TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2009-08-03, n. 200904622

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2009-08-03, n. 200904622
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 200904622
Data del deposito : 3 agosto 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04831/2008 REG.RIC.

N. 04622/2009 REG.SEN.

N. 04831/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 4831 del 2008, proposto da:
-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresenta e difesa dall'avv. A D, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Napoli, Centro Direzionale Isola E/4;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore,
entrambi rappresentati e difesi ex lege dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, presso i cui uffici pure ope legis domiciliano in Napoli, alla Via Diaz n.11;

<<per l'annullamento, previa sospensione:

del decreto n. -OMISSIS-del Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, con il quale la ricorrente è stata collocata in posizione di sospensione cautelare dal servizio, ai sensi dell'articolo 91 del D.P.R. 10/1/1957, n. 3>>.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10/06/2009 il cons. dott. Leonardo Pasanisi e uditi per le parti l’avv. A D e l’avvocato dello Stato Raffaele Bavoso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

1. Con atto notificato in data 22 settembre 2008 e depositato il successivo giorno 26, la dott.ssa -OMISSIS- -OMISSIS-, già-OMISSIS- presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere e -OMISSIS-, ricorreva innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale contro il Ministero della Giustizia ed il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia avverso il decreto in epigrafe indicato chiedendone, previa sospensione, l'annullamento.

La ricorrente premetteva, in punto di fatto, le seguenti circostanze:

-che, durante il periodo in cui aveva operato presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, aveva avuto la “sventura” di innamorarsi di un recluso, tale -OMISSIS--OMISSIS- (che aveva mostrato segni di riscatto sociale e di emenda dalle proprie colpe), e che lo aveva sposato quando egli aveva riacquistato la libertà;

-che l'unione matrimoniale (dalla quale era nata una bambina, -OMISSIS--OMISSIS-) non era tuttavia durata a lungo, dal momento che subito dopo la celebrazione del matrimonio il -OMISSIS- aveva mostrato il suo vero volto, depauperando le sostanze della ricorrente, saccheggiandone le carte di credito e costringendola ad assumere onerosi debiti;

-che pertanto la ricorrente aveva ottenuto la separazione per colpa dal coniuge e l'affidamento della figlia;

-che, nel periodo immediatamente precedente il matrimonio, la ricorrente, all'epoca in servizio presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, aveva ricevuto richiesta di sottoporre a visita medica un soggetto recluso in quel penitenziario, perché venisse accertato se le sue condizioni di salute ne consentissero la permanenza in carcere;

-che la ricorrente aveva dato corso alla richiesta, investendo del compito i sanitari del penitenziario, i quali avevano accertato condizioni di salute incompatibili con lo stato di reclusione in carcere, per cui l'interessato era stato scarcerato;

-che peraltro il soggetto scarcerato era risultato collegato ad un clan camorristico, nonché avere rapporti di amicizia con il -OMISSIS- (futuro coniuge della ricorrente);

-che, pertanto, la ricorrente era stata coinvolta in una vasta indagine della Procura su una serie di “scarcerazioni facili” di soggetti appartenenti a clan camorristici, nel corso della quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli aveva applicato provvedimenti cautelari nei confronti di numerosi soggetti indagati;

-che in particolare alla ricorrente era stata applicata, con provvedimento del 10/4/2008, la misura degli arresti domiciliari, cui era seguita necessariamente la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio, disposta con decreto del Direttore Generale del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del -OMISSIS-

-che, a distanza di meno di due mesi, il G.I.P. presso il Tribunale di Napoli aveva revocato la misura cautelare degli arresti domiciliari ed aveva disposto la liberazione della ricorrente, la quale, riacquistata la libertà, aveva chiesto all'amministrazione, con nota del 23/6/08, di essere riammessa in servizio, essendo venuta meno la condizione di fatto (“restrizione della libertà personale”) che giustificava la sospensione obbligatoria;

-che tuttavia, con l’impugnato decreto n. -OMISSIS-, il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria aveva disposto che la ricorrente “continui ad essere sospesa precauzionalmente dal servizio”, in tal modo applicando nei suoi confronti la sospensione cautelare facoltativa di cui all'articolo 91, comma 1°, parte prima, del T.U. n. 3/57.

Tanto premesso, la ricorrente deduceva l'illegittimità dell'impugnato decreto con sei distinti motivi di ricorso, incentrati sui vizi di violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza sotto vari profili.

