che debba essere pronunciata una sentenza di non luogo a procedere “se sussiste una causa che estingue reato o per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita”.

In definitiva, per il ricorrente, la disciplina applicabile ai magistrati, anche contabili, non registrava alcuna necessità di assumere interpretativamente l’esistenza di un potere derivante dall’art. 96 T.U. cit., in quanto la sorte delle relative sospensioni risulta già disciplinata dalla più dettagliata regolamentazione offerta dai richiamati artt. 21 e 22 d.lgs. n. 109/06, che si occupano di definire il trattamento economico da riservare ai casi in cui procedimento disciplinare si è estinto nonché alle ipotesi in cui sussista una causa preclusiva all’azione disciplinare o alla sua prosecuzione.

In terzo luogo, il ricorrente si soffermava ulteriormente sulle ragioni di ordine sistematico che comunque dovevano comportare il superamento della ricostruzione offerta dalla richiamata decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8/97.

Per il dr. -OMISSIS-, infatti, ne risultava la violazione del principio di legalità, in quanto era riscontrabile l’assenza di un fulcro normativo a cui ancorare la permanenza del potere disciplinare anche dopo la cessazione del rapporto di impiego, dato che lo stesso art. 96 t.u. cit. era stato in realtà costruito sulla falsa riga delle discipline penalistiche che consentono di scontare i periodi di carcerazione preventiva dalla pena effettivamente inferta all’esito del giudizio, laddove, in campo disciplinare, i provvedimenti cautelari, invece, si fondano su diversi presupposti non collegabili a una preventiva espiazione della “pena”, dato che possono sussistere sospensioni cautelari “illegittime” disposte in rapporto a un procedimento disciplinare legittimamente concluso con una “destituzione” e sospensioni cautelari “legittime” in rapporto a vicende disciplinari concluse con richieste di archiviazione o comunque con “assoluzione”.

L’equiparazione invocata dalla Corte dei Conti in base alla conclusione del Consiglio di Stato del 1997, quindi, trovava un supporto normativo unicamente nell’ipotesi in cui, a seguito del procedimento disciplinare, fosse inflitta all’impiegato la sospensione dalla qualifica ma non negli altri casi, ove il contenuto istantaneo o definitivo degli effetti del provvedimento (finale) disciplinare non rende possibile alcuna equiparazione con le misure di carattere interinale in precedenza adottate.

Ciò perché il carattere temporaneo della misura cautelare “sospensiva” non trova connessioni con il procedimento disciplinare e la relativa adozione adempie unicamente a finalità “cautelari” e temporanee, soprattutto nel caso in cui - come quello di specie - la sospensione disposta nei confronti del ricorrente si collegava unicamente a vicende relative a procedimento penale.

Il ricorrente, infine, evidenziava che la stessa Adunanza Plenaria, con la decisione n. 15/1999, aveva riconosciuto la piena indipendenza fra le misure cautelari e il provvedimento disciplinare, proprio in relazione ai rapporti tra gli artt. 96 e 97 T.U. cit. Inoltre, era da evidenziarsi anche che le sospensioni disposte nei suoi confronti erano state adottate in base all’art. 4 l. n. 97/2001 nel frattempo entrato in vigore, il quale, diversamente dal richiamato art. 96, prevede che la sospensione perde efficacia in vari casi tra cui anche quello legato alla decorrenza di un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato.

Il -OMISSIS-si soffermava, poi, anche sul “carattere retroattivo del provvedimento”, dato che, per espressa ammissione dell’Adunanza Plenaria del 1997, se il procedimento disciplinare avviato dopo la cessazione del rapporto di impiego si conclude con la destituzione, il periodo di sospensione cautelare resta “assorbito” nel provvedimento espansivo, che retroagisce al momento della sospensione.

In tal caso, il ricorrente riscontrava la violazione del principio di irretroattività, quale principio di carattere generale e cardine del sistema positivo, cui devono essere sottoposti anche gli atti amministrativi in assenza di diversa previsione derogatoria di legge, che nel caso di specie risulta assente.

In più, il -OMISSIS-evidenziava la “ Incompatibilità della soluzione offerta dall’Adunanza plenaria in ragione del mutato contesto normativo ”.

Risultava, infatti, che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pur richiamando la diversa conclusione elaborata dal Consiglio di Stato nel 1997, riteneva applicabili i principi da lei espressi nei confronti della magistratura anche a favore del personale del pubblico impiego su cui ha giurisdizione, con soluzione oltretutto confermata a livello legislativo dall’art. 69, comma 9, d.lgs. n. 150/2009, che, seppur applicabile al solo “pubblico impiego contrattualizzato”, prevede che il procedimento disciplinare possa avere egualmente corso unicamente nell’ipotesi di dimissioni volontarie del dipendente incolpato, circostanza – questa – non rinvenibile nel caso di specie.

