TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2019-11-18, n. 201913189

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2019-11-18, n. 201913189
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201913189
Data del deposito : 18 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/11/2019

N. 13189/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00421/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 421 del 2015, proposto da
Provincia di Pesaro e Urbino, in persona del legale Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A I, M U, N P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A I in Roma, piazza dell'Orologio, 7;

contro

Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Commissario Straordinario per la Razionalizzazione della Spesa, in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Provincia di Treviso, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

del decreto del Ministero dell’Interno del 10.10.2014 adottato in attuazione dell'art. 8 c. 4 e dell'art. 47 c. 2 lett. a) del d.l. n. 66/14, così come convertito dalla l. n. 89/14, che prevede, per l'anno 2014, che le province debbano assicurare un contributo alla finanza pubblica in misura complessiva pari a 340 milioni di euro, elevato a 510 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2019 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in epigrafe la Provincia di Pesaro e Urbino ha impugnato il D.M. 10 ottobre 2014, pubblicato sulla G.U. n. 240 del 15 ottobre 2014, recante la "Determinazione del riparto del contributo alla finanza pubblica a carico delle province ricomprese nelle regioni a statuto ordinario e delle province delle regioni Siciliana e Sardegna, pari complessivamente a 340 milioni di euro, per l'anno 2014, in proporzione alla spesa media sostenuta, nel triennio 2011-2013".

La ricorrente ha dedotto che il d.l. n. 66/ 2014 aveva disposto, a decorrere dall'anno 2014, una riduzione delle spese delle pubbliche amministrazioni per acquisti di beni e servizi in ogni settore, per un importo complessivo pari a 2.100 milioni di euro, prevedendo, per quanto di competenza delle amministrazioni provinciali, una quota di riduzione pari a 340 milioni, calcolata in proporzione alla spesa media sostenuta nell'ultimo triennio relativa ai codici SIOPE indicati nella tabella A allegata al suddetto decreto legge.

L'art. 47 comma 3 del d.l. citato aveva poi previsto che le riduzioni a carico delle province potevano, ad invarianza comunque di riduzione complessiva, essere incrementate ovvero diminuite dalla Conferenza Stato - città ed autonomie locali in misura da determinarsi tenendo conto di un indicatore dei tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni ed alle forniture di servizi, purché l'organo si determinasse entro e non oltre il 30 giugno 2014;
in difetto, avrebbe trovato applicazione quanto previsto dall'art. 47, comma 2, secondo cui ciascuna Provincia e città metropolitana doveva conseguire risparmi da versare ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato;
il contributo era determinato da apposito decreto del Ministero dell'Interno da emanare entro il 30 giugno per il 2014 e entro il 28 febbraio per gli anni successivi.

In caso di mancato versamento entro il 10 ottobre del contributo di cui al comma 2 il Ministero dell'Interno era legittimato, attraverso la struttura di gestione, facente capo all'Agenzia delle Entrate, di cui all'art. 22, comma 3 del d.lgs. n. 241/97, a operare un prelievo forzoso delle predette somme, nei confronti delle Province e Città metropolitane, a valere sui versamenti dell'imposta sulle assicurazioni per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, di cui all'art. 60 del d.lgs. n. 446/97, al momento del riversamento del relativo gettito alle province medesime.

Non avendo la Conferenza Stato città e autonomie locali provveduto a modificare il criterio da seguire per determinare gli importi delle singole quote di riduzioni delle spese a carico di ciascuna Provincia, il Ministero aveva determinato i contributi delle Province secondo il criterio alternativo previsto dal d.l. 66/2014.

La manovra del 2014 non aveva operato sui trasferimenti erariali alle Province — in quanto già da due anni lo Stato non concorreva in alcun modo alla finanza provinciale — ma attraverso un concorso alla finanza pubblica statale mediante il versamento in apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, sulla base di risparmi di spesa imposti alle Province, da ottenere mediante compressione dei servizi, trasformando i relativi "risparmi" in liquidità a favore dello Stato.

