TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-01-21, n. 201000645

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-01-21, n. 201000645
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201000645
Data del deposito : 21 gennaio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04181/2009 REG.RIC.

N. 00645/2010 REG.SEN.

N. 04181/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 4181 del 2009, proposto da:
Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Piero D'Amelio, con domicilio eletto presso Piero D'Amelio in Roma, via della Vite, 7;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

D s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., n.c.;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Codacons, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. ti Gino Giuliano, Carlo Rienzi, con domicilio eletto presso Carlo Rienzi in Roma, viale G. Mazzini, 73;

per l'annullamento

del provvedimento n. 19576 del 25 febbraio 2009, notificato a

TELECOM

Italia S.p.a. in data 18 marzo 2009, con il quale l 'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha deliberato che la diffusione dei messaggi commerciali relativi alle offerte a valore aggiunto pubblicate sui siti HTTP://it.cellulari.yahoo.net/ e http://it.dada.net/store/ da parte di D s.p.a. e veicolate attraverso le numerazioni fornite da Telecom, costituisce una pratica commerciale scorretta ai sensi degli art. 20, 21 e 22 del d.lgs. n. 206/2005 ("Codice del Consumo"), vietandone l'ulteriore diffusione ed irrogando a Telecom, una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 165.000 Euro;
nonché di ogni altro atto connesso, consequenziale o presupposto a quello innanzi indicato.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

Visto l’atto di intervento del Codacons;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del giorno 2 dicembre 2009 la d.ssa Silvia Martino;

Uditi gli avv.ti delle parti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO

1. Il presente procedimento trae origine da una segnalazione di una associazione di consumatori relativa ad un messaggio pubblicitario diffuso tramite il sito internet http://it.cellulari.yahoo.net/ volto a promuovere un servizio di intrattenimento in abbonamento per utenti di telefonia mobile da cui scaricare suonerie, giochi, loghi e sfondi.

Oggetto di doglianza da parte dell’associazione segnalante, oltre al carattere ambiguo delle comunicazioni contenute nel messaggio circa le caratteristiche e le condizioni economiche del servizio, erano altresì le modalità di addebito dello stesso. In particolare, l’addebito avverrebbe poco dopo che è stato inviato l’SMS di richiesta, prima che venga effettivamente scaricata la suoneria, senza aver consultato l’utente per verificare la legittimità e la piena consapevolezza della richiesta. Al riguardo, l’associazione segnalante richiamava l’articolo 13 del Decreto Ministeriale n. 145/06 recante la Disciplina dei servizi a sovrapprezzo che prevede l’erogazione del servizio soltanto a seguito dell’esplicita accettazione da parte dell’utente finale.

Nella comunicazione di avvio del procedimento (rivolta alle società alle società D.net S.p.A., Telecom Italia S.p.A, Vodafone Omnitel N.V., Wind Telecomunicazioni S.p.A e H3G S.p.A), veniva precisato che i messaggi avrebbero potuto integrare comunicazioni che, a fronte della possibilità di scaricare sul proprio cellulare suonerie e altri contenuti multimediali, “ non evidenziano adeguatamente la natura del servizio offerto in abbonamento, ossia la circostanza che si tratta di un servizio a pagamento, destinato a maggiorenni, gli oneri da esso derivanti, il rinnovo automatico, le procedure per la disattivazione dell’abbonamento e le limitazioni derivanti dalle caratteristiche di compatibilità del cellulare del soggetto che procede all’acquisto ”.

Veniva altresì rappresentato “ che tale condotta, descritta al precedente punto II, lettera c), del presente provvedimento potrebbe invece considerarsi aggressiva in quanto idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento dei consumatori ed in quanto consistente in una fornitura di servizi di comunicazione elettronica non richiesta, esigendone il pagamento da parte del titolare del numero telefonico, senza che questo abbia prestato il proprio consenso in maniera consapevole ”.

Con riferimento a tutte le condotte sopra descritte, nella comunicazione di avvio del 30 luglio 2008, veniva altresì fatto presente che, ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del Codice del Consumo, nel corso del procedimento sarebbe stata valutata l’idoneità delle stesse a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabile alla pratica e al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro età, quali soggetti di età inferiore ai 18 anni, in un modo che il professionista poteva ragionevolmente prevedere, nell'ottica del membro medio di tale gruppo.

Contestualmente alla comunicazione di avvio, al fine di acquisire elementi conoscitivi utili alla valutazione circa la sussistenza della pratica commerciale scorretta nel caso oggetto di analisi, veniva rivolta alle società un’articolata richiesta di informazioni.

La società Telecom Italia S.p.A. nelle memorie presentate in data 10 settembre 2008, rappresentava, in sintesi, quanto segue:

– essa ha operato in piena coerenza con la disciplina di cui al D.M. n. 145/06 sui servizi a sovrapprezzo, che fissa un chiaro riparto di ruoli e funzioni tra il fornitore di contenuti e l’operatore di comunicazioni.

Ai sensi dell’articolo 18 del citato decreto, esistono specifici obblighi informativi soltanto a carico del Content Service Provider (CSP), laddove l’utente si limita a porre a disposizione soltanto le utenze e la propria rete infrastrutturale. Vi è anzi una precisa separazione di ruoli fra gestore e CSP posto che a carico del primo è previsto un obbligo di consentire l’accesso alla rete, garantendone il buon funzionamento e la manutenzione. Ciò viene richiesto al fine di consentire lo svolgimento della propria attività commerciale ai Content Service Provider ;

– gli operatori non sono da considerare responsabili della pratica in quanto, nel caso di specie, non sarebbero qualificabili professionisti ai sensi della lettera b) dell’articolo 18 non avendo posto in essere concretamente la fornitura di servizi né avendo agito in nome e per conto di colui che li eroga. Una diversa lettura del dato normativo presupporrebbe, infatti, l’individuazione di figure di professionisti ulteriori rispetto a quelle tassativamente previste ed una forma di responsabilità oggettiva.

