TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2022-07-19, n. 202210294

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2022-07-19, n. 202210294
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202210294
Data del deposito : 19 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/07/2022

N. 10294/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00731/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 731 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati O D B, G P, E S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio E S in Roma, via degli Avignonesi n. 5;

contro

Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

Annullamento previa sospensiva: 1) dell'atto prot. n. 38295 del 15.11.2021, con cui la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura ha annullato l'ormai risalente rilasciato attestato di libera circolazione n. 4879 del 06.08.2015 (già portato in esecuzione ed esaurito nei suoi effetti) di un dipinto olio su tela raffigurante figura femminile allora pacificamente attribuito a Scuola italiana e che oggi, dopo che da tempo il dipinto sulla base della rilasciata autorizzazione è all'estero a seguito di trasferimenti di proprietà, viene attribuito a “G V (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574), Allegoria della Pazienza, 1552 circa, dipinto, olio su tela, cm 197.8 x 108.8 circa”, aggiungendovi, all'atto gravato, un “Preavviso di diniego al rilascio dell'attestato di libera circolazione ai sensi dell'articolo 10-bis della Legge n. 241/1990”, affermando di agire “in esercizio del potere di avocazione di cui all'articolo 16 comma 1, ultimo periodo, e comma 2, lettera u) del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 2 dicembre 2019, n. 169” e richiedendo “al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di procedere al prelievo e alla custodia coattiva del bene de quo”;
2) dell'atto prot. n. 42534 del 17.12.2021 della medesima Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura di cui innanzi, recante diniego dell'attestato di libera circolazione e contestuale avvio del procedimento per la dichiarazione di interesse particolarmente importante, nonché della relazione storico-artistica ad esso allegata;
3) dell'atto prot. n. 43677 del 31.12.2021 della medesima Direzione Generale del Ministero della Cultura, con cui è stato anche ordinato il rientro sul suolo nazionale del richiamato dipinto come se fosse stato esportato in assenza di attestato (sic!);
4) di ogni altro atto preparatorio, presupposto, conseguente e/o comunque connesso

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -OMISSIS-il 28/2/2022:

Annullamento previa sospensiva: 1) dell'atto prot. n. 38295 del 15.11.2021, con cui la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura ha annullato l'ormai risalente rilasciato attestato di libera circolazione n. 4879 del 06.08.2015 (già portato in esecuzione ed esaurito nei suoi effetti) di un dipinto olio su tela raffigurante figura femminile allora pacificamente attribuito a Scuola italiana e che oggi, dopo che da tempo il dipinto sulla base della rilasciata autorizzazione è all'estero a seguito di trasferimenti di proprietà, viene attribuito a “G V (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574), Allegoria della Pazienza, 1552 circa, dipinto, olio su tela, cm 197.8 x 108.8 circa”, aggiungendovi, all'atto gravato, un “Preavviso di diniego al rilascio dell'attestato di libera circolazione ai sensi dell'articolo 10-bis della Legge n. 241/1990”, affermando di agire “in esercizio del potere di avocazione di cui all'articolo 16 comma 1, ultimo periodo, e comma 2, lettera u) del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 2 dicembre 2019, n. 169” e richiedendo “al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di procedere al prelievo e alla custodia coattiva del bene de quo”;
2) dell'atto prot. n. 42534 del 17.12.2021 della medesima Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura di cui innanzi, recante diniego dell'attestato di libera circolazione e contestuale avvio del procedimento per la dichiarazione di interesse particolarmente importante, nonché della relazione storico-artistica ad esso allegata;
3) dell'atto prot. n. 43677 del 31.12.2021 della medesima Direzione Generale del Ministero della Cultura, con cui è stato anche ordinato il rientro sul suolo nazionale del richiamato dipinto come se fosse stato esportato in assenza di attestato (sic!);
4) di ogni altro atto preparatorio, presupposto, conseguente e/o comunque connesso”


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Cultura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2022 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La presente controversa si origina dal provvedimento del 6 agosto 2015, con il quale l’ufficio esportazione di Verona ha rilasciato al ricorrente, ai sensi dell’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004, l’attestato di libera circolazione relativo ad un olio su tela attribuito, sulla base di quanto dichiarato dall’istante, alla scuola italiana del XVI secolo, e raffigurante una figura femminile, con stima di 65.000 euro.

Il bene è stato successivamente alienato a terzi e si trova attualmente all’estero, in quanto divenuto di proprietà della -OMISSIS-, che lo ha concesso alla National Gallery di Londra in esposizione.

L’ospitalità attribuita alla tela da una così prestigiosa istituzione si spiega con il fatto che nel 2019 lo studioso Carlo F, dopo aver esaminato il dipinto restaurato, ha concluso per l’attribuzione di esso a G V.

In particolare, si tratterebbe della “Allegoria della Pazienza”, un’opera eseguita su invenzione di M, con un soggetto che, fino all’innovativo studio appena citato, si supponeva fosse stato rappresentato in originale dal quadro attualmente ospitato a Palazzo Pitti, a Firenze.

Le conclusioni del Prof. F sono state assunte, allo stato delle attuali acquisizioni scientifiche, anche grazie alla apposizione, sulla tela, della incisione “diuturna tolerantia”, vale a dire del motto del vescovo di Arezzo M, che è noto quale committente dell’Allegoria.

