TAR Roma, sez. II, sentenza 2015-10-20, n. 201511991

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2015-10-20, n. 201511991
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201511991
Data del deposito : 20 ottobre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

1998/html4"> N. 03045/2012 REG.RIC.

N. 11991/2015 REG.PROV.COLL.

N. 03045/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3045 del 2012, proposto da:
Crédit Agricole Assicurazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t.,, rappresentata e difesa dagli avv.ti Nicolo' Juvara, G L, Carlo Gioffre' e M G, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Norton Rose in Roma, piazza San Bernardo, 101;

contro

Ivass - Istituto per la Vigilanza sulle assicurazioni, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Dario A.M. Zamboni, A S, M S e P M, con domicilio in Roma, Via del Quirinale, 21;

per l'annullamento

dell’ordinanza – ingiunzione a firma del Presidente dell’Isvap n. 779/12, prot. n. 14 – 12 – 002918 in data 7 marzo 2012, pervenuta in data successiva, recante sanzione pecuniaria dell’importo di euro 1.000.000, maggiorata dei diritti di notifica e spese di procedimento di competenza dell’Isvap per € 23,40, per complessivi € 1.000.023, irrogata per asserita elusione dell’obbligo legale a contrarre in materia di assicurazione dei rischi derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, di cui all’art. 132, comma 1, del d.lgs 7 settembre 2005, n. 209, e di tutti gli atti presupposti, conseguenziali e comunque connessi.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ivass (già Isvap);

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del giorno 17 giugno 2015 il Cons. Silvia Martino;

Uditi gli avv.ti, di cui al verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

1. La ricorrente è una compagnia assicurativa di tipo italiano, appartenente al gruppo bancario francese Crédit Agricole, uno dei principali gruppi bancari al mondo.

Essa opera nel mercato italiano danni dal 2008, anno della sua costituzione, attraverso un solo canale distributivo costituito dagli sportelli degli istituti bancari facenti parte del medesimo gruppo, ossa dalla rete CariParma, FriulAdria e CariSpezia, costituiti da oltre 960 filiali e punti vendita.

I rischi assunti, di conseguenza, sono principalmente quelli della clientela del propri canale distributivo.

In data 4 novembre 2010, l’Isvap segnalava a CAA che i premi applicati per il ramo RCA in alcune aree geografiche e in relazione ad alcune categorie di assicurati, risultavano significativamente elevati, e cioè in misura tale da configurare, ai sensi dell’art. 314, comma 2, del d.lgs. n. 209/2005 (codice delle assicurazioni private) l’elusione dell’obbligo legale a contrarre.

Con la medesima nota l’Isvap invitava l’odierna ricorrente a trasmettere documentazione inerente la tariffa in vigore al 1° ottobre 2010 e a quella dell’edizione precedente, quanto al settore I (autovetture in servizio privato, autovetture da noleggio) e al settore V (ciclomotori e motocicli), comprensiva di “elementi idonei a dimostrare la coerenza dei premi di tariffa applicati alle proprie basi tecniche ai sensi dell’art. 35, comma 1, del CAP”.

La società riscontrava tale richiesta, in particolare evidenziando che CAA era stata autorizzata all’esercizio dell’attività assicurativa nel marzo 2008 e che quindi non disponeva di basi interne utilizzabili per la determinazione della tariffa RCA.

La tariffa era stata quindi calcolata sulla base dei dati ANIA disponibili e di quelli ottenuti attraverso indagini di mercato, nonché sulla base del contributo di consulenti esterni e dell’esperienza della direzione tecnica della Compagnia stessa.

Inoltre:

- il premio puro medio era allineato ai dati Ania disponibili, e, in relazione ai profili di rischio e alle variabili tariffarie indicate da Isvap, il livello di differenziazione dei prezzi era inferiore a quello dei dati Ania, per cui in nessun caso i prezzi massimi CAA potevano essere considerati elusivi;

- la distribuzione territoriale dei premi della Compagnia era sostanzialmente allineata alla distribuzione territoriale degli sportelli bancari (che costituiscono il principale canale della Compagnia) e che, in particolare, la presenza di un cospicuo portafogli di rischi assicurati nella provincia di Napoli (oggetto dell’accertamento), era probante dell’assenza di intenti elusivi nella determinazione della tariffa RCA.

Ciononostante, l’Istituto, con l’atto di contestazione di cui in epigrafe, imputava alla società la violazione dell’art. 132, comma 1, del codice delle assicurazioni private, che punisce l’elusione dell’obbligo a contrarre attuata con riferimento a determinate zone territoriali o a singole categorie di assicurati.

L’Isvap rilevava che:

- “dalla documentazione trasmessa dalla società si evince che per il settore I e per alcune variabili di personalizzazione impiegate nel settore V, i coefficienti tecnici sono stati desunti dalle tariffe applicate da alcune compagnie operanti sul mercato oppure si sono basati su considerazioni empiriche e indagini di mercato, non meglio specificate, e sulle quali non sono stati forniti dati statistici di supporto;

- ai coefficienti così definiti sono stata apportate modifiche ai fini dell’applicazione della tariffa che evidenziano fattori di soggettività e arbitrarietà;

- dalle argomentazioni esposte la tariffa in vigore al 1° ottobre 2010 non presenta le caratteristiche di coerenza con le basi tecniche di riferimento, determinando premi significativamente elevati, non giustificati, rispetto ad alcune categorie di assicurati e per alcune zone territoriali;

- tale condotta configura violazione dell’art. 132 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che, al comma 1, stabilisce l’obbligo legale a contrarre”.

Con memoria difensiva del 19 maggio 2011, l’odierna ricorrente, produceva ulteriori argomentazioni.

In particolare:

- chiariva con ampiezza di riferimenti numerici e documentali le modalità di individuazione e utilizzo delle basi tecniche prese a riferimento;

- chiariva l’esistenza di significativi costi aggiuntivi per la gestione sinistri nelle zone territoriali ad elevata frequenza;

- sottolineava l’ulteriore crescita del già significativo portafoglio RCA di CAA nella provincia di Napoli (giunta ad essere la secondo provincia in termini di volume premi);

- evidenziava che per i profili di rischio individuati dall’Isvap i premi di tariffa calcolati sulla base dei dati Ania e dei costi medi di mercato erano superiori ai premi di tariffa CAA e che quindi il livello elevato dei prezzi per tali profili non era determinato da intenti elusivi della Compagnia, ma dall’oggettivo livello di rischio assunto da tali profili;

- infine, l’odierna ricorrente sottolineava l’assenza di elementi di prova in ordine all’esistenza di un intento elusivo.

In data 19 ottobre 2011, si teneva l’audizione presso l’Isvap, durante la quale CAA rappresentava ulteriori argomentazioni difensive.

In data 14 marzo 2012, l’Isvap adottava il provvedimento impugnato, con il quale ribadiva la propria posizione, osservando che “l’elusione si configura nell’applicazione di premi eccessivamente elevati per alcune categorie di assicurati, ingiustificati dal punto di vista tecnico, e l’assenza di contratti per i profili interessati conferma l’abnormità dei premi proposti per tali profili”, e, conclusivamente, che “l’analisi della tariffa applicata da Credite Agricole, in vigore al 1° ottobre 2010, ha messo in evidenza che la compagnia ha applicato fattori di soggettività e arbitrarietà per effetto dei quali la suddetta tariffa non risulta coerente con le basi tecniche di riferimento (dati aziendali, di gruppo e dell’intero mercato), determinando premi significativamente elevati, non giustificati, rispetto ad alcune categorie di assicurati e per alcune zone territoriali”.

Premessa l’esposizione del quadro giuridico di riferimento, in particolare con riguardo alla declinazione del concetto di libertà tariffaria, il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

1. INESISTENZA O NULLITÀ DELLA NOTIFICAZIONE DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO.

Il provvedimento è stato notificato presso la precedente sede legale di CAA.

2. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 35 CAP . VIOLAZIONE DELL’ART. 3 L. N. 241/90. ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETÀ.

L’impresa, in mancanza di proprie basi tecniche sufficientemente ampie ed estese ad almeno cinque esercizi, può fare ricorso a dati statistici di mercato, senza restrizione alcuna.

CAA è stata autorizzata all’esercizio dell’attività assicurativa solo nel 2008 e ha dovuto, quindi, avvalersi di rilevazioni statistiche, anche particolarmente autorevoli, come quelle dell’ANIA.

L’Isvap ha criticato l’utilizzo di analisi diverse da parte di diverse compagnie, senza chiarire perché tale comportamento avrebbe avuto effetti distorsivi.

L’art. 35 del CAP consente espressamente di fare riferimento alle “informazioni in possesso di uno o più organismi costituiti tra le imprese esercenti l’assicurazione obbligatoria autoveicoli”.

L’ANIA è il più vasto e rappresentativo organismo di questo tipo.

Non è chiaro, quindi, perché l’Isvap consideri gli elementi statistici da essa forniti una base tecnica non adeguata.

3. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI DERIVAZIONE COMUNITARIA DELLA LIBERTÀ IN MATERIA DI TARIFFE ASSICURATIVE. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LIBERTÀ DI INIZIATIVA ECONOMICA DI CUI ALL’ART. 41 COST. ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO E DIFETTO DI ISTRUTTORIA.

L’Isvap ha ritenuto inadeguati gli elementi statistici utilizzati dalla ricorrente, ai fini della determinazione della tariffa RCA, senza indicare quali caratteristiche gli elementi statistici dovrebbero avere per essere considerati attendibili.

L’Istituto ha agito essenzialmente quale autorità calmieratrice, in modo tale, cioè, da riportare le tariffe ritenute, in modo apodittico e aprioristico, eccessivamente onerose, entro ambiti medi di mercato.

Si è affidato, inoltre, all’uso di espressioni quali “soggettività” ed “arbitrarietà”, senza giustificare in termini tecnici ed economici da quali elementi ha desunto tale valutazione.

4. ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE. VIOLAZIONE DELL’ART. 314 CAP.

L’Isvap ha ignorato le argomentazioni difensive di CAA attinenti la necessità di un accertamento concreto dell’elusione dell’obbligo a contrarre, mediante la rigorosa prova di una trattamento discriminatorio nei confronti di talune categorie di assicurati, non giustificabile alla stregua delle basi tecniche adottate per l’elaborazione della tariffa.

L’Istituto, inoltre, si è limitato a contestate le scelte tecnico – attuariali effettuate.

In particolare, secondo CAA:

(a) non ha dimostrato il carattere discriminatorio della tariffa se non inferendolo dall’utilizzo di parametri definiti apoditticamente “soggettivi ed arbitrari” in quanto non condivisi dall’Autorità quali: (i) la variabile “congruità bonus-malus/età”;
(ii) la variabile utilizzata per tenere conto dell’incidenza delle frodi;
(iii) le variabili “infocar” e “sinistrosità pregressa”;

(b) non ha dimostrato un’incoerenza tra le basi tecniche e i premi, ma si è sostituita alla compagnia nel determinare le basi statistiche di riferimento, laddove ha contestato (i) l’utilizzo da parte di CAA dei dati relativi ai coefficienti di personalizzazione applicati da alcune compagnie (peraltro rappresentative di una quota assolutamente maggioritaria del mercato), nonché (ii) l’utilizzo delle conoscenze tecniche del personale della Direzione Tecnica di CAA nel corso della precedente attività di analisi tariffaria sviluppata presso un operatore di mercato significativamente attivo nei rami RCA;

(c) non ha compiuto alcuna indagine specifica sull’intento discriminatorio nei confronti di una categoria di assicurati o di una parte del territorio italiano.

L’elusione, secondo la migliore dottrina, non è una categoria giuridica formale ma una categoria logica, che si caratterizza per la sussistenza di un comportamento lecito posto oggettivamente in essere unicamente allo scopo di eludere un obbligo di legge.

Con la conseguenza che, laddove, come nel caso in esame, la differenziazione tariffaria sia giustificata da ragioni oggettive, l’accertamento dell’elusione di tale obbligo non può che derivare dall’accertamento dell’intento elusivo.

La sussistenza di un intento elusivo sarebbe smentita, comunque, dalle stesse risultanze istruttorie.

Difatti:

(A) i presunti errori compiuti da CAA nell’elaborazione della propria tariffa riguarderebbero innanzitutto le basi statistiche utilizzate e, dunque, tutti gli assicurati di CAA, senza alcuna discriminazione:

(B) non può essere considerata di per sé discriminatoria la scelta di alcuni parametri di differenziazione: stante la libertà sancita dalla legge, qualsiasi parametro può essere legittimamente utilizzato, purché ciò non sia espressamente vietato dalla legge e purché l’utilizzo del parametro sia supportato da adeguate basi statistiche:

(C) la Compagnia ritiene di avere fornito ampie prove dell’assenza di un intento elusivo, sia fornendo una giustificazione concreta e reale dell’assenza di polizze sottoscritte in determinate zone (dovute alla mancata presenza del canale bancario attraverso cui avviene la distribuzione) e, invece, dimostrando come una delle zone cui si riferisce l’asserita discriminazione (la provincia di Napoli), sia una di quelle con la maggiore penetrazione da parte di CAA, sia dimostrando come, in termini relativi, i coefficienti di differenziazione applicati siano in realtà meno penalizzanti di quelli desumibili dalle statistiche ANIA;

(D) non è poi dato comprendere la rilevanza dell’asserito erroneo utilizzo da taluni parametri (come “Infocar” e “sinistrosità pregressa”), i quali non hanno alcuna rilevanza rispetto ai profili oggetto di accertamento, entrambi riferiti ai diciottenni in classe di ingresso.

Circa la definizione di “premio eccessivamente elevato”, parte ricorrente lamenta poi il fatto che tale determinazione quantitativa non costituisca il frutto di una iniziativa pubblica dell’Istituto, ma di una decisione unilaterale, contraria al dovere di trasparenza.

Peraltro, nel caso in esame, i premi calcolati sulla base dei dati ANIA, e dunque dei premi medi di mercato, definiscono livelli di prezzo per molti profili e per molte province superiori al limite massimo di 4.500 euro applicato da CAA.

La Compagnia sottolinea ancora che il livello del prezzo di una copertura RCA è determinato esclusivamente dalla frequenza e dal costo medio dei sinistri statisticamente attesi per tale profilo di rischio.

Si tratta di fattori che non sono legati in alcun modo alle normali disponibilità del consumatore/utente, e quindi il prezzo della copertura RCA può eccedere tali disponibilità senza per questo potere essere considerato come dimostrazione di un intento elusivo.

Circa le affermazioni dell’Isvap in ordine ai rapporti tra personalizzazione tariffaria e principio mutualistico, fa poi osservare che l’equità del principio mutualistico prevede che ogni singolo partecipante alla mutualità contribuisca in proporzione all’entità del rischio che trasferisce alla comunità stessa.

La determinazione dell’entità del rischio trasferito è l’obiettivo delle tariffe personalizzate che sono quindi fattore di equità nella mutualità e non elemento di contrapposizione a tale principio come indicato dall’Isvap.

Parte ricorrente soggiunge, ancora:

- la contestazione circa l’utilizzo dei dati delle altre compagnie, non tiene conto del fatto che esse costituiscono la quota assolutamente maggioritaria del mercato italiano;

- quanto ai dati ANIA, essi sono notoriamente insufficienti a considerare tutte le variabili prese in considerazione dal mercato e si basano su una analisi univariata dei diversi fattori di personalizzazione e non su una analisi multivariata, come richiesto dall’Isvap;

- in merito all’utilizzo della variabile “congruità bonus-malus/età” non si tratta, come ritiene l’Isvap, di un aggiramento della legge Bersani (l.n. 30/2007). La compagnia provvede infatti ad attribuire ai neoassicurati la classe di merito prevista da tale legge, limitandosi tuttavia ad applicare un fattore di correzione che tenga conto degli effetti distorsivi sulla stabilità del portafoglio derivanti dall’applicazione di tale norma.

Il fenomeno è stato evidenziato sia dalla stessa Autorità sia dalle associazioni di categoria, le quali hanno fatto osservare che, per effetto del decreto Bersani, si è avuto un progressivo scivolamento degli assicurati nelle prime tre classi di merito, con la conseguenza che esse, in assenza di parametri correttivi, sono destinate a perdere ogni significato ai fini della identificazione del profilo di rischio, e, quindi, di premio, con effetti che vanno a scapito degli assicurati virtuosi.

Parte ricorrente stigmatizza pure il fatto che l’Autorità abbia imputato alla Compagnia di “aggravare il costo dei sinistri” a fronte di oneri derivanti dalla proprie inefficienze e della incapacità di arginare gli effetti delle frodi.

Infatti, l’Autorità non ha compiuto alcuna verifica in ordine ad eventuali mancanze per tale profilo e, comunque, non ha valutato che la considerazione di tale fenomeno nell’ambito della tariffa è necessaria al fine di coprire gli elevati costi connessi alla prevenzione e gestione dei sinistri che presentano elementi di sospetta frode.

Tali costi sono particolarmente elevati per una compagnia come CAA priva di organizzazione propria sul territorio.

Le contestazioni relative alle variabili “Infocar” e “sinistrosità pregressa”, non hanno tenuto conto del fatto che tali coefficienti sono il risultato di analisi multivariate, pienamente coerenti con la logica tariffaria indicata dall’Autorità.

Pure generiche risultano le contestazioni relative alla variabile “altro conducente di età inferiore ai 26 anni”.