Con ulteriore memoria, pervenuta all’Autorità in data 22 gennaio 2009, Telecom ribadiva che la disciplina del Codice del Consumo si applica, esclusivamente, alle pratiche poste in essere dal “professionista”;

– nel caso di specie, i messaggi all'esame sono stati ideati, realizzati e diffusi da D nell'ambito della propria attività d'impresa. Pertanto, solo a quest'ultima può essere logicamente, ancor prima che giuridicamente, attribuita la qualifica di "professionista" ai sensi del Codice del Consumo;

– ai sensi dell'articolo 18 del d.m. n. 145/2006, il Content Provider è responsabile in via esclusiva del contenuto dei servizi a sovrapprezzo proposti e quindi delle informazioni obbligatorie da fornire, mentre il gestore telefonico garantisce unicamente il trasporto, l'instradamento e la gestione delle chiamate. Ai sensi del regolamento negoziale tra le parti per la fornitura di loghi e suonerie, infatti, spetta chiaramente a D, in qualità di fornitore dei contenuti, farsi carico delle attività relative all’ideazione e distribuzione di loghi e suonerie di intrattenimento, nonché all'informazione e fornitura al pubblico finale di prodotti, servizi e formati di intrattenimento mobile;

– nel caso di specie, inoltre, non si è reso possibile alcun intervento di qualsivoglia natura da parte di Telecom dal momento che la campagna di comunicazione relativa ai servizi di suonerie offerti, posta in essere da D non è stata nemmeno preventivamente sottoposta all'attenzione di Telecom;

– quanto alla contestazione per la quale l'addebito del servizio, “avverrebbe poco dopo che è stato inviato l’SMS di richiesta, prima che venga effettivamente scaricata la suoneria”, come esplicitato nelle memorie depositate presso l'Autorità, nonché nella risposta alla richiesta di informazioni, l'attivazione dei servizi avviene secondo una modalità articolata e complessa (analiticamente descritta dalla società), per cui non appare possibile che l'attivazione dei servizio avvenga senza il consenso del cliente che anzi deve attivarsi personalmente per richiedere, in modo consapevole, il servizio prescelto;

– per quanto concerne, poi, il profilo relativo al momento in cui al cliente viene addebitato il costo del servizio in parola, sì può affermare che tale addebito, in conformità al dettato del decreto ministeriale n. 145/06, avviene effettivamente solo dopo che il cliente, per effetto delle richiamate modalità, ha espresso inequivocabilmente la volontà di aderire al servizio ed ha, quindi, ricevuto la prestazione richiesta.

In data 22 e 29 gennaio 2009, veniva richiesto il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

In esito all’istruttoria, in conformità al parere reso da AGCOM, l’Autorità, sulla base di articolate valutazioni (sviluppate al par. V del provvedimento impugnato), riteneva che la pratica commerciale posta in essere dalla società D S.p.A. e dai gestori di telefonia mobile Telecom Italia S.p.A., Vodafone Omnitel N.V., Wind Telecomunicazioni S.p.A. e H3G S.p.A., “ costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 del Decreto Legislativo n. 206/05, come modificato dal Decreto Legislativo n. 146/07 ”, e ne vietava l’ulteriore diffusione.

Alla società Telecom, in particolare, veniva irrogata una sanzione pecuniaria pari a euro 165.000.

Avverso siffatte determinazioni la ricorrente deduce:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2027 del d.lgs. n. 206/2005. come modificato dal d.lgs. n. 146/2007;
violazione dell’art. 18 del d.m. n. 145/2006;
violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/90;
eccesso di potere per sviamento;
eccesso di potere per travisamento dei presupposti;
difetto di istruttoria, difetto di motivazione.

Premessa la descrizione del servizio offerto dalla società D e richiamata la prassi interpretativa dell’Autorità relativamente relativamente alla pubblicità diffusa attraverso la rete Internet, la società evidenzia che, considerate le concrete modalità di attivazione e fornitura del servizio de quo , non vi era alcun presupposto perché la medesima Autorità configurasse come scorretta la pratica commerciale.

Telecom, peraltro, si sarebbe limitata a mettere a disposizione del “ content provider ” la propria infrastruttura di comunicazione elettronica, senza partecipare in alcun modo alla ideazione, realizzazione, e diffusione dei messaggi promozionali di D.

Contesta, quindi, la posizione dell’Autorità che ha attribuito anche alla ricorrente la qualità di “professionista” ai sensi del Codice del Consumo.

Tale definizione sarebbe più restrittiva di quella di “operatore pubblicitario” maturata nel precedente quadro normativo, essendo riferibile al solo autore dei messaggi pubblicitari.

Il sistema di “ revenue sharing ” e cioè il meccanismo di ripartizione dei proventi fra operatori telefonici e content provider (particolarmente valorizzato dall’Autorità al fine di dimostrare il coinvolgimento dei primi nella pratica commerciale scorretta), è in realtà posto ad esclusivo vantaggio dei fornitori di contenuti, costituendo altresì, semplicemente, una scelta discrezionale riconducibile all’autonomia negoziale delle parti e alla libertà di impresa.

I contratti stipulati evidenzierebbero, inoltre, che l’unico responsabile nei confronti di Telecom della realizzazione dei contenuti del servizio è il provider. Alla società è riservata, invece, una mera “facoltà” di controllo dei contenuti e delle modalità di erogazione dei servizi alla clientela, facoltà che Telecom può, o meno, esercitare, senza che il mancato esercizio sia fonte legittimante di censure, ovvero di sanzioni.

L’attuale disciplina dei servizi a sovrapprezzo, stabilita dal d.m. n. 145/2006, non prevede, per il gestore, la responsabilità per i contenuti dei servizi forniti da CSP.