Con il primo motivo, deduceva la violazione degli articoli 7 e seguenti della legge n. 241/1990, per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento “d'ufficio” diretto all'applicazione della misura della sospensione cautelare facoltativa. A suo parere, infatti, una volta venuto meno, a seguito della revoca degli arresti domiciliari, il presupposto della sospensione obbligatoria, l'amministrazione avrebbe avuto l'obbligo di riammetterla immediatamente in servizio, salva la facoltà di avviare d'ufficio un procedimento finalizzato all'eventuale sospensione facoltativa, l'avvio del quale non avrebbe potuto non essere comunicato all'interessata ai sensi della richiamata disposizione normativa, per consentirle la partecipazione al procedimento e l'esercizio delle facoltà di cui al successivo articolo 10.

Con il secondo motivo, deduceva la violazione, sotto altro profilo, dell'articolo 7 della legge n. 241/1990, nonché la violazione dell'articolo 10/bis della stessa legge.

A suo parere, come dedotto con la prima censura, la vicenda della sospensione cautelare obbligatoria seguita da quella facoltativa non potrebbe essere letta se non in termini di diritto alla riammissione in servizio, con possibilità da parte dell'amministrazione di avviare d'ufficio il procedimento finalizzato all'eventuale sospensione facoltativa (ma con obbligo, in tal caso, di comunicazione di avvio).

Laddove, invece, dovesse ritenersi che, nella specie, non sussistesse un diritto soggettivo della ricorrente alla riammissione in servizio, ma solo un interesse legittimo (con conseguente obbligo dell'amministrazione di provvedere o all'accoglimento dell'istanza di riammissione in servizio ovvero al rigetto della stessa ed all'applicazione della sospensione cautelare facoltativa), le conseguenze sulla illegittimità del provvedimento impugnato non cambierebbero: da un lato, infatti, sarebbe configurabile un procedimento ad istanza di parte, che comunque comporterebbe l'obbligo di comunicarne l'avvio ai sensi della richiamata disposizione di cui all'articolo 7 (che non discrimina tra procedimenti d'ufficio e altri procedimenti);
dall'altro, trattandosi di procedimento ad istanza di parte, l'amministrazione non si sarebbe comunque potuta sottrarre all'obbligo di dare preventiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda, posto dall'articolo 10/bis della stessa legge n. 241/1990, al fine di consentire agli interessati di presentare eventuali controdeduzioni.

Con il terzo motivo, deduceva la violazione e falsa applicazione dell'articolo 91, comma 1°, prima parte, del D.P.R. n. 3/57.

In base a tale norma, la sospensione cautelare facoltativa potrebbe essere disposta soltanto nell'ipotesi in cui l'impiegato sia sottoposto a procedimento penale per reati ritenuti gravi e non anche quando, come nella specie, l'interessato sia sottoposto a semplici indagini preliminari. A sostegno di tale opinione, richiamava la normativa pattizia dettata per i dirigenti statali "contrattualizzati", che prevederebbe espressamente il divieto di sospensione cautelare facoltativa in assenza di rinvio a giudizio.

Con la quarta censura, deduceva la violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 della legge n. 97/2001.

Ai sensi di tale disposizione, in relazione ai delitti di cui agli articoli 314, comma primo, 317, 318, 319, 319, 319 ter e 320 c.p., l'amministrazione, dopo il rinvio a giudizio, potrebbe trasferire ad altro ufficio l'interessato e, solo se non sia possibile attuare il trasferimento d'ufficio, potrebbe porre il dipendente in posizione di aspettativa o disponibilità, “con diritto al trattamento economico in godimento, salvo che per gli emolumenti strettamente connessi alle presenze in servizio”.

Nella specie, in cui la ricorrente è indagata per ipotesi di reato previste da tale disposizione normativa, risulterebbe già realizzata l'ipotesi di trasferimento cautelare prevista in via principale dalla medesima disposizione, in quanto l'interessata risulterebbe già da tempo assegnata ad altri penitenziari diversi da quello di Santa Maria Capua Vetere, con conseguente illegittimità dell'impugnata misura cautelare della sospensione facoltativa con dimidiazione della retribuzione.

Con il quinto motivo, deduceva la violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 D.P.R. n. 3/57 e dell’art. 3 della legge n. 241/1990, in quanto il provvedimento impugnato si limiterebbe a richiamare gli articoli del codice penale che prevedono i reati ipotizzati a carico della ricorrente e conterrebbe una mera formula di stile e quindi non sarebbe adeguatamente motivato.

