TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2009-07-02, n. 200906410
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N. 06410/2009 REG.SEN.
N. 06578/1978 REG.RIC.
N. 06577/1978 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sui ricorsi:
I)- n.6578 /1978- R.G. proposto da: C F, rappresentata e difesa dall'avv. N P presso il cui studio in Roma, via B. Tortolini, 34, è elettivamente domiciliata;
contro
1. Comune di Ladispoli, rappresentato e difeso dall'avv. U E V, presso il cui studio in Roma, via Gesu' e Maria, 10 è elettivamente domiciliato;
2. La Regione Lazio, in persona del l.r. p.t., rappresentata e difesa dagli avv. L R D C e D Tavernese, con domicilio eletto presso l’ Ufficio della Regione Lazio in Roma, via Lucullo nr.11;
II) n.6577 /1978- R.G., proposto da C F, rappresentata e difesa dall'avv. N P presso il cui studio in Roma, via B. Tortolini, 34, è elettivamente domiciliata;
contro
1. Comune di Ladispoli, rappresentato e difeso dall'avv. U E V, presso il cui studio in Roma, via Gesu' e Maria, 10 è elettivamente domiciliato;
2. La Regione Lazio, in persona del l.r. p.t., rappresentata e difesa dagli avv. L R D C e D Tavernese, con domicilio eletto presso l’ Ufficio della Regione Lazio in Roma, via Lucullo nr.11;
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 6578 del 1978:
della deliberazione del Consiglio comunale di Ladispoli n.83 del 30.4.1977 con la quale è stato approvato il Piano per l’edilizia economica e popolare (P.e.e.p.) del territorio comunale nonché del deliberazione della G.R. del Lazio nr.2209 del 30.5.1978 che approva detto piano;
quanto al ricorso n. 6577 del 1978:
della deliberazione n.2453 del 6.6.1978, pubblicata nel B.u. Regione Lazio del 9.9.1978 con cui la G.R. ha approvato il P.R.G. del comune di Ladispoli;
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto, con riferimento a ciascuno dei ricorsi, l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Ladispoli e della Regione Lazio;
Visti tutti gli atti della causa inclusi l’ordinanza collegiale della Sezione nr.3182/2004 con la quale sono stati disposti incombenti istruttori nonché i mm.aa. di gravame introdotti con atto depositato in data 7.10.2004;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2009 il Cons. Pietro Morabito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La sig.a C, come già specificato in epigrafe, si è gravata:
A)- col ric. nr. 6578/1978: avverso la deliberazione della G.R. del Lazio 2209 del 30.5.1978 di approvazione del piano della zona, in località Campo Vaccina, nell’ambito del territorio del comune di Ladispoli, destinata all’edilizia economica e popolare nonché avverso la delibera comunale (non allegata in atti) n.83 del 30.4.1977 di adozione del medesimo Piano;
B)- col ric. nr. 6577/1978: avverso la deliberazione della G.R. del Lazio n.2453 del 6.6.1978 di approvazione del Piano regolatore generale dello stesso comune di Ladispoli nonché avverso la delibera comunale (non allegata in atti) del 13.4.1976 di adozione del medesimo Piano.
Nel ric. n.6578, concernente le deliberazioni di adozione e approvazione del citato Piano di zona, la C dichiara che nel perimetro di tale Piano ricadono alcuni appezzamenti di terreno di sua proprietà. Quindi deduce che sarebbe mancata ovvero sarebbe stata trascurata una valutazione del fabbisogno decennale abitativo costituente parametro ai fini del dimensionamento del P.e.e.p. e, in ogni caso, si riserva di sviluppare ulteriormente tale doglianza una volta conosciuta la relazione illustrativa del Piano in questione. Ulteriore riserva la ricorrente la formula nel terzo mezzo di gravame all’esito della conoscenza di tutti gli atti che hanno preceduto il provvedimento impugnato;in ogni caso, peraltro, lamenta che nel provvedimento non è data sufficiente esplicitazione delle ragioni che, nella comparazione tra interesse pubblico e privato, hanno comportato il sacrificio del secondo.