Inoltre, nel processo di riordino, erano state trasferite dalle Province ad altri enti funzioni che continuavano -allo stato- ad essere esercitate dalle stesse, fino all'effettivo avvio di esercizio da parte dell'ente subentrante alle Province;
la legge n. 56/2014, infatti, ne aveva disciplinato il riordino, in attesa della riforma del Senato e del titolo V della Costituzione che ne prevedeva la soppressione, riservando alle nuove Province "soltanto" alcune funzioni fondamentali (peraltro non marginali): costituzione e gestione delle strade, gestione dell'edilizia scolastica, tutela e valorizzazione dell'ambiente, pianificazione territoriale di coordinamento, programmazione della rete scolastica provinciale ed altre minori.

Contemporaneamente, la legge aveva disposto l'attribuzione delle funzioni residuali, diverse da quelle fondamentali, ad altri enti sulla base del criterio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

Per converso, nell'ottica dei risparmi di cui alla L. n. 56/2014, la "Legge di Stabilità 2015" prevedeva — a competenze invariate — ulteriori tagli di 1 miliardo di euro per l'anno 2015 e di 2 miliardi di euro per l'anno 2016 alle risorse delle Province, rendendo impossibile garantire i servizi minimi.

Si trattava quindi di un processo graduale iniziato con la legge n. 56/2014 per concludersi con la realizzazione piena di un nuovo "ente di area vasta" con proprie specificità e finalità, che prevedeva però un percorso ancora lungo e complesso;
ipotizzando la redazione del bilancio sulla base della legge n. 56/2014, con l'attuale situazione finanziaria la gestione del "nuovo ente" sarebbe iniziata con un disavanzo — sbilancio tra entrate ed uscite.

A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:

1.Violazione degli artt. 149, 150 e 151 del d.lgs. n. 267/2000, in quanto il decreto, pubblicato il 15 ottobre 2014, aveva imposto alle province una riduzione della spesa per l’anno 2014, sulla base dei dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato alla data del 3 giugno 2014, di modo che il taglio era stato quantificato quando la gestione risultava ormai prossima alla fine dell’esercizio, con conseguente impossibilità per gli enti interessati di effettuare una contrazione delle spese programmata;

2. Illegittimità propria del D.M. dell'Interno 10 ottobre 2014 per violazione dell'art. 47 comma 2 D.L. n. 66/2014. Violazione del principio di leale collaborazione. Eccesso di potere per sviamento, violazione del principio di leale collaborazione, in quanto la norma citata prevedeva che le riduzioni dei trasferimenti alle Province venissero ripartite in forza di decreto del Ministero dell'Interno da emanarsi entro il 30 giugno per l'anno 2014, mentre il decreto, nel termine di legge, non era stato emanato ed anzi, a seguito dei rilievi svolti dalle Province, il Ministero dell'Interno aveva rivisto i tagli dopo la scadenza del termine, confermandone poi l’entità con mesi di ritardo;

3. Illegittimità propria del D.M. dell'Interno 10 ottobre 2014 per violazione degli artt. 3, 97 e 98 Cost., dell'art. 1 L. n. 241/1990 e dell'art. 47 c. 2 del d.l. n. 66/2014. Violazione dei principi di ragionevolezza, imparzialità, e buona amministrazione. Illogicità e contraddittorietà manifesta. Difetto dei presupposti. Eccesso di potere per difetto d'istruttoria. Sviamento. Violazione di norma comunitaria — Regolamento CE n. 2223/1996 (SEC95), in quanto i tagli erano stati ripartiti considerando, tra le voci dei c.d. "costi intermedi", alcuni costi necessari per la gestione dei servizi in favore della collettività;
inoltre tra i costi intermedi non erano state scorporate le spese sostenute da alcune Province per l'esercizio di funzioni non proprie, ma ad esse delegate dalle Regioni cui le stesse afferiscono, come la Provincia di Pesaro e Urbino.

4. In via subordinata, invalidità derivata del provvedimento impugnato per illegittimità costituzionale dell'art. 47 c. 2 del d.l. 66/2014 per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità, certezza delle entrate, e degli artt. 3,5,114, 117, 118,119 e 133 Cost., in quanto le riduzioni dei trasferimenti così disposte assumevano una portata che andava oltre la mera riduzione di spesa delle Province, essendo idonea a condurre la generalità delle Province al loro dissesto, causandone quindi surrettiziamente l'abolizione, in aperto contrasto con gli artt. 3, per difetto di ragionevolezza e proporzionalità, e 5, 114 e 133 della Costituzione, in rapporto al principio di autonomia degli enti locali.