All’esito del restauro, in altri termini, è emerso un elemento distintivo dell’opera (in precedenza celato, almeno parzialmente, dal cattivo stato di conservazione del quadro), che ha condotto lo studioso, grazie alla lettura del carteggio V-M, alla nuova attribuzione.

Con atto del 15 novembre 2021, la direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del MIC, venuta a conoscenza di tale circostanza, ha annullato in autotutela l’attestato di libera circolazione, reputando che esso fosse viziato da travisamento dei fatti.

In particolare, a) la mediocre condizione della tela, quando fu presentata all’ufficio esportazione, avrebbe impedito di cogliere la presenza del motto, e quindi di indagare ulteriormente sulla natura del dipinto;
b) il ricorrente, inoltre, avrebbe colpevolmente omesso di dichiarare la provenienza del bene dalla collezione -OMISSIS-, ovvero dalla collezione della di lui moglie.

Quest’ultima circostanza sarebbe significativa, perché dal sistema informativo unificato per le soprintendenze archivistiche emerge uno “storico legame di parentela delle famiglie M e -OMISSIS-”, sicché, se l’amministrazione fosse stata posta nelle condizioni di conoscere la provenienza del quadro, avrebbe potuto porlo in rapporto con il vescovo di Arezzo, committente dell’Allegoria, e avrebbe negato l’attestato.

Con un successivo provvedimento del 17 dicembre 2021, la medesima direzione generale, esaminate le osservazioni prodotte dal ricorrente in ordine al preavviso di diniego dell’attestato (osservazioni sollecitate ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 con il precedente atto del 15 novembre), ha anzitutto confermato che l’annullamento in autotutela si giustifica alla luce del comportamento “poco collaborativo” del ricorrente, e delle omissioni in cui egli sarebbe incorso, in violazione del dovere di correttezza nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione.

Inoltre, l’atto del 17 dicembre ha negato il rilascio dell’attestato di libera circolazione del quadro, avviando il procedimento per la dichiarazione dell’interesse artistico e storico particolarmente importante, come previsto dall’art. 68, comma 6, del d.lgs. n. 42 del 2004, con contestuale avocazione a sé del potere di diniego così esercitato e del potere di pronunciarsi sulla dichiarazione di interesse culturale.

Infine, con atto del 31 dicembre 2021, la direzione generale ha ordinato al ricorrente di far rientrare l’opera in Italia entro 40 giorni.

Tutti questi tre provvedimenti sono stati impugnati con il ricorso introduttivo, mentre motivi aggiunti sono stati in seguito indirizzati contro l’ultimo di essi, appena ricordato.

La causa è stata assegnata in decisione all’udienza del 12 luglio 2022, fissata ai sensi dell’art. 55, comma 10, cpa.

DIRITTO

1.Con il primo motivo del ricorso introduttivo, si deduce incompetenza e violazione di legge (art. 97 Cost.;
art. 21 nonies legge n. 241 del 1990;
art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004;
art. 16 del d.lgs. n. 165 del 2001 e DPCM n. 169 del 2019), perché la direzione generale non avrebbe titolo per esercitare l’autotutela in riferimento ad un atto dell’ufficio esportazione.

La censura non è fondata.

La potestà della direzione generale di attivarsi in autotutela decisoria, per rimuovere gli effetti di un atto illegittimo assunto dall’ufficio esportazione in ordine all’attestato di libera circolazione, trova riconoscimento nell’art. 16 del DPCM n. 169 del 2019, in quanto applicabile ratione temporis, che assegna alla direzione “poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo e, in caso di necessità (…) avocazione e sostituzione”.

Benché la norma, diversamente dall’abrogato art. 14 del DPCM n. 76 del 2019, non menzioni espressamente “l’adozione dei provvedimenti di autotutela”, è da ritenere che essi siano in ogni caso ricompresi, quale species del più ampio genus, nel fascio di poteri appena ricordati, dai quali si deduce un grado estremamente penetrante di ingerenza nelle attività delle soprintendenze (organi presso i quali sono incardinati gli uffici esportazione).

Quest’ultimo, a propria volta, si riflette in un assetto legislativo teso a valorizzare, ai fini della tutela del primario valore del paesaggio e del patrimonio culturale, l’indirizzo unitario elaborato dagli organi centrali del MIC, come già sottolineato in giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VI, n. 1060 del 2015).

Nel caso di specie, si tratta di un nesso particolarmente evidente, perché la legge prevede che il procedimento avente ad oggetto l’attestato di libera circolazione reagisca alle segnalazioni che possono provenire dal MIC (art. 68, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 42 del 2004), al fine di assicurare omogeneità applicativa e apporto di competenze.

Ne consegue che è la trama stessa della legislazione in tema di tutela dei beni culturali, e, nel caso che rileva, in tema di attestato di libera circolazione, a giustificare i poteri di controllo, ivi compresi l’autotutela, attribuiti alla direzione generale dal DPCM n. 169 del 2019, per il periodo di vigenza di esso (sulla legittimità del conferimento alla direzione generale della potestà di autotutela, cfr la sentenza n. 9410 del 2021 della Sezione, resa con riferimento al DPCM n. 76 del 2019).