Con secondo mezzo di gravame si contesta, invece, il contrasto con le previsioni urbanistiche pregresse che assegnavano natura edificatoria all’area di sua pertinenza ed oggi ricadente nel P.e.e.p.
Il ric. nr.6577 è invece dedicato all’impugnativa del P.r.g. del medesimo comune. Ivi la sig.a C solleva col primo mezzo censura identica a quella appena sintetizzata con riguardo al P.e.e.p. Quindi prosegue dolendosi:
a) della violazione del d.m. n.1444 del 2.4.1968 che sarebbe stato violato in quanto nel P.r.g. lo spazio pubblico è stato fissato in tutta la zona B in 24 mq per abitante senza alcuna giustificazione al riguardo;
b) della preclusione derivante dalla prescrizione regolamentare che impone il rispetto di mt 200 lungo la s.s. Aurelia per l’edificazione agricola;
c) della carenza di adeguata rappresentazione planimetrica dei servizi nelle aree esterne al centro abitato;
d) del valore di vincoli urbanistici conferito alle zone interessate da servitù militari, con correlata eliminazione dell’obbligo di indennizzo.
Con ordinanza di questa Sezione nr.3182 del 2004 i due ricorsi sono stati riuniti contestualmente disponendosi l’acquisizione degli atti relativi ai due provvedimenti impugnati. A tale incombente le intimate amministrazioni hanno solo parzialmente ottemperato.
Quindi la ricorrente ha depositato, in data 7.10.2004, atto introduttivo di una consistente serie di mm.aa. di gravame avverso gli atti originariamente impugnati.
All’udienza del 21.5.2009 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.
DIRITTO
I)- Prima di procedere allo scrutinio dei gravami in epigrafe una notazione preliminare si impone. Si intende far riferimento:
- alla circostanza che la sig.ra C, oltre a non aver mai dimostrato la proprietà dei terreni che assume gravati dalle prescrizioni urbanistiche impugnate (solo nei mm.aa. depositati nel 2004 viene precisato che tali terreni sarebbero stati ricevuti in eredità da tale sig.a M: ma non è stato esibito il relativo atto di provenienza), non ha mai specificato né, altrimenti, fornito alcuna indicazione, diretta od indiretta, atta a consentire l’individuazione delle zone e/o sottozone del P.r.g. (e, conseguentemente, l’individuazione del relativo regime urbanistico ed edilizio) nel cui ambito ricadrebbero gli appezzamenti di sua proprietà. Unica eccezione a tanto è quella relativa al Peep cui, come si ricava (non dai ricorsi ma) dalla deliberazione regionale di approvazione del P.r.g, viene ad essere riservata la sottozona D2;mentre nei mm.aa. di gravame è precisato (pag.17) che l’area destinata a tale Piano insiste solo su proprietà della ricorrente;
- alla circostanza che solo marginale è stato, poi, l’apporto collaborativo fornito dalle amministrazioni, comunale e regionale, onerate dell’incombente istruttorio disposto dalla Sezione con la propria Ordinanza collegiale del 2004: mancano agli atti di causa, fra l’altro, le relazioni generali, comunale e regionale, associate al P.r.g. nonché, con riguardo al P.e.e.p., la relazione comunale di accompagnamento. Aggiungesi a tanto che la denuncia, contenuta nella nota del comune di Ladispoli del 27.5.2004, che i terreni gravati, nell’approvato P.r.g., da vincolo destinato all’esproprio in quanto destinati all’uso pubblico, sarebbero divenuti “aree bianche” per effetto della decadenza del vincolo conseguente all’inutile decorso del quinquennio ex art.2 della legge n.1167 del 1968, non consente di meglio delineare e definire la posizione della ricorrente rimanendo ignote quali delle proprietà della stessa ricadono in aree divenute “bianche” (per mancata approvazione dello strumento attuativo sia esso un p.p. ovvero un piano di lottizzazione) e quali invece sono rimaste estranee a tale regime.
