TAR Roma, sez. 4S, sentenza 2024-01-29, n. 202401638

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 4S, sentenza 2024-01-29, n. 202401638
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202401638
Data del deposito : 29 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/01/2024

N. 01638/2024 REG.PROV.COLL.

N. 04340/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4340 del 2014, proposto da
R C G A, A R M, rappresentati e difesi dall'avvocato M R, con domicilio eletto in Roma, Circonvallazione Trionfale, 123;

contro

Roma Capitale, rappresentata e difesa dagli avvocati A C, A M, M R, domiciliata in Roma, via Tempio di Giove, 21;

per l'annullamento

della determinazione dirigenziale n. 746 del 24.12.2013, con la quale l’Ufficio Condono Edilizio di Roma Capitale ha rigettato l’istanza di sanatoria presentata in data 10.12.2004, relativa al condono di opere abusive realizzate nell’immobile sito in Via Godrano n. 46.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 26 gennaio 2024 il dott. A F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I signori R C G A e A R M hanno impugnato e chiesto l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 746 del 24.12.2013, con la quale l’Ufficio Condono Edilizio ha rigettato l’istanza di sanatoria presentata in data 10.12.2004, relativa al condono di opere abusive realizzate nell’immobile sito in Via Godrano n. 46 (distinto al N.C.E.U. al Foglio 1018, particella 2450) e consistenti nella “ realizzazione di unità residenziale di mq 53,00 di s.u.r.. e mq 160,00 di s.n.r. ”. In particolare, è stato rilevato che “ l’area su cui insiste l'abuso risulta gravata dai seguenti vincoli: Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - , Parziale inedificabilità - Norme P.R.G. Falde Idriche, P.T.P. 15/9 Valle dell'Aniene TL a/45 ”.

In data 29.1.2013 è stato emesso il preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10 bis della legge 241/1990, notificato il successivo 11.2.2013, al quale ha fatto seguito, su impulso dei proprietari, la nota del Presidente del Consorzio Ponte di Nona Prato Fiorito del 3.4.2013, nella quale si è osservato che “ la zona è totalmente edificata sia con licenze in sanatoria sia con comparti edificatori e lotti edificati con nuovi permessi a costruire rilasciati dal IX Dipartimento di Roma Capitale ” e soggiungendosi che “ l’immobile in questione è inoltre allacciato regolarmente alla fogna comunale ”, essendo ubicato “ a circa 200 metri dal Fosso di Prato Lungo ”.

A fronte di tali controdeduzioni, il responsabile comparto vincoli, con nota del 2.7.2013, ha rimesso al responsabile dell’ufficio contenzioso le “ valutazioni di merito ”, confermando, nondimeno, che “ 1) l'abuso di cui all'istanza in evidenza individuato catastalmente con Foglio 1018 e Particella 2450, rientra in zona "03" di P.R.G.;
2) il regime vincolistico riscontrato in base al Codice dei Beni Paesaggistici di cui all'ex art. 134, comma 1, riporta, per la localizzazione dell'abuso, alla lettera b): - codice "c" Fossi - vincolo Parziale di Inedificabilità - Norme P.R.G. Falde Idriche, 3) l'abuso è localizzato all'interno del P.T.P. 15/9 Valle dell'Aniene TLa/45, consiste nella realizzazione di un manufatto a destinazione residenziale, pertanto la tipologia d'abuso è "1", risulta rientrare nelle cause ostative di cui all'art. 3, comma 1, lett. b) della legge regionale 12/2004, in quanto non risulta appartenente al Consorzio
”.

Il che ha condotto all’adozione dell’impugnato diniego di condono, la cui legittimità è stata censurata dai ricorrenti, con unico e articolato motivo, per violazione dell'art. 32, comma 27 e dell’art. 43 del DL 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge 326/2003, e ciò in riferimento all’art. 32 della legge 47/1985;
nonché per eccesso di potere per difetto d’istruttoria e di motivazione, erroneità ed illogicità dei presupposti.

In particolare, i ricorrenti hanno lamentato che “ il provvedimento negatorio impugnato si fonda sull'erroneo presupposto che l'art. 3 della citata legge regionale n. 12/04 precluda in ogni caso la sanatoria di opere abusive realizzate in aree sottoposte a vincolo senza effettuare ulteriori valutazioni ”, contestando che “ la norma in parola non riguardi affatto il vincolo relativo alle falde idriche non essendovi nell'art. 3, n. 1 lettera b) alcun espresso specifico richiamo. L'area in cui risulta ubicato l'immobile abusivo oggetto di domanda di condono non è all'interno di un parco, o di altra area protetta a livello nazionale o comunitario, trattandosi di zona urbana totalmente edificata con vecchie e nuove costruzioni realizzate grazie a concessioni edilizie ritualmente rilasciate dall'odierna resistente negli ultimi anni ” (cfr. pag. 3).

