TAR Venezia, sez. I, ordinanza collegiale 2020-01-27, n. 202000086

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, ordinanza collegiale 2020-01-27, n. 202000086
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202000086
Data del deposito : 27 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/01/2020

N. 01076/2019 REG.RIC.

N. 00086/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01076/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 1076 del 2019, proposto dal


dott. V A, rappresentato e difeso dagli avv.ti V P e F C e con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia


contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Commissario Straordinario Delegato per il rischio idrogeologico nel Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore , ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia e domiciliati presso gli Uffici della stessa, in Venezia, S. Marco, n. 63
Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonella Cusin ed Ezio Zanon e con domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura Regionale, in Venezia, Cannaregio, n. 23

per l’accertamento

dell’illegittimità del silenzio serbato dalla P.A. sull’atto di invito e diffida datato 28 dicembre 2018, con cui il ricorrente ha chiesto formalmente la corresponsione, in relazione allo svolgimento della sua attività di Commissario Straordinario Delegato per il rischio idrogeologico nel Veneto, per le causali specificate nella diffida stessa, in applicazione del d.P.C.M. 20 marzo 2017, delle seguenti somme: a) compenso parte variabile per il periodo dal 1° gennaio 2012 al 26 giugno 2014, pari ad € 73.600,00 lordi;
b) compenso parte fissa per il periodo dall’8 marzo 2014 al 26 giugno 2014, pari ad € 15.205,00 lordi, per un totale complessivo di € 88.805,00 lordi oltre interessi legali dal dovuto al saldo

nonché per l’accertamento

dell’illegittimità del silenzio serbato dalla P.A. sull’atto di sollecito e diffida del 14 maggio 2019

e conseguentemente per la declaratoria

dell’obbligo della P.A. di provvedere

ed ancora per l’accertamento

della fondatezza delle istanze ivi contenute.


Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visti i controricorsi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Commissario Straordinario Delegato per il rischio idrogeologico nel Veneto;

Visti la memoria difensiva e i documenti depositati dalla difesa erariale;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Veneto;

Visti la memoria, i documenti e la memoria di replica della Regione Veneto;

Vista la memoria di replica del ricorrente;

Visti tutti gli atti della causa;

Nominato relatore nella camera di consiglio del 22 gennaio 2020 il dott. P D B;

Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Visti gli artt. 31 e 117 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.p.a.);

Visto, altresì, l’art. 73, comma 3, c.p.a.


Considerato che l’odierno ricorrente, dott. V A, agisce con il cd. rito del silenzio ex artt. 31 e 117 c.p.a. per ottenere il pagamento dalla P.A. della parte di compenso non corrispostagli per la sua attività di Commissario Straordinario Delegato per la mitigazione del rischio idrogeologico in Veneto;

Considerato che il ricorrente espone:

- di essere stato nominato, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 gennaio 2011, Commissario Straordinario per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico da effettuare nella Regione Veneto e di avere svolto detto incarico dal 22 gennaio 2011 al 21 gennaio 2014, nonché oltre tale scadenza, dapprima in regime di prorogatio fino all’8 marzo 2014 e poi, in assenza di un subentro nelle funzioni da parte di altro organo o autorità, fino al 26 giugno 2014;

- che il compenso attribuitogli, in origine fissato in € 130.000,00 lordi annui, veniva rideterminato a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 98 del 2011, conv. con l. n. 111 del 2011, il quale a decorrere dal 1° gennaio 2012 suddivideva il compenso dei commissari in una parte fissa ed in una variabile, ciascuna delle due di importo non superiore a € 50.000,00 annui;

- che, peraltro, in mancanza, nella disciplina introdotta dal d.l. n. 98 del 2011, dell’indicazione delle modalità per il calcolo della parte variabile del compenso, l’esponente percepiva (oltre al compenso per il 2011) il solo compenso corrispondente alla parte fissa per il periodo dal 1° gennaio 2012 all’8 marzo 2014. Egli, dunque, non percepiva alcuna somma per la parte variabile del compenso, né, più in generale, alcunché per il periodo di svolgimento di fatto delle funzioni, dall’8 marzo al 26 giugno 2014;

- che, pertanto, dopo aver inutilmente sollecitato la P.A. a corrispondergli le somme dovutegli, con ricorso al Tribunale di Venezia in funzione di Giudice del Lavoro, egli chiedeva la condanna delle Amministrazioni convenute (anche in solido tra loro) al pagamento di dette somme, o in subordine al risarcimento del danno;

- che, tuttavia, con sentenza n. 673/2016 dell’11 novembre 2016, il Tribunale del Lavoro di Venezia dichiarava il proprio difetto di giurisdizione sulla controversia, dovendo il ricorrente qualificarsi come funzionario onorario ed essendo, per l’effetto, la controversia devoluta alla cognizione del G.A.: ciò, per essere la domanda attinente al compenso spettante al funzionario onorario, rimesso nell’ambito di una certa variabilità alle determinazioni dell’Amministrazione;