Allo stato, invero, non si conosce nemmeno se gli interventi previsti dal P.e.e.p. si siano, o meno, concretamente realizzati. E trattasi di domanda non peregrina atteso che, come noto (cfr. art.11 L.n.167/1962 nel testo modificato dall’art.38 della legge n.865 del 1971, sostituito dall’art.1 della legge n.247 del 1974 e modificato dall’art.51 della legge n.457 del 1978), la validità del P.e.e.p. è fissata in 18 anni, prorogabili di altri due anni per giustificati motivi e su domanda del comune: termine complessivo oggi ampiamente decorso (senza che, peraltro, parte ricorrente abbia fornito, sul punto, elementi di aggiornamento e/o chiarimento).
Nondimeno il Collegio non intende ricorrere ad altro intervento istruttorio che dilaterebbe ulteriormente i tempi di definizione di due ricorsi veramente vetusti. E ciò anche perché la produzione della Regione, [che ha depositato la delibera di approvazione del P.r.g., il parere della S.U. regionale (contenente ampi stralci delle controdeduzioni dell’amministrazione comunale) nonché la relazione della S.U. regionale in ordine al P.e.e.p.], fornisce, in ogni caso, gli elementi sufficienti per lo scrutinio dei gravami: scrutinio cui si procede nei paragrafi che seguono.
II)- Il P.e.e.p. venne previsto per la prima volta dalla legge n.167 del 1962 al fine di consentire la realizzazione a basso costo di insediamenti di edilizia abitativa, non di lusso, armonicamente integrati in un ordinato tessuto urbano. Il necessario coordinamento del P.e.e.p. con le previsioni dello strumento urbanistico generale del comune ( sia esso costituito dal P.r.g. ovvero dal P.f.) è assicurato dal combinato disposto degli artt.3 e 8 della legge n. 167 che disciplina:
a)- l’ipotesi che il comune sia dotato di P.r.g. vigente: in tal caso (art.3 comma 2) le aree da comprendere nel P.e.e.p. debbono, di norma, essere scelte nelle zone destinate dal P.r.g. ad edilizia residenziale con preferenza per quelle di espansione dell’aggregato urbano;e ciò al fine di assicurare continuità ed organicità nello sviluppo urbano;
b)- l’ipotesi che il comune sia dotato di P.f. : in tale caso (art.3 penultimo comma) le aree necessarie al P.e.e.p. debbono essere reperite tra quelle destinate tra quelle riservate, dal P.f., all’edilizia economica e popolare;
c)- l’ipotesi che il comune abbia ancora in corso il procedimento per l’approvazione del P.r.g. per essere tale strumento già adottato e trasmesso alla Regione per l’approvazione ma non ancora approvato, e, dunque, non ancora pienamente efficace: in tale caso si può egualmente procedere all’approvazione del P.e.e.p. con le modalità di cui all’art.8 della legge n.167 ed il P.e.e.p. approvato è vincolante in sede di approvazione del P.r.g. (cfr. art.3 ultimo comma come risultante a seguito dell’art.33 della legge n.865 del 1971).
Orbene l’ipotesi sub c) è quella ricorrente nel caso di specie. E difatti il P.e.e.p. della zona del territorio del comune di Ladispoli denominata “Campo Vaccina” adottato con deliberazione n.83 del 30.4.1977, è stato inquadrato nel progetto di P.r.g. già adottato dal Comune in data 30.4.1976 e presentato alla Regione, per l’approvazione, il 16.9.1976 (cfr. preambolo del. G.R. n.2209/1978). Nell’ambito dello strumento generale l’area destinata a P.e.e.p. ricade nella zona D destinata all’espansione dell’aggregato urbano (con indice fabbricabilità – If – da 0,7 a 2 mc/mq: cfr. parere S.U., pagg.11 e pagg. 22-24;) e, con precisione, nella sottozona D2 (espansione edilizia economica e popolare, con If pari a 0,91 mc/mq: cfr. relativo parere S.U. , pag.4).