L'art. 47 c. 2 del d.l. n. 66/2014 presentava un ulteriore ed autonomo profilo di incostituzionalità, per violazione dei principi costituzionali di equità, ragionevolezza, imparzialità e buon andamento, nella parte in cui disponeva che la riduzione dei trasferimenti alle Province venisse ripartita in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte nell'ultimo triennio dai codici SIOPE, con disposizione discriminatoria, non essendo stati adottati criteri correttivi al fine di rendere più equa, ragionevole e proporzionata la distribuzione della riduzione dei trasferimenti alle singole Province.

Ulteriore profilo di incostituzionalità dell'art. 47 c. 2 del d.l. 66/2014 si poneva poi in relazione al fondamentale principio di autonomia finanziaria di entrata e di spesa sancito dall'art. 119 Cost., in quanto le Province dovevano essere poste nelle condizioni di gestire un proprio bilancio, in cui — o attraverso trasferimenti erariali o per mezzo di risorse attribuite direttamente alle stesse — fosse consentito di fare fronte alle spese da sostenere per lo svolgimento delle relative funzioni istituzionali, mentre i tagli operati, non permettendo in alcun modo alle Province di rispettare gli equilibri di bilancio, costituivano un'evidente violazione del principio di autonomia finanziaria sancito dall'art. 119 della Costituzione.

Si è costituito il Ministero dell’Interno resistendo al ricorso.

Alla camera di consiglio del 14 maggio 2015 è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le Province italiane, poi effettuata mediante pubblici proclami mediante pubblicazione sul sito del Ministero dell’Interno.

Alla pubblica udienza del 24 settembre 2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.

In primo luogo vanno esaminate le disposizioni di rango primario che sorreggono i decreti ministeriali qui impugnati e di cui essi costituiscono attuazione.

Il decreto legge n. 66/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89/2014, ha disposto una riduzione generale delle spese delle Pubbliche Amministrazioni in tutti i settori, a partire dal 2014.

In particolare, con riguardo alle Province ed alle Città metropolitane, l'art. 47, comma 2, ha stabilito:

"1. Le province e le città metropolitane, a valere sui risparmi connessi alle misure di cui al comma 2 e all'articolo 19, nonché in considerazione delle misure recate dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, nelle more dell'emanazione del Decreto del Presidente del Consiglio di cui al comma 92 dell'articolo 1 della medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.

2. Per le finalità di cui al comma 1, ciascuna provincia e città metropolitana consegue i risparmi da versare ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato determinati con decreto del Ministro dell'interno da emanare entro il termine del 30 giugno, per l'anno 2014, e del 28 febbraio per gli anni successivi, sulla base dei seguenti criteri:

a) per quanto attiene agli interventi di cui all'articolo 8, relativi alla riduzione della spesa per beni e servizi, la riduzione è operata nella misura complessiva di 340 milioni di euro per il 2014 e di 510 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, proporzionalmente alla spesa media, sostenuta nell'ultimo triennio, relativa ai codici SIOPE indicati nella tabella A allegata al presente decreto;

b) per quanto attiene agli interventi di cui all'articolo 15, relativi alla riduzione della spesa per autovetture di 0,7 milioni di euro, per l'anno 2014, e di un milione di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, la riduzione è operata in proporzione al numero di autovetture di ciascuna provincia e città metropolitana comunicato annualmente al Ministero dell'interno dal Dipartimento della Funzione Pubblica;

c) per quanto attiene agli interventi, di cui all'articolo 14, relativi alla riduzione della spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, di 3,8 milioni di euro per l'anno 2014 e di 5,7 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, la riduzione è operata in proporzione alla spesa comunicata al Ministero dell'interno dal Dipartimento della Funzione Pubblica.".

Al comma 3, sempre l'art. 47 citato, con riguardo ai criteri per la determinazione degli importi a carico di ciascuna Provincia, ha previsto che essi potessero "essere modificati per ciascuna provincia e città metropolitana, a invarianza di riduzione complessiva, dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali entro il 30 giugno, per l'anno 2014 ed entro il 31 gennaio, per gli anni successivi, sulla base dell'istruttoria condotta dall'ANCI e dall'UPI e recepiti con il decreto del Ministro dell'interno di cui al comma 2".

Con riferimento all'anno 2014, in data 10 ottobre 2014 il Ministero dell'Interno, al fine di dare attuazione al richiamato art. 47 del d.l. n. 66/2014, ha adottato il decreto impugnato con il ricorso principale.