La responsabilità dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica è essenzialmente limitata al trasporto, istradamento e gestione della chiamata (art. 18, comma 2), nonché ad alcuni adempimenti di carattere burocratico consistenti nel raccogliere la dichiarazione sui contenuti dei servizi, redatta sotto la responsabilità del content provider.

In tale contesto, pertanto, alcun rilievo potrebbe essere attribuito all’autorizzazione all’utilizzo dei loghi e dei marchi della società.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 206/2005, come modificato dal d.lgs. n. 146/2007;
violazione dell’art. 11 della l. n. 689 del 1981;
eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare, difetto di istruttoria, illogicità manifesta e contraddittorietà, disparità di trattamento, violazione del principio di proporzionalità.

La società lamenta di essere stata sanzionata (ed in misura addirittura maggiore rispetto al fornitore di contenuti) per un messaggio che non ha predisposto, non ha concorso a predisporre e non ha diffuso.

Richiama, al riguardo, la giurisprudenza di questa Sezione relativamente alla necessità di ponderazione dei ruoli assunti dalle parti del Procedimento (in particolare, le sentenze nn. 10467/2008, 10463/2008, 10465/2008 e 10464/2008).

L’Autorità si sarebbe limitata ad apprezzare la gravità della violazione attribuita anche agli operatori di telefonia sulla base della dimensione economica del professionista.

Non è stata, inoltre, apprezzata l’effettiva e concreta idoneità della pratica a falsare il comportamento economico del consumatore nella sua scelta di acquisto.

La società nega, altresì, che la pratica commerciale contestata sia specificamente rivolta agli adolescenti, come invece ritenuto dall’Autorità, all’uopo sottolineando, da un lato, che siffatta circostanza non ha mai formato oggetto di puntuale contestazione, e, che, comunque, di tanto l’Autorità non avrebbe fornito una esaustiva motivazione.

Ritiene, infine, ingiustificato l’inasprimento della sanzione (in ragione di precedenti pronunce in materia di pubblicità ingannevole) come generica ed imprecisa la rilevazione della durata dell’infrazione.

Si è costituita, per resistere, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

E’ altresì intervenuto ad opponendum il Codacons, il quale, altresì, ha depositato una memoria, in vista della pubblica udienza del 2.12.2009, alla quale il ricorso è stato assunto in decisione.

DIRITTO

1. Giova premettere, per una migliore comprensione dei fatti di causa, la descrizione della pratica commerciale oggetto del presente ricorso, così come sintetizzata nelle premesse della delibera impugnata.

La home page del messaggio pubblicitario presenta una serie di sezioni riguardanti “La musica del momento”, “Videosuonerie top selection”, “Immagini top selection”, etc. Sulla sinistra dello schermo appaiono un’ulteriore serie di sezioni, dedicate a “Musica”, “Immagini”, “Filmati”,”Giochi”, “Invia sms”, “Wap” e simili;
sulla destra sono indicati “Termini e condizioni”, “Condizioni friends”, “Informativa Privacy”, “Info e costi” etc. Cliccando sul prodotto che si intende acquistare (ad esempio una canzone da scaricare come suoneria) si apre una pagina in cui appare il messaggio “per avere questo contenuto devi essere iscritto a yahoo!suonerie”, e, quindi, l’invito ad iscriversi ovvero ad inserire il numero telefonico e la password per chi è già iscritto.

A fondo pagina, comunque non inquadrati immediatamente in home page, sono riportate alcune informazioni con caratteri notevolmente più piccoli: “D.net è un servizio in ABBONAMENTO per clienti TIM, Vodafone, Wind e 3. Se sei un cliente TIM, Vodafone, Wind e 3 e attivi D.net tramite la funzionalità mobi.D.net, riceverai un SMS (o un MMS se sei un cliente Vodafone) con un link ad una selezione di contenuti scaricabili via wap a scelta secondo lwe seguenti modalità: contenuto TOP =4 crediti, contenuto STANDARD=1 credito. Con mobi.D.net ogni settimana hai 8 crediti e puoi scegliere 2 contenuti top a scelta REALTONE MUSICALI, GIOCHI JAVA, CANZONI COMPLETE, VIDEOSUONERIE e VIDEO, oppure 8 contenuti a scelta tra SUONERIE POLIFONICHE e MONOFONICHE, IMMAGINI ed EFFETTI SONORI. Puoi attivare…Disattivi Mobi.dada.net…Costi: 3 euro (iva inclusa) a settimana. Devono essere aggiunti: a) gli eventuali costi di navigazione wap/web sostenuti per l’accesso e il download dei contenuti e i costi degli SMS inviati alle numerazioni del servizio addebitati secondo il piano tariffario del proprio operatore telefonico e b) l’addebito degli eventuali contenuti/servizi aggiuntivi richiesti (extra-pack) rispetto a quanto incluso nell’offerta di abbonamento settimanale .Per chi attiva il servizio la prima volta la prima settimana d’iscrizione è GRATUTITA e dà diritto a scaricare 8 contenuti! L’offerta è valida fino al 30 aprile 2008 [...].”

1.2. Nelle “Valutazioni conclusive” l’Autorità ha, tra l’altro, osservato che i messaggi testé descritti, “ risultano scorretti in relazione a molteplici aspetti ed in violazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo ”.

Essi, appaiono “ ideati principalmente per la promozione di singoli contenuti per cellulari mentre, in realtà, hanno ad oggetto una proposta commerciale di un abbonamento ad un servizio di suonerie, loghi e altri contenuti per telefonini, senza che siano chiarite adeguatamente, fin dalla prima pagina di offerta dei contenuti multimediali, le effettive caratteristiche del servizio nel suo complesso ed, in particolare, la circostanza che si tratta di un servizio a pagamento destinato a maggiorenni, gli oneri da esso derivanti, le procedure per la disattivazione dell’abbonamento e le limitazioni legate alle caratteristiche di compatibilità del cellulare del soggetto che procede all’acquisto [...]”. Più in generale, l’Autorità ha osservato “che il messaggio oggetto di contestazione non chiarisce, in modo adeguato la natura in “abbonamento” del servizio di cui si prospetta l’attivazione, i conseguenti vincoli economici, le procedure di disattivazione e le limitazioni derivanti dall’utilizzo di cellulari non compatibili o non correttamente configurati.