Ulteriore censura era quella in cui il ricorrente rilevava “ Violazione del regolamento di disciplina in ragione dell’impossibilità di configurare il procedimento volto alla definizione del regime giuridico delle sospensioni cautelari come una naturale prosecuzione dell’ordinario procedimento disciplinare” .

In via subordinata, il ricorrente rilevava che il provvedimento impugnato era stato adottato comunque senza rispetto delle regole procedimentali dettate dal richiamato Regolamento di disciplina.

Il relativo procedimento era stato infatti avviato nel 2004 e proseguito nel 2013 allo scopo sopra ricordato di regolare in via definitiva l’assetto degli interessi provvisoriamente determinato dal provvedimento di sospensione cautelare emesso nei suoi confronti in pendenza di un procedimento penale.

Il -OMISSIS-osservava che però tale esigenza non legittimava la disposta “prosecuzione” ma poteva porsi, semmai, alla base dell’avvio di un nuovo procedimento specificamente diretto a tal fine, a seguito dell’estinzione del potere disciplinare “ordinario”, e idoneo a costituire un titolo giuridico che sostituisca il provvedimento di sospensione cautelare privato della sua “causa tipica” a seguito della definizione del procedimento penale, come d’altro canto osservato dalla stessa Adunanza Plenaria del 1997.

Dando luogo, invece, ad una mera “prosecuzione”, il Consiglio di Presidenza si era sostituito all’organo competente ad avviare un nuovo procedimento quale è il Procuratore Generale della Corte dei Conti.

Il ricorrente lamentava anche “ Eccesso di potere in relazione al carattere illimitato del potere di cui disporrebbe la Corte dei Conti e dell’inidoneità di un provvedimento di rimozione a produrre effetti retroattivi in assenza di un’esplicita indicazione ”.

Ciò in quanto la limitata natura del potere residuale, derivante da quanto sopra esposto, avrebbe consentito unicamente di disciplinare gli effetti dei provvedimenti di sospensione senza poter stabilire nulla sulla “rimozione” invece disposta, peraltro in elusione del disposto della sentenza emessa da questo Tribunale nel 2014 con cui era stata rilevata l’illegittimità del provvedimento di rigetto dell’istanza di mantenimento in servizio. Infatti, con tale provvedimento di “rimozione” nulla è stato disposto in ordine alla decorrenza temporale dei suoi effetti, atteso che il Regolamento di disciplina prevede tanto la sanzione della “rimozione” quanto quella della “destituzione”, rinvenendosi solo in quest’ultima eventuali effetti retroattivi idonei ad assorbire i periodi di sospensione cautelare disposti, laddove la prima dispone solo “per l’avvenire”, come confermato testualmente anche nella motivazione del provvedimento impugnato in cui esplicitamente si afferma che “… non appaiono sussistere le condizioni perché lo stesso possa, in futuro esercitare con la necessaria autorevolezza e credibilità le funzioni istituzionali”.

Ulteriore doglianza era quella relativa alla “ Estinzione del potere sotto un punto di vista soggettivo”.

L’eventuale permanenza del potere disciplinare oltre la permanenza in servizio dell’incolpato poteva, eventualmente, configurarsi in presenza di un comportamento elusivo dell’incolpato, “strategicamente” dimessosi, ovvero per eventi sottratti alla disponibilità dell’Amministrazione.

Nel caso di specie il venir meno del rapporto di impiego era dipeso unicamente da un’esplicita manifestazione di volontà dello stesso Organo, con la conseguenza che nel caso di specie non sussisteva alcuna situazione a cui doversi rimediare per effetto di eventi imprevisti che avevano accidentalmente inciso sul rapporto di impiego, con la conseguenza che l’esercizio del potere di carattere disciplinare era ontologicamente incompatibile con la volontà già espressa nel provvedimento di rigetto dell’istanza di permanenza in servizio a suo tempo avanzata dalla ricorrente. Se il rapporto era da considerarsi definitivamente chiuso, non poteva quindi invocarsene l’esistenza solo in modo parziale come invece è avvenuto nei confronti della ricorrente, non rilevando che nelle more questo Tribunale abbia annullato tale rigetto in quanto quel che faceva stato era la condizione giuridica del -OMISSIS-al momento della disposta “prosecuzione” nonché al momento dell’adozione della sanzione.

