TAR Catania, sez. II, sentenza 2014-06-11, n. 201401693
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Testo completo
N. 01693/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02069/1996 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2069 del 1996, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avv. R S, con domicilio presso lo stesso, in Catania, Via G. D’Annunzio 24;
contro
Azienda Ospedaliera -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. N S, con domicilio presso lo stesso, in Catania, Corso delle Province 203;
per l’annullamento
del provvedimento del Direttore Generale dell’Azienda intimata n. 403 in data 1 marzo 1996.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ Azienda Ospedaliera -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il dott. D B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
E’ necessario illustrare preliminarmente, sulla base dei documenti versati in atti e dei fatti non contestati fra le parti, la vicenda procedimentale oggetto del presente giudizio.
Con sentenza n. 1819/90 pronunciata all’esito del dibattimento in data 27 settembre 1990, il Tribunale di Catania ha condannato il ricorrente, medico con qualifica di -OMISSIS-presso il Presidio Ospedaliero -OMISSIS-, alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, dichiarandolo interdetto dai pubblici uffici per cinque anni e dalla professione per tre anni, per il delitto di cui agli artt. 61, n. 11, 521, primo comma, e 542 c.p., per avere il medesimo compiuto atti di libidine su una paziente, contro la volontà di quest’ultima, con l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso della relazione di prestazione professionale.
A seguito di tale sentenza, con provvedimento n. 121/C.G. in data 24 gennaio 1991, l’Amministrazione ha disposto la sospensione cautelare del ricorrente dal servizio ai sensi dell’art. 91 d.p.r. n. 3/1957 (secondo cui “l’impiegato sottoposto a procedimento penale può essere, quando la natura del reato sia particolarmente grave, sospeso dal servizio…”).
Con sentenza della Corte di Appello di Catania, Sezione II, resa nell’udienza del 4 ottobre 1991, la citata decisione n. 1819/90 del 27 settembre 1990 è stata annullata con rinvio al giudice di primo grado sul rilievo dell’irregolare composizione del Collegio dibattimentale che aveva emanato la pronuncia.
Con sentenza n. 1359/93 depositata in data 26 novembre 1996 e passata in giudicato in data 26 gennaio 1994, il Tribunale di Catania, su concorde richiesta delle parti, ha applicato al ricorrente, ai sensi degli artt. 444 e seguenti c.p.p., la pena di anni due di reclusione.
In data 27 gennaio 1994 il ricorrente ha presentato all’Amministrazione domanda di riammissione in servizio, senza però allegare l’intervenuta sentenza di patteggiamento.
Con telegramma in data 22 aprile 1994 l’Amministrazione ha sollecitato il ricorrente a presentare la sentenza di patteggiamento n. 1359/93 del 26 novembre 1996.
Il ricorrente non ha prodotto all’Amministrazione la sentenza richiesta e, con nota in data 12 agosto 1994, ha reiterato la richiesta di riammissione in servizio.
Con nota in data 14 settembre 1994 l’Amministrazione ha riscontrato tale istanza, evidenziando che il ricorrente non aveva prodotto la sentenza di patteggiamento, come richiesto dall’Amministrazione con telegramma in data 22 aprile 1994, e richiedendo nuovamente l’“inoltro di copia conforme della citata sentenza con l’annotazione della sua definitività”.
Il ricorrente ha, quindi, prodotto la menzionata sentenza di patteggiamento e l’Amministrazione, con nota in data 28 settembre 1994, ha revocato la sospensione cautelare obbligatoria disposta ai sensi del citato art. 91 d.p.r. n. 3/1957 ed ha disposto contestualmente la sospensione cautelare facoltativa ai sensi del successivo art. 92, evidenziando sia “la connessione diretta” dei fatti che avevano condotto all’imputazione penale “con le mansioni che fanno capo al dipendente… in forza del rapporto di pubblico impiego”, sia la violazione del “principio di eticità del rapporto professionale, avuto riguardo all’affidamento del paziente nella persona del sanitario”.
Con nota in data 6 ottobre 1994