Ciò è evidente sin dalla home page di apertura in cui sono completamente assenti informazioni sul servizio offerto ad eccezione di quelle fornite mediante il link di rinvio “Privacy” posto in fondo alla pagina in questione, indicato con caratteri di dimensione ridotta rispetto al contesto pubblicitario. L’individuazione di informazioni essenziali all’interno di link di difficile e non obbligatoria consultazione, non è idonea a consentire quella libertà di autodeterminazione del consumatore che costituisce obbiettivo primario della tutela introdotta dal Decreto Legislativo n. 206/05 ”.

L’Autorità prosegue osservando che “ la presenza di omissioni informative viene posta in evidenza considerando il percorso logico obbligato di acquisto del servizio offerto, che costituisce il messaggio oggetto di valutazione diffuso sul sito http://it.dada.net/store/, che è composto, oltre che dalla pagina di apertura, da quella successiva predisposta per l’acquisto dei contenuti multimediali offerti tramite l’inserimento della password ricevuta dall’utente, da cui segue l’attivazione del servizio.

Le omissioni informative sopra evidenziate in relazione alla home page sono riprodotte, dunque, anche nella successiva schermata in cui viene richiesto all’utente di inserire il numero di cellulare e di selezionare la username.

Al pari della home page anche tale pagina web è incentrata sulla possibilità di acquistare un dato contenuto e non anche sulla necessaria attivazione dell’abbonamento. A fronte della scritta “Puoi ascoltare la musica che scarichi su D in piena libertà, usando il computer, il telefonino e qualsiasi lettore Mp3!” posta in evidenza, viene indicata la dicitura “la prima settimana di abbonamento è gratuita” con elementi grafici di dimensioni ridotte e vengono riportati sempre in piccolo i link “Privacy” e più in basso “Info”, la cui consultazione è del tutto eventuale. Nessun riferimento è presente circa la durata dell’abbonamento, i suoi costi e il suo essere riservato ai maggiorenni. Inoltre, la formulazione ambigua del messaggio non consente al consumatore di comprendere l’effettiva natura del servizio che anche se indicata, peraltro, in piccolo, viene affiancata dall’invito, ben evidenziato, a scaricare un singolo contenuto .”.

1.3. Pure utile appare richiamare il contenuto delle norme del Codice del Consumo qui rilevanti.

L’art. 18 del D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (come modificato dal D.Lgs. 2 agosto 2007 n. 146) precisa che, per le finalità considerate dal Titolo III (Pratiche commerciali, pubblicità ed altre informazioni commerciali), si intende per:

- “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;

- “prodotto”: qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

- “pratiche commerciali tra professionisti e consumatori”: qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

- “falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori”: l'impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Il successivo art. 19 puntualizza, poi, che le disposizioni contenute nel Titolo anzidetto trovano applicazione alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un'operazione commerciale relativa a un prodotto.

Il comma 2 dell’art. 20 stabilisce, quindi, che “una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale e' diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”;
mentre il successivo comma 4 individua come scorrette le pratiche commerciali:

- ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23

- aggressive di cui agli articoli 24, 25 e 26.

Ai sensi del comma 3 della medesima disposizione “3. Le pratiche commerciali che, pur raggiungendo gruppi più ampi di consumatori, sono idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista poteva ragionevolmente prevedere, sono valutate nell'ottica del membro medio di tale gruppo. È fatta salva la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera”

Ai si dell’art. 22 “è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.

2. Ciò posto, il Collegio reputa anzitutto infondate le argomentazioni con le quali la società Telecom nega di potere essere coinvolta nella pratica in esame in qualità di “professionista”, non avendo contribuito a ideare, ovvero diffondere, il messaggio oggetto di rilievi da parte dell’Autorità.

2.1. E’opportuno anzitutto richiamare la definizione offerta dal Codice del Consumo, secondo cui per “professionista” si intende “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista” e per “pratiche commerciali tra professionisti e consumatori” qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.

La definizione adottata dal legislatore è dunque estremamente ampia, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di un’attività d’impresa “finalizzata” alla promozione e/o commercializzazione di un prodotto o di un servizio.

In tal senso, rileva perciò anche l’attività di un operatore “intermedio”, in quanto idonea (nel senso di cui appresso si dirà) ad incidere sulla libertà di scelta e di autodeterminazione del consumatore.

A ciò si aggiunga che, secondo quanto già rilevato dalla Sezione (cfr. le sentenze, richiamate dalla difesa erariale, nn. 10464/08, 10465/08, e 10468/08 del 20.11.2008), anche nell’ambito dell’illecito c.d. consumeristico è possibile configurare, “alla luce tanto dei principi generali di diritto punitivo, quanto in particolare, dell’art. 5 della l. 24 novembre 1981, n. 689, un’ipotesi di concorso di persone nell’illecito amministrativo”, ben potendo l’imputazione di responsabilità reggersi giuridicamente “allorché risulti, in concreto, che tale soggetto abbia in realtà con il suo contegno contribuito a porre in essere la condotta sanzionata”.

In linea con tale orientamento nel caso di specie, l’Autorità ha condivisibilmente osservato che “ Al fine di garantire l’effetto utile della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette, deve infatti essere considerato professionista qualunque soggetto che partecipi alla realizzazione della pratica, traendone uno specifico e diretto vantaggio economico e/o commerciale .”.

Tale interpretazione, inoltre, appare in linea anche con la giurisprudenza e la prassi applicativa sviluppatasi nell’ambito della previgente disciplina della pubblicità ingannevole, che riconosce nel vantaggio diretto proveniente da un’iniziativa promozionale un elemento idoneo alla qualificazione di operatore pubblicitario (cfr., da ultimo, TAR Lazio, sez. I^, n. 8334/2008).