Con il sesto motivo, deduceva il vizio di incompetenza del Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, sotto un duplice, convergente, profilo (a seconda che, nella specie, forse configurabile un provvedimento attinente alla materia disciplinare o, invece, alla gestione del personale): nel primo caso, infatti, la relativa competenza dovrebbe spettare al Provveditore Regionale per la Campania, in quanto, ai sensi degli articoli 2 e 8 del D. Lgs. n. 444/1992, la materia dei “procedimenti disciplinari” sarebbe attribuita ai Provveditori Regionali dell'Amministrazione Penitenziaria;
nel secondo caso, invece, il provvedimento sarebbe di competenza del Dirigente preposto alla Direzione Generale del personale e della Formazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, ai sensi dell'articolo 7, comma 2°, lett. a), del D.P.R. n. 55/2001.

2. In data 2 ottobre 2008, si costituiva in giudizio, con controricorso di forma, l'intimato Ministero della Giustizia, il quale depositava successivamente memoria difensiva, chiedendo la reiezione del ricorso.

Secondo l'amministrazione statale, il procedimento per l'adozione del decreto impugnato sarebbe stato avviato a seguito della ricezione della richiesta di reintegrazione presentata dalla ricorrente e quindi sarebbe configurabile come un procedimento ad istanza di parte (per il quale non sussisterebbe, secondo consolidata giurisprudenza, alcun obbligo di preavviso).

L'impugnato decreto di sospensione facoltativa avrebbe inoltre la forza di atto dovuto, in quanto la revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari era stata disposta dal GIP proprio sul presupposto <<della sospensione dell'-OMISSIS- dal servizio e quindi dal collegamento con l'ambiente in cui la stessa operava>>.

Sarebbe inoltre inconferente la mancata sottoposizione a procedimento penale, sia perché, nelle more (con provvedimento emesso in data 8/9/08), il P.M. avrebbe chiesto il rinvio a giudizio dell'interessata (la quale non sarebbe più una semplice indagata, ma avrebbe acquistato la qualifica di imputata), sia perché la normativa richiamata in ricorso a favore dei dirigenti contrattualizzati non sarebbe applicabile alla ricorrente, Dirigente Penitenziario (in quanto tale, soggetta al regime di diritto pubblico).

Il provvedimento impugnato sarebbe poi adeguatamente motivato in relazione alla gravità dei fatti contestati in sede penale alla ricorrente, la quale avrebbe compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, che avrebbe favorito la scarcerazione di un detenuto.

Infine, non potrebbero sussistere dubbi sulla competenza del Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria all'emanazione dell’impugnato provvedimento, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 1, comma 7°, del decreto legislativo n. 146/2000.

3. Con ordinanza n. -OMISSIS-questa Sezione respingeva l’istanza cautelare.

Con ordinanza n.-OMISSIS-, la Sezione Quarta del Consiglio di Stato respingeva l'appello proposto dall'interessata avverso il provvedimento cautelare di primo grado.

4. Con memoria depositata in data 19 maggio 2009, la dott.ssa -OMISSIS- insisteva per l'accoglimento del ricorso.

5. Alla pubblica udienza del 10 giugno 2009, il ricorso, su istanza dei procuratori delle parti, veniva introitato in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2.1. Privo di consistenza è il primo mezzo di gravame.

Sul punto va osservato che il provvedimento di sospensione facoltativa dal servizio adottato dall'Amministrazione nei confronti del dipendente civile o militare, sottoposto a procedimento penale, ha natura cautelare e, in quanto tale, non richiede ex art. 7 della legge invocata la previa comunicazione di inizio del procedimento (c-OMISSIS-

Peraltro, va aggiunto che l'art. 21 octies della legge n. 241/1990 stabilisce che il provvedimento non è annullabile per mancanza di avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Ed in effetti con gli scritti difensivi l'Amministrazione ha dato atto del carattere dovuto del provvedimento, tenuto conto sia delle pesanti accuse penali mosse alla ricorrente, nella sua qualità di vice direttrice della Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere (per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, che avrebbe favorito la scarcerazione di un detenuto legato ad un'associazione camorristica egemone sul territorio), sia della successiva richiesta di rinvio a giudizio emessa dal P.M. nei suoi confronti per tali fatti, sia – soprattutto - dell'obiettiva circostanza che la revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari era stata disposta dal G.I.P. del Tribunale di Napoli <<anche in considerazione della sospensione dell’-OMISSIS- dal servizio e quindi dal collegamento con l'ambiente in cui la stessa operava>>.

Come infatti esattamente osservato in memoria dal resistente Ministero della Giustizia, lo “status” di sospensione dal servizio della ricorrente è risultato determinante ai fini della sua scarcerazione, in quanto l'Autorità Giudiziaria ha doverosamente considerato che, non essendo la medesima a contatto con la popolazione detenuta proprio per effetto della sospensione dal servizio, non ricorrevano occasioni di reiterazione di analoghe condotte criminose.

2.2 Parimenti infondata è la seconda censura di ricorso.

Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente con il mezzo di gravame in esame, nella specie il procedimento culminato nell'adozione dell'impugnato provvedimento non è configurabile come procedimento ad istanza di parte, ma come procedimento iniziato “d’ufficio”, in relazione al quale non è quindi ipotizzabile la violazione di cui all'articolo 10/bis della legge n. 241/1990,

L'impugnato decreto di sospensione facoltativa dal servizio (precedentemente disposta in via obbligatoria nei confronti della ricorrente, ai sensi dell'articolo 91 del D.P.R. 10/1/57, n. 3, in quanto sottoposta ad arresti domiciliari per i reati di cui agli articoli 110,117, 319 ter, 319, 321 c.p. e 7 L. n. 203/91), non fa infatti riferimento all’istanza di riammissione in servizio presentata dalla dott.ssa -OMISSIS- a seguito della revoca della misura degli arresti domiciliari, ma richiama unicamente l'ordinanza di scarcerazione emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli.

Il procedimento non risulta dunque avviato sull'istanza della parte interessata, ma è stato, conformemente ai principi generali vigenti in materia, aperto d'ufficio, ai fini della valutazione della sussistenza delle condizioni idonee a confermare o a revocare la sospensione dal servizio (cfr., a tale riguardo, C.d.S., sez. VI, -OMISSIS-secondo cui <<dalla data di conoscenza della cessazione della misura cautelare penale, decorre anche il termine entro cui l'amministrazione deve valutare se riammettere il dipendente in servizio, ovvero applicare la sospensione cautelare facoltativa. Resta infatti ferma la facoltà dell'amministrazione, a seguito della revoca della sospensione cautelare obbligatoria, di valutare se debba disporsi la sospensione cautelare facoltativa, ove siano ritenute sussistenti ragioni di pubblico interesse, ostative alla ripresa del servizio>>).

2.3. Anche la terza censura non può essere condivisa.

Secondo la costante interpretazione dell'art. 91, T.U. n. 3/1957, per la sospensione cautelare facoltativa del dipendente pubblico in pendenza di indagini penali, non è necessario che vi sia stato il rinvio a giudizio del dipendente medesimo, essendo sufficiente che siano in corso le indagini penali preliminari, e che il dipendente sia stato già sottoposto a misura cautelare restrittiva della libertà personale, successivamente cessata (come verificatosi nel caso di specie.

Si veda, in proposito, la già citata pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, n. -OMISSIS- cit., secondo cui <<le condizioni necessarie per la sospensione cautelare facoltativa prima del rinvio a giudizio sono: che siano pendenti indagini penali preliminari;
che il dipendente sia stato già sottoposto a misura cautelare restrittiva della libertà personale, poi cessata;
che i fatti su cui pendono le indagini penali preliminari siano direttamente attinenti al rapporto di lavoro>>
(cfr., altresì, C.d.S., sez. V, -OMISSIS-).

Inoltre, non appare conferente il richiamo effettuato in ricorso alla normativa vigente nei confronti dei dipendenti contrattualizzati, dal momento che la ricorrente, in quanto dirigente penitenziario, non appartiene a tale categoria, ma a quella dei dipendenti in regime di diritto pubblico ed il suo rapporto di lavoro è quindi soggetto alle norme di cui al T.U. n. 3/57.

2.4. Anche la quarta censura non merita accoglimento.

Non è infatti applicabile il richiamato articolo 3 della legge n. 97/2001, il quale postula che sia stato disposto il rinvio a giudizio del dipendente (nella specie, ancora non sussistente alla data di emanazione dell’impugnato provvedimento).

2.5. Deve essere disattesa anche la quinta censura.

Come già affermato da questo Tribunale in fattispecie analoga (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, n. -OMISSIS-/2007), in sede di sospensione cautelare facoltativa, l'Amministrazione dispone della facoltà di valutare l'opportunità dell'adozione o meno della detta misura, in esplicazione di un potere tipicamente discrezionale, in relazione al quale il sindacato del giudice amministrativo è limitato alla ricorrenza di scelte inficiate da grave irrazionalità.

Inoltre, la sospensione cautelare non ha natura sanzionatoria, in quanto l'adozione della detta misura non pregiudica l'integrale reintegrazione del dipendente nelle funzioni e negli assegni non percepiti, se il procedimento disciplinare non viene intrapreso nei termini di legge, ovvero se già avviato, si conclude positivamente.