1.1 Tali osservazioni permettono di dar conto dell’infondatezza anche del decimo motivo del ricorso introduttivo, con il quale si lamenta l’incompetenza della direzione generale, una volta annullato l’attestato di libera circolazione già rilasciato, a opporre un diniego al rilascio del titolo.

Il potere di avocazione è infatti espressamente previsto dal già citato art. 16, comma 1, del DPCM n. 169 del 2019 (rispetto al quale il comma 2 è meramente esemplificativo di ipotesi particolari, ma non tassative), e qui costituisce il logico corollario dell’esercizio della potestà di autotutela decisoria, posto che, una volta ravvisata l’illegittimità dell’atto e conosciuta la fattispecie, è conseguente che la direzione generale possa chiamare a sé la determinazione conclusiva, con cui tali premesse sono portate a compimento.

2. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo, si deduce la violazione dell’art. 97 Cost., degli artt. 1 e 21 nonies della legge. n. 241 del 1990, nonché la lesione dei principi di “certezza del diritto e legittimo affidamento”, oltre che il vizio di eccesso di potere, perché l’annullamento in autotutela è intervenuto a oltre 6 anni dal rilascio dell’attestato di libera circolazione, e a circa due anni di distanza dalla pubblicazione dello studio del Prof. F, che ha posto in luce la nuova attribuzione della tela.

2.1 Il Tribunale premette che alla fattispecie trova applicazione l’art. 21 nonies, nella parte in cui, per i provvedimenti di autorizzazione, impone all’amministrazione di esercitare l’autotutela entro il termine di 12 mesi dall’adozione di esso.

Sul punto, una precedente pronuncia della Sezione (sentenza n. 10018 del 2018) ha escluso la pertinenza di tale termine, mentre essa è stata ritenuta sussistere con la più recente e sentenza n. 9410 del 2021, alla quale ultima va dato, in questa sede, ulteriore corso.

L’attestato di libera circolazione è infatti una autorizzazione, poiché, previo apprezzamento tecnico sul pregio di un bene, rimuove i limiti conformativi che la legge impone a quella particolare componente del diritto di proprietà che consiste nella prerogativa di alienare il bene a qualunque terzo, quand’anche ciò ne implichi l’uscita dal territorio nazionale.

Una volta ricondotto l’attestato alla categoria dei provvedimenti autorizzatori, viene da sé che l’autotutela incontri i limiti per essi indicati dalla lettera dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.

2.2 Come è noto, tuttavia, il limite temporale, ora fissato a 12 mesi, per rimuovere un atto illegittimo in autotutela non opera, qualora, in difetto di responsabilità dell’amministrazione, l’illegittimità sia stata determinata da una falsa rappresentazione di circostanze rilevanti ai fini del decidere, imputabile al dolo o alla mala fede oggettiva del richiedente (ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, n. 3940 del 2018).

In tali casi, in effetti, l’ordinamento non ha alcuna ragione per tutelare, anche sul piano del consolidamento degli effetti dell’atto per decorso del tempo, chi abbia determinato la patologia propria del provvedimento di primo grado.

Non può esservi, in altri termini, affidamento degno di garanzia giuridica, su un atto il cui vizio sia attribuibile o al dolo di chi ne beneficia, o alla gravemente colpevole inosservanza di regole di condotta fondamentali, ed espressive del dovere di correttezza e buona fede cd. oggettiva.

Perciò, al fine di stabilire se l’annullamento oggetto di causa sia illegittimo, perché intervenuto oltre 12 mesi dall’adozione dell’attestato di libera circolazione, si tratta di indagare sulle circostanze che, a parere dell’amministrazione, hanno determinato il travisamento dei fatti in cui è caduto l’ufficio esportazione, per ragioni imputabili al ricorrente.

2.3 Sul punto, va premesso che ben si può ragionare in termini di travisamento, e dunque di vizio dell’atto, nonostante in storia dell’arte, come sottolinea il ricorrente, le attribuzioni possano essere incerte, e soggette a continue rivisitazioni, a seconda dell’evoluzione degli studi. Infatti, ciò non toglie che la comunità scientifica sia in grado di esprimere giudizi, alla luce dei dati disponibili.

Nel caso di specie, gli elementi che hanno assunto importanza, e che avrebbero potuto assumerla ove fossero stati conosciuti a suo tempo dall’ufficio esportazione, sono il motto dei M “diuturna tolerantia” alla base del quadro, e la filiazione di quest’ultimo dalla collezione -OMISSIS-.

Tali fattori sorreggono l’ipotesi del Prof. F, allo stato predominante, che l’opera, in ragione dei rapporti familiari tra i -OMISSIS- e i M, provenga da questi ultimi, e sia, in definitiva, l’Allegoria della Pazienza commissionata al V, su invenzione di M.

La circostanza per la quale, nel 2015, si credeva che la prima versione del soggetto appartenesse alla collezione di Palazzo Pitti non esclude certamente che, in quello stesso anno, l’analisi della tela oggetto di causa, sulla base dei dati così riassunti, potesse condurre gli esperti, tra cui i membri dell’ufficio esportazione, a diversa conclusione.

Dunque, qualora fosse dimostrata perlomeno la mala fede oggettiva del ricorrente nel descrivere l’opera, se ne dovrebbe concludere nel senso che essa ha avuto per oggetto elementi dotati di efficacia causale, quanto alla attribuzione dell’opera ad autore anonimo della scuola italiana del 1500, anziché a V, e che, di conseguenza, l’attestato di libera circolazione è stato rilasciato sulla base di un apprezzamento dei fatti incompleto ed inadeguato, e tale da generare il vizio che il MIC ha inteso rimuovere nel 2021.