Pare inoltre al Collegio che, diversamente da quanto ritenuto da Telecom in ordine alla necessità di una interpretazione restrittiva delle “categorie” contemplate dal Codice del Consumo, esso comporti, al contrario, un raggio di tutela ben più ampio da quello consentito dal precedente quadro normativo in materia di contrasto alla pubblicità ingannevole, avendo riguardo a tutte “le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti” (considerando n. 7 della direttiva 2005/29/CE).

Il nuovo quadro di tutela offerta dal Codice del Consumo, viene infatti ad aggiungersi, da un lato, ai normali strumenti di tutela contrattuale, dall’altro, a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione (cfr., al riguardo, l’art. 19 del Codice).

Le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali sleali richiedono ai “professionisti” l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili da siffatte norme, ove esistenti, in parte dall’esperienza propria del settore di attività, nonché dalla finalità di tutela perseguita dal Codice, purché, ovviamente, siffatte condotte siano loro concretamente esigibili in un quadro di bilanciamento, secondo il principio di proporzionalità, tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale (in tal senso, opera soprattutto il modello, di derivazione comunitaria, del c.d. consumatore medio).

E’ possibile configurare, al riguardo, una “posizione di garanzia” o “dovere di protezione”, con ciò volendo significare non già l’esistenza di una forma di responsabilità oggettiva, quanto di uno standard di diligenza particolarmente elevato, non riconducibile ai soli canoni civilistici di valutazione della condotta ed esteso ad una fase ben antecedente rispetto all’eventuale conclusione del contratto (tra le pratiche commerciali oggetto di disciplina figura infatti “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”, art. 18, comma 1, lett. d.).

E, in definitiva, indubbio che il recepimento nell’ordinamento interno della la direttiva comunitaria 2005/29/CE, abbia rafforzato il ruolo dell’Autorità nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola ben più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza e limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa. Per tale ragione, del resto, il d.lgs. n. 146/2007, ha, contestualmente, rafforzato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.

2.2. Nel caso di specie, l’Autorità ha in particolare ritenuto che “ Gli operatori telefonici [...] traggono un immediato vantaggio economico dalla diffusione del messaggio segnalato, in quanto i proventi derivanti dal traffico telefonico verso la numerazione a decade “4” sono ripartiti fra il fornitore dei contenuti e gli stessi operatori telefonici. In particolare, gli importi prelevati agli utenti, ovvero ai consumatori che sono appunto clienti dei vari gestori di telefonia mobile, in seguito all’attivazione del servizio vengono incassati direttamente dagli operatori telefonici i quali, a loro volta, provvedono a corrispondere una percentuale (revenue sharing) al content provider in base agli accordi sottoscritti (circa il [20-70%]).

Si tratta di un meccanismo di ripartizione dei proventi dei servizi di abbonamento a contenuti per cellulari che, garantendo ai gestori di telefonia mobile di percepire proventi economici di rilevante entità, proprio attraverso la diffusione del messaggio confezionato dal content provider, prova già di per sé il coinvolgimento e la corresponsabilità di tali soggetti nella pratica commerciale oggetto di contestazione.

Tale meccanismo esclude, inoltre, che il gestore telefonico possa aver svolto, nel caso de quo, unicamente il ruolo di carrier della pubblicità, ossia di mero “vettore” del messaggio che non trae dalla diffusione della stessa nessun ritorno economico, specifico ed ulteriore rispetto a quello dovuto per il semplice instradamento del messaggio ”.

Dall’esame dei contratti, si evidenzia inoltre “ come sia prevista un’utilizzazione reciproca nei messaggi dei rispettivi loghi e segni distintivi. La riproduzione dei segni distintivi di ciascuna compagnia telefonica, pertanto, determina un coinvolgimento diretto di queste ultime nelle operazioni pubblicitarie che interessano i servizi reclamizzati, realizzando peraltro un effetto pubblicitario diretto a favore delle compagnie medesime ”.

Più in generale il coinvolgimento diretto delle compagnie telefoniche risulta “ confermato anche dal controllo che gli operatori di rete mobile sono chiamati ad esercitare sui messaggi confezionati dal content provider. Dall’esame dei contratti stipulati con DADA risulta, infatti, chiaramente che le compagnie telefoniche devono visionare ed autorizzare preventivamente la diffusione dei messaggi e l’utilizzazione negli stessi dei rispettivi segni distintivi. La violazione di tali clausole comporta, infine, per il content provider, il rischio che il gestore mobile applichi una penalità consistente nella decurtazione di uno o più punti dal corrispettivo riconosciuto a titolo di revenue sharing .[...]”.

2.3. Il Collegio reputa che le clausole contrattuali analizzate dall’Autorità – considerate unitamente alla cointeressenza diretta dei gestori telefonici nell’incrementare e sviluppare i profitti derivanti dai traffici telefonici conseguenti alla fruizione di servizi a decade “4”, attraverso l’immediato vantaggio economico derivante dalla diffusione dei messaggi, in cui sono riportati anche loghi e segni distintivi dei gestori stessi – determinino la configurazione di una “responsabilità editoriale” concorrente di Telecom, la quale, proprio in quanto destinataria di un beneficio economico della pratica commerciale, avrebbe dovuto attivarsi concretamente per monitorare il contenuto dei messaggi diffusi dal provider all’utenza. E ciò indipendentemente da uno specifico obbligo derivante dalla normativa di settore (il d.m. n. 145/2006), all’uopo soccorrendo il più rigoroso standard di diligenza richiesto dal Codice del Consumo.