La ricorrente ha eccepito, in primo luogo, la tardività dell’adozione del decreto rispetto al termine previsto dalla legge.

Da tale ritardo discenderebbe la lesione dell’affidamento dell’ente in sede di approvazione del bilancio, nonché la violazione del principio di leale collaborazione.

Tali doglianze, articolate nei primi due motivi, possono essere esaminate congiuntamente.

Al riguardo occorre rilevare che, come già evidenziato nella pronuncia di questo Tribunale n. 10625/2018, l’originaria formulazione dell’articolo 47, comma 4, del d.l. 66/2014 prevedeva che “In caso di mancato versamento del contributo di cui ai commi 2 e 3, entro il mese di luglio, sulla base dei dati comunicati dal Ministero dell'interno, l'Agenzia delle Entrate, attraverso la struttura di gestione di cui all'articolo 22, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, provvede al recupero delle predette somme nei confronti delle province e delle città metropolitane interessate (…)”.

Con la modifica del suddetto comma, ad opera dell’articolo 24 quater, comma 2, del d.l. del 24 giugno 2014 n. 90, convertito con modificazioni dalla legge di conversione del 11 agosto 2014, n. 114, le parole: "mese di luglio" sono sostituite dalle seguenti: "10 ottobre".

Da tale modifica legislativa discende il nuovo termine per il versamento del contributo di ciascuna provincia o città metropolitana e per il contestuale recupero ad opera dell’Agenzia dell’entrate, posticipato al 10 ottobre di ogni anno.

Di conseguenza, le province erano al corrente del nuovo termine di versamento dell’importo sin dall’11 agosto 2014, ovvero quando è stata emanata la modifica legislativa operata dalla legge di conversione n. 114/2014 del d.l. 90/2014, senza considerare che si tratta di una posticipazione del termine e non di una sua anticipazione, circostanza non irrilevante ai fini della dedotta impossibilità di programmazione finanziaria.

Inoltre, lo slittamento del termine di versamento dei contributi, da cui è conseguito il ritardo del provvedimento impugnato, oltre a godere di copertura legislativa, è stato in parte dovuto a una stretta opera di collaborazione tra il Ministero dell’Interno con l’insieme delle Province coinvolte nella manovra statale tramite l’Associazione nazionale Unione Province Italiane (UPI) che, nel mese di luglio 2014, si era proposta di operare un lavoro di approfondimento (cd. due diligence) sulla situazione finanziaria delle varie province, al fine di individuare il concreto impatto che sulla stessa avrebbe operato la riduzione di spesa e gli obiettivi di risparmio del d.l. 66/2014.

Ne deriva che l’emanazione del decreto ministeriale impugnato, in una data successiva rispetto a quella predeterminata dalla legge, è stata diretta conseguenza non solo della modifica legislativa operata con d.l. 90/2014, ma anche dell’attesa dell’esito dei suddetti approfondimenti.

In ogni caso, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, tale tardiva emanazione del d.m. non ha in alcun modo compromesso la possibilità per le Province di effettuare le variazioni al bilancio relative all’anno corrente.

Infatti, in conformità alla giurisprudenza di questo Tribunale, anche qualora i decreti ministeriali siano emessi in un termine diverso e successivo rispetto a quello fissato dalle norme primarie di cui sono attuazione, non possono per ciò solo ritenersi illegittimi se la loro emanazione, pur se in ritardo, avvenga in tempo per operare le variazioni di bilancio relative all’anno corrente e, comunque, ad una distanza di tempo non troppo lunga (cfr. Tar Lazio, sez. I ter, sentenze nn. 3534/2017, 1906 e 10625/2018).

Occorre poi ribadire che il contenuto del decreto gravato era vincolato a quanto già predeterminato dalla norma primaria per cui, nonostante la sua tardiva adozione, la ricorrente era già a conoscenza delle modalità e dei criteri di calcolo con cui lo stesso avrebbe individuato gli importi a carico dei singoli enti.

Dunque, non è ravvisabile alcuna lesione al bilancio dell’ente e all’aspettativa che si sarebbe consolidata sullo stesso, né, tanto meno, è ravvisabile alcuna violazione del principio di leale collaborazione.