- che successivamente veniva emanato il d.P.C.M. 20 marzo 2017, con cui venivano stabiliti i criteri e le modalità di determinazione della parte variabile del compenso da corrispondere ai Commissari Straordinari Delegati per il rischio idrogeologico, il quale, però, non sarebbe stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, tant’è vero che l’esponente ne avrebbe avuto conoscenza solamente tempo dopo e in modo fortuito;

- che dopo varie richieste di pagamento rimaste prive di riscontro, conosciuto il testo del d.P.C.M. 20 marzo 2017 egli inviava alle Amministrazioni interessate, in data 28 dicembre 2018, un atto “ di invito e diffida ” a pagargli le somme determinate sulla base di tale decreto, ammontanti ad € 73.600,00 lordi per la parte variabile del compenso, calcolata per il periodo 1° gennaio 2012 – 26 giugno 2014, ed € 15.205,00 lordi per la parte fissa attinente al periodo dall’8 marzo al 26 giugno 2014, per un totale di € 88.805,00 lordi, oltre interessi legali dal dovuto al saldo;

Considerato che, non avendo le Amministrazioni destinatarie dell’atto “ di invito e diffida ” in data 28 dicembre 2018 provveduto sullo stesso, né sul relativo sollecito del 14 maggio 2019, con il ricorso in epigrafe l’esponente agisce per ottenere:

a) l’accertamento dell’obbligo delle ridette Amministrazioni di provvedere sull’atto in discorso (e in ogni caso sul sollecito del 14 maggio 2019);

b) l’accertamento della fondatezza della pretesa contenuta nell’atto stesso e, pertanto, la declaratoria dell’obbligo delle Amministrazioni – ciascuna per quanto di competenza e se del caso in solido – a corrispondergli la suvvista somma di € 88.805,00 lordi, oltre rivalutazione e interessi;

c) l’ordine alle Amministrazioni di provvedere in un termine all’uopo fissato, con contestuale nomina di un Commissario ad acta incaricato di provvedere qualora l’inadempimento delle Amministrazioni stesse perduri alla scadenza del predetto termine;

Considerato che si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Commissario Straordinario Delegato per il rischio idrogeologico nel Veneto, depositando memoria e contestando le pretese di parte ricorrente;

Considerato che si è costituita in giudizio, altresì, la Regione Veneto, depositando memoria e replica e resistendo a sua volta alle pretese del ricorrente;

Considerato che all’odierna Camera di consiglio, fissata per la discussione del ricorso, si è anticipata alle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., la sussistenza di possibili dubbi di inammissibilità per più versi del medesimo, rilevati ex officio e per la cui illustrazione – data la necessità di una compiuta esposizione degli stessi – si rende necessaria la redazione della presente ordinanza, al fine di sentire le parti su tali dubbi (v. T.A.R. Veneto, Sez. I, ord. 22 novembre 2019, n. 1269);

Considerato, in particolare, che:

A) da un primo punto di vista, il Collegio richiama l’indirizzo giurisprudenziale – cui si è ispirato il Tribunale del Lavoro di Venezia – per il quale la controversia sul compenso del funzionario onorario è devoluta al G.A. quando il trattamento economico di quest’ultimo sia rimesso alle determinazioni discrezionali dell’Autorità, facendosi in tal caso valere un interesse legittimo, mentre essa appartiene al G.O. quando l’emolumento sia normativamente stabilito: in tal caso, infatti, la posizione giuridica fatta valere in giudizio è un diritto soggettivo già predeterminato nell’ an e nel quantum , cosicché la liquidazione del compenso è pretesa da far valere dinanzi al G.O. (C.d.S., Sez. III, 27 giugno 2017, n. 3132;
T.A.R. Napoli, Sez. I, 24 ottobre 2016, n. 4839);

- orbene, nel caso di specie l’intervento del d.P.C.M. 20 marzo 2017, nel fissare criteri e modalità per la determinazione della parte variabile del compenso commissariale, parrebbe aver già consumato gli spazi di discrezionalità a favore della P.A., di tal ché alla pretesa fatta valere nel presente contenzioso dal dott. A dovrebbe riconoscersi natura di diritto soggettivo, con conseguente sua devoluzione alla cognizione al G.O., non versandosi in un’ipotesi di giurisdizione esclusiva;

- né potrebbe obiettarsi che il citato d.P.C.M. è posteriore alla sentenza del Tribunale del Lavoro di Venezia che ha dichiarato il difetto di giurisdizione (n. 673/2016), e che, quindi, in base al principio della perpetuatio jurisdictionis ex art. 5 c.p.c., resterebbe radicata la giurisdizione del G.A. in ordine alla controversia in esame;