Essa si pone, piuttosto, quale rimedio provvisorio a tutela del superiore interesse pubblico dell'Amministrazione, il cui perseguimento risulta minacciato dalla permanenza del dipendente cui sono contestati fatti, rilevanti anche penalmente, come nel caso di specie, con pregiudizio del regolare svolgimento dello stesso servizio che invece l'adozione del provvedimento interrompe temporaneamente.

In altri termini, la valutazione che l'Amministrazione deve fare attiene non già all'accertamento delle circostanze e dei fatti addebitati, e della loro fondatezza, il cui esame si svolge invece nell'ambito dei pertinenti procedimenti disciplinari e/o penali, quanto all'incidenza che le riferite circostanze sono suscettibili di provocare in termini di turbamento dell'ordinato svolgersi della cosa pubblica e del prestigio che la stessa Amministrazione ha il preciso dovere di salvaguardare, anche impedendo, sia pure temporaneamente, al dipendente che lo minaccia, per essergli contestati fatti la cui gravità coinvolge anche profili penali, il proseguimento del servizio, fatta salva la successiva reintegrazione nella posizione giuridica ed economica sospesa, ove ne ricorrano gli estremi (cfr. altresì C.d.S., Sez. IV, 12 maggio 2006, n. 2656 e Sez. V, 3 ottobre 2003, n. 5740).

Da quanto sopra deriva che il contenuto motivazionale del provvedimento in questione può risultare anche implicitamente dalla gravità dei fatti contestati al dipendente, a maggior ragione ove gli stessi, come nel caso in esame, hanno rilevanza penale, in relazione alla qualifica ed ai compiti svolti dal medesimo, anche sotto lo specifico aspetto della sua esecuzione in occasione del servizio e del concreto turbamento che la riammissione, con riferimento alla sua personalità, nonché all'eventuale risonanza ambientale del fatto ascrittogli, possa determinare sull'attività della stessa Amministrazione.

In sostanza, la pendenza di un procedimento penale, in attesa dei definitivi accertamenti circa gli addebiti contestati, può manifestare in sé l'incompatibilità della prestazione del servizio del dipendente coinvolto con l'interesse pubblico, comportando la prosecuzione dello stesso il turbamento dell'immagine della Pubblica Amministrazione sotto il profilo della sua affidabilità.

Alla luce dei principi enunciati, deve ritenersi che il provvedimento impugnato risulta esente dai dedotti profili di difetto di motivazione, in quanto viene dato conto dell'estrema gravità dei fatti addebitati alla ricorrente (che sarebbero stati commessi nella sua qualità di vice direttore della struttura penitenziaria, tali da metterne in pericolo la sicurezza intramurale), i quali ex se costituiscono idoneo e sufficiente presupposto per l'adozione del rimedio che l'ordinamento ha previsto al fine del contenimento del pregiudizio della credibilità e prestigio delle proprie istituzioni, di cui, di norma, gli uffici pubblici devono godere, ed in particolare modo quelli preposti al servizio penitenziario.

L'Amministrazione, con il provvedimento impugnato, ha dato inoltre atto anche del fatto che, a cagione delle gravi condotte antigiuridiche, la ricorrente non può godere della fiducia necessaria per lo svolgimento delle delicate funzioni istituzionali.

Il provvedimento impugnato risulta quindi immune dai vizi dedotti con la censura in esame.

2.6. Deve infine essere disattesa anche il sesto ed ultimo motivo di ricorso.

Preliminarmente, deve escludersi che, nella specie, sia configurabile un provvedimento di carattere disciplinare, trattandosi –più in generale – di atto di natura cautelare attinente al rapporto di servizio.

Ciò posto, è vero che, ai sensi dell’art. 7, co. 2°, lett. a), del DPR 06/03/2001 n. 55, la Direzione generale del personale e della formazione presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha competenza tra l’altro, in materia di “assunzione e gestione amministrativa del personale, anche dirigenziale”;
ma è anche vero che, ai sensi dell’art. 1, comma 7°, del decreto legislativo 21/05/2000 n. 146, <<al fine di coordinare le specifiche disposizioni normative che disciplinano l'attività e la struttura del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria con le previsioni contenute nel decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e 30 luglio 1999, n. 300, l'espressione: "Direttore generale dell'amministrazione penitenziaria" contenuta nella legge 15 dicembre 1990, n. 395, e nelle disposizioni di legge successive, si intende sostituita con quella: "Capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziara">>.

Non sussiste quindi il dedotto vizio di incompetenza.

3. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso in esame deve conclusivamente essere respinto in quanto infondato.

4. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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