I ricorrenti hanno, poi, evidenziato che “ la zona di intervento ricade proprio in tale fattispecie di area urbana e l'immobile de quo risulta compreso nel perimetro del piano particolareggiato del nucleo di zona "0" "n. 17 – Prato Fiorito" adottato con Delibera del consiglio comunale n.240 del 20.09.1997 ed approvato con delibera Giunta regionale n.2016 del 21.12.2001 ” (cfr. pag. 4);
hanno, infine, sottolineato che, a tutto concedere, sussisterebbero i presupposti per il “ declassamento del vincolo "falde idriche" che viene superato con l'ottenimento del nulla osta all'allaccio in fogna da parte dell'Acea, Autorità preposta alla tutela ed al rispetto delle falde idriche dell'area come previsto dall'art.32 comma 1 L.47/1985 ” (cfr. pag. 5).

Si è costituita in giudizio Roma Capitale (6.5.2014).

In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 26 gennaio 2024, le parti hanno depositato le rispettive memorie e repliche e, a tale udienza, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto, non cogliendo nel segno alcuno dei motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente.

Un primo, imprescindibile, profilo di analisi va rapportato all’orientamento generale della giurisprudenza in ordine alla disciplina del c.d. terzo condono, previsto dall’art. 32 del DL 269/2003, la quale, pure, presenta elementi di continuità con le previsioni delle precedenti legislazioni in materia (legge 47/1985 e legge 724/1994).

Ciò premesso, è noto che il condono è stato qualificato dalla giurisprudenza costituzionale alla stregua di una sanatoria a “ carattere temporaneo ed eccezionale rispetto all’istituto a carattere generale e permanente del “permesso di costruire in sanatoria”, quest’ultimo disciplinato dagli artt. 36 e 45 del DPR 380/2001, sottolineandosi che, comunque, si tratta di un istituto “ammissibile solo “negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale” (sentenza n. 369 del 1988), dovendo in altre parole “trovare giustificazione in un principio di ragionevolezza” (sentenza n. 427 del 1995) ”: statuizioni espresse dal Giudice delle leggi nella sentenza 28 giugno 2004, n. 196.

Nella medesima pronuncia si è, inoltre, evidenziato che si tratta di un “ condono che si ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti dall'inizio degli anni ottanta: ciò è reso del tutto palese dai molteplici rinvii contenuti nell'art. 32 alle norme concernenti i precedenti condoni, ma soprattutto dal comma 25 dell'art. 32, il quale espressamente rinvia alle disposizioni dei “capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni”, disponendo che tale normativa, come ulteriormente modificata dal medesimo art. 32, si applica “alle opere abusive” cui la nuova legislazione appunto si riferisce. Attraverso questa tecnica normativa, consistente nel rinvio alle disposizioni dell'istituto del condono edilizio come configurato in precedenza, si ha una esplicita saldatura fra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano solo alcune limitate innovazioni ”.

Ma nel caso del terzo condono l’ambito di valutazione deferito all’Amministrazione è stato circoscritto, nel senso che si è riconosciuto al legislatore regionale di esercitare un ruolo “ specificativo – all’interno delle scelte riservate al legislatore nazionale – delle norme in tema di condono, contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell’ambiente e del paesaggio, che sono – per loro natura – i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi (sentenza n. 49 del 2006) ” (cfr. Corte Costituzionale, 26 luglio 2019, n. 208).

Anche in tempi assai recenti si è quindi consolidata la consapevolezza che “ dalla giurisprudenza costituzionale esaminata emerge: per un verso, il carattere sicuramente più restrittivo del terzo condono rispetto ai precedenti, in ragione dell’effetto ostativo alla sanatoria anche dei vincoli che comportano inedificabilità relativa;
per altro verso, il significativo ruolo riconosciuto al legislatore regionale, al quale – ferma restando la preclusione all’ampliamento degli spazi applicativi del condono – è assegnato il delicato compito di «rafforzare la più attenta e specifica considerazione di […] interessi pubblici, come la tutela dell’ambiente e del paesaggio» (sentenza n. 208 del 2019)
” (cfr. Corte Costituzionale, 30 luglio 2021, n. 181, la quale ha rimarcato che “ al legislatore regionale compete «l’articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale» (sentenze n. 77 del 2021, n. 73 del 2017 e n. 233 del 2015), e, in questo contesto, gli spetta il compito di farsi garante dei valori paesaggistico-ambientali e – per quel che rileva nel caso di specie – archeologici, che rischierebbero di essere ulteriormente compromessi da un ampliamento del regime condonistico. L’intervento regionale può essere diretto solo a introdurre una disciplina più restrittiva di quella statale, nell’esercizio delle competenze in materia di «governo del territorio», e quindi anche a proteggere meglio gli anzidetti valori ”).

