TAR Venezia, sez. III, sentenza 2022-09-07, n. 202201334

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. III, sentenza 2022-09-07, n. 202201334
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202201334
Data del deposito : 7 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/09/2022

N. 01334/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00953/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 953 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Venezia, piazza S. Marco, 63;

per l'annullamento

- del decreto del Questore della Provincia -OMISSIS-, -OMISSIS-, adottato in data 09.02.2018 e notificato in data 02.07.2019, con il quale è stata respinta l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato;

- della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno del 05.04.2016, notificata il 27.06.2016;

-di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2022 il dott. A F e udito il difensore della parte resistente come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

-OMISSIS- ha impugnato, formulando anche istanza di sospensione cautelare, il provvedimento, meglio descritto in epigrafe, con cui la Questura -OMISSIS- ha respinto la domanda, dal medesimo presentata, diretta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.

Il provvedimento impugnato è fondato, da un lato, su una pluralità di deferimenti all’Autorità Giudiziaria per svariate tipologie di reati (nel 2015 per i reati di cui agli artt. 474, 517 e 648 c.p.;
nel 2014 per i reati di cui agli artt. 337, 474 e 651 c.p., oltre alla sanzione amministrativa ai sensi degli artt. 28 e 29 del D.L. 114/1998;
nel 2012 per i reati di cui agli artt. 337, 474 e 684 c.p.) e, dall’altro, su una accertata carenza reddituale, come emerso da accertamenti effettuati tramite banca dati INPS in relazione all’arco temporale 2012-2017, tutte ragioni che, secondo l’Amministrazione, fanno rientrare il richiedente nella previsione di cui all’art. 13, comma 2, lett. c) del D.Lgs n. 286/1998.

Il ricorrente, in sintesi, ha formulato le seguenti censure: 1) mancata traduzione del decreto di rigetto nella lingua effettivamente conosciuta dal ricorrente, con conseguente violazione dell’art. 2, comma 6, D.Lgs n. 286/1998, dell’art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 394/1999 e del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione;
2) nullità del provvedimento, ex art. 21 septies legge n. n. 241 del 1990 per mancanza degli elementi essenziali, per mancanza, nella copia consegnata, della firma originale ovvero digitale e per mancata attestazione di conformità all’originale;
3) difetto di motivazione, anche in relazione all’inserimento del ricorrente nelle categorie dei cui all’art. 13, comma 2, lett. c), del D.Lgs n. 286/1998;
4) in ogni caso, il ricorrente non rientrerebbe nella previsione di cui all’art. 13, comma 2, lett. c), del D.Lgs n. 286/1998 in quanto sulla base di mere segnalazioni, risalenti nel tempo, non sarebbe possibile desumere che il medesimo tragga profitto da attività illecite;
quanto all’occupazione lavorativa, fin dal suo ingresso in Italia il ricorrente avrebbe svolto attività lavorativa, anche se non in forma continuativa.

Con ordinanza n. 430, assunta alla Camera di Consiglio del 9 ottobre 2019, è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

In data 13.6.2022, si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Alla Pubblica Udienza del 15 giugno 2022, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il Collegio ritiene di confermare quanto già esposto, in modo approfondito e dettagliato, nella ricordata ordinanza cautelare in ordine alla infondatezza del ricorso.

Del tutto è infondato è il primo motivo di ricorso, relativo alla mancata traduzione del provvedimento gravato, atteso che (per quanto vada rilevato che il provvedimento qui gravato risulta essere stato tradotto in francese, lingua ampiamente parlata in -OMISSIS-), per costanza giurisprudenza, l’omessa traduzione del provvedimento nella lingua dello straniero richiedente il titolo di soggiorno ovvero in una di quelle c.d. veicolari indicata dallo stesso richiedente, non costituisce motivo di illegittimità del provvedimento gravato, qualora - come nel caso in esame - la predetta omissione non abbia impedito allo straniero di impugnarlo tempestivamente e di svolgere compiutamente le proprie difese ( ex multis, TAR Lombardia, Milano, sez. I, 7 gennaio 2021, n. 4; Cfr. anche TAR Emilia Romagna, Bologna., sez. I, 8 novembre 2021, n. 903 che precisa che la mancata traduzione non determina mai la nullità o l’annullabilità dell’atto assunto dall’Amministrazione ma, al più, legittima la concessione dell’errore scusabile in caso di ritardo nella proposizione del gravame, ipotesi, come detto, non sussistente nel caso in esame).