Si tratta, peraltro, di parametri che non rilevano rispetto ai profili oggetto di contestazione.

Infine, la recente riduzione del premio massimo di tariffa non può essere considerata come il tacito riconoscimento di un precedente comportamento elusivo, essendo semplicemente la conseguenza di una scelta commerciale dell’impresa.

Si è costituito, per resistere, l’ISVAP, cui, nel corso del giudizio, è succeduto l’IVASS.

Con memoria depositata in data 18.5.2012, ha in primo luogo analizzato la fattispecie dell’obbligo di contrarre, disciplinata dall’art. 132 del decreto legislativo n. 209/2005 e ha illustrato i passaggi essenziali della determinazione della tariffa nel ramo r.c. auto.

Ha evidenziato, altresì, che le disposizioni di cui agli artt. 35 e 132 del codice delle assicurazioni non implicano un vincolo di attestazione della tariffe sui livelli medi di mercato ma prevedono che la specificità dei rischi assunti debba essere correlata con il quadro tariffario generale, in modo da consentire all’impresa di agire in modo equilibrato per ogni zona o fascia di utenza.

Ciò che è sanzionato, quindi, è solo la pratica di condizioni tariffarie svincolate da parametri tecnico – attuariali.

L’art. 314, comma 2, del d.lgs. n. 209/2005 ha un tenore letterale sostanzialmente invariato rispetto al testo dell’abrogato art. 11 della l. 24.12.1969, n. 90, come modificato dall’art. 25 della l. 12.12.2002, n. 273.

Nello specifico, quanto ai rilievi concernenti la notifica del provvedimento impugnato, ha posto l’accento sul fatto che l’atto è stato comunque ricevuto da CAA nella nuova sede legale.

Ha quindi controdedotto rispetto ai motivi concernenti le basi statistiche utilizzate.

In attuazione della normativa primaria, il regolamento ISVAP n. 16 del 4 marzo 2008 ha statuito che debbano essere compiutamente descritte le basi tecniche utilizzate nonché le verifiche effettuate sulla presa in carico dei rischi e dei sinistri costituenti la banca dati di riferimento.

Nell’ipotesi di impiego di basi tecniche esogene il Regolamento n. 16 prescrive che l’attuario incaricato dall’impresa, ai sensi dell’art. 34 del Codice, descriva le valutazioni compiute in ordine all’affidabilità delle basi stesse, e, se possibile, gli eventuali controlli compiuti.

Il gravato provvedimento, motiva puntualmente le ragioni per le quali i riferimenti statistici assunti dall’impresa non possono essere legittimamente considerati come basi tecniche esogene e per le quali, altresì, le tariffe praticate risultino incoerenti rispetto alle stesse.

Relativamente alla sentenza resa dalla Corte di Giustizia in data 28 aprile 2009, nella causa C- 518/06, evidenzia poi come la Corte abbia ritenuto che, ancorché l’obbligo a contrarre restringa la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, esso sia giustificato da ragioni imperative di interesse pubblico consistenti nell’obiettivo di protezione sociale delle vittime di incidente stradali.

Secondo la Corte, l’obbligo di contrarre non impedisce alle imprese di assicurazioni di calcolare una tariffa più elevata per un contraente residente in una zona caratterizzata da un numero rilevante di sinistri rispetto ad un contraente residente in una zona a rischio meno elevato.

Inoltre, l’obbligo per le imprese di calcolare in modo distinto i premi puri ed i ricarichi conformemente alle loro basi tecniche sufficientemente ampie e risalenti ad almeno cinque anni – avente in illo tempore fonte negli artt. 11, comma 1, bis della l. n. 990/69 e all’attualità nell’art. 35, n. 1 del codice delle assicurazioni private – non realizzata un sistema di previa autorizzazione o di comunicazione sistematica delle tariffe.

Tale regola perciò non impone alla imprese di assicurazioni di orientare le loro tariffe in base alla media di mercato, ma le stesse, in caso di indisponibilità di tali basi, possono fare ricorso a rilievi statistici del mercato in via suppletiva e sussidiaria.

L’Istituto sottolinea ancora che, consistendo l’elusione nell’uso di uno strumento in sé lecito (nel caso di specie l’esercizio della libertà tariffaria) per raggiungere, indirettamente, il risultato vietato, definire in termini puntuali l’intera gamma di ogni possibile comportamento elusivo – nei termini divisati da controparte a ritenuta tutela del principio di legalità – avrebbe introdotto elementi di rigidità nell’intervento della vigilanza, vanificando l’esistenza stessa della sanzione della fattispecie elusiva.

La riprova del fatto che la fattispecie elusiva è ontologicamente insuscettibile di essere cristallizzata in una norma di rango primario si rinviene nel parere espresso dal Consiglio di Stato sullo schema del Codice, ove è stato rilevato che il termine “elusione” (come già nell’art. 12-quater della legge n. 990/1969) deve ritenersi comprensivo di ogni ipotesi di inadempimento dell’obbligo a contrarre (Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, 14 febbraio 2005, n. 11603/04);

L’analisi tecnica effettuata dall’Isvap ha mostrato un chiaro ed inequivoco intento elusivo.

Oggetto di contestazione e di successiva sanzione sono stati, per il settore relativo alle autovetture (settore I), i cofficienti tariffari applicati per le variabili “zona territoriale”, “sesso/età”, e “anzianità di patente” che hanno comportato l’applicazione di premi significativamente elevati nelle province di Ancona, Bari, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e Roma, Cagliari, Genova e Perugia rispetto alla categoria di assicurati con le seguenti caratteristiche: diciottenne di sesso maschile, assicurato per la prima volta, formula tariffaria Bonus Malus in classe d’ingresso, massimale minimo di legge, automobile 1300 cc, benzina.

Per la tariffa relativa ai motoveicoli (settore V) sono stati contestati i coefficienti tariffari applicati per la variabile “zona territoriale”, che ha comportato l’applicazione di premi significativamente elevati nella provincia di Napoli rispetto alla categoria di assicurati con le seguenti caratteristiche: diciottenne di sesso maschile, assicurato per la prima volta, formula tariffaria Bonus Malus in classe d’ingresso, massimale minimo di legge, motociclo 250 cc.

I suddetti premi sono risultati, come esposto nel seguito, non giustificati tecnicamente.

Sono stati rilevati, inoltre, ulteriori elementi di incoerenza nella determinazione della tariffa con particolare riferimento alle variabili “Infocar”, “sinistrosità pregressa”, “altro conducente di età inferiore ai 26 anni” e “congruità bonus-malus/età”.

La Compagnia, autorizzata all’esercizio dell’assicurazione r.c. auto nel 2008, non disponendo di proprie basi tecniche sufficientemente estese, ha calcolato il fabbisogno in funzione delle basi tecniche ANIA.

Per la valorizzazione dei coefficienti di personalizzazione, invece, ha impiegato analisi condotte su alcune imprese operanti sul mercato italiano e considerazioni empiriche supportate da indagini di mercato.

Nel dettaglio, i coefficienti di premio sono stati determinati come medie dei coefficienti applicati in tariffa da alcune compagnie operanti sul mercato e/o sulla base dell’esperienza della Direzione Tecnica della società presso un’altra impresa esercente il ramo r.c.a..

Al riguardo, l’Autorità ha in particolare osservato che i coefficienti applicati da altre compagnie non possono essere considerati una base statistica idonea alla determinazione della tariffa, in quanto essi, anche se definiti in coerenza con le basi tecniche di riferimento di ciascuna compagnia, non garantiscono in media la coerenza con una base statistica “di mercato”, potendo essere il risultato di analisi diverse, univariate o multivariate, che tengono conto in misura diversa, o non considerano affatto, la correlazione con altre variabili di tariffazione.

Le basi tecniche di mercato a cui si riferisce la normativa sono costituite dai dati “grezzi”, ovvero non elaborati, relativi alla rappresentazione della sinistrosità dei rischi di mercato in funzione delle diverse possibili variabili di personalizzazione.

A titolo di esempio, si consideri un’impresa A che abbia determinato i coefficienti della variabile “sesso/età” sulla base di un’analisi multivariata che abbia tenuto conto dell’effetto congiunto sulla sinistralità della predetta variabile e della ulteriore variabile “anzianità di patente”;
si consideri poi una seconda impresa B che, invece, non utilizzi ai fini della personalizzazione la variabile “anzianità di patente” e che abbia determinato i coefficienti della variabile “sesso/età” sulla base di un’analisi univariata.

Si supponga, inoltre, che la sinistralità del portafoglio rischi al variare del sesso e dell’età sia la medesima per le due imprese.

I coefficienti relativi alla variabile “sesso/età” delle due imprese non sono confrontabili poiché, ad esempio, il coefficiente determinato dall’impresa A per la classe dei più giovani sarà più contenuto di quello individuato dall’impresa B per il solo fatto che, per la prima, la rischiosità è spiegata in parte dalla variabile “sesso/età” ed in parte dalla variabile “anzianità di patente”, mentre per la seconda è spiegata unicamente dalla variabile “sesso/età”.

Il calcolo di un coefficiente tariffario per la variabile “sesso/età” per una terza impresa, come media dei due predetti coefficienti, comporterebbe pertanto una distorsione sia nel caso si utilizzasse anche la variabile “anzianità di patente” sia nel caso che quest’ultima non venisse utilizzata: nel primo caso, infatti, risulterebbe un coefficiente ingiustificatamente superiore a quello tecnico che esprime la porzione di rischiosità dovuta alla variabile “sesso/età”, nel secondo caso ingiustificatamente inferiore.

Peraltro, mentre per il settore delle autovetture la compagnia ha fatto riferimento alle tariffe delle compagnie che operano con canale distributivo “tradizionale”, per i motocicli ha privilegiato quelle relative alle compagnie operanti tramite canale diretto laddove i relativi coefficienti risultassero superiori a quelli del canale distributivo tradizionale e, comunque, nelle province prive di filiali.

Ciò evidenzia l’adozione di scelte arbitrarie, non giustificate da qualsivoglia supporto statistico.

Ulteriori elementi di incoerenza sono stati introdotti in tariffa laddove la compagnia ha apportato delle modifiche ai coefficienti così determinati adducendo motivazioni che esulano dall’osservazione della effettiva sinistralità.

Per la variabile “zona territoriale” utilizzata nella tariffa relativa alle autovetture, infatti, la compagnia ha applicato dei coefficienti correttivi, a base regionale, definiti “strategici”, che comportano, per alcune Regioni, una significativa maggiorazione (fino al 30% per Campania e Puglia) per i coefficienti determinati come media dei coefficienti applicati dalle altre compagnie.

Al riguardo, la compagnia ha sostenuto che la maggiorazione è dovuta alla necessità di coprire i costi connessi alla prevenzione, gestione e accertamento dei sinistri che presentano elementi di sospetta frode, particolarmente elevati per una compagnia priva di organizzazione propria sul territorio.

Dalla documentazione fornita dalla società, tuttavia, risulta che la scelta di aumentare il coefficiente territoriale di alcune zone è stata effettuata al fine di evitare, prudenzialmente, fenomeni di clienti con residenze lontane e quindi probabilmente non correntisti in alcune regioni tradizionalmente non redditizie, dove la compagnia non ha filiali.

Discorso a parte è stato fatto per la Campania, con forte presenza di filiali ma considerata tradizionalmente pericolosa;
in questo caso la maggiorazione è stata motivata con la volontà di arginare eventuali fenomeni di antiselezione o fraudolenza non conoscendo la rapidità dei controlli da parte del nuovo sistema bancario-assicurativo.

La maggiorazione applicata non risulta, in ogni caso, supportata da alcuna evidenza statistica: non risulta, pertanto, garantita la coerenza con le basi tecniche individuate dalla compagnia.

Peraltro, i costi citati non possono essere considerati parametri di personalizzazione in quanto non riferiti a caratteristiche oggettive dei rischi assicurati, né relative al veicolo né all’assicurato.

Le frodi non incidono sulla probabilità di causare sinistri, semmai provocano indirettamente un aumento della frequenza, che la compagnia ha interesse a ridurre mediante opportuni piani di intervento;
tale interesse verrebbe meno se i costi di prevenzione potessero essere ribaltati sul premio fatto pagare agli assicurati.

In relazione alle variabili “sesso-età” e “anzianità di patente”, per la tariffa delle autovetture, la Compagnia ha inteso dare dimostrazione della coerenza delle proprie tariffe con i dati di mercato evidenziando che la variabilità dei premi risulta in linea con quella di ipotetici premi desunti dalle statistiche ANIA per la sola variabile “sesso-età”.

Al riguardo si osserva che tale giustificazione a posteriori non garantisce che i suddetti premi siano stati determinati in coerenza con le basi tecniche a priori individuate dall’impresa.

Sul punto l’Autorità ribadisce che non è stato fornito alcun supporto statistico della maggiorazione di premio applicata per anzianità di patente inferiore a 3 anni, indipendentemente dalla relativa nazionalità.

Con riferimento alle altre variabili oggetto di contestazione per la tariffa delle autovetture, “Infocar”, “sinistrosità pregressa” “altro conducente di età inferiore ai 26 anni” e “congruità bonus-malus/età”, pur se ininfluenti sui premi del profilo oggetto di contestazione, il rilievo ha riguardato l’incoerenza dell’impianto tariffario nel suo complesso in quanto sono state adottate basi statistiche non adeguate, perché riferite ad altra compagnia operante sul mercato che non ha alcun legame societario con Crèdit Agricole né affinità in termini di canale distributivo e di potenziale portafoglio assicurato.

In particolare, la variabile “congruità bonus-malus/età” risulta essere un parametro di personalizzazione illegittimo in quanto, sulla base di quanto asserito dalla società stessa, esso viene impiegato per “correggere” gli effetti distorsivi derivanti dall’applicazione della legge Bersani: essa opera, infatti, in modo tale da neutralizzare i relativi benefici, laddove, ad esempio, al diciottenne che abbia diritto alla classe di massimo bonus viene applicata una maggiorazione tale da ricondurre il premio a quello della 14-ma classe di bonus-malus.

Da quanto sopra esposto, pertanto, emerge che il rilievo effettuato dall’Autorità si è riferito sia alla scelta delle basi tecniche nel loro complesso, ritenute non idonee, sia all’adozione di scelte arbitrarie nel loro utilizzo, ad esempio per quanto riguarda i motoveicoli, sia all’adozione di parametri non supportati da evidenze statistiche.

Ciò in quanto l’insieme di questi elementi ha comportato una discriminazione nei confronti di alcune categorie di assicurati.

L’Istituto evidenzia ancora che la compagnia, a seguito della contestazione dell’Autorità, ha potuto ridurre il plafond e quindi i premi più elevati, senza compromettere il fabbisogno e quindi la propria stabilità.

Parte ricorrente, con memoria depositata in data 16.11.2012, ha replicato alle osservazioni contenute nella memoria di costituzione dell’ISVAP.

Essa ritiene non corretta, in primo luogo, l’affermazione dell’Istituto secondo cui avendo fatto ricorso alle tariffe di mercato al fine di individuare i coefficienti di personalizzazione per la costruzione della propria tariffa, essa avrebbe di fatto utilizzato basi statistiche disomogenee, potendo le tariffe di mercato potenzialmente essere il risultato di analisi diverse, univariate o multivariate.

Sul piano di fatto, tale affermazione non considera che l’intero mercato italiano è caratterizzato da tariffe che si fondano prevalentemente su analisi statistiche multivariate, essendo l’analisi univariata una prerogativa esclusiva delle sole statistiche elaborate dall’ANIA.

E’ noto che, sul piano statistico – attuariale, le analisi univariate determinano un chiaro effetto distorsivo nella determinazione del premio, moltiplicando ed accentuando esponenzialmente la rilevanza dei singoli coefficienti utilizzati.

Di conseguenza, in nessun modo CAA avrebbe potuto costruire una tariffa RC auto affidabile sulla base delle basi tecniche suggerite dall’ISVAP.

L’esperienza empirica e la scienza attuariale insegnano poi che, dal punto di vista statistico, i risultati delle analisi multivariate compiute su portafogli assicurativi diversi tendono alla convergenza quanto più le basi dati sono ampie e complete e quanto più le analisi tariffarie sono qualitativamente ottimizzate.

In questo senso, l’utilizzo dei risultati di analisi statistiche multivariate compiute da altre compagnie, specie se esse rappresentano la maggiore significatività del mercato, appare tecnicamente corretta, previa verifica della coerenza dell’impianto tariffario esaminato con quello proprio, e tanto più se le analisi stesse vengono condotte su variabili assicurative tipiche dell’intero mercato fortemente autocorrelate, per le quali non sono utilizzabili i risultati di analisi univariate.

Rispetto ad alcune tipologie di variabili che per loro natura sono indipendenti (come la personalizzazione legate al territorio), è poi normale prassi attuariale il ricorso a medie di mercato.

Si tratta di un fenomeno così frequente da essere stato addirittura rilevato in una indagine dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, relativa all’anno 2003.

In nessun modo le norme primarie e secondarie applicabili stabiliscono che le basi tecniche di mercato debbano essere costituite dai dati “grezzi”, come sostenuto solo ora dall’Isvap.

Tali dati, peraltro, non esistono, fatte salve le statistiche univariate elaborata dall’ANIA, che non consentono, però, di costruire una tariffa affidabile e coerente.