Per quanto più interessa il presente giudizio, la legge regionale del Lazio ha distinto tra:

a) “ opere abusive suscettibili di sanatoria” (art. 2, comma 1), che contemplano, tra le varie ipotesi, le opere “che non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al venti per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, superiore a 200 metri cubi ”;
che “ non abbiano comportato la realizzazione di un volume superiore a 450 metri cubi per singola domanda di titolo abilitativo edilizio in sanatoria a condizione che la nuova costruzione non superi, nel suo complesso, 900 metri cubi, nel caso in cui si tratti di unità immobiliare adibita a prima casa di abitazione del richiedente nel comune di residenza ”;
che “ non abbiano comportato la realizzazione di un volume superiore a 300 metri cubi per singola domanda di titolo abilitativo edilizio in sanatoria a condizione che la nuova costruzione non superi, nel suo complesso, 600 metri cubi, nel caso in cui non si tratti di unità immobiliare adibita a prima casa di abitazione del richiedente nel comune di residenza ”;
che “ non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, superiore a 750 metri cubi ”;
e, soprattutto, “ opere realizzate in assenza del o in difformità dal titolo abilitativo edilizio ma conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici approvati o adottati alla data del 31 marzo 2003, nel rispetto dei limiti massimi di cubatura previsti dall’articolo 32, comma 25, del d.l. 269/2003 e successive modifiche ”;

b) “ cause ostative alla sanatoria edilizia ” (art. 3), in cui si prevede che “ fermo restando quanto previsto dall’articolo 32, comma 27, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, dall’articolo 32 della l. 47/1985, come da ultimo modificato dall’articolo 32, comma 43, del citato d.l. 269/2003, nonché dall’articolo 33 della l. 47/1985, non sono comunque suscettibili di sanatoria: (…) le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali” .

Su tale, ultima, disposizione la giurisprudenza amministrativa si è espressa nel senso che la successiva apposizione del vincolo non possa giustificare il superamento del limite di non condonabilità (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 14 giugno 2016, n. 2568;
id., 11 aprile 2017, n. 1697;
id., 9 settembre 2019, n. 6109), concludendosi, da parte della Corte Costituzionale, che “ introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, il legislatore regionale del Lazio non ha oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza. Per un verso, infatti, la possibile sopravvenienza di vincoli ostativi alla concessione del condono risulta espressamente prevista dalla disposizione censurata, ciò che ne esclude la lamentata assoluta imprevedibilità. Per altro verso, il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale ha come obiettivo la tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l’ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni ”.

Ne consegue che, alla luce delle illustrate disposizioni, da coniugarsi con gli artt. 2 e 3, comma 1, lettera b), della legge regionale 12/2004, possono ritenersi suscettibili di sanatoria, nelle aree soggette a vincoli, solo le opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del decreto legge 269/2003, corrispondenti a opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria (in termini: TAR Lazio - Roma, sez. II bis, 17 febbraio 2015, n. 2705;
4 aprile 2017 n. 4225;
13 marzo 2019, n. 4572;
7 gennaio 2020, n. 90;
26 marzo 2020 n. 2660;
2 marzo 2020, n. 2743;
7 maggio 2020, n. 7487;
18 agosto 2020, n. 9252), mentre per le altre tipologie di abusi interviene la preclusione legale alla sanabilità delle opere abusive.

Nella specie, il diniego di condono risulta decisivamente motivato sull’inclusione dell’immobile controverso nella Valle dell’Aniene, come risulta incontestato sulla base del certificato di destinazione urbanistica allegato in atti.

L’adozione, da parte della Regione Lazio, del Piano Territoriale Paesistico 15/9 Valle dell’Aniene, depone per il riconoscimento della rilevanza ambientale dell’area in questione e, di conseguenza, imponendo condizioni di sostanziale integrità, con la conseguenza che la valutazione istruttoria che ha condotto all’emissione dell’impugnato decreto è da ritenere legittima e ragionevole perché improntata alla conservazione e la valorizzazione del contesto sopra indicato.

Del resto, nel certificato di destinazione urbanistica del 31.8.2011, allegato dai ricorrenti, è vero che risulta che “ l’immobile risulta compreso nel perimetro del piano particolareggiato del nucleo di zona "O" n. 17 "Prato Fiorito", approvato con D.G.R.L. 2016 del 21 /12/2001 con destinazione: maggior parte "zona di conservazione, completamento e nuova edificazione residenziale, non residenziale e mista i.f. 0,80" e minor parte “viabilità ””;
ma è, altrettanto vero che tale certificato espressamente conferma – evidenza non citata dai ricorrenti – che “ l’immobile risulta compreso nel perimetro del piano territoriale paesistico - ambito territoriale n. 15/9 "Aniene", approvato con legge regionale n. 24 del 6 luglio 1998 ”.

Né, infine, può decisivamente rilevare il nulla osta al (solo) “ allaccio dei soli liquami domestici ”, emesso da Acea in data 20.11.2009.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono quantificate, ai sensi del DM 55/2014, in €. 1.500,00, oltre accessori, che i ricorrenti dovranno corrispondere a Roma Capitale.

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