TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2019-10-18, n. 201912049
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 18/10/2019
N. 12049/2019 REG.PROV.COLL.
N. 08922/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8922 del 2019, proposto da
S A B, rappresentato e difeso dall'avvocato F S M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Villa Sacchetti n. 9;
contro
Presidenza della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno, Ufficio Elettorale Nazionale Presso Corte di Cassazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
P Fchi, rappresentato e difeso dall'avvocato Fabio Francario, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza Paganica 13;
R C, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Mazzoleni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento,
nei limiti precisati con il presente atto, delle operazioni del procedimento elettorale per le elezioni dei membri del Parlamento europeo tenutesi il 26 maggio 2019, concluse con la proclamazione dei candidati eletti membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, il cui elenco è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie generale, n. n. 147 del 25.6.2019;
nei limiti precisati con il presente atto, di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, ancorché non conosciuti, e in particolare:
i) nei limiti dell'interesse in questa sede azionato, dell'attestato di proclamazione del 21.6.2019 nella parte in cui si stabilisce che “l'insediamento del predetto parlamentare potrà avvenire solo quando il recesso del Regno Unito dall'Unione Europea sarà divenuto giuridicamente efficace”;
ii) di tutti i verbali delle operazioni elettorali e in particolare il verbale delle operazioni dell'Ufficio elettorale nazionale del 7.6.2019;
iii) i verbali delle operazioni elettorali degli uffici circoscrizionali;
iv) ove occorrer possa, del d.P.R. 22 marzo 2019, pubblicato nella G.U. n. 71 del 25.3.2019, recante “indizione dei comizi elettorali per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia” nonché del d.P.R. 22 marzo 2019 pubblicato nella G.U. n. 71 del 25.3.2019, recante “assegnazione del numero dei seggi alle circoscrizioni per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia”;
v) del comunicato stampa dell'Ufficio Elettorale Nazionale del 21.5.2019;
vi) nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ancorché non conosciuto dall'odierno ricorrente;
per la correzione dei risultati elettorali e la conseguente proclamazione dell'On. B quale eletto al Parlamento europeo in luogo del candidato On. P Fchi illegittimamente proclamato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di: Presidenza della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno, P Fchi, R C, Ufficio Elettorale Nazionale Presso Corte di Cassazione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2019 il dott. D T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, l’On.le B, nella qualità sia di candidato alla carica di membro del Parlamento Europeo che di cittadino elettore, ha agito per l’annullamento degli atti in epigrafe indicati, concernenti le consultazioni per il rinnovo dei rappresentanti del Parlamento Europeo del 26 maggio 2019, chiedendo, altresì, la correzione, in proprio favore, dell’attuale risultato elettorale, con attribuzione alla lista Fratelli d’Italia di un ulteriore seggio nella circoscrizione Italia nord orientale.
Premessa una ricostruzione del quadro normativo, eurounitario e nazionale, che regola il procedimento elettorale in argomento, nell’ambito della quale è stata evidenziata la rilevanza del principio di proporzionalità sia “territoriale”, concernente il rapporto di rappresentanza tra cittadini – residenti e numero degli eletti, sia “politica”, riferito al sistema di votazione, la difesa del ricorrente ha illustrato l’incidenza sulle consultazioni in argomento della volontà manifestata dal Regno Unito di recesso dall’Unione Europea (c.d. Brexit), con conseguente distribuzione, successivamente alla conclusione della procedura – di cui parte ricorrente sottolinea l’incertezza sia nell’an che nel quando – dei seggi del Parlamento europeo spettanti a tale Nazione agli altri Stati Membri, definita con decisione del Consiglio europeo 2018/937/UE del 28 giugno 2018, alla quale ha fatto seguito l’emanazione del d.P.R. del 22 marzo 2019, con incremento da 73 a 76 dei seggi attribuiti all’Italia. In tale quadro, parte ricorrente ha precisato che sia la predetta decisione sia il d.P.R. del 22 marzo 2019 sono stati emanati quando non era ancora intervenuta la prima proroga (disposta in data 19 aprile 2019) alla c.d. Brexit, sicché all’epoca era ancora verosimile ipotizzare che la Gran Bretagna avrebbe concluso il processo di uscita dalla Unione prima delle votazioni o poco dopo e che quindi detta Nazione non avrebbe ricoperto alcun seggio.