Peraltro, la stessa Provincia ricorrente è stata coinvolta nel tavolo di approfondimento organizzato dall’UPI, in quanto l’acquisizione dei dati finanziari di ciascun ente locale, sulla cui base disporre poi la valutazione, proveniva dalla trasmissione degli stessi ad opera degli uffici delle Province.

I due motivi vanno quindi entrambi respinti.

Con il terzo motivo viene censurata la modalità di calcolo adottata dal decreto impugnato, da cui è derivata l’individuazione della somma a carico della Provincia di Pesaro e Urbino per l’anno 2014.

In particolare, la ricorrente critica il concetto di “consumi intermedi” assunto dal Ministero per il computo della riduzione, in quanto inclusivo anche delle spese relative a funzioni incomprimibili della Provincia, cioè quelle sostenute per l’erogazione dei servizi a favore della collettività dei cittadini, nonché quelle delegate dalla Regione.

Un concetto di spesa così ampio, utilizzato per la base di calcolo delle singole riduzioni in via proporzionale e relativamente ai codici SIOPE, secondo la ricorrente, sarebbe in contrasto con il regolamento CE 2223/1996, il quale fornisce una nozione di consumi intermedi che coincide con quella di spese per gli input dei processi produttivi e nella quale non è possibile includere anche le voci di costo concernenti i servizi, perché attinenti a prodotti finali.

Da ciò sarebbe derivata una disparità di trattamento tra le province destinatarie delle riduzioni, per cui una tale base di calcolo, in quanto semplicistica, indifferenziata ed arbitraria, avrebbe dovuto indurre il Ministero ad effettuare un’istruttoria articolata e complessa per distinguere le varie spese.

Anche questo motivo è infondato;
la questione è stata esaminata in precedenti pronunce della Sezione.

In particolare, nel precedente n. 10625/2018 si è richiamata la decisione con cui il Consiglio di Stato, nel riformare la sentenza n. 7002/2013 di questo Tribunale, ha affermato che “la scelta del Ministero di ancorare la riduzione dei tagli al dato dei consumi intermedi dedotti dal SIOPE, senza alcun intervento discrezionale, anziché alla nozione di consumi intermedi di cui al regolamento CE 2223/1196, risulta pienamente conforme alla scelta operata dal legislatore” (Consiglio di Stato, sez. III, n. 475 del 2014).

Nessun intervento istruttorio di estrapolazione dei dati riferibili esclusivamente alla nozione di “costi intermedi”, quale quello auspicato dalla ricorrente, poteva essere effettuato dal Ministero nel decreto impugnato.

Infatti, la disposizione legislativa dell’art. 47 d.l. 66/2014, come osservato, rende automatici i criteri di calcolo stabiliti dal comma 2 lett. a), ovvero quelli riguardanti i codici SIOPE, nel caso in cui la Conferenza stato città autonomie locali non abbia esercitato nei termini la facoltà modificativa di tali criteri riconosciuta dal comma 3 dell’art. 47, come avvenuto nel caso di specie.

Dunque, il decreto ministeriale impugnato, in quanto mero atto esecutivo della scelta compiuta dal legislatore, era vincolato nei tempi e nel metodo di calcolo dallo stesso predisposto, senza che fosse lasciato alcun margine di discrezionalità al Ministero nella sua adozione.

Inoltre, richiamando quanto affermato dal Consiglio di Stato sul punto, “Il meccanismo di funzionamento della banca dati SIOPE (sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici – consistente in un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche, disciplinato dalla legge n. 196 del 2009, che rappresenta lo strumento fondamentale per il monitoraggio dei conti pubblici) chiarisce ulteriormente come i dati, cui ha attinto il Ministero, sono stati desunti con criterio uniforme, non suscettibile di creare disparità di trattamento e violazione dell’art. 3 della Costituzione. Difatti, l’art.14, comma 6, della l. 69/2009 così dispone: “Le amministrazioni pubbliche, trasmettono quotidianamente alla banca dati SIOPE, tramite i propri tesorieri o cassieri, i dati concernenti tutti gli incassi e i pagamenti effettuati, codificati con criteri uniformi su tutto il territorio nazionale. I tesorieri e i cassieri non possono accettare disposizioni di pagamento prive della codificazione uniforme”. Il servizio registra in modo meccanico, per via telematica, i dati che vengono inseriti dai tesorieri degli enti, ai quali soltanto è imputabile eventualmente la scelta delle voci di costo inserite con codici che identificano costi intermedi. Il SIOPE in corrispondenza delle voci che individuano i consumi intermedi contempla: “acquisto di beni di consumo e/o materie prime” “prestazioni di servizi”, “utilizzo di beni dei terzi” ” (Consiglio di Stato n. 475 del 2014 cit.).