2.4 Anzitutto, il Tribunale esclude che possa desumersi dolo o mala fede oggettiva del ricorrente, per avere quest’ultimo presentato il dipinto in cattivo stato di conservazione, tanto che l’incisione “diuturna tolerantia” non era visibile (come sostiene il MIC, anche sulla base della comparazione delle fotografie che ritraggono il quadro prima e dopo il restauro), o lo era solo parzialmente (come afferma, invece, il ricorrente).

Non sono stati infatti acquisiti in causa elementi che permettano di dimostrare che il ricorrente abbia consapevolmente celato l’iscrizione, né può ritenersi che il proprietario di un’opera d’arte, della quale è chiesta l’autorizzazione all’espatrio, abbia l’onere di sottoporla a restauro prima di presentarla all’ufficio esportazione.

Vero è, invece, come lo stesso ricorrente afferma, che quest’ultimo ha la potestà di disporre ulteriori indagini sul bene, ove vi siano elementi che rendano dubbio il giudizio tecnico, e che richiedano approfondimenti per i quali il restauro si rende necessario.

Ed è questo il punto: a fronte di una tela mal conservata, nella quale un elemento iconografico fondamentale (il motto “diuturna tolerantia”) sia invisibile, o a mala pena visibile, l’ufficio esportazione non ha alcuna ragione per sollecitare tali approfondimenti, quando manchino, per così dire, segnali di allarme, idonei a suscitare una particolare attenzione.

Sono questi segnali, semmai, se del caso offerti dall’istante in sede di descrizione dell’opera, che devono indurre l’amministrazione a esigere ulteriori chiarimenti, fino alla eventuale ripulitura ad arte di parti ammalorate. Con l’ulteriore conseguenza che, ove essi siano invece ignorati, non sarà possibile in seguito contestare alcunché a chi li abbia a suo tempo prospettati.

2.5 Tra tali segnali, ovvia importanza ha la provenienza collezionistica del bene, giacché è fatto notorio che l’appartenenza di un’opera d’arte ad una collezione, o comunque la riconduzione di essa al proprietario, quando si può ritenere che quest’ultimo sia il destinatario di lasciti importanti, è assai significativa ai fini del processo di attribuzione (si può osservare incidentalmente che non rari sono gli studi, anche di eco divulgativa nella pubblicistica italiana, che negli anni hanno affrontato controverse attribuzioni, valorizzando, tra l’altro, la proprietà dell’opera nel corso dei secoli).

Nel caso di specie, si è già visto che, al fine di riconoscere nel quadro l’Allegoria vasariana, si è rivelata determinante la provenienza di esso dalla collezione M (il committente), testimoniata dal motto della casata inciso ai margini del quadro.

In ragione del rapporto storico tra le famiglie M e -OMISSIS- (che il ricorrente non contesta, limitandosi a negare di averne avuto notizia), ove fosse stato dichiarato all’ufficio esportazione che il quadro proveniva dal “grande fondo archivistico -OMISSIS-” (come esso viene definito a pag. 25 del ricorso introduttivo), è evidente che l’amministrazione avrebbe ricevuto proprio uno di quei segnali di allarme di cui si diceva. Esso la avrebbe verosimilmente indotta a richiedere un’indagine supplementare, ed eventualmente un intervento capace di restituire alla piena visibilità l’incisione “diuturna tolerantia”, così da porsi in grado di svolgere le medesime considerazioni che, a quadro restaurato, il Prof. F potè sviluppare nel 2019.

Naturalmente, il punto qui in discussione non è quello, inaccertabile, se l’ufficio esportazione sarebbe davvero giunto a tanto nel 2015, ma piuttosto, e più semplicemente, che la notizia in sé lo avrebbe messo nelle condizioni di valutare con piena cognizione di causa la natura della tela, evitando di incorrere nel travisamento che ha viziato l’atto oggetto di annullamento.

E ciò vale anche per il caso in cui si dovesse ritenere che il motto fosse intuibile già a quadro ammalorato, perché è proprio la provenienza -OMISSIS--M, se conosciuta, che avrebbe imposto di valorizzare l’incisione, ripulendola, qualificandola quale motto dei M, e, in definitiva, aprendo la via ad una potenziale, nuova attribuzione.

Che, poi, il ricorrente non fosse a conoscenza del rapporto tra i -OMISSIS- e i M è del tutto irrilevante, perché la contestazione che l’atto di autotutela gli muove è di avere omesso l’indicazione della provenienza dell’opera dalla collezione della moglie -OMISSIS-: provenienza di per sé certa, visto il motto apposto sul quadro, quale che sia il titolo giuridico (proprietà, mandato familiare o altro) in forza del quale è stato il ricorrente, e non il coniuge, a richiedere l’attestato di libera circolazione.

In definitiva, si tratta di stabilire se, nel caso di specie, l’omessa indicazione della provenienza collezionistica abbia determinato l’inosservanza di una basilare regola di buona fede cd. oggettiva, tale da privare di legittimità l’affidamento riposto sull’autorizzazione del 2015, e permettere l’esercizio del potere di autotutela nel 2021.