Il ricorrente lamentava anche la “ Estinzione del procedimento disciplinare per effetto della decorrenza dei termini di conclusione del procedimento disciplinare ”.

Nel caso in esame dovevano applicarsi in via analogica i termini di cui all’art. 5 l. n. 97/2001, che prevedono 90 giorni dalla comunicazione della sentenza, per proseguire il procedimento, e 180 giorni dall’inizio del proseguimento, per la relativa conclusione, fermo quanto disposto dall’art. 653 c.p.p., con termini applicabili anche nell’ipotesi di proscioglimento per intervenuta prescrizione, come rilevato in numerose pronunce del giudice amministrativo che erano richiamate anche in ordine alla perentorietà di tali termini, persino in riferimento alla l. n. 19/1990 che fa riferimento a pronunce definitive di “condanna”.

Nel caso di specie, quindi, il termine complessivo di 270 giorni per la conclusione del procedimento non era stato rispettato in quanto, ricostruendo l’”iter” del medesimo, il termine ultimo doveva individuarsi nella data del 9 aprile 2014 mentre il provvedimento conclusivo risultava adottato solo in data 8 maggio 2014, oltre il termine massimo considerabile anche in relazione a quanto disposto dall’art. 10 del richiamato Regolamento di disciplina.

Era poi lamentata anche la “ Violazione dei termini endoprocedimentali di 90 giorni previsti dall’art. 120 del T.U. del D.P.R. n. 3/1957 ”.

Tale termine risultava non rispettato in ben due occasioni: sia in relazione al superamento dell’ivi previsto termine di 90 giorni dall’ultimo atto del procedimento disciplinare, quando la relativa Commissione è stata officiata dell’incarico solo in data 30 ottobre 2013 dal 16 aprile 2013 quando il Consiglio di Presidenza aveva formalmente disposto la “riapertura del procedimento”;
sia in relazione alla fissazione dell’udienza disciplinare al 25 marzo 2014, laddove il relativo decreto di fissazione era datato 18 dicembre 2013.

Il -OMISSIS-rilevava anche la “ Estinzione del procedimento per violazione dei termini deducibili dal Regolamento di disciplina dei magistrati della Corte dei conti ”.

Il relativo art. 7 stabilisce che la fissazione della trattazione orale con decreto presidenziale doveva avvenire non oltre un anno dall’inizio del procedimento disciplinare, pena l’estinzione di quest’ultimo sempre che l’imputato vi consenta, e nel caso di specie anche tale termine non era stato rispettato non potendosi considerare elemento idoneo alla sua osservanza la mera notificazione all’interessato del suddetto decreto.

Ne conseguiva la richiamata estinzione anche considerando il periodo di sospensione del procedimento ai sensi dell’art. 10 del richiamato Regolamento.

Era lamentato anche “ Eccesso di potere per violazione del principio dell’oralità e dell’immediatezza ”.

Il Consiglio di Presidenza non aveva assunto le proprie determinazioni nella camera di consiglio del 25 marzo 2014, immediatamente successiva alla trattazione orale, ma aveva rimandato le relative decisioni in una successiva riunione datata 16 aprile 2014, con violazione delle garanzie poste a tutela dell’incolpato dagli artt. 7, comma 5, e 8, comma 1, del Regolamento, avendo potuto, nel tempo trascorso fra la trattazione orale e la decisione finale, essere svolte attività istruttorie aggiuntive o distogliere il procedimento disciplinare dagli scopi originari, che sembravano posti unicamente ai fini di definizione del trattamento da riservare a periodi di sospensione e non per disporre la sanzione disciplinare poi irrogata.

Da ultimo il ricorrente lamentava “ Violazione degli art. 5 e 6 del Regolamento di disciplina ed eccesso di potere per carenza di istruttoria ”.

La contestazione degli addebiti era avvenuta senza il contributo della apposita Commissione istruttoria di cui all’art. 5 del Regolamento, dato che quella originariamente nominata nel 2004 non aveva svolto alcuna nuova attività dopo la pronuncia della sentenza definitiva di proscioglimento per intervenuta prescrizione e quella nuova risultava nominata solo il 30 ottobre 2013, dopo la formale contestazioni degli addebiti in data 8 luglio 2013, con la conseguenza che l’attività propedeutica a detta contestazione era stata svolta unicamente dal Consiglio di Presidenza nella sua interezza, in violazione della ricordata norma, che aveva quindi finito per svolgere un’influenza determinante sulla determinazione finale assunta, peraltro contraddistinta anche dalla reiezione della domanda di escussione di due testimoni presentata dal ricorrente.