Successivamente, tuttavia, il procedimento di recesso dall’Unione del Regno Unito ha subito uno stallo e il legislatore italiano non ha disciplinato tale situazione, inserendosi in tale cornice il comunicato stampa del 21 maggio 2019, con cui la Corte Suprema di Cassazione ha “comunicato” che il numero dei rappresentanti spettanti all’Italia “è stato aumentato da 73 a 76” e che, pertanto, il giorno 26 maggio 2019 si sarebbe votato per “76 parlamentari europei”, esplicitando i criteri di individuazione dei tre parlamentari per i quali l’insediamento è differito al completamento del procedimento di recesso del Regno Unito, il quale, allo stato, ha eletto i proprio rappresentanti in seno al Parlamento europeo.
Il ricorrente ha, dunque, proceduto alla esplicitazione della specifica posizione rivestita, rilevante in punto di interesse all’impugnativa, evidenziando di aver partecipato a dette consultazioni in qualità di candidato nella lista denominata “Fratelli d’Italia” per la circoscrizione II “Italia nord orientale”, e la ripartizione circoscrizionale dei seggi – effettuata seguendo i criteri riportati nel verbale delle operazioni dell’Ufficio elettorale, e quindi per 76 seggi – ha determinato la spettanza nella sua circoscrizione di 1 solo seggio.
In particolare, all’esito delle operazioni elettorali l’On. B è risultato il secondo per preferenze dietro all’on. G M (risultata eletta). Ne consegue che, per effetto della rinuncia al seggio dell’on. M, l’On. B sarebbe risultato eletto nella Circoscrizione Italia Nord-orientale, perché, “prendendo in considerazione n. 73 seggi, risulta che a Fratelli d’Italia spettano n. 5 seggi, uno per ciascuna circoscrizione”.
Mentre “Fratelli d’Italia “perderebbe” un seggio di immediata elezione nella Circoscrizione 1 Italia nord occidentale e, per tale ragione, il presente ricorso viene notificato all’On. P Fchi”.
Avverso gli atti impugnati, la difesa del ricorrente ha, in primis, dedotto l’illegittimità della attribuzione dei seggi alla propria lista nella circoscrizione Italia nord orientale, che avrebbero dovuto essere pari a 2 e non a 1, in conseguenza della erronea applicazione del divisore pari a 76, corrispondente ai seggi assegnati all’Italia nel presupposto che andassero ridistribuiti tra le diverse Nazioni quelli spettanti alla Gran Bretagna, invece che del divisore, ritenuto corretto, pari a 73, corrispondente ai seggi spettanti all’Italia in assenza della redistribuzione non più necessaria, avendo la Gran Bretagna regolarmente partecipato alle consultazioni eleggendo i propri rappresentanti.
Al riguardo, la difesa del ricorrente ha rimarcato che il legislatore nazionale non ha disciplinato l’ipotesi, concretamente verificatasi, della perdurante permanenza dei seggi spettanti nel Parlamento europeo al Regno Unito, e che alcuna valenza normativa può essere riconnessa al “comunicato” pubblicato dalla Corte di Cassazione il 21 maggio 2019 recante l’indicazione del metodo di assegnazione dei seggi supplementari, peraltro basato sul presupposto erroneo che le consultazioni avrebbero avuto ad oggetto l’elezione di 76 parlamentari europei.
L’erroneità nell’interpretazione della normativa sopra illustrata, nella quale sarebbe incorso l’Ufficio elettorale nell’attribuzione dei seggi alla lista Fratelli d’Italia nella circoscrizione in argomento, ha determinato una diretta incidenza sui successivi passaggi, giacché il quoziente elettorale nazionale, e cioè il riparto dei seggi tra le liste che hanno superato la soglia di sbarramento, si ottiene suddividendo il totale delle cifre elettorali di tutte le liste per il numero dei seggi da attribuire, a monte non corretto, alla stregua dei conteggi prodotti in giudizio.
Per contro, ad avviso di parte ricorrente, l’Amministrazione avrebbe dovuto dividere il numero dei voti per i 73 seggi che – a causa del mancato recesso della Gran Bretagna – spettano giuridicamente all’Italia (giusto articolo 3 della decisione 2013/312/UE del Consiglio europeo) e, quando e “se” si avvererà la condizione futura e incerta (ovvero la Gran Bretagna avrà completato il processo di recesso dall’Unione), la medesima Amministrazione potrà assegnare i nuovi tre seggi alle circoscrizioni, utilizzando il metodo dei maggiori resti, risultando altrimenti illogica, oltre che contrastante con il principio di proporzionalità, anche l’elezione di tre parlamentari senza l’esistenza del seggio da ricoprire in Parlamento.