2.6 Il Tribunale, sulla base di quanto già osservato, reputa che la risposta al quesito appena formulato sia affermativa.

Appare persino intuitivo che, nel quadro della leale collaborazione alla quale debbono essere improntati i rapporti tra consociati e pubblica amministrazione, sia dovere di chi richieda l’attestato di libera circolazione di un’opera d’arte segnalarne l’eventuale provenienza collezionistica, che di per sé testimonia un elemento distintivo del bene, che, come dimostra la fattispecie concreta, può acquisire particolare rilievo (a maggior ragione, ma non solo, se i moduli da compilare, sia pure facoltativamente, contenessero un riferimento alla “provenienza” del bene, come affermato dal MIC, e non ammesso da parte ricorrente).

Nel caso di specie, come si è visto, la tela si originava dal “grande fondo archivistico -OMISSIS-”, la cui importanza è comprovata dal fatto che la collezione della signora -OMISSIS- è oggetto di “regolari visite di controllo” da parte della soprintendenza, a causa dei beni di interesse culturale che annovera: cfr ricorso, pag. 25.

Difatti, l’art. 134, comma 1, lett. e) del R.d. n. 363 del 1913 esige che l’istante offra una “descrizione delle cose”, con formula così ampia da ricomprendere ogni profilo di esse che possa acquisire significato ai fini della ponderazione dell’interesse culturale.

Il ricorrente, omettendo del tutto di indicare la provenienza -OMISSIS- del quadro, ha perciò gravemente violato la regola della buona fede cd. oggettiva, offrendo all’ufficio esportazione una descrizione del bene carente di un elemento essenziale, e tale perciò da determinare travisamento.

Ne consegue che l’ordinamento non reputa meritevole di tutela un affidamento di fatto maturato sulla base di un atto il cui vizio è stato ingenerato dalla condotta della parte istante, e permette perciò all’amministrazione di annullare il provvedimento in autotutela, anche oltre il limite temporale indicato dall’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.

2.7 Nel caso di specie, inoltre, l’atto di autotutela non è tardivo neppure se si considera che lo studio F, al quale si deve l’attribuzione del quadro a V, è stato pubblicato nel 2019.

Difatti, in caso di distorta rappresentazione dei fatti da parte del privato, anche in via omissiva, il termine non può che decorrere da quando si provi che l’amministrazione è venuta a conoscenza degli elementi che le erano stati sottratti, o offerti malamente, così da poter rimediare alla patologia del provvedimento.

Tuttavia, non si può certamente pretendere, a tal fine, che il MIC abbia l’onere di consultare qualsivoglia pubblicazione scientifica nazionale e internazionale, e per giunta con tempestività, tanto più che proprio la “descrizione” della tela -OMISSIS- avanzata dal ricorrente escludeva che vi fosse una specifica ragione per monitorarne le sorti.

Ciò detto, il ricorrente non adduce alcun indizio dal quale poter desumere che il MIC sia venuto a conoscenza della attribuzione vasariana della tela prima del luglio 2021 (data che la stessa amministrazione indica).

2.8 Il secondo motivo del ricorso introduttivo è perciò infondato.

3. Parimenti da respingere, per analoghe considerazioni in ordine alla insussistenza di un affidamento legittimo degno di tutela, è il quarto motivo (violazione degli artt. 3 e 21 nonies della legge n. 241 del 1990;
difetto di motivazione e istruttoria), con il quale si denuncia che l’amministrazione non abbia “in alcun modo considerato l’affidamento medio tempore maturato in capo ai soggetti privati interessati dal provvedimento”.

Difatti, è da ritenere, in linea generale, che l’obbligo dell’amministrazione di comparare l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto viziato con quello privato alla conservazione di esso si affievolisca grandemente per le ipotesi in cui il vizio è stato cagionato dal destinatario del provvedimento di primo grado, posto che tale circostanza elide il rilievo dell’affidamento: in tali casi è, dunque, l’assoluta forza dell’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione a giustificare il ricorso all’autotutela decisoria.

Per tale peculiare ipotesi, un simile affievolimento concerne anche la posizione di eventuali terzi che abbiano confidato sulla legittimità dell’atto, poiché, in caso contrario, si permetterebbe a chi abbia agito con dolo o mala fede oggettiva di consolidare gli effetti della propria condotta colpevole, infiacchendo l’interesse pubblico in tal modo compromesso, solo per effetto del trasferimento a terzi di diritti sulla cosa oggetto del provvedimento di autorizzazione di primo grado.

La logica dell’autotutela, in altri termini, non può che adattarsi alla peculiarità della falsa rappresentazione da cui è stata indotta la patologia provvedimentale, con la conseguenza che, per tali eccezionali ipotesi, la tutela del terzo potrà esperirsi sul piano civilistico nei confronti del dante causa, ma apparirà in linea di principio recessiva per definizione a confronto con l’interesse pubblico.

3.1 Se tali considerazioni valgono sul piano generale, più nello specifico non può non considerarsi che è la normativa stessa, nazionale e internazionale, a privare direttamente di rilievo, quanto all’obbligo di restituire il bene, l’affidamento del terzo di buona fede, acquirente dell’opera d’arte illegittimamente sottratta. E ciò, in deroga alla comune normativa civilistica sulla circolazione dei beni mobili (art. 1153 cod. civ.).