Si costituivano in giudizio il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, la Corte dei Conti e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendo la reiezione del ricorso.

Alla camera di consiglio dell’8.10.2014 la trattazione della causa era rinviata su istanza di parte all’udienza pubblica per il merito.

All’esito di questa, tenutasi il 25.2.2015, in prossimità della quale le parti depositavano ampie memorie illustrative, era pronunciata l’ordinanza collegiale in epigrafe, con la quale era disposta l’acquisizione di chiarimenti e documentazione.

Alla successiva pubblica udienza del 6.5.2015, preceduta da ulteriore memoria delle Amministrazioni costituite, era disposto rinvio su istanza di parte in virtù della ravvicinata proposizione di motivi aggiunti da parte del ricorrente.

Tali motivi aggiunti, ritualmente notificati e depositati, concernevano la richiesta di annullamento, previa misura cautelare, del decreto del Presidente della Repubblica del 26 febbraio 2015 con il quale era stata formalmente inflitta la sanzione della rimozione a decorrere dal 14 aprile 2011.

In essi, il ricorrente lamentava in primo luogo il comportamento dilatorio delle parti resistenti e la circostanza per la quale la decorrenza era stata indicata sulla base delle indicazioni fornite dal solo Presidente della Corte dei Conti con una nota del 23 luglio 2014.

Inoltre, il -OMISSIS-riprendeva le argomentazioni sulla ritenuta estinzione del potere connesso alla cessazione del rapporto di impiego, confutando anche la diversa interpretazione prospettata dalle parti resistenti nelle memorie depositate in giudizio e così pure faceva in relazione alla lamentata violazione dei termini, come illustrata nei relativi motivi del ricorso introduttivo.

In più, il ricorrente lamentava anche, in relazione al provvedimento da ultimo impugnato, “ Eccesso di potere del DPR per contraddittorietà con la delibera del Consiglio di Presidenza “ .

Pur se la precedente delibera del Consiglio di Presidenza aveva disposto la sanzione sulla base della considerazione che non fossero ritenute sussistenti le condizioni perché il magistrato potesse esercitare “in futuro” le funzioni istituzionali con la necessaria autorevolezza e credibilità, appariva contraddittoria l’individuazione di effetti retroattivi, anche sulla decorrenza, riconducibili invece unicamente alla sanzione della “destituzione”.

Ne conseguiva che, tanto la nota con cui il Presidente della Corte dei Conti aveva individuato tale termine di decorrenza, tanto l’impugnato decreto del Presidente della Repubblica, erano palesemente viziati di illegittimità per contraddittorietà con un precedente provvedimento nonché con la volontà dello stesso Consiglio di Presidenza volta a precludere il mantenimento in servizio oltre il 70º anno di età, unica circostanza che avrebbe potuto legittimare la conservazione del potere disciplinare.

Il -OMISSIS-rilevava anche “ Illegittimità della nota del Presidente della Corte dei Conti per incompetenza ”.

Ciò in quanto il contenuto del provvedimento sanzionatorio non era stato individuato dal Consiglio di Presidenza, all’esito del relativo procedimento disciplinare, ma era stato determinato in maniera del tutto autonoma dal Presidente della Corte dei Conti, nonostante la presidenza del Consiglio dei Ministri avesse chiaramente rivolto all’organo collegiale la richiesta di chiarimenti in ordine alla decorrenza.

Come detto, in considerazione della circostanza per la quale nella delibera impugnata con il ricorso introduttivo non vi era alcuna indicazione che lasciava presupporre un’efficacia retroattiva, questa era stata del tutto arbitrariamente posta in atto dal Presidente della Corte dei Conti che aveva risposto ai suddetti chiarimenti, in evidente carenza di competenza e dando luogo anche alla violazione alle norme che regolavano l’intero procedimento disciplinare secondo quanto fissato dalla relativo Regolamento.

Ulteriore motivo di doglianza era quello relativo alla riscontrata “ Violazione di legge in rapporto al Regolamento di disciplina” .

Qui il ricorrente lamentava che la sanzione disciplinare in relazione alla relativa decorrenza era stata determinata in tali contenuti essenziali dal solo presidente della Corte dei Conti e senza le cadenze procedimentali dettate dal Regolamento di disciplina comportanti la partecipazione dell’interessato, di cui agli artt. 7, comma 5, e 8, comma 1, con la conseguenza che nel caso di specie il -OMISSIS-era stato privato di ogni minima garanzia di difesa.