Da quanto esposto consegue che il decreto impugnato, ancorché vincolato ad adottare il criterio già predeterminato dal d.l. 66/2014, ha attinto ai dati della banca dati SIOPE, uniformi per tutto il territorio nazionale e alla cui creazione contribuiscono le stesse amministrazioni pubbliche, per cui non è suscettibile di creare alcuna disparità di trattamento con le altre province decurtate.

Neppure è condivisibile la tesi sostenuta dalla ricorrente circa la possibilità di mutuare la categoria dei consumi intermedi direttamente dal regolamento CE 2333/1996.

Come indicato dal Consiglio di Stato nella citata sentenza, “premesso che il regolamento ha lo scopo di consentire l'elaborazione di conti e di tabelle su basi comparabili per le esigenze della Comunità e “non obbliga alcuno Stato membro ad elaborare per le proprie esigenze i conti in base al SEC 95”, elaborato dal regolamento (art. 1, comma 3) che non è vincolante neppure per gli istituti di statistica nazionale (all.1 cap. 1. 1.06: “il sistema SEC costituisce lo standard per la trasmissione di dati di contabilità nazionale a tutte le organizzazioni internazionali;
soltanto nelle pubblicazioni a livello nazionale non è obbligatoria una rigorosa conformità al SEC”);
ciò premesso, va osservato che la nozione comunitaria di consumi intermedi, come definita all’all. 1, P.2, punto 3.69. (“I consumi intermedi rappresentano il valore dei beni e dei servizi consumati quali input in un processo di produzione”), è dettata ad altri fini, statistici e comparativi, e non assume i dati dei flussi di cassa, come il sistema di monitoraggio SIOPE” (Consiglio di Stato n. 475 del 2014 cit.).

Con l’ultimo motivo la ricorrente ha dedotto l’incostituzionalità dell’art. 47, comma 2, del d.l. n. 66/2014, nella parte in cui obbligano tutte le province alla predisposizione dei propri bilanci in una situazione di assoluta emergenza, indirizzandole, di fatto, alla dichiarazione dello stato di dissesto e comportando una riduzione dell'autonomia finanziaria tale da compromettere lo stesso svolgimento delle funzioni delle Province.

La questione è stata già più volte esaminata nelle pronunce di questo Tribunale, che vanno pertanto qui richiamate.

Al riguardo deve osservarsi che l’art. 47 in esame si colloca nel generale riparto delle competenze degli enti territoriali dovuti dalla Legge n. 56/2014, determinando un contributo a carico delle Provincie di carattere “transitorio”, ossia temporaneo, sino all’emanazione del Decreto del Presidente del Consiglio (di cui all’art. 1, comma 92 della l. n. 56/2014), con il quale verranno stabiliti, previa intesa in sede di Conferenza unificata, “i criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei commi da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista”;
in attesa del suddetto decreto, si stabilisce un contributo a carico degli enti locali (Province e Città Metropolitane) pari “444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018” (art. 47, comma 1, d.l. n. 66/2014).

La Corte Costituzionale si è già pronunciata su un precedente assimilabile a quello in oggetto (Corte Cost., n. 205/2016), sulla questione di legittimità costituzionale di cui all’art. 1, commi 418, 419 e 451 (quest’ultimo proroga dal 2017 al 2018 le misure previste dall’art. 47, commi 1 e 2, del d.l. 66/2014), dedotta in relazione agli artt. 2, 3, 117 e 119 della Costituzione.

In primo luogo la giurisprudenza della Consulta (cfr. anche Corte Cost. n. 151/2016, n. 127/2016, n. 65/2016, n. 89/2015 e n. 26/2014) muove dalla considerazione secondo cui le singole leggi che stabiliscono la misura dei contributi erariali (come la norma contestata), si muovono all’interno della riforma contenuta nella legge n. 56/2014, con la contestuale necessità di riduzione del personale e delle spese al fine di ottimizzare la spesa erariale.