Anzitutto, sono gli artt. 5 e 6 della già citata convenzione Unidroit del 24 giugno 1995 (sulla quale già la sentenza n. 9410 del 2021 della Sezione) a confermare la regressività di cui si è detto, laddove consentono il recupero dell’opera d’arte anche in danno del terzo acquirente di buona fede, pur con le garanzie ivi indicate.

Tale previsione è ribadita dagli artt. 9 e 10 della direttiva n. 2014/60/UE, attuata con il d.lgs. n. 2 del 2016, posto che l’azione di recupero del bene culturale illecitamente sottratto non incontra un limite nell’affidamento del terzo acquirente, la cui buona fede può rilevare ai soli fini dell’attribuzione di un indennizzo.

Se ne può concludere che, nell’ipotesi del tutto peculiare di beni culturali esportati sulla base di una autorizzazione illegittima, e come tale annullata con effetti ex tunc, a causa del dolo o della mala fede oggettiva di chi la ha ottenuta, è direttamente la normativa vigente, di fonte internazionale ed europea, che rimuove dalla fattispecie, anche per la parte soggetta al governo dell’amministrazione, il peso dell’interesse alla conservazione dell’atto in capo al terzo, che si sia giovato, sia pure in buona fede, di tale illegittimità.

Il fatto, in definitiva, si è originato da una condotta di mala fede oggettiva capace in sé di escludere il rilievo dell’affidamento alla conservazione dell’atto, e tale perciò da ridisegnare in senso ampliativo i confini oggettivi del potere di autotutela, quali che siano le vicende contrattuali concernenti il bene culturale, alle quali l’atto così viziato ha dato il via.

Nel caso di specie, l’interesse pubblico a recuperare l’opera appare inoltre particolarmente enfatizzato dall’atto impugnato, in ragione dell’elevato pregio di essa, sicché è stato in tal modo sufficientemente motivato l’esercizio del potere di autotutela.

4. Il quinto e il sesto motivo di ricorso, da accorpare, si dilungano su profili di violazione di legge, difetto di motivazione, eccesso di potere, ai quali si è già dato risposta negativa, trattando sopra del secondo motivo di ricorso.

Alle considerazioni già svolte si deve perciò rinviare, per ribadire l’irrilevanza, sul piano della legittimità degli atti impugnati: a) dell’attribuzione dell’opera al V solo nel 2019;
b) della contestata, e comunque solo parziale, leggibilità del motto “diuturna tolerantia” nella tela presentata all’ufficio esportazione;
c) del fatto che il ricorrente ignorasse il legame tra le famiglie -OMISSIS- e M;
d) del titolo giuridico in forza del quale il ricorrente ha chiesto il rilascio dell’attestato.

Va altresì nuovamente affermato l’onere del richiedente di indicare non soltanto il valore venale del bene, come richiesto dall’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004, ma qualsivoglia ulteriore elemento utile alla valutazione dell’interesse culturale, a titolo di “descrizione” della cosa, perché, trattandosi di un’opera d’arte, con ciò si intende con ogni evidenza non già soltanto il substrato materiale dell’oggetto, ma l’insieme delle caratteristiche distintive che lo rendono bene culturale, tra cui la provenienza collezionistica.

Né, rileva, infine se l’ufficio esportazione di Verona, ove conosciuto tale dato, avrebbe o no concesso l’attestato di libera circolazione, ma la sola circostanza obiettiva che la valutazione a quei tempi compiuta sia stata inficiata da una falsa rappresentazione della realtà, cagionata dalla mala fede oggettiva del ricorrente.

Come si è già osservato, non si può imputare alcuna imperizia all’ufficio esportazione nel caso di specie, perché solo l’indicazione della provenienza della tela dalla collezione -OMISSIS- l’avrebbe dovuto indurre ad interrogarsi, anche ad ammettere che essa fosse parzialmente visibile, sull’incisione “diuturna tolerantia”, e a disporre i necessari approfondimenti istruttori.

Le censure sono perciò infondate.

5. Con il terzo motivo del ricorso introduttivo, è dedotta violazione degli artt. 1, 10 bis, 21 septies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990, nonché dell’art. 64 bis e ss del d.lgs. n. 42 del 2004, nonché irragionevolezza manifesta e sviamento di potere, perché non sarebbe consentito annullare in autotutela un atto che ha già prodotto i propri effetti.

La censura è infondata.

L’annullamento in autotutela decisoria ha effetti ex tunc: esso, in altri termini, ove legittimamente adottato, ripristina, se materialmente possibile, lo stato di fatto e di diritto vigente prima dell’assunzione del provvedimento viziato.

Nel caso di specie, rimuovendo l’attestato di libera circolazione, l’amministrazione determina la riemersione di un limite conformativo alla proprietà, che rende contra ius la permanenza dell’opera d’arte all’estero, e ne impone quindi il rientro in Italia, in attesa di nuovi provvedimenti.

È perciò da escludere che, nel caso in questione, la direzione generale avrebbe semmai potuto disporre una “qualche revoca” con efficacia ex nunc, come sostiene il ricorrente, posto che, a fronte di un vizio invalidante dell’atto, l’art. 21 nonies attribuisce il potere di annullamento di esso, nelle forme e nei modi che si sono visti.