Il ricorrente, poi, lamentava anche “ Eccesso di potere per falsità del presupposto” .

Nella nota inoltrata dal Presidente della Corte dei Conti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 23 luglio 2014, era comunque offerta una rappresentazione volutamente parziale selettiva degli elementi di fatto e dei principi giuridici alla base della vicenda. Era infatti omesso ogni riferimento alla riammissione in servizio della ricorrente, che si era realizzata dal momento della pronuncia di proscioglimento sino al suo collocamento a riposo, e al relativo “status” giuridico, tanto da comportare confusione anche nello stesso decreto impugnato con i motivi aggiunti, in cui si faceva riferimento alla “sanzione disciplinare” della sospensione dal servizio dalle funzioni con decorrenza 14 aprile 2011, laddove invece la sospensione aveva esclusivamente effetti cautelari indotti dalla sentenza di condanna di primo grado e non aveva alcun contenuto disciplinare, con chiara soluzione di continuità che invece non era stata minimamente considerata. Né risultava che fosse stato mai adottato il necessario d.p.c.m. di applicazione di nuova misura di sospensione cautelare tra la pronuncia di proscioglimento e il collocamento a riposo del ricorrente.

Era lamentata anche “ Violazione dell’art. 97 del TU del 1957” .

La giurisprudenza aveva ammesso che un provvedimento poteva produrre i suoi effetti sin dalle sospensioni cautelari sofferte dall’incolpato solo se di “destituzione” e non di “rimozione” e solo se non vi fosse stata alcuna soluzione di continuità fra il provvedimento cautelare e quello “destitutorio” ovvero la riammissione in servizio fosse dipesa esclusivamente dalla decorrenza dei termini quinquennali di durata massima stabiliti dagli artt. 9 l. n. 19/1990 e 4 l. n. 97/2001, circostanze queste del tutto assenti nel caso di specie come desumibile anche da una corretta interpretazione dei precedenti giurisprudenziali richiamati nelle difese delle parti resistenti.

Da ultimo, il ricorrente ribadiva la censura di “ Eccesso di potere per violazione del principio dell’oralità e dell’immediatezza” .

Nuovamente il ricorrente lamentava il comportamento dilatorio del Consiglio di Presidenza nell’aggiornare le adunanze successive all’8 aprile 2014 per mera mancanza di un componente che era circostanza non preclusiva di una immediata decisione.

Inoltre, dal verbale del 16 aprile 2014 risultava che la discussione relativa alla vicenda disciplinare in esame era durata solo un’ora, evidenziando così che non si era dato luogo ai necessari approfondimenti che una questione così complessa avrebbe richiesto.

Alla camera di consiglio del 3 giugno 2016 fissata in relazione alla domanda cautelare contenuta nei suddetti motivi aggiunti, era disposto rinvio alla trattazione di merito, fissata all’udienza pubblica del 21.10.2015.

In tale data, preceduta da rituali depositi di memorie da parte delle parti costituite, sempre su istanza di parte - motivata dalla opportunità di attendere la pronuncia del Consiglio di Stato sull’impugnativa della sentenza di questo Tar n. 3388/2014 che aveva accolto il ricorso del -OMISSIS-avverso le mancate riammissione e trattenimento in servizio - la causa era ulteriormente rinviata a nuovo ruolo.

Infine, alla nuova pubblica udienza dell’8.3.2017, dopo che il Consiglio di Stato si era pronunciato con sentenza n. 398/2016 del 2.2.2016, il gravame era trattenuto in decisione, previo deposito il 2.2.2017 da parte del ricorrente di una nuova memoria illustrativa e, in data 15.2.2017, di “memoria di replica” da parte delle Amministrazioni costituite, in merito alla quale il -OMISSIS-presentava “richiesta di stralcio”, in quanto depositata in violazione del termine di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a.

DIRITTO

Il Collegio, preliminarmente, deve esaminare la richiesta di “stralcio” dell’ultima memoria “di replica” della difesa erariale, come richiesta dal ricorrente.

Ebbene, si rileva che la giurisprudenza ha più volte concluso solo nel senso per il quale, in forza del divieto generale di abuso degli strumenti processuali, non è consentito utilizzare la memoria di replica per opporsi alle argomentazioni proposte dalla controparte negli scritti difensivi diversi dalla memoria conclusiva di cui all’art. 73 comma 1, c.p.a., perché si determinerebbe altrimenti una elusione dei termini decadenziali previsti per i suddetti incombenti processuali (da ult., sul punto:

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