In assenza di qualsivoglia indicazione in ordine ad un sistema di controllo dei messaggi predisposti dal content provider e diffusi alla clientela, non è sufficiente ad escludere l’ascrizione di una diretta ed autonoma responsabilità editoriale alla ricorrente la considerazione che, in concreto, il provider non ha sottoposto la campagna promozionale alla preventiva autorizzazione del gestore e che, comunque, secondo i contratti stipulati, siffatto controllo corrisponde ad una mera facoltà del gestore medesimo.

L’obbligo di diligenza, desumibile dal corpus normativo in materia e gravante, nel caso di specie, sul gestore di telefonia mobile, richiede infatti che, in presenza di vantaggi economici derivanti dalla pratica commerciale e con riferimento alle richiamate clausole contrattuali (le quali dimostrano che una forma di controllo preventivo sui messaggi predisposti dal content provider è comunque esercitabile, e che è quindi anche concretamente “esigibile”, non essendovi alcun sacrificio, ovvero lesione, dell’autonomia imprenditoriale), il gestore sviluppi degli adeguati piani di verifica ex ante (ad esempio, chiedendo formalmente al provider con cadenze periodiche, le iniziative promo – pubblicitarie che ritenga eventualmente di porre in essere), solo in presenza delle quali la responsabilità editoriale può essere esclusa essendosi l’operatore economico diligentemente attivato.

In altri termini, come più volte rappresentato dalla Sezione relativamente a pratiche analoghe a quelle di cui si controverte, se non è possibile ritenere che l’immanente obbligo di diligenza gravante su coloro che dalla pratica commerciale traggono comunque dei benefici (sia in termini economici che pubblicitari), determini sempre e comunque una loro responsabilità editoriale, una omissione rilevante ai fini della ascrizione di una responsabilità a titolo soggettivo sussiste allorquando l’operatore economico non dimostri di avere posto in essere un sistema di monitoraggio effettivo sui contenuti delle iniziative promo – pubblicitarie realizzate e diffuse da soggetti terzi, anch’essi interessati alla pratica commerciale, non essendo sufficiente ad escludere la responsabilità da omesso controllo la circostanza che il soggetto terzo non abbia preventivamente sottoposto la campagna che intende diffondere all’autorizzazione del gestore.

3. Neppure condivisibili risultano le argomentazioni sviluppate da Telecom per confutare la valutazione di ingannevolezza del messaggio operata dall’Autorità, la quale avrebbe omesso di considerare le informazioni complessivamente accessibili attraverso la consultazione dei vari link che, dalla pagina principale del sito, rinviano alle condizioni economiche dell’offerta.

3.1. Osserva il Collegio che, effettivamente, costituisce ormai consolidato orientamento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, quello secondo cui le affermazioni riportate in una pagina web vadano decodificate con riferimento al contenuto dell’intero sito, salvaguardando, dunque, la tendenziale unicità del messaggio.

L’Autorità ha però contemporaneamente osservato che le informazioni di fondamentale importanza per i consumatori, ai fini della valutazione della convenienza dell’offerta, debbano comunque essere rese loro disponibili fin dal primo contatto pubblicitario (cfr., ad esempio, i procedimenti PI3527 Tirrenia Tariffe Ponte del 13.12.2001 e PI 3268 Poste Italiane – Posta Celere del 31.5.2001).

Vale a dire che sebbene, in linea di principio, l’elaborazione di pagine web si presti, più agevolmente rispetto ad altri mezzi di comunicazione, ad un’informazione completa ed esauriente, l’analisi della correttezza della comunicazione commerciale va, anche in tali ipotesi, effettuata caso per caso, attraverso un’attenta analisi della struttura del sito, non potendosi escludere che, accanto a consumatori particolarmente smaliziati, in grado di accedere ad ogni informazione ivi presente, ve ne siano altri che, invece, si fermeranno al primo livello, senza volere, o sapere, effettuare ulteriori approfondimenti.

Appare emblematico, al riguardo, il caso in esame, in cui, come già riportato, nella home page di apertura del sito “ sono completamente assenti informazioni sul servizio offerto ad eccezione di quelle fornite mediante il link di rinvio “Privacy” posto in fondo alla pagina in questione, indicato con caratteri di dimensione ridotta rispetto al contesto pubblicitario ”.

L’Autorità ha perciò, condivisibilmente, osservato che “ L’individuazione di informazioni essenziali all’interno di link di difficile e non obbligatoria consultazione, non è idonea a consentire quella libertà di autodeterminazione del consumatore che costituisce obbiettivo primario della tutela introdotta dal Decreto Legislativo n. 206/05.

Al riguardo, va ancora una volta ribadito il consolidato orientamento della Sezione, secondo cui il legislatore ha inteso salvaguardare la libertà di autodeterminazione del consumatore sin dal primo contatto pubblicitario, imponendo dunque al professionista un particolare onere di chiarezza nella propria comunicazione di impresa.

L’ingannevolezza del messaggio non è pertanto esclusa dalla possibilità che il consumatore sia posto in condizione, prima della stipula del contratto, di conoscere in dettaglio tutti gli aspetti che lo caratterizzano, in quanto la verifica condotta dall’Autorità riguarda il messaggio pubblicitario in sé, e, pertanto, la sua idoneità a condizionare le scelte dei consumatori, indipendentemente dalle informazioni che l’operatore renda disponibili a “contatto” già avvenuto, e quindi, ad effetto promozionale ormai prodotto.

Relativamente, poi, alla tecnica del rinvio ad un link ipertestuale, la stessa, a parere del Collegio, risulta idonea ad escludere la decettività del messaggio solo ove risultino chiaramente percepibili, sin dalla prima pagina del sito web (o, comunque, sin dal primo livello di navigazione) le caratteristiche essenziali dell’offerta.

Nel caso di specie, invece, non appare dubbia l’ambiguità del messaggio incentrato, come rilevato dall’Autorità, “ sulla possibilità di acquistare un dato contenuto e non anche sulla necessaria attivazione dell’abbonamento .”.

4. Relativamente alla quantificazione della sanzione l’Autorità ha preso in considerazione, in primo luogo, la dimensione economica dei professionisti, osservando che “ Telecom Italia S.p.A., Vodafone Omnitel N.V., Wind Telecomunicazioni S.p.A. e H3G S.p.A., corresponsabili per la diffusione della pratica commerciale oggetto di contestazione con D S.p.A., rappresentano i principali gestori di telefonia mobile nazionale ”.

Con riguardo alla gravità della violazione, ha rilevato “ che la stessa è da ricondurre alla tipologia delle omissioni informative riscontrate e al settore al quale l’offerta di servizi in esame si riferisce, ovvero quello dei servizi a sovrapprezzo per la telefonia mobile, di cui i professionisti coinvolti rappresentano i principali operatori sul mercato per dimensione economica e ruolo commerciale .”.

Rispetto al settore delle comunicazioni “ l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni veicolate si presenta particolarmente stringente, anche in considerazione dell’asimmetria informativa esistente tra professionista e consumatore, dovuta tanto al proliferare di promozioni molto articolate quanto all’offerta di servizi innovativi, come nel caso di specie i servizi VAS .”.

L’Autorità prosegue osservando che “ la fattispecie in esame ha avuto un significativo impatto, in quanto la pratica commerciale è rappresentata da un messaggio pubblicitario diffuso via internet, suscettibile, pertanto, di aver raggiunto un numero considerevole di consumatori. In particolare, come evidenziato al paragrafo V del presente provvedimento, la pratica commerciale oggetto di contestazione risulta più grave se si considera l’idoneità della stessa ad alterare il comportamento economico di una categoria di consumatori più debole e vulnerabile, in ragione dell’età ed ingenuità, rappresentata dagli adolescenti, i quali sono particolarmente attratti dalla fruizione dei servizi pubblicizzati.

Al riguardo, occorre, altresì, tener conto dell’entità del pregiudizio, rappresentato dal rilevante onere economico che grava periodicamente ed automaticamente sul conto dell’utente, trattandosi dell’attivazione di un abbonamento con oneri economici settimanali applicati automaticamente fino alla disdetta del servizio.

Si deve, altresì, tenere conto dello specifico ruolo svolto dal Content Provider rispetto ai gestori di telefonia mobile nella pratica commerciale oggetto del presente provvedimento .”

4.1. Telecom lamenta anzitutto che l’Autorità non abbia verificato in concreto l’ idoneità della pratica a falsare il comportamento economico del consumatore nella sua scelta di acquisto.

Al riguardo, è sufficiente rinviare a quanto già diffusamente argomentato dalla Sezione circa la struttura dell’illecito consumeristico in esame.

L’illiceità della condotta, al fine di assumere rilevanza ai sensi delle più volte riportate disposizioni del Codice del Consumo, “non deve dimostrare una concreta attuazione pregiudizievole (per le ragioni dei consumatori), quanto, piuttosto, una potenzialità lesiva (per le scelte che questi ultimi, altrimenti, sono legittimati a porre in essere fuori da condizionamenti e/o orientamenti decettivi) che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito (non già di danno) ma di mero pericolo” in quanto intrinsecamente idonea a condurre alle conseguenze che la disciplina di legge ha inteso, invece, scongiurare (sentenza n. 3722 dell’8 aprile 2009).

Gli effetti della condotta, si pongono, in definitiva, al di fuori della struttura dell’illecito, atteso che la normativa in materia non ha la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate dalle pratiche scorrette agli interessi patrimoniali del consumatore, ma si colloca su un più avanzato fronte di prevenzione, essendo tesa ad evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici.

Le norme che tutelano il consumatore dagli effetti delle pratiche commerciali scorrette e/o aggressive sono dunque naturalmente preordinate a prevenire le distorsioni della concorrenza anche in una fase ampiamente prodromica a quella negoziale.

Gli effetti della condotta possono, semmai, assumere significatività quale elemento aggravante, laddove il comportamento ascrivibile all’operatore abbia avuto diffuse ricadute pregiudizievoli nell’ambito dei consumatori: da tale circostanza essendo con ogni evidenza dato desumere la grave inadeguatezza del comportamento posto in essere da quest’ultimo a fronte del paradigma di diligenza cha la normativa di riferimento ha posto quale essenziale referente di valutabilità della condotta.

4.2. Con riferimento al rilievo attribuito alla dimensione economica degli operatori coinvolti nella pratica (stigmatizzato da Telecom), non occorre, invero, spendere molte parole per ricordare che non solo si tratta di uno dei parametri specificamente elencati dall’art. 11 della l. n. 689 del 1981 (richiamato dall’art. 27, comma 13, del Codice del Consumo), al fine di assicurare gli effetti deterrenti della sanzione, ma che, secondo un consolidato orientamento dell’Autorità, l’importanza economica dell’operatore è idonea, di per sé, a rendere più efficace la comunicazione pubblicitaria e, pertanto, ad aggravarne la valenza lesiva ove la stessa integri anche una pratica commerciale scorretta (cfr. TAR Lazio, sez. I^, sentenza n. 277/2008).

Nel caso di specie, vi è prova di tanto nella circostanza che l’utilizzo, da parte del content provider , dei marchi e dei loghi dei gestori, forma oggetto di un’apposita previsione del contratto tra gli stessi stipulato, e che il riferimento alla “collaborazione” con i gestori di telefonia mobile, così come correttamente rilevato dall’Autorità, è in grado di spiegare una “ specifica forza attrattiva ” in ragione della notorietà degli stessi.

4.3. Telecom si duole ancora, della circostanza, che l’Autorità avrebbe, del tutto immotivatamente, individuato negli adolescenti il target di riferimento della pubblicità e che, comunque, siffatta circostanza, non avrebbe formato oggetto di puntuale contestazione all’atto di avvio del procedimento.

Al riguardo il Collegio ricorda che, effettivamente, rispetto ai procedimenti intesi a reprimere la pubblicità ingannevole e comparativa, quelli in materia di pratiche scorrette richiedono, oggi, all’Autorità, un maggiore e più articolato impegno istruttorio.