- da un lato, infatti, tale obiezione riposa sull’identità tra la controversia proposta dinanzi al Tribunale del Lavoro e quella azionata in questa sede, ma tale identità è anch’essa passibile di dubbi e peraltro, ove comprovata, dà luogo, come meglio si vedrà infra , ad ulteriori dubbi sull’osservanza, nel caso di specie, del termine decadenziale di riassunzione ex art. 11, comma 2, c.p.a.;

- in secondo luogo – e soprattutto – il principio di perpetuatio jurisdictionis non sembrerebbe ostare all’affermazione della sussistenza della giurisdizione del G.O. sulla controversia in esame, poiché la cd. perpetuatio jurisdictionis stabilisce l’irrilevanza delle sopravvenienze normative che tolgano la giurisdizione al giudice che ne era fornito, ma non di quelle che attribuiscano la giurisdizione al giudice che ne era privo (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II. 3 giugno 2009, n. 1005;
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 5 maggio 2008, n. 1288;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 8 novembre 2005, n. 10775): e in quest’ottica, il d.P.C.M. 20 marzo 2017 rappresenterebbe proprio la sopravvenienza normativa che ha attribuito la giurisdizione al G.O., che in precedenza ne era privo;

- in altre parole, la controversia promossa con il ricorso in epigrafe rientrerebbe nella giurisdizione del G.O., poiché quest’ultimo, che ne era sfornito all’epoca dell’instaurazione del giudizio (donde la declinatoria di cui alla sentenza n. 673/2016 cit.), l’avrebbe acquistata a seguito dell’adozione del d.P.C.M. 20 marzo 2017, che avrebbe consumato la discrezionalità della P.A. nella predeterminazione del compenso commissariale;

- ove si optasse per tale soluzione, al Collegio non resterebbe che sollevare conflitto di giurisdizione ex art. 11, comma 3, c.p.a., salvo che non si voglia ritenere la controversia sul silenzio, instaurata con il ricorso in epigrafe, come diversa e autonoma rispetto a quella a suo tempo proposta dinanzi al G.O., poiché in questa seconda alternativa l’adito T.A.R. dovrebbe dichiarare il difetto di giurisdizione ex artt. 9 e 11 c.p.a.;

B) nella controversia in esame emerge, peraltro, un secondo profilo di possibile inammissibilità del ricorso, già prima accennato e legato alla disciplina dettata dall’art. 11, comma 2, c.p.a. in materia di translatio judicii , secondo cui la riproposizione della causa dinanzi al giudice indicato nella pronuncia declinatoria della giurisdizione deve avvenire nel termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato;

- lo stesso comma 3 dell’art. 11 c.p.a. subordina la sollevazione del conflitto di giurisdizione al fatto che il ricorso sia stato “ tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo ”;

- orbene, nel caso di specie, pur mancando la prova che la sentenza del Giudice del Lavoro di Venezia n. 673/2016 cit. sia divenuta irrevocabile, un indizio del suo passaggio in giudicato parrebbe ricavarsi proprio dalla coltivazione del contenzioso dinanzi a questo G.A. attraverso il ricorso in epigrafe: del resto, se così non fosse, potrebbe porsi un ulteriore problema di ne bis in idem ;

- le parti, pertanto, vengono con la presente ordinanza onerate del deposito di idonea documentazione attestante il passaggio in giudicato della suesposta sentenza, ovvero la pendenza di impugnazione nei confronti della stessa: ciò, al fine di consentire a questo Tribunale, nella prima ipotesi, di verificare il rispetto o meno del termine decadenziale di riassunzione ex art. 11, comma 2, c.p.a. (il che comporta anche il vaglio sulla natura del procedimento di formazione del silenzio e del termine di un anno per l’impugnativa del silenzio formatosi, ex art. 31, comma 2, c.p.a.);

- è evidente, peraltro, che anche i dubbi appena esposti trovano fondamento nel presupposto che vi sia identità tra il giudizio definito con la sentenza del Tribunale del Lavoro di Venezia n. 673/2016 e quello instaurato con il ricorso in epigrafe, di tal ché occorre sentire le parti anche su tale specifico punto, alla stregua di quanto riferito più sopra e cioè che la configurazione delle due azioni in termini non di identità, ma di alterità, potrebbe portare alla declaratoria del difetto di giurisdizione di questo Tribunale Amministrativo ex artt. 9 e 11 c.p.a.;

Ritenuto necessario sentire le parti in merito a tutto quanto sopra esposto;

Ritenuto, pertanto, di dover rinviare la trattazione del presente ricorso alla camera di consiglio del 4 marzo 2020, in vista della quale le parti sono onerate del deposito della documentazione attestante il passaggio o meno in giudicato della sentenza n. 673/2016 cit. ed hanno facoltà di depositare memorie (ed ulteriori documenti) attinenti alle questioni evidenziate, nel rispetto dei termini di legge previsti per il rito camerale

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