Gli atti impugnati sarebbero altresì violativi della normativa interna, e in particolare dell’art.2 della L. n.18/79, che prevede che si proceda alla distribuzione dei seggi nel numero determinato in sede sovranazionale, ed adottati in carenza di potere, essendo stato in conclusione individuato “un numero di seggi non previsto da alcuna disposizione”.
L’Avvocatura dello Stato ha pregiudizialmente eccepito “la carenza di legittimazione passiva del Presidente della Repubblica”, e anche l’inammissibilità delle censure avverso la determinazione del Consiglio europeo.
Si sono costituiti in giudizio anche i controinteressati R C e P Fchi, i quali pure hanno concluso per il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 15 ottobre 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.
1) L’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Presidente della Repubblica è fondata.
In effetti, l’art. 89 della Costituzione prevede espressamente che “nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”, e “gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri”.
Da ciò consegue che lo Stato può essere convenuto in giudizio solo nelle persone del Presidente del Consiglio dei ministri o dei singoli Ministri competenti in riferimento alla materia controversa, non anche del Presidente della Repubblica, il quale non fa parte del potere esecutivo e dell'Amministrazione dello Stato (Corte cost., sentenza n. 129 del 1981), e non è responsabile degli atti che firma. Infatti, la Costituzione ha configurato il Presidente della Repubblica come titolare di un autonomo potere neutro, collocato al di fuori dei tradizionali poteri dello Stato, garante della Costituzione e dell'unità nazionale, le cui numerose attribuzioni e connesse funzioni non implicano mai una sua partecipazione diretta all'attività dello Stato-soggetto (Corte cost., sentenza n. 1 del 2013) (così, ex multis, Cass. civ., sez. II, 05-08-2016 n. 16578).
Di conseguenza, va dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Presidenza della Repubblica, e disposta la sua estromissione dal giudizio.
2) L’inammissibilità eccepita dall’Avvocatura non sussiste, perché il ricorrente in realtà non censura la decisione del Consiglio Europeo, bensì lamenta (vedi pag. 9 del ricorso) il fatto che l’UEN avrebbe realizzato “una interpretazione chiaramente distorsiva della normativa euro-unitaria”.
3) Nel merito il ricorso è infondato, e va pertanto rigettato.
La presente controversia, come illustrato nella narrativa in fatto, è incentrata sulla legittimità degli esiti delle consultazioni elettorali per il rinnovo dei rappresentanti del Parlamento Europeo del 26 maggio 2019, in considerazione della erroneità prospettata dal ricorrente in cui sarebbe incorso l’Ufficio elettorale nella attribuzione dei seggi alla lista Fratelli d’Italia nella circoscrizione Italia nord orientale, strettamente correlata all’incidenza del procedimento di recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell'energia atomica, sul presupposto del quale si è proceduto all’applicazione di un divisore pari a 76, corrispondente ai seggi spettanti all’Italia a seguito della redistribuzione, tra gli Stati membri, di quelli attribuiti alla suddetta Nazione.
La premessa dalla quale muove l’articolazione difensiva del ricorrente è, sul piano fattuale, che il Regno Unito ha partecipato alle consultazioni in questione eleggendo i propri rappresentanti, sicché è incontestato che, allo stato, il procedimento di recesso non ha ancora trovato conclusione, essendo stato interessato da varie proroghe tali da renderlo dubbio sia nell’an sia nel quando, mentre, sul piano più strettamente tecnico, la mancata conclusione del suddetto procedimento di recesso del Regno Unito entro la data di svolgimento delle consultazioni in argomento, ovvero entro un tempo ragionevole dal relativo espletamento, non è stata considerata né dal Parlamento europeo né dal Consiglio europeo e neppure dal legislatore nazionale. Ciò con la conseguenza che l’applicazione del divisore di 76 in luogo di quello di 73, corrispondente al numero dei seggi spettante all’Italia in assenza della conclusione della procedura di recesso, non trova fondamento in alcuna previsione fonte legislativa.
Il Collegio rileva, invero, che ferma l’evidenza del dato fattuale, incontestabile, della elezione da parte del Regno Unito dei propri parlamentari europei anche nelle ultime consultazioni, le restanti argomentazioni sopra esposte non possono essere condivise.