Quanto alle doglianze relative alla sottoscrizione del provvedimento gravato –di cui al secondo motivo –non può che ribadirsi quanto già evidenziato in sede cautelare in ordine alla circostanza che il nucleo dei Carabinieri di-OMISSIS- ha provveduto a notificare a mani dell’interessato la copia del provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno che risulta sottoscritto dal Questore -OMISSIS-;
dunque, non è invocabile la giurisprudenza della Cassazione richiamata dal ricorrente, che riguardava, invece, il diverso caso di un decreto di espulsione la cui copia notificata riportava solo la dicitura “firmato il Prefetto”, senza riportare la firma dello stesso e senza attestazione che effettivamente tale copia fosse conforme al decreto di espulsione firmato. In ogni caso e in linea generale, la stessa giurisprudenza amministrativa ha più volte precisato che anche la mancata sottoscrizione (peraltro, presente nel caso in esame) “dell’Autorità emanante, in calce alla copia notificata di un provvedimento amministrativo, è irrilevante ai fini della validità dell’atto, ove l’originale sia stato regolarmente sottoscritto (T.A.R. Piemonte Sez. I 26 gennaio 2005 n. 102;
T.A.R. Toscana 7 giugno 1982 n. 171;
T.A.R. Campania Salerno, Sez. I, 06/06/2007, n. 708)” ( TAR Campania, Napoli, sez. VI, 13 giugno 2019, n. 3244 ).

Infine, infondati sono anche il terzo e quarto motivo –che possono essere trattati unitamente- per le seguenti ragioni.

Giova ricordare che l’art. 4, comma 3, del D.lgs. n. 286/1998 dispone che l’ingresso nel territorio nazionale è consentito allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno. Il successivo art. 5 prevede che il permesso di soggiorno e il suo rinnovo siano rifiutati quando manchino o vengano a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato.

Il requisito reddituale costituisce, dunque, un requisito soggettivo non eludibile al fine del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, perché attiene alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale.

Ebbene, nel caso in esame, la Questura non si è limitata a far riferimento alle denunce riportate dal ricorrente ma ha evidenziato che lo stesso, da accertamenti effettuati tramite banca dati INPS, “ allo stato risulta essere disoccupato, inoltre, non risulta svolgere regolare attività lavorativa dal 30.06.2016;
è emerso, altresì, che negli ultimi sei anni (2017, 2016, 2015, 2014, 2013 e 2012) non ha percepito redditi da lavoro sufficienti per il proprio sostentamento, in particolare nel 2017 non ha percepito redditi da lavoro, nel 2016 ha percepito 1812,14 euro, svolgendo attività lavorativa di collaboratore familiare dal 01.04.2016 al 30.06.2016 presso un connazionale, nel 2015 ha percepito euro 2648,54 svolgendo attività lavorativa dal 01.05.2015 al 30.09.2015 in qualità di collaboratore familiare presso un connazionale, nel 2014 non ha percepito alcun reddito, nel 2013 ha percepito euro 2020,15 svolgendo attività lavorativa dal 01.04.2013 al 30.06.2013 in qualità di collaboratore familiare presso un connazionale e nel 2012 ha percepito euro 3920,62 sempre svolgendo lavorativa in qualità di collaboratore familiare, dal 01.07.2012 al 31.12.2012, presso un connazionale
”.

Anche in questa sede il ricorrente non ha sostanzialmente smentito quanto evidenziato dall’Amministrazione nel provvedimento gravato in ordine alla carenza di un reddito adeguato e idoneo;
come detto, il requisito reddituale costituisce un elemento non eludibile, per cui la sua mancanza integra autonomo e sufficiente presupposto su cui è legittimamente fondato l’impugnato rigetto della richiesta di rinnovo del titolo di soggiorno, con la conseguenza che del tutto irrilevante risulta l’altro elemento –pericolosità sociale – preso in considerazione dalla Questura nel provvedimento qui contestato, atteso che –come già ricordato in sede cautelare –“in caso di atti plurimotivati la giurisprudenza ha costantemente affermato che è sufficiente accertare la legittimità di uno solo dei presupposti che lo reggono…” ( Consiglio di Stato, sez. III, 18 giugno 2018, n. 3713 ).

In definitiva, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

Le spese di causa possono essere compensate tra le parti, giusta la tardiva costituzione in giudizio da parte dell’Amministrazione resistente.

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