Esse, come già evidenziato, sono elaborate su base univariata ed amplificano l’effetto moltiplicativo delle singole variabili tariffarie

Inoltre, sono pubblicate con alcuni anni di ritardo.

Ciò era particolarmente rilevante nel periodo oggetto di sanzione in cui erano appena entrati in vigore alcuni rilevanti provvedimenti (come il sistema di indennizzo diretto – CARD e la l. n. 40/2007, c.d. decreto Bersani).

Le statistiche ANIA, comunque, non considerano alcune variabili di personalizzazione ordinariamente adottate dal mercato.

Seguendo il ragionamento dell’Isvap, nessuna compagnia di recente costituzione potrebbe entrare sul mercato RC auto, oppure potrebbe entrare solo a condizione di elaborare una tariffa non competitiva.

Nel caso di specie, come ampiamente evidenziato nel corso del procedimento, CAA, essendo una compagnia di recente operatività ha utilizzato:

(i) i dati statistici ANIA disponibili per costruire il fabbisogno tariffario teorico;

(ii) le analisi compiute sui dati tariffari di mercato di compagnie attive nel settore RC auto rappresentative di poco meno dell’80% del mercato;

(iii) le risultanze di una tariffa RC auto di una società già operante sul mercato nella quale la Direzione Tecnica di CAA aveva svolto analoghe attività di analisi ed elaborazione tariffaria, con la validazione del medesimo attuario incarico, corrette con l’applicazione di elementi di generalizzazione al fine di correggere le peculiarità del portafoglio sottostante.

L’elevata entità di un premio non implica di per sé e necessariamente l’adozione di un comportamento discriminatorio nei confronti dell’assicurato cui viene applicato, se non nella misura in cui il premio si collochi significativamente al di fuori del range di variabilità dei premi per la medesima tipologia di rischio.

Le affermazioni dell’ISVAP relative alla successiva fissazione da parte di CAA di un livello di plafond dei rischi, non ha alcun rilievo probatorio, ove si consideri che l’assenza di impatto sulla copertura del fabbisogno tariffario è l’ovvia conseguenza dell’assoluta marginalità statistica dei rischi peggiori.

La Compagnia ritiene poi contraddittorio che l’Istituto, da un lato, ammetta l’esistenza della “libertà tariffaria, pacificamente riconosciuta dall’apparato di norme vigenti in Italia”, e dall’altro assuma che qualsiasi asserito errore nella scelta della base statistica da utilizzare abbia di per sé una finalità ed un effetto elusivo nei confronti di una certa categoria di assicurati, seppure l’errore statistico riguardi tutta la base statistica, e quindi l’intera massa degli assicurati.

L’approccio totalmente discrezionale adottato dall’Autorità nel determinare quali basi tecniche utilizzare, determina una violazione del principio di legalità, e quindi di tassatività delle sanzioni amministrative, ponendo le compagnie assicurative in una situazione di sostanziale incertezza circa i comportamenti da adottare.

L’ISVAP, inoltre, sembra confondere l’elusione con l’illecito relativo all’utilizzo di basi tecniche non coerenti, sanzionato dal primo e non già dal secondo comma dell’art. 314 del CAP.

Parte ricorrente sottolinea infine che tutti i rilievi dell’Autorità si riferiscono alle basi statistiche utilizzate per la generalità degli assicurati, senza che ciò possa determinare un effetto discriminatorio per alcune categorie.

Le statistiche relative all’incidenza della truffa in alcuni territori fanno parte dell’esperienza comune del mercato e quindi del patrimonio di dati liberamente utilizzabili dalle compagnie per l’elaborazione della tariffa.

L’ISVAP riconosce la piena libertà tariffaria delle compagnie, ammettendo uno scostamento dei premi rispetto a quanto ricavabile dalle sole basi tecniche, anche per finalità commerciali.

Tale affermazione di principio è tuttavia resa vana laddove, in assenza di limiti certi e predeterminati nell’ambito dei quali la compagnia sia libera di discostarsi dai risultati tecnici, l’Istituto contesti poi ogni e qualsivoglia scostamento, con una violazione non solo del principio di libertà tariffaria, ma anche di quello di legalità e tassatività delle sanzioni amministrative.

Non è dato intendere, ancora, come la localizzazione geografica dei fenomeni di truffa si distingua dalla localizzazione geografica dei sinistri, variabile pacificamente accettata dall’autorità ancorché non attenga ad una qualità del singolo veicolo o individuo assicurato.

Né è dato intendere perché una compagnia, nell’adottare un simile coefficiente correttivo, non possa tenere conto delle propria particolare struttura organizzativa (caratterizzata dalla gestione centralizzata delle pratiche) che, come evidenziato nel corso del procedimento, la rende particolarmente esposta alle truffe in alcune regioni ed accentua quindi ancor più i costi di gestione dei relativi fenomeni.

L’Autorità, dal canto suo, con memoria depositata il 16.11.2012, ha sottolineato che attività di vigilanza relativa al rispetto della disciplina del quadro tecnico nel quale le imprese di assicurazioni devono calcolare i loro premi costituisce una valutazione che è espressione di discrezionalità tecnica, in quanto l’accertamento relativo viene compiuto applicando regole tecnico-specialistiche che sono caratterizzate da una fisiologica ed ineliminabile opinabilità.

Il ricorso, in sostanza, si diffonde a contrapporre al giudizio (pur opinabile) espresso dall’amministrazione in merito all’incoerenza delle tariffe rispetto alle basi tecniche relative, un diverso giudizio, non meno opinabile, che invece quella coerenza afferma, con la conseguenza della rispondenza della condotta dell’impresa rispetto al paradigma normativo di rango primario e secondario e, per converso, con la ritenuta consequenziale illegittimità degli atti impugnati.

In mancanza di una tale prova si ritiene che il giudice amministrativo non possa che privilegiare le valutazioni espresse dall’amministrazione resistente - cui spetta istituzionalmente la cura dell’interesse pubblico sotteso alla vigilanza assicurativa - accertando l’incoerenza delle tariffe rispetto alle basi tecniche.

Gli accertamenti e le valutazioni prodromiche alla sanzione per cui è ricorso sono state effettuate da un organo tecnico di ampia e specifica esperienza, sicuramente affidabile in ragione delle garanzie di imparzialità connesse alla sua posizione di terzietà, mentre, a fronte della particolare attendibilità che i citati elementi conferiscono alle contestazioni della Vigilanza, le affermazioni ricorsuali del soggetto sanzionato non sono sufficienti a convincere circa l’inattendibilità di un tale compendio tecnico.

Le valutazioni effettuate dall’organo di Vigilanza, in definitiva, sono il risultato di un processo nel quale know how tecnico, esperienza professionale ed applicazione della normativa di vigilanza fondatamente inducono a negare che ex adverso sia stata fornita effettiva prova di complessiva inattendibilità delle conclusioni raggiunte dall’Amministrazione resistente.

Il punto focale dell’intera questione, in sostanza, è rappresentato dall’attribuzione all’amministrazione medesima da parte del legislatore di un complesso di valutazioni tecnico-discrezionali - sulla base della scienza attuariale, nel caso in specie - e dal tipo di controllo che il giudice può effettuare su tali valutazioni.

Ciò che rileva nelle materie affidate alle Autorità amministrative indipendenti, rispetto alle altre amministrazioni pubbliche, tra l’altro, non è solo l’oggettività delle questioni tecniche, bensì la tipologia degli interessi in gioco, di indubbio rilievo costituzionale - nel caso in esame l’art. 47 Cost. - e la loro crescente importanza sociale, profilo questo che con riguardo ai fini dell’assicurazione obbligatoria r. c. auto assume significato ancora più pregnante.

Al di fuori di tali confini si verificherebbe una sostituzione del giudice all’amministrazione nella cura dell’interesse pubblico passando dal controllo dell’attendibilità della valutazione - che riguarda il corretto accertamento ed esame dei fatti e dei documenti forniti a giustificazione della ritenuta incoerenza delle tariffe rispetto alle basi tecniche - al diverso e distinto sindacato sulla valutazione operata dall’amministrazione cui segua una nuova autonoma valutazione giudiziale in sostituzione della precedente.

In replica, CAA ha osservato che, nella specie, l’uso del potere discrezionale da parte dell’Autorità non risulta immune da vizi, sia sotto il profilo logico che quello tecnico.

Richiamata la consolidata giurisprudenza relativa al sindacato sulla discrezionalità tecnica, ritiene che la natura di autorità indipendente dell’Istituto, come pure l’esercizio di poteri di discrezionalità tecnica, non possa condurre ad un minore rigore nell’identificazione della concreta fattispecie di violazione amministrativa.

L’Istituto ha ribadito che i coefficienti tariffari, anche se determinati dalle singole compagnie in coerenza con le rispettive basi tecniche di riferimento, non possono essere aggregati al fine di costituire una’unica base di mercato. Solo dati non elaborati possono essere aggregati, senza provocare distorsioni nell’interpretazione dei dati stessi.

Quanto ai rilievi sugli asseriti effetti distorsivi delle analisi univariate, l’Autorità contesta recisamente che esse siano una prerogativa delle sole statistiche ANIA, in quanto sul mercato esistono numerosi esempi di tariffe di questo tipo.

Il ricorso a statistiche di mercato mostra un effettivo e rilevante scostamento rispetto ai premi medi praticati da altre imprese nel medesimo periodo e per le stesse aree territoriali.

Il ricorso è passato in decisione, una prima volta, alla pubblica udienza del 5.12.2012.

Con ordinanza n.703 del 22.1.2013, la Sezione ha disposto una consulenza tecnica, formulando il seguente quesito:

“Letti gli atti ed esaminata la documentazione prodotta, ed acquisiti tutti gli ulteriori elementi utili, avvalendosi dei poteri istruttori attribuiti al Collegio, anche con eventuale applicazione del criterio di giudizio ex 116 c.p.c., il consulente accerti se i premi di tariffa praticati da Credit Agricole Assicurazioni s.p.a. e che ISVAP ha ritenuto elusivi nel provvedimento impugnato, trovino invece adeguata giustificazione secondo la comune tecnica assicurativa ed attuariale, e siano coerenti con le metodologie adottate dalla stessa impresa e seguite dall’attuario professionista nella costruzione del proprio tariffario e, così, con le relative basi tecniche ed i coefficienti, tecnici e commerciali attuativi, la cui adeguatezza andrà egualmente appurata, così come andranno individuati i premi praticati da analoghe imprese assicurative per classi di rischio corrispondenti”.

A tal fine, il presidente del consiglio dell'Ordine nazionale degli attuari veniva invitato predisporre e depositare entro il 1 marzo 2013, presso la segreteria della Sezione, un elenco di almeno cinque professionisti, iscritti da almeno cinque anni all’Albo nazionale degli Attuari, sezione A o professori universitari a tempo pieno, i quali, previa verifica di eventuali profili d'incompatibilità personale, avrebbero potuto utilmente assumere l’incarico.

Con successiva ordinanza n. 3354 del 3.4.2013, la Sezione ha designato il dr. Franco Pietrobono, il quale però, successivamente, ha rappresentato la propria indisponibilità ad assumere l’incarico.

Con ordinanza n. 3661 dell’11.4.2013, l’incarico di CTU è stato affidato al prof. Augusto Bellieri dei Belliera, anch’egli inserito nell’elenco trasmesso dal Presidente del Consiglio dell’Ordine nazionale degli Attuari.

In data 30 gennaio 2014 il prof. Bellieri dei Belliera ha depositato la sua relazione finale, nella quale, dopo aver illustrato l’attività svolta è pervenuto alle seguenti conclusioni:

A) quanto al primo quesito (articolato dal CTU come segue: se i premi di tariffa praticati dalla società Crédit Agricole Assicurazioni s.p.a. trovino adeguata giustificazione secondo la comune tecnica assicurativa ed attuariale e sulla base della normativa vigente e le linee guida emanate dall’Ordine degli attuari, vigenti all’epoca dei fatti contestati, ferma la prevalenza della prima sulle seconde, e siano coerenti con le metodologie adottate dalla stessa impresa, con le basi tecniche ed i coefficienti tecnici e commerciali attuativi), «si può affermare, senza ombra di dubbio, che la tariffa Settore I Autoveicoli e Settore V motoveicoli sono state costruite seguendo la comune tecnica assicurativa attuariale e la metodologia più frequentemente utilizzata. I premi sono coerenti sia con le metodologie adottate da Crédit Agricole s.p.a., sia con le basi tecniche adottate, sia con i coefficienti tecnici ed attuativi, in quanto loro diretta conseguenza».

B) quanto al secondo quesito (articolato dal CTU come segue: se le basi tecniche ed i coefficienti utilizzati da Crédi Agricole Assicurazione s.p.a. sono adeguati), «è stato dimostrato che le basi tecniche utilizzate hanno prodotto coefficienti tecnici e commerciali adeguati ed in linea con le stesse basi. La valutazione dei coefficienti tecnici è stata effettuata sia singolarmente, sia complessivamente. A livello di singoli coefficienti sono state rilevate scelte commerciali che si discostano leggermente dalla realtà tecnica che però in base alla libertà di tariffazione, risultano non censurabili. In riferimento ai coefficienti composti che portano al risultato finale va osservato che quelli utilizzati da Crédit Agricole risultano più bassi rispetto a quelli ottenuti utilizzando le basi nazionali, sia nel settore I Autoveicoli, sia nel settore V Motoveicoli»;

C) quanto al terzo quesito (articolato dal CTU come segue: quali sono i premi praticati da analoghe imprese assicurative per classi di rischio corrispondenti), «per il profilo in contestazione sono state costruite le Tavole di raffronto tra i premi praticati da Credit Agricole e quelli delle altre Compagnie operanti sul suolo nazionale. Dall’analisi di questa Tavole risulta che i premi praticati dalla Compagnia in tutte le province sono più vicini ai valori medi di mercato che ai valori massimi [...]... Sulla base dei risultati ottenuti dalle elaborazioni effettuate si può affermare che la Compagnia Credit Agricole non ha praticato premi di assicurazione privi di ogni giustificazione tecnica e che la tariffa non può costituire una “abnormità” diretta palesemente a negare una copertura assicurativa I premi relativi al profilo contestato, anche qualora potessero essere giudicati elevati, sono comunque giustificati tecnicamente e coerenti con le basi utilizzate. Di conseguenza, a mio parere, non possono essere considerati “elusivi”, rimanendo comunque ferma la necessità che sia definito, da parte del legislatore, in modo oggettivo e quindi in termini quantitativi, il concetto di elusione ... . Si ricorda infine che, considerando le statistiche ANIA relative all’anno 2009, che coprivano l’86,6% del mercato assicurativo, i profili di rischio contestati erano rappresentanti da un numero più basso dell’unità (0,3544) per i soggetti di tipo 1 e pari a 4,4761 per i soggetti di tipo 4.

Tenendo conto di ciò e del coefficiente di penetrazione di ogni impresa, si può indubbiamente affermare che al massimo una compagnia avrebbe potuto assicurare un solo rischio avente le caratteristiche richieste nell’indagine. Appare dunque chiaro che questo potenziale assicurato considerando l’importo del premio e l’importo dei sinistri che avrebbe potuto procurare, sarebbe stato del tutto irrilevante sotto il profilo economico».

L’IVASS (succeduto all’ISVAP nelle more della definizione del presente giudizio) con memoria depositata in data 2 maggio 2014 ha diffusamente contestato l’operato dal CTU, lamentando sia una violazione del contraddittorio, sia l’erroneità del metodo utilizzato per l’espletamento della consulenza e delle conclusioni alle quali il CTU è pervenuto.

In particolare, quanto alla violazione del contraddittorio, l’Istituto sostiene che «lo schema di relazione trasmesso dal prof. Bellieri ai CT di parte ... non ha consentito, per come è strutturato, una piena esplicazione della dialettica in discorso ed i consulenti tecnici di parte non hanno avuto modo, nella fase di redazione della perizia, di esprimere le loro motivate e ragionate osservazioni in merito alle questioni facenti parte degli accertamenti»;
pertanto la consulenza tecnica d’ufficio «si è formata in maniera irregolare perché è stato sostanzialmente pretermesso il contraddittorio tra consulente tecnico d’ufficio e consulenti di parte».

Quindi l’Istituto contesta le conclusioni del CTU osservando innanzi tutto che deve ritenersi irrilevante quanto dallo stesso affermato (a pag. 28 della relazione e nelle sue conclusioni) in merito all’esiguo numero dei potenziali assicurati, perché «un prezzo non diventa più o meno ingiustamente elevato a seconda del numero dei clienti ai quali si richiede» e perché «anche se ci fosse in Italia una sola persona rispondente ad un certo profilo, essa avrebbe il dovere di assicurarsi e, dunque, il diritto di vedersi praticato un prezzo equo».

Poiché anche il CTU è d’accordo sul fatto che esistono precise condizioni perché l’approccio moltiplicativo su base univariata sia corretto, evidenzia, che, nel caso di specie, è mancata la verifica di correttezza.

Circa le valutazioni relative all’adeguatezza delle basi tecniche e dei coefficienti tecnici e commerciali, rileva alcuni dati erronei nelle tabelle 6-9 della Relazione.

Con specifico riguardo alla tabella di raffronto tra “premio commerciale teorico e premio effettivo”, sarebbe incomprensibile come, di fronte a basi tecniche e a sistemi di coefficienti che generano premi dell’ordine di grandezza riscontrato, possa parlarsi di “sostanziale adeguatezza”.