Questa prima constatazione consente di definire, con immediatezza, alcune delle censure sollevate al riguardo (col ric. n.6578) dalla ricorrente. Ci si riferisce:
- quanto al ricorso principale: alla censura, invero generica, di cui al terzo mezzo di gravame, con cui si lamenta una mancata istruttoria in relazione all’ubicazione della zona prescelta quale “zona 167” ed alla mancata comparazione tra i due interessi, pubblico e privato, che è richiesta a fronte di tutte le scelte discrezionali che comportino sacrifici di posizioni soggettive del privato;
- quanto al ricorso aggiuntivo: alla censura, del tutto nuova, con cui si lamenta che l’area interessata dal p.e.e.p. è solo quella della ricorrente nonché ( si lamenta) che in sede di approvazione del P.r.g. il comune non avrebbe tenuto conto dell’esigenza (ravvisata dalla S.U. regionale) di includere nel P.e.e.p., oltre all’area della ricorrente, parte della limitrofa sottozona C4 e D1 al fine di raggiungere il fabbisogno complessivo di edilizia economica e popolare minimo (del 40%) prescritto dall’art.4 comma 2 della legge n.10 del 1977.
Ora, e prescindendo dalla tardività di cui alla censura aggiunta relativa alla localizzazione dell’intero P.e.e.p. nell’area della ricorrente (che non poteva non essere nota alla stessa proprietaria espropriata di tale area ben prima del momento in cui è stata sollevata), si tratta di doglianze infondate.
La legge, lo si è visto, specifica che le aree da comprendere nel p.e.e.p. debbono, “di norma”, essere scelte, con preferenza, nelle zone del P.r.g. destinate all’espansione dell’aggregato urbano;e, nel caso di specie, il P.e.e.p. è stato localizzato proprio in zona avente, nel P.r.g., tale destinazione. Segue a tanto che tale circostanza, assicurando la coincidenza prevista dal dettato legislativo, non abbisogna di ulteriore motivazione diversa dalla sua presa d’atto. Un onere di corretta ed adeguata motivazione sarebbe stato necessario nell’eventualità, tutt’altro che rara, che per il P.e.e.p. fosse stato necessario reperire le relative aree in zona diversa da quella legislativamente prescelta. Una tale facoltà – ex lege derivante dalla dizione “di norma” contenuta nel comma 2 dell’art.3 e dalla facoltà prevista dall’art.8 della legge n.167 di introdurre varianti al P.r.g. – avrebbe sì richiesto, per pacifica giurisprudenza, un onere di adeguata motivazione (su tale casistica e con riferimento a pronunce storicamente risalenti, più o meno, alla data di proposizione dei gravami, cfr. Cons.St., II^, 3.3.1982 n.1001/78 che ha ritenuto legittima l’inclusione nel P.e.e.p. di aree ricomprese in zone di completamento;ovvero – C.d.S., IV^, 3.7.1985, n.266 - di aree sulle quali insistono immobili residenziali la cui demolizione o trasformazione sia richiesta da ragioni igienico sanitarie;ancora cfr. Ad.Pl. n.7 del 1972 che ha ritenuto legittima l’inclusione nel perimetro del P.e.e.p. di un’area sulla quale insistono fabbricati a destinazione commerciale ovvero – Cons.St.,IV^, 6.4.1979, n.254 – edifici di carattere industriale;ovvero ancora di area a destinazione agricola: Cons.St., IV^, 11.5.1979, n.318).