E, ancora una volta, va rammentato sul punto che la questione cruciale della causa non è che le attribuzioni delle opere artistiche possano mutare con l’evoluzione degli studi scientifici, ma che il ricorrente non ha posto l’ufficio esportazione nelle condizioni di ponderare con compiutezza di causa l’interesse culturale del bene, sicché non si tratta di una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico a seguito di un mutamento dello stato delle cose, ma della eliminazione di un provvedimento viziato.

6. Con il settimo motivo del ricorso introduttivo, è dedotta violazione dell’art. 97 Cost., dell’art. 10 bis della legge n 241 del 1990, nonché difetto di motivazione ed eccesso di potere, perché l’annullamento dell’attestato non è stato preceduto dalla “comunicazione di cui all’art. 10 bis della L. n. 241/1990”.

Il Tribunale premette che l’art. 10 bis è male invocato, perché nel caso di specie il procedimento di autotutela non è a istanza di parte.

L’atto impugnato del 15 novembre, quanto al diverso istituto regolato dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990, ha motivato l’omessa comunicazione di avvio del procedimento di autotutela con l’esigenza di “garantire e tutelare l’interesse nazionale al rientro immediato di un’opera di straordinario pregio artistico”.

In ogni caso, ove la censura dovesse riferirsi a tale profilo (ma in tali termini non è stata formulata), basterebbe osservare ai fini del rigetto che l’annullamento già disposto con l’atto del 15 novembre 2021 è stato oggetto di una conferma (e non già soltanto di un apprezzamento meramente confermativo) con il provvedimento del 17 dicembre successivo, a sua volta impugnato.

Con quest’ultimo, la direzione generale ha preso in esame le deduzioni svolte dal privato non soltanto per il verso del diniego di rilascio di un nuovo attestato di libera circolazione (deduzioni alle quali il ricorrente era stato invitato con l’atto del 15 novembre), ma anche per quello della legittimità dell’atto di autotutela, esaminando nuovamente la fattispecie, e concludendo, attraverso un nuovo e autonomo esercizio del potere, nel senso della necessità di annullare il primo attestato (cfr atto impugnato del 17 dicembre, pag da 5 a 7, e, in particolare, pag. 7, secondo paragrafo).

Ne consegue che la partecipazione procedimentale è stata assicurata pienamente, anche quanto all’esercizio del potere di annullamento.

7. Con l’ottavo motivo del ricorso introduttivo, si lamenta la violazione dell’art. 43 del d.lgs. n. 42 del 2004 e il vizio di eccesso di potere e manifesta irragionevolezza, in relazione alla parte dell’atto del 15 novembre, con la quale la direzione generale chiede al comando carabinieri tutela patrimonio culturale di “procedere alla custodia coattiva dell’opera adoperandosi per il prelievo da luogo dove si trova attualmente”.

Il ricorrente contesta che sussistano i presupposti ai quali l’art. 43 del codice dei beni culturali subordina la custodia coattiva.

La censura è infondata, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Non vi è dubbio che la direzione generale non abbia esercitato il potere di cui all’art 43 citato, che permette di custodire coattivamente beni culturali in “pubblici istituti” a fini cautelari di “conservazione” (art. 29 d.lgs. n. 42 del 2004).

Basti a tal fine considerare che non è stata, appunto, richiesta l’apprensione del bene, affinché esso sia custodito in “pubblici istituti”, ciò che, del resto, è connaturato al fatto che l’annullamento dell’attestato comporta l’obbligo di far rientrare il bene in Italia, ma non necessariamente la conseguenza che esso sia sottratto alla disponibilità del proprietario.

Tale circostanza trova conferma nell’atto del successivo 31 dicembre, a sua volta impugnato, con il quale la direzione generale ordina al ricorrente di far rientrare la tela in Italia entro 40 giorni, con successiva “comunicazione del luogo di custodia e/o conservazione”, a riprova che la cd “custodia coattiva” menzionata nel provvedimento del 15 novembre non ha nulla a spartire con l’istituto di cui all’art. 43 del d.lgs. n. 42 del 2004.

Gli effetti dell’atto impugnato non equivalgono, perciò, a quelli implicati dall’art. 43 appena menzionato, e paventati dal ricorrente.

L’invito rivolto ai carabinieri contenuto nell’atto del 15 novembre, nonostante l’ambigua formulazione letterale, non corrisponde quindi, neppure nelle intenzioni della direzione generale (come dimostra l’atto del 31 dicembre di poco successivo) all’esercizio di un potere amministrativo con cui il MIC disponga della polizia giudiziaria, ma può e deve essere interpretato quale una mera sollecitazione ad esercitare le attribuzioni di coordinamento con le autorità straniere che eventualmente spettino ai carabinieri, sulla base di norme di diritto internazionale, del diritto dell’Unione, ed in particolare di trattati internazionali di reciproca collaborazione tra Stati per la tutela del proprio patrimonio culturale. È infatti evidente che, in assenza di tali norme, non sarebbe neppure concepibile l’esercizio della forza sul territorio di altro Stato. Alla cd. “custodia coattiva” potrà semmai procedere l’autorità dello Stato richiesto, se del caso su sollecitazione delle forze dell’ordine italiane, ed è quindi nel senso di invitare a tale sollecitazione, ove permessa dalla normativa di diritto internazionale, che va letto il provvedimento impugnato.