Un sistema tariffario che produce, per una parte rilevante del mercato, un premio che la Compagnia stessa ritiene impresentabile e si assume quindi l’onere di calmierare, deve giudicarsi inaffidabile.

Reputa poi improponibile il raffronto con i premi finali sui si perverrebbe, utilizzando in luogo dei coefficienti commerciali prodotti da CAA quelli tecnici desumibili dalle statistiche univariate ANIA.

Sarebbe invece utile il raffronto con gli stessi dati per quanto riguarda il confronto tra i coefficienti relativi alla variabile “provincia”.

Dalle tabelle 6 e 7 risulta che, con l’eccezione di Ancona, per tutte le province oggetto di contestazione CAA ha adottato coefficienti commerciali superiori a quelli tecnici ANIA.

Il CTU, inoltre, non avrebbe spiegato perché ritiene adeguate le basi tecniche utilizzate.

Pertanto, le tabelle 6-9, dimostrebbero soltanto che:

a) il modello tariffario di CAA genera molto spesso premi inutilizzabili, tanto da essere disattesi dalla stessa Compagnia;
gli stessi provengono quindi da basi tecniche inadeguate e/o sono prodotti con metodologia inadeguata;

b) i coefficienti commerciali utilizzati da CAA non sono coerenti con quelli tecnici ANIA, rappresentativi del mercato.

Circa il ricalcolo della tariffa, operato dal CTU, l’IVASS osserva quanto segue.

Con particolare riguardo al premio netto di tariffa, il CTU ha riprodotto gli errori che hanno condotto CAA ha generare i premi di cui l’Istituto contesta la congruità.

La radice della scorrettezza della tariffa risiede nella scelta delle variabili di personalizzazione e dei coefficienti commerciali.

Le tavole 16 e 17 del CTU procedono al raffronto con i premi medi di mercato.

Per numerose province il premio praticato da CAA risulta molto superiore a quello medio di mercato.

A parte il fatto che il quesito non richiedeva una specifica comparazione al CTU, i CTP IVASS ritengono non adeguato l’approccio in base ai c.d. “intervalli di confidenza”, in quanto disegnato per altri scopi.

Comunque, la scelta di un livello di confidenza pari al 99,5% è anormalmente elevata.

Nella maggior parte delle applicazioni il livello di confidenza è fissato al 95%.

Relativamente alle conclusioni, viene poi fatti osservare dai CTP:

- la presenza di un tetto massimo di premio, operante su un percentuale non trascurabile del portafoglio, mostra, da un lato, come l’impianto tariffario sia inaffidabile, dall’altro, poiché il premio netto di riferimento necessario per coprire il fabbisogno è calcolato in assenza di tetto, la sua introduzione genera contrazione nel flusso dei ricavi, con evidenti rischi per l’equilibrio della gestione.

- ribadiscono che, nella Relazione, non vi è traccia delle basi tecniche utilizzate da CAA, né è possibile confrontare le scelte commerciali con una realtà tecnica che non è conosciuta.

Inoltre, se è vero, come la Compagnia dichiara, che alcuni dei suoi coefficienti di personalizzazione sono stati ottenuti per media di quelli praticati dalle concorrenti, questo procedimento, seppure commercialmente accettabile, non può produrre “basi tecniche adeguate”.

- infine, il premio praticato da CAA in alcuni casi, è risultato più vicino al premio massimo che a quello medio di mercato.

L’Istituto ribadisce altresì le considerazioni già svolte nella memoria depositata in data 16 novembre 2012 in merito ai limiti del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica delle Autorità indipendenti, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 2013 del 20 gennaio 2014.

La società CAA con memoria depositata in data 9 maggio 2014 ha replicato alle considerazioni svolte dall’IVASS nella memoria depositata in data 2 maggio 2014.

In particolare la ricorrente osserva quanto segue:

A) nel processo amministrativo la consulenza tecnica d’ufficio non é un mezzo di ricerca della prova, ma un mezzo posto a disposizione del giudice per verificare e acquisire tutti gli elementi, anche di natura tecnica, esistenti, conosciuti, ovvero conoscibili al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, ossia per valutare il substrato fattuale su cui è stato esercitato il potere amministrativo e, quindi, per stabilire se il potere è stato esercitato correttamente, con la piena e dovuta conoscenza di tutti gli elementi di fatto;

B) non colgono nel segno i rilievi di controparte sulla violazione del contraddittorio, sia perché la relazione finale del CTU contiene un’accurata analisi delle posizioni di entrambe le parti, sia perché il CTU prima di redigere tale relazione ha convocato i consulenti delle parti per discutere contenuti e modalità di redazione della sua relazione.

Fa poi osservare che alcuni rilievi formulati dall’IVASS costituiscono vere e proprie integrazioni delle contestazioni a suo tempo formulate (ad esempio i rilievi relativi alla sufficienza del premio netto di riferimento).

Altri sarebbero palesemente errati.

In primo luogo, l’Istituto non ha colto il senso delle argomentazioni del CTU sull’esiguità del numero di potenziali assicurati afferenti i profili contestati, le quali intendevano evidenziare come tale dato non fosse congruente con la ritenuta elusività della tariffa.

Peraltro, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento IVASS n. 1/2013, la potenziale lesione di una quota infinitesimale di potenziali assicurati non sarebbe nemmeno suscettibile di fare attivare i meccanismi di vigilanza, per difetto di pregiudizio degli aventi diritto a prestazioni assicurative.

Nelle pagine da 34 a 36 della Relazione il CTU ha poi espresso una serie di considerazioni di carattere generale sulle strutture tariffarie di tipo moltiplicativo, ma in nessun punto ha formulato un giudizio sulla struttura della tariffa CAA che, peraltro, è stata elaborata su base multivariata.

Le tavole 6 e 8 sono assolutamente corrette e non rappresentano una errata determinazione delle tariffe CAA cui si sarebbe giunti utilizzando erroneamente “i coefficienti normalizzati” in luogo dei “coefficienti commercializzati”.

Nell’ambito delle predette tabelle il CTU si è limitato a neutralizzare l’effetto dei coefficienti delle variabili della Compagnia non utilizzate nella definizione dei profili di rischio IVASS.

Tale operazione è ritenuta da CAA assolutamente legittima e ha consentito di ottenere la ricostruzione della tariffa della Compagnia di cui alla tavola 5 che rappresenta uno degli elementi chiave a supporto delle conclusioni del CTU-

Nella tavola 6 è stato correttamente utilizzato il valore della classe di merito 13 in luogo della 14. Ciò in quanto per CAA essa rappresenta la classe di merito di ingresso per i nuovi rischi.

Quanto ai rilievi circa l’introduzione di un tetto massimo dei premi, la Compagnia ricorda come si tratti di una prassi comune di natura commerciale che riguarda tutto il mercato assicurativo italiano.

Non vi è pertanto alcuna correlazione con la asserita “inaffidabilità” o “poco accorta scelta delle variabili di personalizzazione”.

La Compagnia precisa poi che, a differenza di quanto sostenuto dai CTP Ivass, le statistiche ANIA non sono state utilizzate per costruire i premi finali indicati nelle tabelle 7 e 9 ma unicamente al fine di valutare se i coefficienti utilizzati per la tariffa di CAA determinassero anomali intervalli di personalizzazione della tariffa stessa, non compatibili con quelli ricavabili dai dati di mercato.

Relativamente alla tabella elaborata da IVASS a pag. 8 della memoria, CAA ne sottolinea il carattere errato, dovuto al fatto che i coefficienti posto a raffronto non sono stati preventivamente normalizzati.

Non è vero – ancora - che il CTU si sia limitato a seguire pedissequamente la metodologia di CAA reiterandone gli errori.

Egli ha in realtà tenuto conto della relazione dell’Attuario incaricato, valutando i contenuti che risultavano rilevanti e significativi in relazione all’asserita elusione e giungendo, comunque, a conclusioni autonome e indipendenti.

CAA ribadisce infine che l’esercizio di una discrezionalità tecnica assoluta nella fase ispettiva (in assenza di precise linee guida in ordine ai coefficienti, alle basi dati, alle variabili di personalizzazione e alle metodologie da utilizzare per costruire una tariffa R.C. Auto), costituisce una palese violazione del principio di tassatività delle sanzioni amministrative e una reintroduzione di fatto di un regime di tariffe amministrate.

La Sezione con l’ordinanza n. 6923 dell’1.7.2014, ha richiamato a chiarimenti il CTU, in ordine ai rilievi di cui alla memoria dell’IVASS depositata il 2.5.2014.

In data 1.10.2014, il CTU ha depositato una relazione aggiuntiva.

In particolare, con riferimento alla violazione del contraddittorio, il CTU osserva che:

A) tenuto conto dei quesiti formulati da questo Tribunale, egli ha chiesto ad entrambe le parti la trasmissione dei dati tecnici in loro possesso e non ha effettuato alcuna operazione come viene descritta all’art. 67, comma 3, lettera b), cod. proc. amm., «procedendo in assoluta autonomia ad effettuare i calcoli necessari a redigere la relazione tecnica»;

B) i consulenti tecnici di parte non sono stati coinvolti perché non è stata effettuata alcuna operazione così come descritta dal citato art. 67;

C) tale articolo richiede al CTU di trasmettere, alle parti o ai loro consulenti tecnici, uno schema della propria relazione, «senza precisare quanto dettagliato debba essere questo schema»;

D) egli ha quindi «trasmesso, nei termini stabiliti, lo schema della propria relazione, lasciando alla versione definitiva i calcoli dettagliati», e a questo schema di relazione «sono seguite le osservazioni dei consulenti tecnici di parte».

Quindi il CTU conferma che «l’acquisizione al più di un unico potenziale assicurato, considerando l’importo del premio e l’importo dei sinistri che avrebbe potuto procurare, sarebbe stata ininfluente sotto il profilo economico per qualsiasi impresa» e che questa osservazione non è affatto irrilevante perché «il comportamento di una compagnia che rischiasse di essere accusata di elusione dell’obbligo a contrarre per un vantaggio economico inesistente risulterebbe invero proprio singolare».

Con riferimento al modello moltiplicativo, il CTU evidenzia che, nell’allegato D alla propria relazione, ha fornito in termini generali e non in un caso particolare, le condizioni affinché l’approccio moltiplicativo su base univariata sia corretto, sia dal punto di vista del fabbisogno sia dal punto di vista dell’equità per raggruppamenti di assicurati.

L’attuale normativa non fornisce specifiche tecniche da adottare per la costruzione delle tariffe, lasciando tale scelta all’attuario incaricato.

Peraltro, nell’allegato 2 al Regolamento Isvap n. 16/2008, relativo alla fase di verifica condotta dall’Attuario incaricato, il modello univariato viene ad assumere un preciso ruolo di riferimento.

Ribadisce pertanto che, in base alla normativa vigente, deve considerarsi corretto il calcolo della tariffa RCA con il sistema moltiplicativo utilizzando distribuzioni univariate, metodo universalmente adottato dalle compagnie di assicurazione e quindi tale da risultare “la comune tecnica assicurativa ed attuariale” nel settore in esame.

Con riferimento ai rilievi relativi all’elaborazione delle tavole 6 – 8 fa notare:

- che le presenti aporie rilevate dall’IVASS, sono dovute al fatto che l’Istituto non ha considerato la necessità di normalizzazione dei coefficienti, operazione che è stata effettuata per poterli confrontare su analoghi valori ottenuti con i dati ANIA;

- il CTU ha chiaramente evidenziato che la Compagnia inserisce chi si assicura per la prima volta nella classe interna 13, corrispondente alla classe 14 della Scala di Convenzione Universale;

- circa il valore di 0,818 utilizzato come coefficiente relativo alla variabile di personalizzazione “Infocar”, si tratta di un valore alternativo individuato dal CTU tra quelli che avrebbero potuto essere utilizzati dalla Compagnia in quanto comunque coerenti con i parametri del’indagine Isvap.

Infatti, nella classe generica 1300 cc/benzina, richiesta dall’indagine, rientrano auto del gruppo 8, con coefficiente 0,794 fino ad auto del gruppo 29, con coefficiente 1,489, che un diciottenne non può guidare.

La variabile valorizzata dalla Compagnia si riferisce alla Lada Samara, 1300 cc.., cat 4 porte con 45 Kw, corrispondente al coefficiente massimo (1,037) di questo settore.

Essa, rientrando sempre nella richiesta non meglio precisata dell’IVASS, avrebbe potuto utilizzare correttamente il codice Infocar 43522/2007/01 che si riferisce ad una Ford KA con cilindrata 1299 cc., con 44 Kw, con un coefficiente più basso pari a 0,818.

In sostanza, il CTU ha voluto evidenziare che la Compagnia, per libera scelta, ha utilizzato il coefficiente più alto della classe richiesta, mentre avrebbe potuto utilizzare, sempre rientrando nella richiesta di auto 1300 cc benzina, un coefficiente molto più basso.

Egli sottolinea, come già fatto nella Relazione, che i dati risultanti dall’indagine ISVAP, statisticamente, non erano omogenei, e, pertanto, non erano confrontabili.

Relativamente all’affermazione secondo cui i premi tecnici sarebbero errati solo perché tanto alti da avere indotto la Compagnia ad applicare un tetto, obietta che l’adeguatezza può essere frutto solo di una corretto calcolo attuariale.

Il CTU, prima di esprimere un parere, ha analizzato le singole componenti della tariffa, dal punto di vista matematico – attuariale.

In particolare, egli ha costruito i premi finali attraverso le statistiche nazionali ANIA, confrontandoli poi con quelli di CAA.

Per invalidare tale raffronto non basta dichiararlo improponibile, soprattutto ove si consideri che esso è stato ottenuto attraverso un sistema moltiplicativo su base univariata, e cioè con un metodo ampiamente accettato dalla stessa IVASS.

Reputa poi scorretto il confronto riportato a pag. 8 della memoria IVASS, dove vengono effettuati confronti tra i riferimenti della variabile “provincia”, essendo tecnicamente sbagliato procedere a confronti su singoli coefficienti, invece di analizzare il risultato finale, che è il prodotto di tutti i coefficienti.

Quanto alle basi tecniche utilizzate dalla Compagnia, il CTU sottolinea di essersi fatto consegnare tutti gli studi effettuati dalla società di ricerca di cui si è avvalsa CAA e, dopo attento esame, ha espresso lo stesso giudizio di adeguatezza dell’Attuario incaricato.

Nei regolamenti IVASS non viene precisato esattamente come dovrebbe operare una nuova compagnia che entrare sul mercato quando non dispone di proprie basi tecniche.

L’utilizzazione delle statistiche pubblicate dall’ANIA, integrate con ricerche di mercato, è una procedura del tutto usuale.

Quanto ai rilievi sulla “inutilizzabilità dei premi tecnici e la non coerenza tra i coefficienti commerciali CAA e quelli tecnici ANIA”, il CTU osserva che IVASS non ha esposto alcun valore numerico mentre egli, viceversa, ha seguito un rigoroso procedimento matematico.

In particolare, ha acquisito il data base della compagnia, lo ha controllato, ha verificato l’adeguatezza delle basi tecniche ed effettuato autonomamente i calcoli.

Precisa ancora che, diversamente da quanto ritenuto da IVAS, egli non ha mai sostenuto la totale inaffidabilità del modello moltiplicativo su base univariata.

La ricostruzione dei premi con i dati di mercato ANIA, comunque, non utilizza solo variabili univariate ma, ove disponibili, anche variabili bivariate.

La comparazione che IVASS dichiara ultra quaesitum , è stata fatta per far capire meglio i risultati dell’indagine e dare la possibilità al giudicante di avere una visione chiara e completa, fornendo i valori che tra loro possono essere effettivamente comparati.

In tal senso, in relazione all’indagine statistica avviata dall’ISVAP con la comunicazione del 24 febbraio 2010, il CTU osserva che:

A) nella definizione delle quattro categorie di assicurati oggetto dell’indagine statistica - identificati come: Tipo1, Tipo 2, Tipo 3 e Tipo 4 - «alcuni elementi, necessari per rendere i dati omogenei e quindi successivamente confrontabili, non venivano specificati. Venivano date solo delle indicazioni generiche con la conseguenza, come dimostrato matematicamente nella relazione, di una disparità di valori finali che non sono assolutamente omogenei. Statisticamente e logicamente la condizione fondamentale affinché più valori siano confrontabili è che essi facciano parte di raggruppamenti omogenei;
ma in realtà ciò non è avvenuto»;

B) in particolare nella predetta comunicazione veniva indicato quanto segue: «Nella predisposizione dei dati da trasmettere, si rappresenta alle imprese la necessità di continuare a neutralizzare gli effetti derivanti dall’utilizzo, nel calcolo delle tariffe, di eventuali ulteriori elementi di personalizzazione tariffaria non previsti nella definizione delle quattro tipologie di assicurati oggetto della presente indagine;
ciò al fine di conseguire l’invio di dati omogenei», sicché per neutralizzare una variabile si potevano seguire due strade o non considerarla o utilizzare un coefficiente neutro pari a 1,00;

C) egli «ha controllato se la Compagnia avesse seguito queste istruzioni e si è accorto che nell’inserimento di alcune variabili l’operazione di neutralizzazione non era stata fatta: alcune variabili, non richieste dall’indagine, erano state inserite con coefficienti superiori a 1, ottenendo quindi un premio finale più alto», mentre l’ISVAP «non ha esaminato con attenzione i dati inviati dalle Compagnie di Assicurazione e, dando per scontato che tutte le Compagnie avessero inviato dati omogenei, su tali dati ha effettuato raffronti prendendo i valori più alti e censurandoli».

In particolare il CTU - avvalendosi anche di un’apposita tabella (riportata a pag 27 della relazione aggiuntiva), elaborata per la provincia di Napoli - individua i seguenti elementi che hanno portato ad una consistente disomogeneità, tale da invalidare qualsiasi confronto:

A) con riferimento alla Provincia, «veniva richiesto il profilo di 21 province senza precisare se i valori dovevano essere espressi per il capoluogo o per gli altri comuni. Ovviamente una diversa intensità di traffico rappresenta un diverso rischio con coefficienti più o meno alti. Quasi tutte le compagnie sono passate dalla vecchia classificazione sui dati dell’intera provincia ad altre classificazioni, alcune addirittura in base al codice identificativo del comune. Considerata la diversa classificazione della variabile provincia è impossibile ... che tutte le Compagnie abbiano preso zone con identiche caratteristiche;
di conseguenza i risultati non sono omogenei e non possono essere confrontati»;

B) con riferimento al Bonus Malus, «non venivano specificate le garanzie che dovevano essere considerate e quelle che dovevano essere escluse. Occorre tener presente che difficilmente le condizioni di polizza sono uguali tra loro. Molte Compagnie offrono una tariffa bonus-malus base molto competitiva escludendo alcune garanzie che possono però essere comprese con un sovrapprezzo. Ovviamente l’inclusione o l’esclusione di garanzie modifica sia la frequenza sia il costo dei sinistri con un evidente aumento o riduzione dei premi di tariffa. Molte compagnie inseriscono i nuovi assicurati in classi di bonus-malus diverse. Considerate le diverse condizioni di polizza e le diverse classi di merito in ingresso è impossibile ... che tutte le Compagnie utilizzino le stesse classificazioni, quindi i risultati non sono omogenei e non possono essere confrontati»;

C) con riferimento all’Autovettura 1300 cc, «una autovettura può essere classificata sia in base alla cilindrata, sia in base alla potenza. Attualmente molte Compagnie nell’utilizzo delle variabili di personalizzazione sono passate dalla vecchia classificazione di cilindrata a quella più giusta di potenza. Autovetture di 1300 cc possono avere diversa potenza e, conseguentemente, una velocità più o meno elevata alla quale è associato un maggiore o un minore rischio. Considerata la diversa classificazione della variabile cilindrata è impossibile, come verrà chiarito e dimostrato nella tavola successiva, che tutte le Compagnie abbiano preso esattamente la stessa classificazione, quindi i risultati non sono omogenei e non possono essere confrontati»;

D) con riferimento all’Età, «vengono utilizzati diversi sistemi di classificazione: alcune Compagnie utilizzano coefficienti riferiti alle singole età, altre li riferiscono a classi di età molte volte non uguali. Considerata la diversa classificazione della variabile età è impossibile, come verrà chiarito e dimostrato nella tavola successiva, che tutte le Compagnie abbiano preso esattamente la stessa classificazione, quindi i risultati non sono omogenei e non possono essere confrontati».

Poste tali premesse - e considerato che la suddetta tabella «mette in evidenza come le sette compagnie, per le quali sono stati forniti i dati, abbiano classificato in maniera diversa le variabili» - il CTU perviene alle seguenti conclusioni:

A) i valori ottenuti dall’ISVAP con la predetta indagine non rispondono allo scopo, perché «la mancata normalizzazione di alcune variabili, la diversa classificazione delle province, delle classi di inserimento del bonus-malus, della cilindrata e dell’età portano a valori assolutamente non omogenei e quindi è sbagliato fare raffronti su questi valori»;

B) «nelle eccezioni di IVASS vengono semplicemente riportate alcune graduatorie dei valori in termini assoluti includendo banali percentuali riferite al premio medio di mercato: questi risultati possono andare bene ai “mass media”, ai giornali o alle unioni dei consumatori, ma da un punto di vista matematico-attuariale questa procedura e quindi la valutazione che ne consegue è assolutamente sbagliata».

Infine il CTU conferma integralmente le conclusioni alle quali è pervenuto nella prima relazione, ulteriormente osservando quanto segue:

A) il tetto applicato dalla compagnia, opera solo un numero insignificante di assicurati e non su una percentuale niente affatto trascurabile come dichiarato dall’Istituto. Pertanto, esso non ha alcun impatto economico;

B) il CTU ha controllato le statistiche utilizzate da CAA valutandole adeguate. Non ha ritenuto opportuno allegarle alla relazione perché già inviate agli atti nelle memorie.

I coefficienti tecnici sono coerenti con le basi tecniche, mentre i coefficienti commerciali si discostano leggermente dalla realtà tecnica, fermo restando che la normativa non stabilisce che i coefficienti commerciali debbano essere uguali a quelli tecnici, e viene lasciato all’attuario incaricato la loro certificazione;

C) quanto al terzo quesito, egli ha elaborato due benchmark di riferimento (premi calcolati con i dati di mercato e premi calcolati con i livelli di confidenza) solo per agevolare un confronto tra i premi.

L’IVASS con memoria depositata in data 1° dicembre 2014, nel ribadire che il CTU non ha rispettato i limiti del mandato ricevuto, ha mosso ulteriori rilievi, di natura sia tecnica che giuridica, riguardo alle conclusioni del CTU.

In particolare, dal punto di vista giuridico, l’Istituto sostiene che:

A) l’affermazione del CTU secondo la quale l’elusione «ha senso solo nel caso in cui il contratto di assicurazione si rivolga ad un consistente numero di potenziali assicurati, tale da produrre in prospettiva un grave danno alla Compagnia», contrasta con il parere del Consiglio di Stato sullo schema del codice delle assicurazioni ove è stato precisato che il termine “elusione” deve ritenersi comprensivo di ogni ipotesi di inadempimento dell’obbligo a contrarre;

B) il consilium fraudis , ossia l’intento di non assicurare determinate categorie di soggetti, «è un elemento costitutivo ulteriore della fattispecie che è arbitrariamente inferito dal Prof. Bellieri - senza peraltro esserne stato richiesto - in assenza di argomenti testuali o logici della norma di riferimento che lo consentano, rimanendo l’oggettiva realtà della tariffa elevata ed incoerente rispetto alle basi tecniche sufficiente a ritenere integrata la fattispecie elusiva»;

C) è censurabile anche il metodo seguito del CTU, che afferma di aver compiuto le proprie analisi sui «dati presenti negli archivi della Compagnia, rigorosamente controllati», perché il thema decidendum rimane la verifica del corretto esercizio del potere sanzionatorio;

D) la decisione del CTU di evitare un contraddittorio diretto con i CTP «ha prodotto il grave effetto di costringere i detti tecnici a discutere di questioni e metodologie attuariali - che sarebbero state facili da dirimere nel corso di colloqui franchi, ma rispettosi delle reciproche posizioni - attraverso scritti lunghissimi e strettamente specialistici, contribuendo in maniera determinante ad un risultato non utile per il chiarimento delle questioni controverse».

Quindi, dal punto di vista tecnico, l’Istituito contesta la tesi del CTU secondo la quale la società ricorrente non avrebbe avuto alcun interesse a porre in essere una condotta elusiva, osservando quanto segue: «ha calcolato il numero dei potenziali assicurati appartenenti ai profili oggetto d’indagine tenendo conto di tutte le caratteristiche che li descrivono;
tra queste, figurano il massimale della copertura (il minimo di legge) e la cilindrata del mezzo (per le auto, 1300 c.c.). Poiché i coefficienti di personalizzazione sono, per bassi livelli di cilindrata/potenza, praticamente costanti, si comprende che, se il premio richiesto per il profilo 1 è molto elevato, tale risulta anche (anzi, di più) per chi richieda un qualunque altro massimale od abbia vettura (o moto) di altra categoria. Per tali ragioni, dunque, il numero dei potenziali destinatari della politica tariffaria elusiva risulta ben più elevato (come ordine di grandezza: circa 500 volte più elevato) di quello calcolato dal CTU ed un interesse a non assicurarli può apparire del tutto sensato ed utile all’impresa».

Inoltre l’Istituito formula molteplici rilievi sulle valutazioni espresse dal CTU riguardo al metodo moltiplicativo, nonché in merito all’adeguatezza delle basi tecniche e dei coefficienti tecnici e commerciali della compagnia ricorrente.

In particolare, quanto al rilievo attribuito al Regolamento n. 16/2008, evidenzia che esso ha semplicemente stabilito un primo livello di conoscenza necessario, ma non sufficiente per tariffare correttamente. Inoltre, se è vero che il sistema moltiplicativo è molto usato, come dice il CTU, non è certo vero che tutte le Compagnie si basino, per implementarlo, sulle semplici distribuzioni univariate.

CAA ha osservato, in replica:

- che anche se fosse vero che il numero dei potenziali destinatari della politica tariffaria elusiva è di 500 volte superiore rispetto all’unità individuata dal CTU, si tratta pur sempre di una entità trascurabile rispetto alla generalità dei potenziali assicurati;

- che appare singolare il tentativo di sminuire il ruolo assunto dal modello univariato nell’ambito del Regolamento n. 16/2008, emanato dallo stesso IVASS;

- che le statistiche di mercato sono state prodotte sia nel corso del procedimento sanzionatorio, sia in sede di ricorso, oltre che di CTU.

Questa Sezione con l’ordinanza n.103 del 7.1.2015, ha quindi disposto un supplemento di istruttoria, chiedendo all’IVASS di «sviluppare i calcoli conseguenziali agli errori metodologici contestati all’impresa ricorrente, dando così evidenza al Collegio dell’effetto di tali errori sull’entità dei premi tecnici relativi al profilo oggetto di sanzione».

L’IVASS, in esecuzione della suddetta ordinanza ha depositato in data 11 maggio 2015 una relazione istruttoria a firma del suo consulente tecnico di parte, prof. Fabrizio C.

In tale relazione il prof. C preliminarmente evidenzia quanto segue:

A) «una tariffa r.c.a. si basa in parte su dati oggettivi, costituiti dalle risultanze statistiche del passato. Esse sono soggette al solo vincolo di essere riferite ad un universo numericamente significativo e qualitativamente simile a quello dei futuri assicurati. La tariffa medesima, tuttavia, si basa anche, in parte, su previsioni relative al futuro, riguardanti le dimensioni e la composizione del portafoglio che si raccoglierà, nonché l’andamento della sua sinistrosità. Queste previsioni non sono affatto oggettive: operatori diversi possono legittimamente averne di assai diverse. La tariffa dipende anche, infine, da scelte di politica aziendale: ispirate certo da una qualche logica, ma prive a loro volta di ogni carattere di oggettività»;

B) da quanto precede discende «la non praticabilità della sostituzione di un operatore esterno alla Compagnia per “ricalcolare” la tariffa, proprio perché questa non può essere determinata univocamente in relazione ai suoi elementi costituiti da ipotesi, previsioni e scelte»;

C) tuttavia per dare esecuzione all’ordinanza istruttoria «si è ritenuto di rispondere aderendo, nella misura del possibile, all’impostazione scelta dalla Compagnia sanzionata, controllando solo che essa abbia fatto riferimento a dati statistici adeguati, abbia formulato ipotesi accettabili circa il suo stesso futuro e non abbia - infine - penalizzato ingiustamente alcune categorie di assicurati. Le correzioni eventualmente proposte sono quelle minimali necessarie ad eliminare le anomalie riscontrate.

Si è ben consapevoli del fatto che una tariffa è una sorta di sistema organico e non è possibile intervenire su uno solo degli elementi che la compongono senza modificare gli altri. Si ritiene, però, che i risultati cui si è pervenuti siano, quanto meno nel loro ordine di grandezza, perfettamente rappresentativi».

Il prof. C, dopo alcune considerazioni di carattere generale sul metodo moltiplicativo, ha poi ribadito che l’utilizzo di alcune variabili di personalizzazione (“congruità BM-età”, “convenzioni”, “Infocar”, “Anzianità patente”), non è accettabile, per l’insufficienza della basi di riferimento, per il carattere ridondante, ovvero ancora perché si tratterebbe di uno strumento volto ad eludere la provvidenza disposta dal decreto Bersani.

L’eliminazione di queste quattro variabili è suscettibile di spostare il premio di riferimento da 1.559 a 1.214.

Il CTP mette poi a raffronto, per il settore Auto, i coefficienti CAA con quelli tecnici relativi al mercato, quali risultanti dai dati ANIA, evidenziando che, in quasi tutti i casi esaminati, la Compagnia adotta un coefficiente superiore, con punte del 42,58% per Palermo e 43,04% per Napoli.

In particolare, il CTP espone una tabella in cui mette a raffronto i premi CAA ante plafond , i premi dichiarati, i premi ricalcolati con i coefficienti tecnici ANIA e il premi medio di mercato.

Anche per il settore moto, effettua un ricalcolo, sulla base dei dati ANIA.

Osserva poi che, effettivamente, utilizzare i coefficienti tecnici ANIA per la variabile Provincia, e lasciarli inalterati per le altre, può sembrare un artificio logico.

Ribadisce però che impiegare, per tutte le variabili, dei semplici coefficienti tecnici di mercato, determina risultati di “patente inaccettabilità”.

Sono questi i limiti ineludibili del metodo di tariffazione moltiplicativo, che genera in alcuni casi premi tanto elevati da costringere la Compagnia ad adottare un tetto massimo di premio.

Infine, il CTP ha osservato che il premio di riferimento utilizzato dalla ricorrente «contiene una componente (in partenza circa 40 euro per le auto e 33 per le moto, al netto anche delle tasse) riferibile a spese fisse indipendenti dalla rischiosità del singolo contratto, che si ritiene scorretto sottoporre, come la Compagnia fa, alla personalizzazione. Se, come si contesta, alcuni coefficienti sono determinati in modo “ingiusto”, applicarli anche a spese da ritenere fisse amplifica la “ingiustizia” dei risultati».

In replica, CAA ha in primo luogo lamentato il fatto che IVASS non abbia correttamente eseguito l’ordinanza istruttoria.

Il CTP, infatti, ha elaborato ulteriori argomentazioni difensive, in assenza di contraddittorio.

La predetta relazione, comunque, non risponde alla richiesta della Sezione, in quanto il prof. C, lungi dallo sviluppare calcoli che evidenzino gli errori metodologici contestati all’impresa ricorrente e l’effetto di tali errori sui premi tecnici relativi al profilo oggetto di sanzione, ha sostanzialmente ripetuto le tesi già esposte dall’Istituto e dai suoi CTP.

Nel merito, la Compagnia ribadisce che la totalità delle tariffe RCA di mercato si basano sul medesimo modello moltiplicativo impiegato da CAA, che corrisponde peraltro al modello della tariffa ministeriale ante liberalizzazione (c.d. tariffa “Filippi”, in vigore fino ai primi anni ’90).

Il dato che la struttura di tipo moltiplicativo determini, in talune situazioni, livelli molto elevati di premio, non è ragione sufficiente per concludere nel senso della inattendibilità della metodologia sul piano scientifico, potendo tale considerazione semplicemente giustificare l’introduzione di un limite massimo di premio, il quale certifica la volontà della Compagnia di non adottare livelli di prezzo molto elevati, ancorché del tutto giustificabili secondo gli standard attuariali.

Le argomentazioni sulle provvigioni di acquisto e di incasso riguardano un aspetto della costruzione tariffaria che non ha formato oggetto di contestazione in sede procedimentale.

Le osservazioni relative alla quantificazione del premio di riferimento, in rapporto all’utilizzo di basi tecniche insufficienti o ridondanti, non tengono conto delle libertà di cui godono le imprese nell’individuare le basi tecniche di riferimento.

L’eliminazione, per questa via, di alcune variabili di personalizzazione, non è accettabile in quanto altera i risultati dell’intera analisi, posto che tali variabili consentono di ottenere una migliore e più precisa valutazione del rischio, a beneficio della mutualità degli assicurati.

Le considerazioni relative alla variabile territoriale sono insostenibili, in quanto l’effetto di una variabile si misura dalla differenziazione dei coefficienti rispetto al valore medio.

Pertanto, il raffronto tra i coefficienti delle variabili territoriali CAA ed ANIA sarebbe proponibile solo mediante allineamento delle medie dei rispettivi coefficienti.

Il confronto tra i coefficienti territoriali praticati dall’impresa e quelli rilevati dalla statistica ANIA, è, comunque, inappropriato, in quanto i dati ANIA non considerano il costo dei sinistri tardivi.

Infine, “i premi ricalcolati da Ivass” sono stati determinati come se l’unica variabile di personalizzazione fosse la provincia.

Invece, considerando l’insieme di tutte le variabili presenti nelle statistiche ANIA, e sostituendole con quelle praticate da CAA, si produrrebbe un consistente aggravamento e non una riduzione del premio.

Il ricorso, infine, è passato in decisione alla pubblica udienza del 17 giugno 2015.

DIRITTO

1. Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso l’ordinanza-ingiunzione, meglio descritta in epigrafe nei suoi estremi, con cui l’ISVAP – cui nelle more del giudizio è succeduto l’IVASS – ha irrogato alla società ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 314, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, quantificata nella misura pari al minimo edittale di € 1.000.000,00, in ragione della riscontrata violazione dell’art. 132, comma 1, del D.Lgs. n. 209 del 2005, per aver realizzato una fattispecie di elusione dell’obbligo legale a contrarre tramite l’utilizzo della leva tariffaria rispetto a determinate categorie di assicurati e zone territoriali, oggetto di specifico atto di contestazione in base al quale è stato avviato il relativo procedimento sanzionatorio.

Antecedente fattuale di tale procedimento – da coniugarsi con il rilievo che le tariffe assicurative, nell’attuale regime di libertà tariffaria e di libera concorrenza nel settore assicurativo, non sono sottoposte ad alcun controllo preventivo da parte dell’Autorità – è l’avvio, da parte dell’ISVAP, di una indagine statistica riferita all’assicurazione della responsabilità civile veicoli al fine di conoscere l’andamento delle tariffe e dei sinistri del ramo, in base ai cui esiti, a seguito di interlocuzioni istruttorie, sono stato formulati atti di contestazione nei confronti di alcune imprese assicurative, tra cui la società ricorrente.

Nel caso in esame, la riscontrata violazione si riferisce alle seguenti categorie di assicurati e zone territoriali:

- settore I: Ancona, Bari, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e Roma, 4.500 euro, Cagliari e Genova 4.319 euro;
Perugia 4130 euro”;

- settore V: Napoli 2.523 euro.

2. Ai fini di una migliore comprensione del contesto nel quale si inserisce il provvedimento impugnato, è opportuno svolgere alcune considerazioni preliminari sui seguenti temi:

A) la previsione dell’obbligo a contrarre, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 28 aprile 2009 in C-518/06;

B) il quadro normativo in materia di determinazione delle tariffe da parte delle compagnie di assicurazioni;

C) le fattispecie sanzionatorie poste a presidio di tale obbligo, con particolare riferimento alla condotta di elusione dell’obbligo;

D) le modalità ed i limiti del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica delle Autorità indipendenti e, in particolare, sul potere sanzionatorio dell’ISVAP previsto dall’art. 314, comma 2, del decreto legislativo n. 209/2005.

3. L’art. 132 del codice delle assicurazioni dispone, al comma 1, che “Le imprese di assicurazione sono tenute ad accettare, secondo le condizioni di polizza e le tariffe che hanno l’obbligo di stabilire preventivamente per ogni rischio derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, le proposte per l’assicurazione obbligatoria che sono loro presentate, fatta salva la necessaria verifica della correttezza dei dati risultanti dall’attestato di rischio, nonché dell’identità del contraente e dell’intestatario del veicolo, se persona diversa”.

L’art. 132 prevede i seguenti obblighi:

A) prestabilire tariffe non soggette ad alcuna approvazione preventiva da parte dell’Organismo di vigilanza, ma con riguardo a tutte le tipologie di rischi astrattamente soggetti all’obbligo di assicurazione (c.d. principio della esaustività) e in conformità alla disciplina del settore (posta dagli articoli 34 e 35 del codice delle assicurazioni e dalle relative norme di attuazione);

B) accettare le singole proposte di assicurazione in base alle predette tariffe prestabilite.

In definitiva le compagnie autorizzate ad operare nel ramo delle assicurazioni relativo alla responsabilità per la circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, in forza della predetta disposizione, non possono esimersi dall’evadere le richieste provenienti dalla clientela, qualora esse siano munite dei requisiti di legge.

Si tratta, pertanto, di un’evidente intromissione dell’ordinamento nella libertà negoziale degli imprenditori del settore - generalmente ritenuta compatibile con l’art. 41 Cost. - che si inquadra nel genus degli obblighi a contrarre di matrice legale, dei quali l’ordinamento italiano offre molteplici esempi (si pensi all’art. 2597 cod. civ., che impone all’imprenditore che operi in condizioni di monopolio legale di “contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa”, oppure all’art. 1679, cod. civ., che impone a chi eserciti servizi di linea per il trasporto di persone o cose sulla base di concessione amministrativa di “accettare le richieste di trasporto compatibili con i mezzi ordinari dell’impresa”).

La disposizione era già contenuta nell’abrogata legge n. 990/1969, provvedimento di fondamentale importanza non solo per l’introduzione dell’obbligatorietà dell’assicurazione per la circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, ma anche per la previsione (all’art. 11) dell’obbligo a contrarre. Risulta, quindi, agevole individuare la ratio dell’obbligo a contrarre posto in capo alle compagnie di assicurazioni dall’art. 11 della legge n. 990/1969, trattandosi del contraltare dell’obbligo di assicurarsi posto in capo ai proprietari dei veicoli a motore, con l’evidente finalità di garantire a chiunque la possibilità di rinvenire sul mercato un’impresa disposta a stipulare una polizza r.c. auto e di evitare il rischio che le compagnie possano rifiutarsi di contrattare con particolari categorie di soggetti a rischio (ad es. i neopatentati).

L’amministrazione resistente ha ricordato che tale obbligo è stato introdotto a tutela del consumatore: infatti, se l’obbligo a contrarre fosse previsto solo a carico degli assicurandi e non anche a carico delle compagnie di assicurazioni, il soggetto obbligato ad assicurare la propria responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore o natanti potrebbe trovarsi nella concreta impossibilità di adempiere a siffatto obbligo in ragione del possibile rifiuto di tutte le compagnie di assumere il rischio, per la maggiore sinistrosità di questa o quella area territoriale o per la statistica incidenza di frodi.

Nonostante le aspre critiche nel tempo rivolte all’art. 11 della legge n. 990/1969, l’obbligo a contrarre è stato confermato sia in sede di approvazione del decreto legislativo n. 175/1995, sia in sede di emanazione del codice delle assicurazioni, il cui art. 132 ha precisato che le compagnie non possono limitarsi, nel predisporre la propria offerta, a proporre la copertura di alcune soltanto tra le varie categorie di rischio, in modo da evitare che, restringendo l’ampiezza della possibilità di scelta dei prodotti, di fatto si possa aggirare l’imposizione dell’obbligo.

Le critiche alla disposizione - connesse agli oneri per le imprese derivanti dall’obbligo a contrarre, che si rifletterebbero negativamente sul costo dei premi - sono state recepite dalla Commissione Europea, che ha dapprima avviato una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano e poi ha adito la Corte di Giustizia contestando l’incompatibilità dell’obbligo a contrarre con gli articoli 43 e 49 del Trattato CE e con gli articoli 6, 29 e 39 della direttiva 92/49, perché esso avrebbe danneggiato le imprese di assicurazione aventi sede legale negli altri Stati membri, intenzionate a stabilirsi o prestare servizi in Italia.

La Corte di Giustizia nella citata sentenza del 28 aprile 2009 ha vagliato attentamente la questione, articolando il proprio ragionamento su due passaggi essenziali:

A) dapprima ha verificato l’esistenza del denunciato contrasto con gli articoli 43 e 49 del Trattato, pervenendo alla conclusione che l’obbligo a contrarre «costituisce un’ingerenza sostanziale nella libertà di contrarre», non solo in quanto condiziona il libero accesso al mercato di imprese che si trovano costrette a soddisfare ogni richiesta della clientela, ma anche perché coprire ogni tipologia di rischio determina la sopportazione di costi aggiuntivi, spesso notevoli, che incidono sulla pianificazione delle strategie aziendali, sicché le imprese italiane si trovano ad essere avvantaggiate sia in quanto l’ingresso nel mercato di imprese straniere è reso meno attraente, sia in virtù del fatto che le compagnie che comunque decidessero di accedervi troverebbero maggiori difficoltà nello svolgere immediatamente una concorrenza efficace nei confronti delle imprese italiane;

B) nel secondo passaggio, anche sulla scorta degli argomenti forniti dalla Repubblica italiana, ha giudicato l’ingerenza statale nell’autonomia negoziale delle imprese compatibile con i principi fondamentali del diritto comunitario in quanto proporzionata e sorretta da un’adeguata giustificazione.

In particolare, per quanto interessa in questa sede, giova evidenziare che, quanto all’addebito relativo alla violazione degli articoli 43 e 49 del Trattato, la Repubblica italiana ha riferito in giudizio che «nell’area meridionale del proprio territorio sussistono circostanze difficili che esigono misure correttrici da parte della pubblica autorità affinché l’assicurazione responsabilità civile auto possa essere offerta a condizioni accettabili tanto per i contraenti quanto per le imprese di assicurazioni» (punto 87).

La Corte è quindi pervenuta alle seguenti conclusioni: «correttamente la Repubblica italiana ha ritenuto opportuno imporre a tutte le imprese operanti sul proprio territorio un obbligo di contrarre nei confronti di tutti i proprietari di autoveicoli residenti in Italia, al fine di evitare che tali imprese si ritirino dalla parte meridionale del territorio italiano e privino in tal modo i proprietari di autoveicoli ivi residenti della possibilità di concludere l’assicurazione, peraltro obbligatoria, di responsabilità civile auto» (punto 89).

Inoltre, «Dall’art. 11, comma 1-bis, della legge n. 990/69 e dall’art. 35, n. 1, del codice delle assicurazioni private emerge d’altronde che, adottando tale misura, la Repubblica italiana non ha vietato alle imprese di assicurazione di applicare tariffe differenziate in funzione di statistiche storiche del costo medio del rischio nell’ambito di categorie di assicurati definite in maniera sufficientemente ampia» (punto 90). «In particolare, è pacifico che l’obbligo di contrarre non impedisca alle imprese di assicurazioni di calcolare una tariffa più elevata per un contraente residente in una zona caratterizzata da un numero rilevante di sinistri rispetto ad un contraente residente in una zona a rischio meno elevato» (punto 91).

Quanto all’addebito relativo alla violazione del principio di libertà tariffaria sancito degli articoli 6, 29 e 39 della direttiva 92/49, conseguente alla fissazione di criteri da rispettare nel calcolo dei premi e alla previsione di un controllo a posteriori di tali premi, la contestazione mossa dalla Commissione è stata determinata dal fatto che, secondo quanto riferito dalla stessa Repubblica italiana, «i criteri fissati per il calcolo dei premi sarebbero diretti a garantire il rispetto dell’obbligo di contrarre» (punto 95);

La Repubblica italiana ha riferito in giudizio che le disposizioni della legge n. 990/1969 «perseguono il solo obiettivo di contenere il fenomeno consistente nel fatto che talune imprese di assicurazioni, calcolando una tariffa esorbitante, scoraggiano gli utenti dal sottoscrivere una polizza assicurativa presso di esse. Tali principi corrisponderebbero alle ordinarie regole tecniche di costruzione delle tariffe e ai principi attuariali seguiti dalle imprese di assicurazioni» (punto 97), e che le predette disposizioni «non obbligano affatto le imprese di assicurazioni a praticare prezzi simili alla media del mercato o a non discostarsi in maniera significativa dalle tariffe applicate negli ultimi cinque anni». Infatti «le imprese determinano le loro tariffe sulla base dello sviluppo registrato in passato e hanno il diritto di aumentare, anche in misura significativa, il livello dei premi assicurativi a fronte di un’evoluzione negativa in termini di sinistri» (punto 98).

Secondo la Repubblica italiana, «l’ISVAP interviene unicamente nei confronti delle imprese che applicano premi di assicurazione privi di ogni giustificazione tecnica plausibile, che riflettono abusi tariffari veri e propri e condotte discriminatorie tra gli assicurati».

Nei casi in cui l’ISVAP interviene «non si tratta di tariffe semplicemente elevate, bensì di vere abnormità tariffarie palesemente dirette a negare una copertura assicurativa. In tal senso, a taluni utenti sarebbero stati richiesti premi annui di oltre 7.000 euro» (punto 99);

La Corte è quindi pervenuta alle seguenti conclusioni: la regola posta dall’art. 11, comma 1-bis, della legge n. 990/1969 e dall’art. 35, comma 1, del codice delle assicurazioni, che «obbligano le imprese che forniscono l’assicurazione responsabilità civile auto a calcolare in modo distinto i premi puri e i ricarichi conformemente alle loro basi tecniche, sufficientemente ampie e risalenti ad almeno cinque anni» (punto 102), non è incompatibile con il principio della libertà tariffaria, sia perché tale regola «non ha istituito un sistema di previa autorizzazione o di comunicazione sistematica delle tariffe» (punto 103) e «non impone alle imprese di assicurazioni di orientare le loro tariffe in base alla media del mercato. Al contrario, l’art. 11, comma 1-bis, della legge n. 990/69 e l’art. 35, n. 1, del codice delle assicurazioni private prevedono che le imprese di assicurazioni calcolino le loro tariffe secondo le proprie basi tecniche, precisando che, laddove tali basi non siano disponibili, le imprese di assicurazioni possono far ricorso a rilievi statistici del mercato» (punto 104), sia perché la direttiva 92/49 non vieta agli Stati membri la possibilità di fissare «un quadro tecnico nel quale le imprese di assicurazioni devono calcolare i loro premi» (punto 105).

4. Tenuto conto di quanto precede, appare evidente la rilevanza centrale che nella presente controversia assume il quadro normativo in materia di costruzione delle tariffe da parte delle compagnie di assicurazioni.

4.1. Innanzi tutto, sotto il profilo procedurale, viene in rilievo l’art. 34 del codice delle assicurazioni, il quale (per quanto d’interesse in questa sede) dispone al comma 1, che “L’impresa di assicurazione autorizzata all’esercizio dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile dei veicoli a motore e dei natanti incarica un attuario per la verifica preventiva delle tariffe [...] anche al fine di agevolare l’esercizio dei poteri di vigilanza da parte dell’ISVAP” e al comma 3, che “L’attuario incaricato è preposto alla verifica delle basi tecniche, delle metodologie statistiche, delle ipotesi tecniche e finanziarie utilizzate ed alla valutazione della coerenza dei premi di tariffa con i parametri di riferimento adottati. [...]”.

Inoltre, l’art. 35, comma 1, del codice delle assicurazioni dispone che “Nella formazione delle tariffe l’impresa calcola distintamente i premi puri ed i caricamenti in coerenza con le proprie basi tecniche, sufficientemente ampie ed estese ad almeno cinque esercizi. Ove tali basi non siano disponibili, l’impresa può fare ricorso a rilevazioni statistiche di mercato”.

4.2. Le funzioni dell’attuario incaricato sono specificate nel Decreto del Ministero dello sviluppo economico n. 99 del 28 aprile 2008, adottato ai sensi dell’art. 34, comma 4, del codice delle assicurazioni.

In particolare l’art. 13 di tale Decreto, dispone, al comma 1, che “Nell’ambito dei controlli sulle tariffe dell’assicurazione obbligatoria dei rami responsabilità civile veicoli a motore e natanti l’attuario incaricato, per ogni tariffa o modifica tariffaria adottata dall’impresa: a) verifica preventivamente, ai sensi dell’articolo 34, comma 3, del Codice, le basi tecniche e procede, nel caso di utilizzo di basi tecniche aziendali, al controllo della corretta presa in carico, da parte dell’impresa di assicurazione, dei rischi assicurati e dei sinistri;
b) verifica le metodologie statistiche, le ipotesi tecniche e finanziarie utilizzate ai fini della determinazione del fabbisogno tariffario e di ogni ulteriore elemento considerato nell’ambito della definizione della tariffa;
c) valuta la coerenza dei premi di tariffa con le basi tecniche adottate dalle imprese di assicurazione, siano esse costituite da dati aziendali o da rilevazioni statistiche di mercato;
d) verifica che le tariffe siano costruite per settori di tariffazione ovvero per classi o gruppi di rischi sufficientemente numerosi ed omogenei, tali da garantire la significatività delle rilevazioni statistiche, con particolare riferimento alla frequenza e al costo medio dei sinistri. Il rispetto del principio di coerenza di cui alla lettera c) è verificato con riferimento alle singole classi di tariffazione”;

In base al comma 2, “Le verifiche svolte ai sensi del comma 1 sono riportate in una relazione tecnica sulla tariffa, redatta in conformità alle disposizioni di cui all’articolo 14, nella quale l’attuario incaricato riporta anche il proprio giudizio sulla tariffa”.

Inoltre,“L’attuario incaricato informa tempestivamente l’ISVAP di un eventuale giudizio negativo sulla tariffa nonché, ove ne sia venuto a conoscenza, dell’adozione da parte dell’impresa di assicurazione di una tariffa che non è stata sottoposta alle verifiche di cui al presente articolo” (comma 3).

4.3. Le disposizioni dell’art. 13 del D.M. n. 99/2008 sono ulteriormente specificate nel Regolamento ISVAP n. 16 del 4 marzo 2008.

In particolare l’art. 49 di tale Regolamento dispone,

al comma 1, che “L’attuario incaricato, per ogni tariffa o modifica tariffaria adottata dall’impresa nell’ambito dei rami di responsabilità civile veicoli e natanti, redige la relazione tecnica sulla tariffa, prevista dal regolamento del Ministero dello sviluppo economico, di cui agli articoli 31 e 34 del decreto”;

Il comma 2 della medesima disposizione stabilisce altresì che “La relazione tecnica sulla tariffa di cui al comma 1 è redatta e sottoscritta dall’attuario incaricato in conformità allo schema di cui all’allegato 2 del presente regolamento e riporta l’esito delle valutazioni operate dall’attuario incaricato ai sensi delle disposizioni previste dal regolamento del Ministero dello sviluppo economico di cui al comma 1”.