Dunque la coincidenza, nel caso di specie, tra la previsione astratta legislativa e quella concreta del pianificatore comunale, rendeva del tutto superflua l’esigenza di una peculiare motivazione (che, per converso, si impone allorquando venga effettuata dal pianificatore una scelta localizzatoria del P.e.e.p. in difformità dalla norma legislativa);mentre la circostanza che l’area individuata in conformità alla previsione dello strumento urbanistico generale appartenga tutta (come si assume nel caso di specie) o parte ad una o più persone non ingenera l’obbligo di una distinta ed ulteriore motivazione volta a dare conto dello specifico pregiudizio che, per tale eventualità, possa subire il titolare delle proprietà ricadenti nell’area da destinare, in conformità alla previsione del P.r.g., a zona 167.
Quanto all’ulteriore sopra richiamato ed innovativo profilo censorio [con cui si lamenta che in sede di approvazione del P.r.g. il comune non avrebbe tenuto conto dell’esigenza (ravvisata dalla S.U. regionale) di includere nel P.e.e.p., oltre all’area della ricorrente, parte della limitrofa sottozona C4 e D1 al fine di raggiungere il fabbisogno complessivo di edilizia economica e popolare minimo (del 40%) prescritto dall’art.4 comma 2 della legge n.10 del 1977], trattasi di denuncia non condivisibile per più ordini di ragioni.
In primo luogo non è stato dalla ricorrente documentato che in sede di P.r.g. non sia stata apportata la modifica raccomandata dalla S.U. regionale. Invero nel parere nr. 6000 del 1978 della S.U. regionale è richiamata la nota di controdeduzioni comunali alle osservazioni al P.r.g. formulate nel precedente parere nr.5659/76 della stessa S.U.;ed in tale nota, alla pag. 5, nel riquadro concernente la zona D – espansione – è espressamente precisato che <<Per la sottozona D2 è accolta la richiesta di rettifica dell’area>>.
In secondo luogo non è dato comprendere che interesse abbia la sig.ra C a dolersi della disciplina assegnata ad aree delle quali non dichiara, in alcuna parte del gravame, di avere la disponibilità. Sul punto è bene rammentare, sulla base di una giurisprudenza risalente, che <<in sede di impugnativa del P.r.g. sono inammissibili, per carenza di interesse, le censure concernenti la disciplina di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente>>(cfr., in termini, ex multis, Cons.St. IV^, 18.5.1980, nr.270).
In terzo luogo la raccomandazione di cui trattasi (di includere nel P.e.e.p. aree ricadenti in zone o sottozone limitrofe aventi differente destinazione) lascia impregiudicata la circostanza che, nel caso di specie, veniva in considerazione solo una possibile estensione del P.e.e.p. Altrimenti detto l’inclusione di tali aree non era in funzione di una possibile ridelocalizzazione del P.e.e.p (nel senso di sottrarre a tale strumento, come confezionato dall’amministrazione comunale, alcune delle aree di proprietà della ricorrente compensandole col altre ad essa estranee);e, pertanto, continuando a rimanere le aree di sua proprietà, in ogni caso, incluse nel P.e.e.p. torna difficile scorgere la preoccupazione e l’interesse che anima la ricorrente a muovere tale tipo di censura.
II.1)- Il secondo mezzo di gravame del ric. n. 6578 introduce censura che, come la precedente, è incentrata sulla mancata ponderazione degli interessi, pubblico e privato, coinvolti dal provvedimento impugnato. Peraltro tale censura è identicamente riprodotta anche nel primo motivo del ricorso n.6577 dedicato all’impugnativa del P.r.g: il che ne consente l’unitaria trattazione nel presente paragrafo.
La ricorrente si duole del fatto che in sede di redazione – sia dello strumento generale che di quello attuativo di cui trattasi – non è stata presa in considerazione la circostanza che le aree di cui essa si dichiara proprietaria, sia in passato (allorquando erano comprese nel comune di Cerveteri che addirittura aveva anche approvato un piano di lottizzazione) che successivamente (dopo la formazione del comune di Ladispoli), avevano vocazione edificatoria. Tale vocazione venne, difatti, confermata dal comune di Ladispoli sia nel P.f. approvato nel 1971 che nel P.r.g. adottato nel 1975. Solo con il P.e.e.p. e col P.r.g. impugnati tale destinazione è stata modificata “togliendo all’interessata ogni possibilità edificatoria”: contegno questo violativo dei principi generali che impongono la comparazione tra gli interessi coinvolti e la spiegazione delle ragioni del mutamento rispetto al precedente indirizzo.