Infatti, salvo i casi di condotte “tipizzate” (elencate agli artt. 23 e 26 del Codice del Consumo), incombe ad essa di individuare con precisione le azioni, omissioni e/o dichiarazioni ritenute ingannevoli e/o aggressive.

In tal senso, il riferimento all’ “oggetto del procedimento”, contenuto nell’art. 6 del Regolamento sulle procedure istruttorie adottato in data 15 novembre 2007, non può esaurirsi nel mero richiamo delle norme di cui si ipotizza la violazione. Rimane tuttavia prerogativa dell’Autorità quella di prospettare un ampio spettro d’indagine, atteso che, come più volte affermato dalla Sezione proprio in materia di pubblicità ingannevole, un maggior grado di dettaglio e di analiticità delle argomentazioni è logicamente esigibile solo nella fase conclusiva del procedimento “che costituisce l’esito della fase istruttoria, mentre non sempre può caratterizzare la fase di avvio, nella quale, invece, deve essere con precisione identificato il solo messaggio, o i profili dello stesso, oggetto d’ indagine al fine di mettere in grado l’operatore pubblicitario di potere proficuamente partecipare all’istruttoria” (TAR Lazio, sez. I^, 12 maggio 2008, n. 3880;
id., 13 aprile 2006, n. 2737).

Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie in cui, nella comunicazione di avvio del procedimento, veniva chiaramente precisato che avrebbe formato oggetto di valutazione, anche l’idoneità dei messaggi “ a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabile alla pratica e al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro età, quali soggetti di età inferiore ai 18 anni, in un modo che il professionista poteva ragionevolmente prevedere, nell'ottica del membro medio di tale gruppo .”.

Relativamente, poi, all’individuazione del target di riferimento, nel provvedimento viene spiegato (senza che, al riguardo, la ricorrente abbia ritenuto di sviluppare censura alcuna, anche perché si tratta di un dato di comune esperienza) che gli adolescenti sono “ consumatori specificamente attratti dalla fruizione dei servizi per telefoni cellulari pubblicizzati nelle comunicazioni oggetto di valutazione ” e che “ Le informazioni carenti e poco chiare contenute nei messaggi esaminati circa le caratteristiche ed i costi finali del servizio pubblicizzato, possono [..] risultare ulteriormente pregiudizievoli in considerazione della naturale mancanza di esperienza dei giovani, anch’essi potenziali destinatari dei messaggi di cui si tratta, in quanto meno propensi a distaccate e specifiche valutazioni di opportunità economica, in rapporto alle nuove tecnologie e ai servizi offerti attraverso i terminali di comunicazione .”.

4.4. Il Collegio reputa invece fondati i profili di censura afferenti l’assenza di congruità nella ponderazione dei ruoli, attribuiti dalla stessa Autorità, ai soggetti coinvolti nel procedimento.

Fermo restando quanto in precedenza osservato circa la rilevanza della dimensione economica degli operatori ai fini dell’individuazione di una sanzione avente idonea efficacia deterrente, l’Autorità non ha però tenuto conto del fatto che, nella consumazione dell’illecito, la condotta omissiva di Telecom è stata senza dubbio subvalente rispetto alla condotta attiva del provider, che ha realizzato e diffuso il messaggio, da ciò derivando l’incongruenza di un importo base, sia pure di poco, superiore a quello in concreto inflitto alla società D.

Sebbene, infatti, nel provvedimento impugnato, si dia genericamente atto dello “specifico ruolo” svolto da Telecom, rispetto al Content Provider , non vi è stata, però, alcuna concreta analisi del diverso apporto partecipativo alla realizzazione della pratica scorretta in esame.

Il Collegio rileva peraltro che la giurisdizione del giudice amministrativo sul profilo sanzionatorio inerente all’accertamento di pratiche commerciali scorrette, a differenza che nella materia antitrust , non si estende al merito, sicché il Tribunale può solo annullare in tutto o in parte l’atto, ma non anche modificare lo stesso relativamente all’entità della sanzione dovuta.

Infatti, mentre l’art. 23 della l. n. 689/1981 (il cui undicesimo comma attribuisce al giudice il potere di modificare l’atto impugnato anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta) è applicabile ai procedimenti antitrust in virtù del richiamo contenuto nell’art. 31 l.n. 287/1990, l’art. 27, co. 13, d.lgs. 206/2005, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo i ricorsi avverso le decisioni adottate dall’Autorità, stabilisce che per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni del decreto si osservano, in quanto applicabili, alcune norme della l. n. 689/1981, ma tra queste non indica il citato art. 23.

La misura della sanzione da irrogare a Telecom pertanto, dovrà essere rideterminata dalla stessa Autorità, nel suo importo base, in esecuzione della presente sentenza.

4.5. Per completezza, appare opportuno anche esaminare il profilo di doglianza relativo alle “circostanze aggravanti” ravvisate dall’Autorità, e consistenti nella valenza dei “precedenti” in materia di pubblicità ingannevole (essendo la società ricorrente incorsa in numerose infrazioni di tale normativa).

Al riguardo, osserva il Collegio che, secondo il più volte citato art. 11 della l. n. 689 del 1981, la sanzione deve essere rapportata, tra l’altro, alla “personalità” dell’agente, alla cui ricostruzione, per consolidata giurisprudenza, concorrono appunto anche gli illeciti afferenti al settore genericamente interessato dalla violazione ascrittagli (così, ad esempio, Cass., sez. I^, 28 maggio 1990, n. 4970).

L’applicazione di “circostanze aggravanti” si appalesa pertanto corretta, e delle stesse dovrà tenersi debitamente conto nella rideterminazione della sanzione.

5. In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso deve essere accolto in parte.

Sussistono quindi giuste ragioni, considerato l’esito complessivo della controversia, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

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