La previsione del versamento al bilancio statale (da parte degli enti di area vasta) di risorse derivanti dalla riduzione della spesa deve essere dunque inquadrata nel percorso della complessiva riforma ancora in corso. E, così intesa, essa si risolve in uno specifico passaggio della vicenda straordinaria di trasferimento delle risorse da detti enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate, vicenda la cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato (Corte Cost., n. 159 del 2016 e n. 50 del 2015).

Esaminando, dunque, la norma richiamata dalla parte ricorrente alla luce del quadro di riordino degli enti locali, non si ricava alcuna violazione dell’art. 119 Cost. nei termini lamentati;
ciò in quanto la disposizione di cui all’art. 47, comma 2, d.l. n. 66/2014, deve essere intesa “nel senso che il versamento delle risorse ad apposito capitolo del bilancio statale è specificamente destinato al finanziamento delle funzioni provinciali non fondamentali e che tale misura si inserisce sistematicamente nel contesto del processo di riordino di tali funzioni e del passaggio delle relative risorse agli enti subentranti” (così Corte Cost., sentenza n. 205/2016).

Del resto, la Consulta ha più volte ribadito che la riduzione di spesa degli enti locali deve essere intesa come un miglioramento dell’efficienza della spesa stessa, in ossequio ai principi di pareggio di bilancio e anche agli obblighi a cui l’Italia è tenuta in virtù dell’appartenenza all’Unione Europea.

L’intervento normativo (ed il consequenziale decreto ministeriale) non possono essere inquadrati in maniera “atomistica”, ma devono compiutamente ricostruire e collocare gli interventi normativi all’interno del quadro generale, costituito dalla riorganizzazione degli enti locali (TAR Lazio, sez. I ter, sentenze nn. 9144 e 10625/2018).

Ciò detto, la giurisprudenza della Corte Costituzionale è costante nel richiedere che, nel caso in cui si lamenti la violazione dell’art. 119 Cost., l’impossibilità dell’ente locale di assicurare il finanziamento delle funzioni pubbliche attribuite deve risultare, in maniera palese ed incontrovertibile, da una norma di legge che conduca ad uno squilibrio finanziario smodato ed irragionevole a carico dell’ente stesso (tra le tante, Corte Costituzionale, nn. 65, 151, n. 127 e 205 del 2016, n. 89 del 2015, n. 26 del 2014).

L’asserita illegittimità costituzionale dell’art. 47 del d.l. 66/2014 (in riferimento agli artt. 3, 81, 97, 117 e 118 della Cost.) è sostanzialmente connessa alla violazione dell’art. 119 Cost.: la Provincia ricorrente infatti lamenta la violazione degli articoli appena menzionati proprio a causa dell’impossibilità di poter esercitare le funzioni fondamentali, pur ad esse mantenute dalla legge n. 56 del 2014.

Allo stato degli atti, tuttavia, non si ha alcuna evidenza della impossibilità per la Provincia di Pesaro e Urbino di adempiere alle proprie funzioni, non avendo la ricorrente documentato un raffronto tra le entrate complessive e la previsione di spesa per le funzioni di competenza dalla quale inferire l’impossibilità di assolvere alle stesse.

Si può concludere dunque che, ad avviso di codesto Collegio, l’autonomia finanziaria non è stata pregiudicata, o comunque frustrata;
è vero che alla Provincia ricorrente si sono richiesti ingenti risparmi (come è del resto avvenuto per tutte le Amministrazioni pubbliche), ma è anche vero che gli stessi non hanno inciso sull’autonomia decisionale in ordine ai servizi ed ai beni ai quali indirizzare le proprie risorse economiche.

Inoltre, come opportunamente affermato da codesta Sezione in un precedente analogo (cfr. TAR Lazio, Sezione I ter, sentenza 3534/2017) del tutto conforme alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, non si deve dimenticare che è necessario contemperare le esigenze di autonomia finanziaria degli enti locali (e delle Pubbliche Amministrazioni in generale) con quelle connesse alla partecipazione dell’Italia all’Unione europea ed alla regola, anch’essa di rango costituzionale, dell’obbligo del pareggio di bilancio.

Da quanto osservato discende la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata.

In conclusione il ricorso deve essere respinto.

Ricorrono, data la peculiarità della controversia e la natura delle parti, le ragioni che giustificano la compensazione delle spese di lite.

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