Non trovano fondamento, in primo luogo, allo stato, i dubbi in ordine alla conclusione della procedura di recesso del Regno Unito.
Si evidenzia, infatti, che il Regno Unito ha notificato all’Unione la volontà di recedere attivando la procedura ex art. 50 TUE, in esito al referendum del 23 giugno 2016 nel quale la maggioranza dell’elettorato britannico si è espressa a favore dell’uscita. La sopra indicata disposizione del Trattato disciplina la negoziazione e la conclusione di un “accordo di recesso” tra l’Unione e lo Stato membro nel rispetto della procedura prevista dall’art. 218, par. 3 TFUE, prevedendo, altresì, in mancanza di un tale accordo, che i Trattati cessano comunque di essere applicati al medesimo Stato due anni dopo la notifica, salvo che il Consiglio europeo decida, d’intesa con lo Stato membro, all’unanimità di prorogare tale termine. Avvalendosi di tale previsione, il Consiglio europeo ha già concesso, su richiesta del Regno Unito, due proroghe del termine biennale;in particolare, il 21 marzo 2019 ha prorogato tale termine fino al 22 maggio 2019 e il successivo 11 aprile 2019, ha concesso un'ulteriore proroga fino al 31 ottobre 2019.
Vero è che, come chiarito dalla Corte di Giustizia (causa C- 621/18 del 10 dicembre 2018), deve ritenersi ammissibile la revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere, e quindi la permanenza del Regno Unito nell’Unione, decisa all’esito di un processo democratico nel rispetto delle norme costituzionali nazionali, dalla quale discenderebbe la permanenza del Regno Unito nell’Unione, ma è tale revoca a costituire una sopravvenienza non considerata e allo stato neppure verosimile degli sviluppi del procedimento, mentre una eventuale proroga – in relazione alla quale si segnala l’approvazione definitiva da parte del Parlamento inglese, in data 6 settembre u.s., del progetto di legge (con entrata in vigore dal successivo 9 settembre a seguito dell’assenso della Regina) volto a obbligare il Governo britannico a richiedere un'ulteriore proroga al 31 gennaio 2020 per il recesso nel caso in cui non sia approvato alcun accordo entro il 19 ottobre 2019 – non scalfisce e, anzi, conferma la prosecuzione della procedura destinata a trovare conclusione in tempi ragionevoli, tenuto conto della complessità degli effetti conseguenti al recesso, sia sul piano economico sia sotto il profilo giuridico.
Ed è appena il caso di soggiungere che in tale procedura un ruolo centrale viene svolto, in forza delle previsioni del TUE e del TFUE, proprio dal Consiglio europeo (la cui prossima riunione, per l’esame dello stato del processo c.d. Brexit, è calendarizzata per il 17 e 18 ottobre 2019), il quale ha approvato in data 25 novembre 2018 l’accordo di recesso non ancora ratificato dal Regno Unito.
Con precipuo riferimento al differenziale pari a 76 in contestazione, si rendono necessarie alcune preliminari considerazioni.
Relativamente alla precedente legislatura, il Consiglio europeo, con Decisione (UE) 2013/312 del 28 giugno 2013, aveva stabilito per l’Italia, all’art.3, il numero di 73 parlamentari, precisando, nel successivo art.4, che “la presente decisione è rivista con sufficiente anticipo prima dell’inizio della legislatura 2019-2024 sulla base di un’iniziativa del parlamento europeo presentata prima della fine del 2016 al fine di istituire un sistema che consenta, in futuro, prima di ogni nuova elezione del parlamento europeo, di assegnare i seggi agli Stati membri in modo obiettivo, equo, duraturo e trasparente, che traduca il principio della proporzionalità degressiva di cui all’articolo 1, tenendo conto dell’eventuale cambiamento del loro numero e dell’evoluzione demografica della popolazione quale debitamente accertata, rispettando così l’equilibrio globale del sistema istituzionale stabilito dai trattati”.
La notifica della volontà di recesso del Regno Unito, alla quale ha fatto seguito l’approvazione dell’accordo da parte del Consiglio europeo, integra all’evidenza proprio la contemplata eventualità di cambiamento, di cui proprio il Consiglio ha avuto piena consapevolezza nell’adozione della Decisione (UE) 2018/937 del 28 giugno 2018, con la quale, in applicazione delle previsioni del TUE, ha fissato, per la legislatura 2019-2024, all’art.3, primo comma, il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti in ciascun Stato membro, stabilendo per l’Italia il numero di 76 parlamentari.