Infine, “L’attuario incaricato esprime nella relazione tecnica il proprio giudizio sulla tariffa” (comma 3)..

L’allegato 2 al Regolamento ISVAP n. 16/2008 (recante lo schema di relazione tecnica dell’attuario incaricato) al punto 3 (rubricato “Procedimenti eseguiti dalla società per il calcolo dei premi di tariffa”) precisa che “L’attuario incaricato descrive le metodologie, i criteri e le ipotesi tecniche e finanziarie utilizzate dalla società per la determinazione del fabbisogno tariffario, e quindi del premio medio di tariffa. In funzione della metodologia adottata per il calcolo dei premi di tariffa, l’attuario incaricato illustra le fasi di elaborazione sotto richiamate.

a) Premio medio di tariffa Sono descritte le singole fasi di determinazione del fabbisogno medio puro (frequenza dei sinistri, costo medio e premio puro finale) con indicazione degli eventuali margini di sicurezza applicati. Sono illustrate e motivate le ipotesi finanziarie e statistiche impiegate per la determinazione dei fattori correttivi di frequenza e costo medio, con particolare riferimento alla stima dell’onere futuro della generazione di sinistri afferente la tariffa (costi medi per antidurata, cadenza di eliminazione dei sinistri, tassi di crescita dei costi, etc). È data evidenza del contributo al Fondo di garanzia per le vittime della strada, dei caricamenti di tariffa con indicazione dei singoli elementi assunti (oneri di acquisizione, gestione e incasso) e del modello adottato ai fini della relativa imputazione al premio medio di tariffa. Laddove sia prevista l’applicazione di meccanismi di flessibilità tariffaria, sono descritte le analisi condotte ai fini della relativa quantificazione, anche in coerenza con le comunicazioni che l’impresa intende impartire alle reti di vendita nel rispetto della normativa vigente. Sono descritte le modalità con le quali la flessibilità viene inclusa nel fabbisogno di tariffa.

b) Variabili di personalizzazione. Sono descritti, con riferimento ai fattori di personalizzazione del rischio, i seguenti passaggi metodologici, articolati in ognuna delle singole fasi che li caratterizzano: criteri e metodologie di selezione delle variabili di personalizzazione a priori impiegate nella costruzione dei premi;
tecniche e procedimenti utilizzati per la determinazione delle classi di rischio per ciascuna variabile di personalizzazione;
metodi e procedimenti adottati per la determinazione dei coefficienti tecnici di personalizzazione relativi a ciascuna variabile tariffaria. Laddove nel processo di personalizzazione siano impiegate variabili che per loro natura presentano caratteristiche di innovazione, l’attuario incaricato descrive gli elementi, statisticamente determinati o determinabili, che hanno consentito all’impresa di individuare i diversi gradi di correlazione al rischio.

c) Formula tariffaria. E' descritta la formula tariffaria applicata (es. bonus-malus, franchigia, no claims discount,pejus, fissa, etc.) e il procedimento impiegato ai fini della determinazione dei relativi coefficienti.

In particolare, laddove previsto, è illustrato il numero delle classi di merito, la classe di ingresso dei contratti, le regole evolutive tra le classi nonché i coefficienti di maggiorazione e/o sconto di premio. Sono inoltre descritte le eventuali modalità di determinazione delle regole evolutive caratterizzanti la formula adottata.

Nel caso la formula tariffaria preveda il movimento degli assicurati tra classi di merito in dipendenza del numero di sinistri osservati, sono inoltre illustrate le analisi effettuate dall'impresa ai fini della valutazione degli effetti nel tempo sui premi di tariffa, dovuti all'applicazione congiunta di coefficienti e regole evolutive.

d) Premi di tariffa. Sono riportate dall'attuario incaricato, qualora sussistano differenze significative tra i coefficienti di personalizzazione risultanti dalle analisi tecniche e quelli realmente applicati

in tariffa, le motivazioni addotte dall'impresa ai fini dell'applicazione di questi ultimi.

E' inoltre descritto il procedimento di calcolo del premio di riferimento determinato sulla base dei coefficienti di tariffa, avendo cura di illustrare il modello (moltiplicativo, additivo, etc.) adottato per la determinazione dei premi che l'impresa intende applicare”.

5. Passando alle fattispecie sanzionatorie poste a presidio dell’obbligo a contrarre, l’art. 314 del codice delle assicurazioni dispone, al comma 1, che “Il rifiuto o l’elusione dell’obbligo a contrarre di cui all’articolo 132, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro millecinquecento ad euro quattromilacinquecento” e, al comma 2, che “La violazione o l’elusione dell’obbligo a contrarre di cui all’articolo 132, comma 1, che sia attuata con riferimento a determinate zone territoriali o a singole categorie di assicurati è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro un milione ad euro cinquemilioni”.

Trattasi - come emerge dalla radicale contrapposizione delle tesi sostenute dalle parti del presente giudizio - di una delle disposizioni più controverse del codice delle assicurazioni, sia in ragione dello scarso livello di tipizzazione della fattispecie, con particolare riferimento alle condotte elusive, sia in ragione dei problemi connessi alla possibilità di applicare l’art. 3 della legge n. 689/1981 interpretato nel senso che dolo e colpa rappresentano criteri di imputazione soggettiva alternativamente sufficienti per configurare l’illecito e nel senso che l’elemento soggettivo è in re ipsa, ossia dimostrato attraverso la prova del fatto.

5.1. Soffermando l’attenzione sulla norma sanzionatoria dell’art. 314, comma 2, del codice delle assicurazioni relativa alla più grave ipotesi (oggetto della presente controversia) di violazione o elusione dell’obbligo a contrarre attuata “con riferimento a determinate zone territoriali o a singole categorie di assicurati”, il Collegio osserva innanzi tutto che non destano particolari problemi interpretativi né la condotta consistente nella “violazione” dell’obbligo a contrarre, nella quale rientrano, ad esempio, i casi di rifiuto sistematico di contrarre, né la condotta consistente nella “elusione” dell’obbligo a contrarre attuata attraverso ripetuti comportamenti (azioni od omissioni) della compagnia o di suoi incaricati tesi a aggirare sistematicamente l’obbligo di accettazione delle richieste, disincentivando gli utenti a proseguire nell’intento di concludere il contratto.

Ben diverse considerazioni valgono invece per la condotta elusiva attuata mediante la c.d. leva tariffaria.

A tal riguardo giova rammentare che nell’ordinamento italiano il primo riferimento all’elusione dell’obbligo di contrarre da parte delle imprese compare nell’art. 12-quater della legge n. 990/1969, introdotto con l’art. 4 della legge n. 57/2001 proprio con l’intento di limitare la libertà tariffaria delle imprese.

Tuttavia non è passato molto tempo prima che il legislatore si avvedesse che, per rendere tale disposizione concretamente applicabile, occorreva precisare le condizioni in base alle quali una certa tariffa potesse essere ritenuta tale da disincentivare un’intera categoria di soggetti.

Infatti il legislatore è nuovamente intervenuto con la disposizione dell’art. 25 della legge n. 273/2002, inserendo nell’art. 11 della legge n. 990/1969 (come modificato dal decreto legislativo n. 175/1995), il nuovo comma 1-bis, il quale prevedeva che, ai fini dell’adempimento degli obblighi di cui al comma 1 (ossia dell’obbligo di contrarre) “nella formazione delle tariffe le imprese calcolano distintamente i premi puri ed i caricamenti in coerenza con le proprie basi tecniche, sufficientemente ampie ed estese ad almeno cinque esercizi”, in modo da ancorare la fattispecie tipica dell’illecito alla utilizzazione di un procedimento di tariffazione contrastante con un’espressa disposizione normativa (quella dell’art. 11, comma 1-bis, della legge n. 990/1969), ma mantenendo nel contempo ferma la libertà delle imprese nella determinazione degli elementi e dei fattori discriminanti da utilizzare nella costruzione delle tariffe.

Tale punto d’arrivo dell’evoluzione normativa - basato su considerazioni evidentemente riferibili anche al quadro normativo risultante dal combinato disposto dell’art. 314, comma 2, del codice delle assicurazioni con l’articolo 132, comma 1, e l’art. 35, comma 1, del medesimo codice – ha trovato, come si è visto, l’autorevole avallo della Corte di Giustizia, nella già richiamata sentenza del 28 aprile 2009, dalla quale è possibile evincere che la configurazione della fattispecie della elusione dell’obbligo a contrarre attuata mediante la leva tariffaria, sul piano oggettivo, richiede all’Organismo di vigilanza di dimostrare che l’impianto tariffario dell’impresa manchi di ogni giustificazione tecnica plausibile.

Inoltre - fermo restando il problema di stabilire a quali condizioni una tariffa possa ritenersi elevata (problema evidentemente non risolto dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 28 aprile 2009) -, la presenza di «tariffe semplicemente elevate» non è sufficiente, di per sé, per configurare l’elusione dell’obbligo a contrarre.

Grava in particolare sull’Organismo di vigilanza l’onere di dimostrare, in conformità alla miglior scienza statistica e attuariale, che le tariffe praticate risultano non solo costruite senza aver calcolato i premi puri ed i caricamenti in coerenza con le proprie basi tecniche, sufficientemente ampie ed estese ad almeno cinque esercizi (o con le rilevazioni statistiche di mercato, nei limiti in cui l’art. 35, n. 1, del codice delle assicurazioni ne consente l’utilizzo), ma che esse siano anche prive di «ogni giustificazione tecnica plausibile» e, quindi, «palesemente dirette a negare una copertura assicurativa».

La prova dell’assenza di «ogni giustificazione tecnica plausibile» nel modello utilizzato per la costruzione delle tariffe passa anche attraverso una puntuale analisi delle metodologie, dei criteri e delle ipotesi tecniche e finanziarie, concretamente utilizzate dall’impresa e descritte nella relazione dell’attuario incaricato, per la determinazione del fabbisogno tariffario, del premio medio di tariffa e delle variabili di personalizzazione.

In tale ottica, se da un lato appare sufficientemente condivisibile quanto affermato dalla difesa dell’Autorità, secondo cui una «definizione stringente di rango primario del comportamento elusivo, in definitiva, avrebbe avuto il risultato di rendere del tutto inefficace ed in definitiva inutile la norma», tuttavia proprio il deficit di tipicità della fattispecie delineata dall’art. 314, comma 2, comporta che essa debba individuare con rigore scientifico e inappuntabile procedimento logico - razionale, l’esistenza di un abuso tariffario.

6. Passando poi al criterio di imputazione soggettiva dell’illecito, l’Autorità ha ricondotto anche l’elusione dell’obbligo sotto l’egida dell’art. 3 della legge n. 689/1981 - secondo il quale “Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.

Secondo autorevole dottrina l’utilizzo del termine “eludere” evoca il concetto di frode alla legge e costituisce indice della natura ontologicamente dolosa dell’illecito, imponendo all’Organismo di vigilanza di provare che le scelte operate dall’impresa nella costruzione delle tariffe siano scientemente preordinate a perseguire un obiettivo vietato.

Va tuttavia rilevato che la sottrazione dell’illecito alla polifunzionalità categoriale sancita nel citato art. 2 creerebbe problemi ermeneutici di diversa collocazione sistematica della fattispecie in esame.

Della obiettiva difficoltà d’inquadramento, però, appare consapevole anche l’amministrazione resistente,che, nel provvedimento impugnato, rileva, ad esempio, che “l’intenzione della compagnia di eludere l’obbligo a contrarre per alcune categorie di assicurati si sostanzia nella determinazione di premi di tariffa non giustificati tecnicamente per tali categorie: la penetrazione nelle zone per le quali è stato contestato il premio di tariffa del settore I e V rende ancora più evidente l’intenzione di eludere l’obbligo di contrarre per gli assicurati giovani nelle medesime zone” (pag. 5 dell’ordinanza impugnata, terzultimo capoverso).

Ad ogni buon conto, anche a volere accedere alla ricostruzione proposta dalla difesa dell’Istituto, e che quindi la norma sanzionatoria individui una fattispecie di violazione incentrata sulla mera condotta, per cui graverà sul trasgressore l’onere di provare di avere agito in assenza di colpevolezza, va ricordato che la colpa consiste nella violazione di “leggi, regolamenti, ordini o discipline” (così l’art. 43 c.p.).

Nel caso di specie, in disparte le disposizioni di attuazione degli artt. 34 e 35 del CAP, sopra riportate, l’Autorità non solo non ha ulteriormente definito «il quadro tecnico nel quale le imprese di assicurazioni devono calcolare i loro premi», ma non ha neppure fornito utili elementi per qualificare il contesto commerciale sulla base del quale sono state fatte le scelte fondanti le metodologie tecnico attuariali utilizzabili nella costruzione delle tariffe.

In assenza di un paradigma legale che consenta di rilevare con sicurezza, una condotta di tipo colposo, rimane la possibilità di evidenziare la sussistenza di un comportamento doloso, attraverso l’individuazione di indici sintomatici della volontà dell’impresa di sottrarsi all’obbligo a contrarre.

In tale evenienza, possono essere presi in considerazione circostanze quali ad esempio:

- il fatto che, in un determinato arco temporale, all’offerta non segua la stipula di alcun contratto o segua la stipula di un numero assolutamente irrisorio di contratti, se paragonato con quanto avvenuto in passato;

- il fatto che l’aumento tariffarlo non sia limitato a specifiche posizioni di rischio, ma coinvolga la maggior parte dei rischi non graditi;

- il fatto che le categorie di rischio incriminate siano particolarmente significative sia rispetto all’offerta della compagnia, sia rispetto alla stessa domanda di assicurazione.

Elemento di convergenza tra questi elementi è rappresentato proprio dai casi di assenza di «ogni giustificazione tecnica plausibile» della costruzione tariffaria pratica dall’impresa.

In tale ipotesi, infatti, l’unica spiegazione delle tariffe rimane l’intento di eludere l’obbligo di contrarre e il dolo è, sostanzialmente, “ in re ipsa ”.

7. Anche il tema delle discrezionalità tecnica delle Autorità indipendenti e quello delle modalità e dei limiti del sindacato del Giudice amministrativo sui provvedimenti che costituiscono espressione di tale forma di discrezionalità assume peculiare rilievo ai fini della decisione sulla presente controversia.

Al riguardo, a fronte dell’elevata libertà che il suesposto quadro normativo di riferimento garantisce alle imprese nella costruzione delle tariffe, appaiono senz’altro condivisibili le considerazioni svolte dall’amministrazione resistente per dimostrare che, nonostante la più volte citata della sentenza della Corte di Giustizia, l’esercizio del potere sanzionatorio insito nella disposizione dell’art. 314, comma 2, del decreto legislativo n. 209/2005 presuppone tuttora un’attività di controllo delle tariffe connotata da un elevato tasso di discrezionalità tecnica.

Infatti l’Organismo di vigilanza - anche attraverso la verifica dell’attività svolta dall’attuario incaricato (attività che, secondo la disposizione dell’art. 34, comma 1, del codice delle assicurazioni è finalizzata anche ad “agevolare l’esercizio dei poteri di vigilanza da parte dell’ISVAP”), ricapitolata nella relazione di cui all’art. 13 del D.M. n. 99/2008 - deve in concreto accertare se le metodologie, i criteri e le ipotesi tecniche e finanziarie utilizzate dall’impresa per la determinazione del fabbisogno tariffario, del premio medio di tariffa e delle variabili di personalizzazione non eccedano i suddetti limiti sostanziali.

Pure condivisibili appaiono alcune delle considerazioni svolte dall’amministrazione resistente in merito al sindacato giurisdizionale sui provvedimenti che costituiscono espressione del potere sanzionatorio di cui all’art. 314, comma 2, del decreto legislativo n. 209/2005.