La censura in questione va letta ed interpretata tenendo conto del tempo in cui i gravami sono stati proposti e con essa, probabilmente, si intende richiamare (come vedremo, impropriamente) quell’indirizzo di pensiero secondo il quale, nelle scelte urbanistiche, l’amministrazione deve effettuare una attenta valutazione dei relativi vantaggi e svantaggi, nel senso che una soluzione – che da un punto di vista astratto sarebbe quella ottimale – potrebbe in concreto rivelarsi incongrua per l’altissimo sacrificio che ne deriverebbe ad interessi anche privati. Sennonché la giurisprudenza ha da sempre precisato che, in sede di pianificazione generale in cui ha luogo la contestuale unitaria e globale considerazione degli interessi, non sia necessaria una motivazione specifica delle singole opzioni ( e cioè delle destinazioni impresse alle varie zone) considerando sufficiente quella che deriva dai criteri tecnico urbanistici seguiti per la redazione del piano. Viceversa tanto la dottrina quanto la giurisprudenza avevano, sin da epoca remota, evidenziato un onere di esporre dettagliatamente le ragioni di pubblico interesse delle scelte operate solo allorché queste venivano ad incidere su interessi privati fondati su aspettative precedentemente ingenerate dalla p.a. (es.: precedenti lottizzazioni; o precedenti concessioni edilizie per le quali risultava già favorevolmente espresso il parere della C.e.c.;ecc……: cfr., ex multis, Cons.St., IV^, 2.2.1987, nr.60;T.a.r. Lazio, I^, 28.6.1988, n.76).
L’inesistenza di uno specifico obbligo motivazionale ha poi ricevuta conferma col varo della legge n.241 del 1990 il cui art.3 esclude l'obbligo della motivazione per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. Si è dunque sostenuto (recte: ribadito):
- che l'amministrazione comunale non ha l'obbligo di motivare con riguardo alle destinazioni urbanistiche diverse da quelle preesistenti nell'ipotesi di revisione del p.r.g. esistente (cfr. C.g.a., sez. consultiva, n.165 del 1999) e (cfr. Cons.St. IV, 25 settembre 2002 n. 4907;idem, 6 ottobre 2003 n. 5869):
- che le scelte discrezionali relative alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione oltre a quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell'impostazione del PRG, risultanti dalla relazione illustrativa del piano;
- l'esigenza di una più incisiva e specifica motivazione è ravvisabile solo allorché sussistano particolari situazioni che abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifica considerazione;
- tali situazioni si concretano nella lesione dell'affidamento qualificato del privato in rapporto a precedenti convenzioni di lottizzazione, ad accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, ovvero ad aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione (cfr. Ad.Pl. n.24 del 1999).
Applicando tali coordinate al caso di specie ne esce evidente l’infondatezza della doglianza oggetto di scrutinio.
E difatti la sig.ra C parla di un piano di lottizzazione approvato dal comune di Cerveteri ma non documenta né fornisce indizio alcuno idoneo a dimostrare la concreta sussistenza di tale piano che, peraltro, venendo ad interessare aree che dovrebbero essere di sua proprietà, era suo preciso onere allegare.
Alla luce di tanto trovano applicazione i pacifici postulati sovra sintetizzati in sintonia ai quali una precedente difforme destinazione urbanistica della stessa area non costituisce limite all’esercizio dei poteri dell’amministrazione in materia: principio questo che vale per la redazione dello strumento urbanistico generale;mentre, per quanto attiene alla destinazione della zona Campo Vaccina a “zona 167”, valgono, in aggiunta a quelle appena declinate, le considerazioni sovra spese cui si rinvia con accessiva infondatezza della doglianza in trattazione (ovviamente con riferimento ad entrambi i ricorsi).