Ed è proprio il sopra indicato art. 3 a stabilire, per l’eventualità del mancato completamento del procedimento c.d. Brexit all’inizio della legislatura, che “il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti per ciascuno Stato membro che si insedieranno sarà quello previsto dall’art.3 della decisione 3013/312/UE del Consiglio Europeo, fino a quando il recesso del Regno Unito dall’Unione non sarà divenuto giuridicamente efficace”;precisando, altresì, che: « una volta che il recesso del Regno Unito dall’Unione sarà divenuto giuridicamente efficace, il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti in ciascuno Stato membro sarà quello stabilito al paragrafo 1 del presente articolo. Tutti i rappresentanti al Parlamento europeo che occupano i seggi supplementari risultanti dalla differenza tra il numero dei seggi assegnati in base al primo comma e quelli assegnati in base al secondo comma si insediano al Parlamento europeo contemporaneamente».
La formulazione della previsione e, nello specifico, il verbo “insediare” che ivi figura rende evidente che il Consiglio europeo ha inteso stabilire che non appena il Regno Unito sarà effettivamente fuoriuscito dall’Unione, la composizione del Parlamento europeo subirà un cambiamento, giacché al posto dei rappresentanti di tale Nazione dovranno insediarsi i rappresentanti degli altri Stati membri che occupano i seggi c.d. “suppletivi”, in quanto tali già eletti, essendo l’elezione presupposta dall’assegnazione dei seggi suppletivi.
In particolare, è proprio la citata decisione del Consiglio a stabilire una netta differenziazione, anche temporale, tra “elezione” e “insediamento”, rinviando cioè quest’ultimo, solo per alcuni, al momento in cui “il recesso del Regno Unito dall’Unione sarà divenuto giuridicamente efficace”.
Si evidenzia, inoltre, che la previsione di seggi supplementari, per i quali vengono immediatamente individuati i parlamentari eletti il cui insediamento è, tuttavia, differito alla conclusione del procedimento di recesso del Regno Unito, risponde all’esigenza di preservare il funzionamento del Parlamento europeo, evitando stalli nelle relative attività, risultando del tutto congrua sul piano della ragionevolezza e della proporzionalità.
Ciò con la specificazione che parte ricorrente non ha contestato la legittimità di tale decisione, il cui sindacato esula, comunque, notoriamente dalla giurisdizione del giudice nazionale, essendo rimesso alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 263 del TFUE.
In piena conformità alla predetta decisione del Consiglio europeo, con il d.P.R. 22 marzo 2019 si è provveduto alla ripartizione tra le cinque circoscrizioni territoriali dei 76 seggi spettanti all’Italia con convocazione dei comizi elettorali.
Consegue da quanto sopra esposto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, anche col secondo motivo, l’applicazione del divisore pari a 76 non costituisce il frutto di una interpretazione erronea nella quale sarebbero incorsi la Corte di Cassazione prima e l’Ufficio elettorale poi, trovando solido e idoneo fondamento nella sopra indicata decisione del Consiglio europeo, fonte derivata del diritto dell’Unione, dotata di efficacia diretta (C. giust., 6.10.1970, 9/70, Grad) e vincolante, la cui “obbligatorietà vale per tutti gli organi dello Stato destinatario, ivi compresi i giudici” (C. giust., 21.5.1987, 249/85, Albako).
Esclusivamente per completezza di analisi, il Collegio rileva che anche il comunicato pubblicato dalla Suprema Corte di Cassazione in data 21 maggio 2019 risulta pienamente conforme alla disciplina sopra illustrata, essendosi limitato a ribadire che “soltanto 73 … si insedieranno subito, in quanto i restanti 3, ai sensi della suddetta decisione, potranno farlo solo dopo che il recesso del Regno Unito sarà divenuto giuridicamente efficace” ed esplicitando il meccanismo per “individuare i tre parlamentari che si insedieranno in un secondo momento”.
Del pari, per le medesime ragioni, deve escludersi la sussistenza dei presupposti per accedere a un vaglio incidentale di costituzionalità del predetto decreto.
E anche la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE va rigettata, perché, in generale, tale rimessione non può essere disposta in tutti i casi, come quello in esame, in cui “la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con chiarezza, univocità ed evidenza tali da non dare adito a nessun ragionevole dubbio interpretativo sulla soluzione da dare alla questione” (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 15.06.2011 n. 3655).
In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso va rigettato.
La novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.