In particolare l’Autorità ha richiamato le conclusioni alle quali sono pervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 2013 del 20 gennaio 2014 (con riferimento ad una controversia di cui era parte l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) che, stante la delicatezza della presente controversia, sono di seguito integralmente riportate:

«È stato già ripetutamente affermato, anche da queste sezioni unite, che i provvedimenti dell’Autorità Garante sono sindacabili dal giudice amministrativo per vizi di legittimità e non di merito, nel senso che non è consentito al giudice amministrativo esercitare un controllo c.d. di tipo “forte” sulle valutazioni tecniche opinabili, che si tradurrebbe nell’esercizio da parte del suddetto giudice di un potere sostitutivo spinto fino a sovrapporre la propria valutazione a quella dell’amministrazione, fermo però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile in sede giurisdizionale il controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza (Sez. Un n. 8882 del 2005 e n. 7063 del 2008). A questo insegnamento va data continuità, ma qualche ulteriore precisazione può essere opportuna, anche in ragione di una certa quale ambiguità insita nella suaccennata distinzione tra controllo di legittimità “debole” e “forte”: una distinzione che, in via di principio, si potrebbe esser tentati di rifiutare ove si abbia a che fare con la tutela di diritto soggettivi, la quale, alla luce degli artt. 24 e 101 Cost., mal si presta ad una simile graduazione d’intensità. Occorre ben chiarire, allora, che la non estensione al merito del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità Garante implica, certo, che il giudice non possa sostituire con un proprio provvedimento quello adottato da detta Autorità, ma non che il sindacato sia limitato ai profili giuridico-formali dell’atto amministrativo, restandone esclusa ogni eventuale verifica dei presupposti di fatto. La pienezza della tutela giurisdizionale necessariamente comporta che anche le eventuali contestazioni in punto di fatto debbano esser risolte dal giudice, quando da tali contestazioni dipenda la legittimità del provvedimento amministrativo che ha inciso su posizioni di diritto soggettivo. Né osta a tale conclusione il divieto per il giudice di sindacare l’esercizio della discrezionalità amministrativa: perché di questa è dato parlare solo quando si tratta di attività dell’amministrazione che comportino margini di scelta nell’apprezzamento dell’interesse pubblico, cui quell’attività deve tendere, e del modo in cui esso è destinato a contemperarsi con eventuali interessi contrastanti. In situazioni come quella in esame, viceversa, all’Autorità Garante è affidato un compito di accertamento e di applicazione della legge: un compito che ha connotati di neutralità e di oggettività ed in cui la discrezionalità amministrativa, come sopra intesa, di regola non gioca alcun ruolo. Può accadere, invece, che giochi un ruolo importante la c.d. discrezionalità tecnica (da intendersi nei termini che appresso si diranno), giacché la legge che l’Autorità Garante è chiamata ad applicare fa talvolta riferimento a nozioni - quale, ad esempio, quella di mercato rilevante - che non trovano nella legge stessa una definizione in tutto e per tutto puntuale: di modo che la loro individuazione in concreto richiede un tipo di valutazione di carattere tecnico, che, tanto nei suoi presupposti generali quanto nella sua specifica applicazione ai singoli casi, può talora presentare margini di opinabilità. È su questo punto che occorre allora interrogarsi: se le valutazioni tecniche operate dall’Autorità Garante, al fine di conferire concreto significato e di dare attuazione al precetto legale, possano e debbano esser sindacate da parte del giudice amministrativo, in presenza di un’impugnazione sollevata dalla parte interessata, pur quando presentino un inevitabile margine di opinabilità. In via di principio risulta difficile dare a tale domanda una risposta totalmente negativa. L’esercizio della discrezionalità tecnica, non essendo espressione di un potere di supremazia della pubblica amministrazione, non è di per sé solo idoneo a determinare l’affievolimento dei diritti soggettivi di coloro che dal provvedimento amministrativo siano eventualmente pregiudicati. Non può perciò sostenersi che chi lamenti la lesione del proprio diritto, a causa del cattivo esercizio della discrezionalità tecnica, non possa chiederne l’accertamento al giudice, il quale non potrà quindi esimersi dal verificare se le regole della buona tecnica sono state o meno violate dall’amministrazione. Ne fornice evidente conferma il fatto stesso che il giudice amministrativo disponga oggi di ampi mezzi istruttori, ivi compreso lo strumento della consulenza tecnica. Anche in settori diversi da quello che viene ora in esame questa corte, d’altronde, ha già avuto modo di precisare che le valutazioni tecniche, inserite in un procedimento amministrativo complesso e dipendenti dalla valorizzazione dei criteri predisposti preventivamente, sono assoggettabili al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, senza che ciò comporti un’invasione della sfera del merito amministrativo (Sez. Un. n. 10065 del 2011 e n. 14893 del 2010). Ma questo non esaurisce certo il problema. Sarebbe davvero ingenuo supporre che il ricorso a criteri di valutazione tecnica, in qualsiasi campo, offra sempre risposte univoche. È vero invece - e lo si è già accennato - che sovente esso conduce ad un ventaglio di soluzioni possibili, destinato inevitabilmente a risolversi in un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità. In situazioni di tal fatta il sindacato del giudice, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è destinato ad arrestarsi sul limite oltre il quale la stessa opinabilità dell’apprezzamento operato dall’amministrazione impedisce d’individuare un parametro giuridico che consenta di definire quell’apprezzamento illegittimo. Con l’ovvio corollario che compete comunque al giudice di vagliare la correttezza dei criteri giuridici, la logicità e la coerenza del ragionamento e l’adeguatezza della motivazione con cui l’amministrazione ha supportato le proprie valutazioni tecniche, non potendosi altrimenti neppure compiutamente verificare quali siano in concreto i limiti di opinabilità dell’apprezzamento da essa compiuto. Se quanto appena detto è vero, in via generale, ancor più lo è nel caso particolare del sindacato sui provvedimenti delle cosiddette autorità amministrative indipendenti [...] trattandosi di autorità cui proprio in ragione della loro specifica competenza tecnica, oltre che del carattere oggettivo e neutrale delle loro funzioni, sono stati affidati dal legislatore compiti di vigilanza ed accertamento nei settori di rispettiva competenza (compiti da esplicare attraverso procedimenti amministrativi connotati da particolari garanzie per i controinteressati). È fuori discussione che anche gli atti di tali autorità siano soggetti al sindacato giurisdizionale, ed è agevole comprendere la ragione per la quale, nel caso degli atti dell’Autorità Garante, il legislatore abbia fatto ricorso alla giurisdizione esclusiva, così da unificare la tutela dei diritti e degli interessi legittimi che non sempre sarebbe stato altrimenti agevole distinguere. Ma ipotizzare che, con riguardo a valutazioni tecniche aventi un significativo margine di opinabilità - valutazioni proprio per operare le quali il legislatore ha stimato necessario dar vita ad un organismo al tempo stesso indipendente e dotato di specifiche competenze professionali - il sindacato giurisdizionale possa spingersi sino a preferire una soluzione diversa da quella plausibilmente prescelta dall’Autorità Garante significherebbe misconoscere la ragione stessa per la quale questa è stata istituita».

7.1. A tale precedente, sia consentito aggiungere quanto statuito dal Consiglio di Stato, ormai diversi anni fa, ma con motivazione ancora pienamente valida, secondo cui «la discrezionalità tecnica ricorre quando la p.a., per provvedere su un determinato oggetto, deve applicare una norma tecnica cui una norma giuridica conferisce rilevanza diretta o indiretta e tale discrezionalità, qualora si sia manifestata attraverso apprezzamenti tecnici, è sindacabile in sede giurisdizionale in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell' "iter" logico seguito dall'autorità amministrativa, ma alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo» (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 601 del 9.4.1999).

Scriveva il Consiglio «L'applicazione di una norma tecnica può comportare valutazione di fatti suscettibili di vario apprezzamento, quando la norma tecnica contenga dei concetti indeterminati o comunque richieda apprezzamenti opinabili.

Ma una cosa è l'opinabilità, altra cosa è l'opportunità.

La questione di fatto, che attiene ad un presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo, non si trasforma - soltanto perché opinabile - in una questione di opportunità, anche se è antecedente o successiva ad una scelta di merito».

Pertanto, «è ragionevole l'esistenza di una "riserva di amministrazione" in ordine al merito amministrativo, elemento specializzante della funzione amministrativa» ma «non anche in ordine all'apprezzamento dei presupposti di fatto del provvedimento amministrativo, elemento attinente ai requisiti di legittimità e di cui è ragionevole, invece, la sindacabilità giurisdizionale».

In sostanza, non è l'opinabilità degli apprezzamenti tecnici dell'amministrazione che ne determina la sostituzione con quelli del giudice, “ma la loro inattendibilità per l'insufficienza del criterio o per il vizio del procedimento applicativo”.

In tale quadro, viene valorizzato l’utilizzo della consulenza tecnica, in quanto strumentale al più completo accertamento del fatto (cfr. ex multis , Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 settembre 2014, n. 4505, nonché Cass. civ., Sez. Un., 20 gennaio 2014, n. 2013 cit.),

8. Ciò posto, il Collegio ritiene fondati i motivi di ricorso incentrati sul difetto di motivazione e di istruttoria.

In particolare, il ragionamento svolto dall’Ivass per pervenire, dai rilievi concernenti errori metodologici dell’impresa nella costruzione dei premi tecnici e/o di quelli commerciali, all’accertamento della fattispecie di elusione, presenza carenze di natura logica delle quali si trova riscontro anche nella CTU.

Al riguardo, occorre preliminarmente precisare che, a parere del Collegio, risulta irrilevante la violazione del contraddittorio denunciata dall’IVASS.

Il CTU ha infatti chiarito, nella relazione aggiuntiva, di aver «trasmesso, nei termini stabiliti, lo schema della propria relazione, lasciando alla versione definitiva i calcoli dettagliati», e che a questo schema di relazione «sono seguite le osservazioni dei consulenti tecnici di parte».

Pertanto, risulta evidente che la violazione del contraddittorio riguarda solo i calcoli effettuati dal CTU e non si riferisce alle considerazioni di quest’ultimo sulla metodologia seguita dall’ISVAP nel procedimento in esame.

Inoltre, le considerazioni del CTU sono state precisate e sviluppate nella relazione aggiuntiva, dando così all’amministrazione la possibilità di controdedurre.

8.1. Ciò posto, in primo luogo, non risulta che l’Istituto abbia mai effettuato, né in sede procedimentale, né in sede ricorsuale, una valutazione concreta dell’entità degli effetti distorsivi che esso ritiene essere derivati dagli errori metodologici e/o di scelta della variabili di personalizzazione imputati all’impresa ricorrente.

Si è già detto, nella narrativa che precede, che la richiesta istruttoria formulata dal Collegio, relativa allo sviluppo dei “calcoli conseguenziali agli errori metodologici contestati all’impresa ricorrente” al fine di dare “evidenza numerica al Collegio dell’effetto di tali errori sull’entità dei premi tecnici relativi al profilo oggetto di sanzione”, non è stata evasa dall’Istituto, il cui consulente ha affermato «la non praticabilità della sostituzione di un operatore esterno alla Compagnia per “ricalcolare” la tariffa, [...] perché questa non può essere determinata univocamente in relazione ai suoi elementi costituiti da ipotesi, previsioni e scelte».

8.2. Relativamente alla scelta della metodologia e alla sua applicazione, il CTU, premessi alcune rilievi sulla validità tecnico – attuariale dell’indagine statistica svolta dall’Istituto, ha ricordato che l’attuale normativa primaria non fornisce specifiche tecniche sui modelli da adottare per la costruzione delle tariffe, sebbene, nell’ambito del regolamento Isvap n. 16 del 4 marzo 2008, il modello c.d. “univariato” assuma un preciso ruolo di riferimento.

Nell’allegato D), egli ha peraltro precisato le condizioni necessarie affinché l’approccio moltiplicativo su base univariata possa considerarsi corretto, sia dal punto di vista del fabbisogno, sia dal punto di vista dell’equità per raggruppamenti di assicurati.

Ha quindi autonomamente proceduto al “ricalcolo” della tariffa RCA di CCA, utilizzando “un procedimento consolidato nel tempo che segue le linee guida di quello utilizzato dal gruppo di lavoro ministeriale, meglio conosciuto come “Commissione Filippi” [...]”.

Il risultato “dei nuovi premi riscostruiti con le variabili, non oggetto di indagine, neutralizzate come richiesto nella circolare del 24.2.2010 dell’Isvap e con un nuovo coefficiente cilindrata valorizzato a 0.818”, è riportato nella tavola 5 (pag. 39 della Relazione).

Il CTU ha evidenziato che se, la Compagnia avesse operato in questo modo, solo per la Provincia di Napoli si sarebbe ottenuto lo stesso valore, mentre in tutte le altre province i premi sarebbero stati notevolmente più bassi, con riduzioni anche del 70%”.

Relativamente all’adeguatezza delle basi tecniche, specifico oggetto di contestazione, il CTU rileva che l’art. 35, comma 1, del cap, non precisa, relativamente alle imprese che non dispongano di basi tecniche proprie, che cosa debba intendersi per mercato, né viene precisato che queste statistiche debbano essere “significative”.

8.2.1. A fronte della complessiva ricostruzione del CTU, sia in ordine alla basi statistiche utilizzate dalla ricorrente sia in ordine alla ricostruzione dei premi relativi ai profili in contestazione sulla base dei dati Ania – Ivass, (della quale l’Amministrazione ha individuato talune, ma non decisive contraddizioni), reputa il Collegio che l’Autorità non abbia offerto concreta dimostrazione dell’inattendibilità dell’impianto tariffario costruito dalla società ricorrente.

In particolare, sul piano logico, appare censurabile l’assunto secondo cui qualsiasi errore nella scelta, vuoi della base statistica, vuoi dei coefficienti di personalizzazione, produca risultati statisticamente inattendibili.

Infatti, anche nell’ottica “oggettiva” del concetto di elusione, sposata dall’Autorità, era quantomeno necessario che essa evidenziasse l’incidenza degli errori metodologici rilevati sull’impianto tecnico della tariffa, con particolare riguardo ai profili per cui è stata ritenuta la sussistenza di una fattispecie elusiva.

8.3. L’altro tassello del ragionamento svolto dall’Autorità, è rappresentato dalla circostanza che l’impresa abbia scelto di disapplicare i premi tecnici, restando “incomprensibile come, di fronte a basi tecniche e a sistemi di coefficienti che generano premi dell’ordine di grandezza che qui si riscontra, possa parlarsi di una sostanziale adeguatezza”.

L’Istituto ha quindi interpretato la correzione dei premi tecnici come un indice, ex se , dell’inaffidabilità dei risultati ottenuti e, comunque, del modello adottato.

Al riguardo il CTU ha tuttavia ricordato che nessuna impresa assicurativa utilizza direttamente in tariffa i coefficienti tecnici provenienti dal modello di calcolo, e che l’applicazione di un plafond , “viene largamente usato dalla Compagnie solo a fini commerciali e non perché i premi ottenuti dal calcolo siano errati”.

L’Ivass, non avendo effettuato, a monte, alcuna ponderazione sull’effettiva incidenza degli errori rilevati nella costruzione dei premi tecnici, non è stata conseguentemente in grado di fornire una chiara ed esauriente spiegazione dello scostamento dalle evidenze tecniche per ragioni commerciali. Tale dimostrazione era, per contro, necessaria al fine di supportare l’argomentazione secondo cui lo scostamento rilevato non poteva che essere il frutto di scelte commerciali assolutamente gratuite o comunque sganciate da una corretta prospettazione dell’attività e dell’offerta societaria, tali quindi da costituire meri “fattori di soggettività ed arbitrarietà”.

9. Il provvedimento impugnato si rivela infine carente anche nella parte in cui ritiene di individuare un adeguato elemento di prova dell’intento elusivo nella circostanza che, per i profili in contestazione, non siano stati stipulati contratti.

In particolare, l’Autorità non ha tenuto in considerazione l’esiguità delle quota di mercato riferibile ai profili oggetto di sanzione.

E’ rimasto infatti incontestato che, per effetto della c.d. legge Bersani, la maggior parte degli assicurati diciottenni si sia spostata verso classi di merito più vantaggiose, potendo usufruire, ai sensi dell’art. 134, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 209/2005, del trattamento tariffario e della classe di merito del genitore e/o del familiare convivente.

Secondo il CTU “i profili “Tipo I” e “Tipo IV” sono, ciascuno, solo una combinazione su migliaia di possibili combinazioni, sono profili essenzialmente “teorici”, poiché nella realtà sono quasi inesistenti;
ciascuno non può essere assolutamente considerato rappresentativo dell’intera tariffa e commercialmente non hanno alcun peso sui portafogli delle singole compagnia” (pag. 27 della Relazione).

Per tale ragione, reputa il Collegio che il mero dato numerico dei contratti stipulati (o meno) con i diciottenni in classe d’ingresso, non possa essere considerato assolutamente sintomatico della finalità elusiva, rappresentando un elemento ambiguo e come tale utilizzabile per fondare tesi anche contrapposte.

In realtà, l’Istituto avrebbe dovuto indagare, in concreto, la sussistenza di uno o più degli indici sintomatici che si è in precedenza evidenziati, quali, ad esempio:

- il fatto che, in un determinato arco temporale, all’offerta non segua la stipula di alcun contratto o segua la stipula di un numero assolutamente irrisorio di contratti, se paragonato con quanto avvenuto in passato;

- il fatto che l’aumento tariffarlo non sia limitato a specifiche posizioni di rischio, ma coinvolga la maggior parte dei rischi non graditi;

- il fatto che le categorie di rischio incriminate siano particolarmente significative sia rispetto all’offerta della compagnia, sia rispetto alla stessa domanda di assicurazione.

Nel provvedimento impugnato, invece, l’amministrazione si è limitata a rilevare che “l’assenza di contratti per i profili interessati conferma l’abnormità dei premi proposti per tali profili di rischio” (pag. 4), senza alcuna analisi reale del contesto di mercato e dell’organizzazione delle rete distributiva dell’impresa ricorrente.

10. Stante quanto precede, sebbene il provvedimento impugnato evidenzi dei potenziali indici di anomalia nella procedura seguita dalla società ricorrente nella costruzione delle tariffe, tuttavia le carenze di natura istruttoria e motivazionale innanzi evidenziate non consentono di ritenere raggiunta la prova della sussistenza di una condotta elusiva, né che essa sia imputabile alla società ricorrente a titolo colposo ovvero doloso.

In definitiva, il ricorso deve essere accolto, con il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.

La novità e complessità delle questioni trattate giustificano la composizione integrale, tra l’IVASS e la società ricorrente, delle spese del presente giudizio, ivi comprese quelle relative alla CTU, che saranno liquidate con separato provvedimento.

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