II.2)- Residua da trattare con riferimento al ric. nr. 6578 del primo mezzo di gravame con cui la sig. a C deduce che sarebbe mancata ovvero trascurata una valutazione del fabbisogno decennale abitativo costituente parametro ai fini del dimensionamento del P.e.e.p. Tale doglianza, che nel ricorso principale, la C si riserva di sviluppare una volta conosciuti gli ulteriori atti del P.e.e.p., non è stata ripresa (se non in termini altrettanto generici) in sede di mm.aa. di gravame.
Ora la necessità che il P.e.e.p. sia correttamente dimensionato si rende necessaria non solo per evitare di comprimere ingiustificatamente il diritto di proprietà altrui e le conseguenti attività economiche ma anche per commisurare i pesanti oneri urbanizzativi ed espropriativi alle reali e concrete disponibilità finanziarie di cui l’amministrazione comunale potrà ragionevolmente disporre nel periodo necessario per la sua attuazione. La norma di riferimento è quella dell’art.3 della legge n 167 che al comma 1 così dispone: <<L'estensione delle zone da includere nei piani è determinata in relazione alle esigenze dell'edilizia economica e popolare per un decennio e non può essere inferiore al 40 per cento e superiore al 70 per cento di quella necessaria a soddisfare il fabbisogno complessivo di edilizia abitativa nel periodo considerato>>.
Come si vede chiaramente, la norma appena citata si limita a distinguere tra fabbisogno complessivo di edilizia abitativa nel territorio comunale e fabbisogno dell’edilizia economica e popolare, disponendo che l’estensione delle aree da includere nel P.e.e.p. non sia inferiore al 40% né superiore al 70% di quella necessaria per soddisfare l’intero fabbisogno di edilizia abitativa comunale nel periodo di tempo considerato.
Da essa, inoltre, si evince che il calcolo del fabbisogno complessivo di edilizia abitativa nel territorio comunale deve precedere la decisione in ordine all’estensione delle aree da includere nel P.e.e.p. per le esigenze dell’edilizia economica e popolare. Oltre a ciò la norma non va, tacendo, in particolare, sulle voci strutturali che debbono concorrere alla determinazione di detto fabbisogno complessivo nonché in ordine alle modalità di calcolo del “peso” di tali voci ai fini della predetta determinazione: il che equivale a dire che non è configurabile su tali punti alcun profilo di illegittimità per violazione di legge contrariamente a quanto assunto dalla ricorrente.
E comunque, nel caso in esame, dalla relazione della S.U. regionale relativa al P.r.g. (cfr. pagg. 8, 9, 23, 24, 32 e 33) si evincono vari elementi presi in considerazione dall’amministrazione comunale per apprezzare il fabbisogno edilizio complessivo: elementi che hanno condotto a misurare il peso insediativo nella zona 167 in vani 1010.
Si rivela, dunque, infondata così come prospettata, la censura secondo la quale sarebbe mancata ovvero trascurata una valutazione del fabbisogno decennale abitativo costituente parametro ai fini del dimensionamento del P.e.e.p.
III)- Va ora affrontato lo scrutinio del ricorso nr. 6577 dedicato all’impugnativa del P.r.g. avendo cura di ricordare che le doglianze prospettate col primo mezzo di gravame sono state già scrutinate e ritenute infondate sub par. II.1) cui, onde evitare superflue ripetizioni, si rinvia.
III.1)- Il secondo e quinto mezzo di gravame, pur se attenenti a diverse tematiche (il secondo concerne il sovradimensionamento, nell’ambito della zona B del P.r.g., dello standard urbanististico di mq 18/ab previsto dall’art.3 del d.m.