Ciò non vuol dire, naturalmente, che l’annullamento dell’attestato non renda contraria a diritto la permanenza all’estero del bene, e non comporti l’obbligo di rientro sulla base della legge della Repubblica, la cui applicabilità è fatta salva anche dall’art. 16 della direttiva n. 2014/60/UE, in tema di azione ad hoc per il recupero dei beni culturali illecitamente esportati (sulla cumulabilità dei rimedi “interni” con le azioni di recupero previste dal diritto internazionale, già la sentenza n. 9410 del 2021 della Sezione).

Entro questi termini, la censura va rigettata.

8. E’ di conseguenza infondata la censura di invalidità derivata contenuta nel nono motivo di ricorso, che la deduce nei confronti degli atti di diniego dell’attestato e di ordine di rientro in Italia del bene, sulla base della sussistenza di vizi, quanto all’esercizio della autotutela, che il Tribunale ha invece escluso.

9. Con riguardo al provvedimento di diniego dell’attestato di libera circolazione del 17 dicembre, è sviluppato l’undicesimo motivo del ricorso introduttivo (violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241 del 1990;
violazione dell’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 e del DM n. 537 del 2017;
difetto di motivazione;
violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza;
eccesso di potere).

Il ricorrente sostiene che l’amministrazione non abbia applicato i criteri che il DM n. 537 del 2017 pone a base del giudizio tecnico concernente il rilascio o il diniego dell’attestato, con particolare riferimento a quello della rarità. Quest’ultimo andrebbe escluso, perché V sarebbe artista ampiamente presente nelle collezioni italiane, con opere di pregio.

Su quest’ultimo punto, il Tribunale osserva che l’atto impugnato, nell’esercizio della lata discrezionalità tecnica che compete all’amministrazione in tale materia, non ha mancato di sottolineare la “importanza” dell’opera, alla luce di elementi che la rendono unica, ovvero, in particolare, il contributo di M “per l’invenzione” e dell’umanista A C “per l’aspetto letterario, il motto ed emblema” del vescovo M, committente dell’opera.

La relazione storico artistica allegata al provvedimento, a sua volta, si appoggia proprio allo studio F per confermare, con le parole di quest’ultimo studioso, i “caratteri tutti vasariani della migliore ora insolitamente sostenuti da stilemi esclusivamente michelangioleschi”, a rimarcare l’unicità della tela “potentissima”” nella produzione di V, oltre che la “incomparabile qualità pittorica”.

Ripercorrendo le fortunose vicende attributive dell’opera, l’amministrazione sottolinea il rilievo centrale che riveste il ribaltamento della credenza, fino ad oggi radicata, in ordine alla primogenitura della tela di Palazzo Pitti, a seguito del quale ha ritrovato il suo giusto oggetto il carteggio tra V e M. Esso ha infatti permesso di “dare un nuovo ordine alle seri di repliche e derivazioni conosciute”, a conferma dell’impatto significativo che il quadro ebbe per i contemporanei.

L’atto impugnato, appoggiandosi alla relazione e allo studio F, dà conto non solo della rarità dell’opera, ma anche della qualità artistica “incomparabile”, della rilevanza della rappresentazione (l’Allegoria della Pazienza) e del contesto storico artistico, ampiamente soddisfacendo la motivazione basata sui parametri recati dal DM n. 537 del 2017.

La censura è pertanto infondata.

10. I motivi aggiunti sono dedicati al solo atto del 31 dicembre 2021, con il quale la direzione generale ha ordinato il rientro del quadro in Italia entro 40 giorni.

Le censure, però, raggiungono solo la parte dell’atto con la quale l’amministrazione prospetta, in caso di inottemperanza, l’applicazione delle sanzioni previste dagli artt. 163, 165, 174 e 180 del d.lgs. n. 42 del 2004.

Con il quarto motivo aggiunto di eccepisce la prescrizione quinquennale di cui all’art. 29 della legge n. 689 del 1981, mentre con i primi tre si rileva che nessuna sanzione può essere applicata al ricorrente, in quanto del tutto incolpevole (terzo motivo), e forte di un legittimo affidamento (secondo motivo).

In ogni caso, difetterebbero anche i presupposti obiettivi di applicazione delle norme sanzionatorie (primo motivo).

Le doglianze sono tutte infondate, perché basate sull’erroneo presupposto interpretativo che l’atto impugnato abbia l’effetto obiettivo o di infliggere le sanzioni, ovvero di agevolarne l’inflizione.

È al contrario evidente che la sola parte provvedimentale dell’atto del 31 dicembre consiste nell’ordine di rientro del quadro, mentre il riferimento all’apparato sanzionatorio (quanto all’art. 180 del d.lgs. n. 42 del 2004, peraltro, di natura penale e quindi del tutto estraneo alla competenza dell’amministrazione) ha natura di mera diffida, e non comporta in sé alcuna conseguenza pregiudizievole per il ricorrente.

Né spetta a questo Tribunale pronunciarsi in questa sede sulla legittimità, o no, di misure sanzionatorie che non sono ancora state adottate.

11. In conclusione, sia il ricorso introduttivo, sia i motivi aggiunti sono infondati.

12. La complessità delle questioni trattate costituisce causa eccezionale per compensare le spese.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi