TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-07-16, n. 201909383

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-07-16, n. 201909383
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201909383
Data del deposito : 16 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/07/2019

N. 09383/2019 REG.PROV.COLL.

N. 09378/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9378 del 2009, proposto da
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti M S, Marco D'Ostuni, F C, F M B e M Z, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, piazza di Spagna, 15;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Fastweb S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv. Renzo Ristuccia, Vincenzo Meli e Stefano Calabretta, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via E. Q. Visconti, 20;
Wind Telecomunicazioni S.p.A. e Vodafone Omnitel Nv, non costituite in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento n. 20121, adottato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato in data 22 luglio 2009, relativo al procedimento n. PS/50, notificato a Telecom Italia S.p.A. il successivo 7 agosto 2009.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’AGCM con l’AGCom e di Fastweb S.p.A.;

Vista l’ordinanza n. 10196/2017;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice la dott.ssa L M;

Uditi, nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2019, i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO

Con provvedimento del 25 febbraio 2009, l'AGCM avviava il procedimento PS/50 nei confronti di Telecom contestando alla società di aver posto in essere comportamenti in violazione degli artt. 20, 24, 25, lett. d), e 26, lett. j), del Codice del Consumo, in quanto "potenzialmente idonei a rappresentare un ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, … ai consumatori che intendono esercitare il diritto di risolvere il contratto, ovvero di rivolgersi ad altro operatore”.

Le condotte ipotizzate erano le seguenti:

- mancata liberazione della "linea, soprattutto ADSL, a seguito di richiesta di passaggio ad altro operatore";

- sospensione del "servizio di fonia e internet con un anticipo notevole rispetto al passaggio ad altro operatore";

- mancato intervento “per risolvere disservizi verificatisi al momento del passaggio ad altro operatore";

- opposizione di "una serie di KO che potrebbero non essere giustificati" a fronte della richiesta di attivazione dei servizi presso un OLO;

- sospensione unilaterale dei servizi di carrier pre-selection ("CPS"), con conseguente “rientro ‘forzoso’ dei clienti in Telecom";

- mancata attuazione degli "interventi necessari per passare a Fastweb";

- fatturazione alla clientela di servizi ormai cessati;

- imposizione indebita di "ulteriori azioni” in capo agli utenti per cessare la suddetta fatturazione di servizi cessati.

Dopo aver richiesto e ottenuto informazioni, effettuato ispezioni presso numerose sedi Telecom e coinvolto le società Vodafone Omnitel N.V., Wind Telecomunicazioni S.p.A., Fastweb S.p.A., Opitel S.p.A. e Tiscali Italia S.p.A., principali concorrenti nel settore della telefonia fissa, l’AGCM, con provvedimento del 22 luglio 2009, riteneva scorretta, ai sensi degli articoli 20, comma 2, 24 e 25, lettera d), del Codice del Consumo, la pratica commerciale innanzi descritta e irrogava a Telecom la sanzione amministrativa pecuniaria di € 320.000,00.

La ricorrente ha impugnato il suddetto provvedimento formulando i seguenti motivi.

I) Incompetenza;
violazione e falsa applicazione del principio del ne bis in idem formale: violazione e falsa applicazione dell'art. 19, comma 3, del Codice del consumo, nonché dell'art. 98 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche, dell'art. 1, comma 4, L. 40/2007, dell'art. 97 della Costituzione, nonché dei principi di coerenza, non contraddizione, economia ed efficacia dell'azione amministrativa.

La competenza in subjecta materia sarebbe dell’AGCom;
il provvedimento impugnato sarebbe in contrasto con le decisioni di detta Autorità settoriale.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 27, comma 3, D.Lgs. 146/2007 e 14 l. 287/1990;
eccesso di potere per carenza di istruttoria, contraddittorietà, travisamento dei fatti e illogicità manifesta;
difetto di motivazione.

L’Autorità avrebbe sconfinato spingendosi alla verifica di applicazione di una delibera AGCom.

3) Violazione degli artt. 18-20 e 24-25 del Codice del Consumo, nonché della regolamentazione di settore;
errore e travisamento di fatto;
eccesso di potere;
carenza di istruttoria;
difetto di motivazione.

L’AGCM non avrebbe provato, con l’istruttoria, l'esistenza di alcuna pratica commerciale scorretta e avrebbe richiesto una condotta inesigibile.

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 18-25 del Codice del Consumo;
travisamento e falsa applicazione dei fatti;
eccesso di potere;
carenza e omissione di motivazione.

Sarebbe inesistente la contestata pratica commerciale scorretta, trattandosi di semplici episodi, tanto che le segnalazioni sono state soltanto 70 a fronte di milioni di utenti.

5) Violazione degli artt. 18 e 20 del Codice del Consumo.

Non sussisterebbe alcuna negligenza di Telecom stante l’inesistenza delle condotte sanzionate.

6) Violazione e falsa applicazione dell'art. 27, comma 9, del Codice del Consumo e dell'art. 11 L. 689/1981;
eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà manifesta;
violazione del principio di proporzionalità.

La quantificazione della sanzione sarebbe illegittima ed errata.

Si sono costituite in giudizio per resistere al gravame sia Fastweb S.p.A. sia l’AGCM unitamente all’AGCom, con atto formale.

Con ordinanza n. 10196 dell’11 ottobre 2017 la Sezione ha disposto la sospensione impropria del giudizio, avendo ritenuto pregiudiziale la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla questione, in precedenza sollevata, inerente, inter alia , il riparto di competenza tra Autorità preposte alla regolazione e vigilanza dei rispettivi settori.

A seguito di istanza della ricorrente è stata fissata l’udienza di merito, in vista della quale la ricorrente e l’AGCM hanno depositato memorie conclusive.

All’udienza pubblica del 3 luglio 2019, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo Telecom sostiene che AGCM non sarebbe competente a valutare e sanzionare condotte del tipo di quelle descritte nel provvedimento impugnato, poiché esse rientrerebbero nella competenza esclusiva dell’AGCom, che ne conforma i contenuti attraverso una specifica regolazione, vigila sull’osservanza delle disposizioni da essa introdotte e sanziona eventuali condotte che divergono dal modello delineato.

Richiama, in proposito, la direttiva 2005/29/CE e l’art. 19 del Codice del consumo il quale, nel recepire quanto previsto dall’art. 3, par. 4, della citata direttiva, ha espressamente previsto che “in caso di contrasto, le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici”.

Quindi, ogni qual volta sussista una disciplina consumeristica speciale applicabile ad uno specifico settore di attività e tale disciplina speciale sia di derivazione comunitaria e copra interamente una determinata condotta, la normativa generale sarebbe recessiva, con evidenti ricadute in punto di competenza.

La ricorrente richiama anche il parere della I Sezione del Consiglio di Stato in data 3 dicembre 2008, n. 3988, che ha affrontato la questione del rapporto fra la disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette contenuta nel Codice del Consumo e le normative di settore, confermando che il rischio di duplicazione dell'intervento pubblico "debba essere evitato".

Il tema del passaggio della clientela sarebbe compiutamente disciplinato dalla regolamentazione di settore, che ha come base giuridica alcune disposizioni del CCE e attua anche l'art. 1, comma 3, della Legge Bersani, secondo cui " i contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia [...] devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell'operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni. Le clausole difformi sono nulle …".

Si tratterebbe di una normativa che tutela una fascia specifica di consumatori (gli utenti di servizi telefonici), in una particolare fase del rapporto di utenza (il recesso con cambio del gestore) nel caso di particolari contratti di abbonamento (quelli per adesione): ossia la materia oggetto del provvedimento impugnato su cui l'AGCom è dotata di un articolato ed efficace set di poteri ispettivi, inibitori e sanzionatori, al pari delle ipotesi riguardanti le procedure di passaggio da un operatore all'altro.

Quindi, nel caso di specie, sarebbero state presenti tutte le condizioni per escludere l’ammissibilità dell'intervento dell’AGCM e dell’applicazione della disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette.

Inoltre, l’AGCM sarebbe incorsa nella violazione del ne bis in idem formale atteso che quest’ultima Autorità, nonostante la continua vigilanza sulle condotte degli operatori, non ha mai addebitato a Telecom alcuna violazione della regolamentazione in tema di procedure di attivazione e ha persino sospeso i relativi procedimenti sanzionatori a valle della presentazione di impegni idonei.

Infine, il concreto contrasto tra gli obblighi imposti dalla normativa di settore e quelli conseguenti all'intervento dell'AGCM risulterebbe evidente dal fatto che quest’ultima avrebbe contestato a Telecom di non aver posto in essere condotte che il regolatore espressamente vieta.

Né potrebbe sostenersi che i due corpi normativi siano complementari, come sostenuto dalla giurisprudenza del 2009 ivi richiamata, allorché riguardino un diverso momento del rapporto contrattuale, o un diverso segmento di clientela, o rappresentino il "naturale completamento" di una dettagliata disciplina di settore, atteso che, nel caso di specie, la regolamentazione di settore sarebbe estremamente dettagliata nel disciplinare lo stesso momento del rapporto contrattuale (il recesso con cambio del gestore), ossia in modo ben più intenso di quanto non lo sia nel Codice del Consumo.

Nella memoria conclusiva, in replica alle argomentazioni difensive dell’AGCM, la ricorrente, richiamando quanto esposto in ricorso, ha fatto presente, in punto di fatto, che essa in realtà non avrebbe potuto fare quanto l’AGCM le ha contestato di non aver fatto, atteso che l’AGCom, con la delibera n. 569/07/CONS del 13 ottobre 2007, le aveva espressamente vietato di porre in essere iniziative unilaterali in tema di migrazione dei numeri telefonici ad altri operatori.

In punto di diritto, la ricorrente richiama la giurisprudenza della CEDU secondo cui una contemporanea applicazione di entrambi i set di norme (generale e settoriale) è possibile solo laddove gli atti sanzionabili con la normativa generale sulle pratiche scorrette siano diversi, sotto il profilo materiale, da quelli sanzionabili con la normativa settoriale, non essendo invece sufficiente la mera diversa qualificazione giuridica, pena la violazione del divieto di bis in idem (CEDU, grande camera, 10 febbraio 2009, Sergey Zolotukhin c. Russia, decisione n. 14939/03) e l’altra secondo cui il divieto di bis in idem risulta violato ogniqualvolta un professionista venga nuovamente condannato o perseguito dopo che un procedimento analogo “si è chiuso con una decisione definitiva, non importa se di assoluzione o di condanna” (CEDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia).

Sempre in diritto, quanto al richiamo della difesa erariale ai principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 13 settembre 2018, resa sulle domande pregiudiziali sollevate nelle cause C-54/17 e C-55/17, la ricorrente osserva che i suddetti principi non sarebbero applicabili al caso di specie, stante il contrasto tra la pertinente regolazione settoriale europea e la normativa in materia di pratiche commerciali scorrette ed ha prospettato a questo Giudice, “qualora residuino dubbi sull’interpretazione da dare alle richiamate norme nel caso di specie”, l’eventuale possibilità di sottoporre alla CGUE nuove questioni pregiudiziali ex art. 267 TFUE.

2. La censura di incompetenza dell’AGCM formulata nel primo motivo poggia sostanzialmente sull’assunto che, nel caso di specie, venendo in rilievo una fattispecie concreta diversa da quella esaminata dalla Corte di Giustizia nella richiamata sentenza (fornitura non richiesta), i principi ivi declinati, segnatamente quelli che concludono per l’insussistenza della competenza in capo al Regolatore, non sarebbero esportabili al caso di specie e che quindi sussisterebbe la competenza dell’Autorità di settore, ossia l’AGCom.

Quanto precede impone al Collegio di procedere all’esame congiunto dei primi cinque motivi, con i quali sono prospettate questioni fra loro strettamente connesse. Infatti con i suddetti motivi Telecom, soffermandosi sulle condotte esaminate dall’AGCM, sostiene, in estrema sintesi, che le stesse sarebbero insussistenti e, comunque, non sarebbero scorrette.

E’ necessario, pertanto, tratteggiare preliminarmente le condotte sanzionate e porre attenzione alle argomentazioni con le quali l’Autorità ha motivato la sua decisione.

Come già visto nella parte narrativa, l’Autorità ha accertato che Telecom non consentiva a diversi consumatori, che avevano espresso la volontà di migrare verso un altro operatore di telefonia fissa, di esercitare il diritto di recesso dal predetto professionista o ritardava l'esercizio di tale diritto, attraverso una serie di comportamenti ostruzionistici.

In sintesi, le condotte di Telecom, di seguito elencate, sono state ritenute aggressive e scorrette e non conformi al principio di diligenza professionale richiamato nell'art. 20, comma 2, D.Lgs. 206/05, in quanto idonee a rappresentare un ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, per i consumatori che intendessero esercitare il diritto di risolvere il contratto, ovvero di rivolgersi ad altro operatore: mancata liberazione della "linea, soprattutto ADSL, a seguito di richiesta di passaggio ad altro operatore";
sospensione del "servizio di fonia e internet con un anticipo notevole rispetto al passaggio ad altro operatore";
mancato intervento “per risolvere disservizi verificatisi al momento del passaggio ad altro operatore";
“opposizione di "una serie di KO che potrebbero non essere giustificati" a fronte della richiesta di attivazione dei servizi presso un OLO;
sospensione unilaterale dei servizi di carrier pre-selection ("CPS"), con conseguente “rientro ‘forzoso’ dei clienti in Telecom";
mancata attuazione degli "interventi necessari per passare a Fastweb", fatturazione alla clientela di servizi ormai cessati;
imposizione indebita di "ulteriori azioni” in capo agli utenti per cessare la suddetta fatturazione di servizi cessati.

Dopo aver ampiamente descritto il quadro normativo - all’epoca di recente introduzione, rappresentato dalla legge 2 aprile 2007 n. 40, di conversione del D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, recante “Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese” - concernente il diritto di recesso dell’utente di telefonia e la sua facoltà di migrare verso altri operatori (OLO), l’Autorità dà conto (par. 47) delle evidenze documentali (numerosi reclami di utenti ricevuti direttamente dalla società) da cui risultava la conoscenza di Telecom circa ritardi e disagi nelle procedure di passaggio e della circostanza che molti utenti, dopo il decorso di un lungo periodo di tempo senza che la procedura di migrazione arrivasse a buon fine, erano indotti a interrompere l’operazione di passaggio precedentemente scelta.

L’Autorità riporta l’evidenza che “agli utenti che si rivolgono a Telecom Italia S.p.A. per chiedere delucidazioni in merito al mancato passaggio ad altro OLO, sulla base delle istruzioni interne fomite, i call center si limitano ad indicare che l'utente deve essere indirizzato all'OLO con cui intende sottoscrivere il contratto, senza adoperarsi per eliminare o rimuovere possibili criticità connesse alle procedure di migrazione quali, a titolo esemplificativo, le problematiche incontrate da Telecom Italia S.p.A. nell'evasione degli ordini ricevuti”.

Infatti, dalla documentazione acquisita nelle varie ispezioni, l’Autorità ha accertato che Telecom riusciva a gestire solo un numero limitato di ordini di attivazione/migrazione e per un tempo breve, e che erano oggetto di discussione, interna e fra i vari operatori, le criticità nell'attuazione del processo di passaggio da un operatore telefonico ad un altro.

Quindi l’Autorità ha affermato che “Contrariamente a quanto rappresentato nelle proprie difese da Telecom Italia S.p.A., va evidenziato che le condotte oggetto di doglianza da parte dei consumatori non rappresentano singoli comportamenti bensì espressioni sintomatiche di un'unica condotta, contraria alla diligenza professionale e idonea ad incidere sulle scelte economiche del consumatore nella misura in cui hanno determinato un ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, ai consumatori che intendono esercitare il diritto di risolvere il contratto, ovvero di rivolgersi ad altro operatore”;
condotta che si connotava “per un carattere di diffusione indiscriminata” (par. 48).

Quindi, al par. 50 il provvedimento contesta che, in violazione del dovere di diligenza professionale sancito dal Codice del Consumo, consapevole delle novità e delle criticità dell'operazione di passaggio ad altro operatore, Telecom non ha tenuto condotte idonee ad agevolare il suddetto passaggio, fra cui gli adempimenti tecnici, e ha reso difficoltoso l'esercizio della facoltà di trasferire il contratto di fornitura del servizio ad un altro operatore, non ha provveduto ad eliminate i relativi ritardi, così di fatto frapponendo ostacoli al pieno esplicarsi di un diritto riconosciuto recentemente in sede di normativa primaria.

In ciò l’Autorità ha ravvisato la sussistenza di uno degli elementi previsti nella lettera d), dell'art. 25 del Codice, ossia il ricorrere di molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o l’indebito condizionamento consistenti, nel caso di specie, nel frapporre "un ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato”, imposto dal professionista laddove un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista.

L’Autorità ha anche chiarito di non poter accogliere la tesi difensiva di Telecom secondo cui i comportamenti in questione atterrebbero al rapporto a monte con gli OLO e non al rapporto finale fra professionista e utente, avendo rilevato che sono previste delle fasi in cui Telecom si interfaccia direttamente con l'utente finale, segnatamente quando il cliente chiama tale operatore per avere spiegazioni sul passaggio. Pertanto ha ravvisato, in tale condotta, una pratica commerciale scorretta in quanto idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento del consumatore medio ed indurlo ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso (nel caso di specie, quella di rinunciare alla migrazione e restare utente Telecom a causa dei ritardi e degli ostacoli frapposti dalla società, anche in ordine alla richiesta di chiarimenti).

2.1. Osserva il Collegio che il quadro fattuale e giuridico sotteso alla condotta contestata depone per la scorrettezza delle pratiche, come accertato dall’AGCM.

Oggetto di contestazione, in sostanza, è la condotta ostruzionistica, poco collaborativa e tecnicamente inadeguata di Telecom, consistente sia nel non fornire notizie chiare, sia nel frapporre ostacoli e ritardi, che, di fatto, finiva con lo scoraggiare gli utenti Telecom dal proseguire nella procedura di migrazione verso altro operatore, per la quale avevano liberamente optato, ed indurli a restare clienti Telecom pur di non incorrere in tutti i disservizi già patiti.

Invero il Codice del consumo all’art. 24 prevede che “E' considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.

Il provvedimento impugnato ha individuato in modo esaustivo le ragioni per le quali la condotta di Telecom, riguardo alle opzioni di migrazione o di recesso degli utenti, si sia risolta nello sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione in modo da limitarne la capacità di assunzione o perseverare in una decisione consapevole: fattispecie riconducibile alla definizione di “indebito condizionamento” di cui all’art. 18, lett. l), del Codice del consumo.

2.2. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza del 13 settembre 2018, resa nelle cause riunite C-54/17 e C-55/17, ha ricordato “che l’articolo 8 della direttiva 2005/29 definisce la nozione di «pratica commerciale aggressiva» segnatamente sulla base del fatto che tale pratica limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto” (punto 45) e che “ai fini dell’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2005/29, la nozione di consumatore riveste un’importanza fondamentale e che, conformemente al suo considerando 18, tale direttiva prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici” (punto 51).

La Corte ha, altresì, aggiunto che “secondo l’articolo 1 di quest’ultima [direttiva 2005/29], la medesima ha, in particolare, l’obiettivo di contribuire al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori. Tale obiettivo, consistente nel tutelare pienamente i consumatori contro le pratiche commerciali sleali, trae origine dal fatto che, rispetto ad un professionista, il consumatore si trova in una posizione di inferiorità, in particolare per quanto riguarda il livello di informazione (v., in tal senso, sentenza del 16 aprile 2015, UPC Magyarország, C‑388/13, EU:C:2015:225, punto 53). Orbene, in un settore così tecnico come quello delle comunicazioni elettroniche mediante telefonia mobile è innegabile che esista una notevole asimmetria tra le parti per quanto concerne l’informazione e le competenze tecniche” (punto 54).

A parere del Collegio, anche alla stregua dei declinati principi, il provvedimento impugnato risulta avere, in modo puntuale, qualificato come scorrette le condotte esaminate.

2.3. Quanto precede depone per l’infondatezza della tesi di parte ricorrente per cui, essendo la condotta contestatale diversa da quella di cui si è interessata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza del 13 settembre 2018, resa nelle cause riunite C-54/17 e C-55/17, i principi ivi declinati non si applicherebbero;
quindi rende non necessaria una eventuale ulteriore rimessione pregiudiziale alla Corte di Giustizia sul tema.

Si tratta di una tesi che non può trovare seguito atteso che la Corte di Giustizia, con la citata pronuncia, ha risposto ad una serie di questioni pregiudiziali, poste dalle ordinanze di rimessione, che ha ridotto sostanzialmente a due: la prima riguarda l’inquadramento della fattispecie concreta, ossia la fornitura non richiesta, fra le pratiche commerciali sleali;
la seconda riguarda l’interpretazione dell’articolo 27, comma 1 bis, del Codice del consumo nel senso di norma attributiva di una competenza esclusiva all’AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette, anche a fronte di condotte disciplinate da specifiche norme settoriali derivanti dal diritto dell’Unione.

2.3.1. Quindi la Corte ha chiarito che la nozione di «contrasto» denota un rapporto, tra le disposizioni cui si riferisce, che va oltre la mera difformità o la semplice differenza, mostrando una divergenza che non può essere superata mediante una formula inclusiva che permetta la coesistenza di entrambe le realtà, senza che sia necessario snaturarle.

Dunque, secondo la Corte, il contrasto sussiste solo quando disposizioni di stretta derivazione UE, disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, impongono ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi “incompatibili” con quelli stabiliti dalla direttiva 2005/29, dando vita a una divergenza insanabile che non ammette la coesistenza di entrambi i plessi normativi.

La Corte ricorda che “nonostante [detto] articolo 20, paragrafo 1, della direttiva «servizio universale» imponga al fornitore di servizi, in materia di comunicazioni elettroniche, di fornire determinate informazioni nel contratto, né tale disposizione né altre disposizioni della medesima direttiva contengono norme disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali…” (punto 66).

Aggiunge “che l’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva «servizio universale» prevede che le disposizioni di tale direttiva relative ai diritti degli utenti finali si applichino fatte salve le norme dell’Unione in materia di tutela dei consumatori e le norme nazionali conformi al diritto dell’Unione. Orbene, dall’espressione «fatte salve le norme [dell’Unione] in materia di tutela dei consumatori» risulta che l’applicabilità della direttiva 2005/29 non è pregiudicata dalle disposizioni della direttiva «servizio universale»” (punto 67).

Quindi conclude che “non vi è contrasto tra le disposizioni della direttiva 2005/29 e le norme sancite dalla direttiva «servizio universale» per quanto concerne i diritti degli utenti finali”, con la conseguenza che, in presenza di pratiche commerciali sleali anche nel campo delle comunicazioni elettroniche, la competenza non è del Regolatore ma dell’autorità competente ai sensi della direttiva 2005/29.

2.3.2. Osserva il Collegio che le riportate conclusioni della Corte di Giustizia confermano il principio, che la ricorrente contesta riferendolo a giurisprudenza più risalente, di una specialità normativa per fattispecie e non per settore, configurando i rapporti tra i due corpi normativi in termini di complementarietà più che di specialità.

Nel caso di specie, essendo stata accertata la sussistenza di pratiche commerciali scorrette ai sensi degli artt. 20, 24 e 25 del Codice del Consumo, la competenza deve ritenersi senz’altro radicata in capo all’AGCM.

2.4. Le considerazioni che precedono comportano l’infondatezza non solo della censura di incompetenza dell’AGCM, formulata con il primo motivo, ma anche del connesso profilo di censura, formulato con il secondo motivo, secondo cui l’AGCM avrebbe sconfinato dalle proprie competenze, tralasciando quanto contestato con la comunicazione di avvio del procedimento e spingendosi a interessarsi della corretta applicazione di una delibera dell’AGCom.

Anche tale censura è priva di pregio atteso che, come esposto ai punti che precedono, oggetto di interesse dell’AGCM è stata la verifica della sussistenza di pratiche commerciali scorrette ai sensi degli artt. 20, 24 e 25 del Codice del Consumo e non anche, dunque, la verifica di conformità della condotta esaminata alla delibera n. 274/2007 dell’AGCom.

Tale delibera, diversamente da quanto suggestivamente adombrato dalla ricorrente mediante estrapolazione di una frase dal contesto del provvedimento ("sussistenza di criticità nell'attuazione della Delibera n. 274/2007" - par. 7), è soltanto citata dall’Autorità, dopo aver riportato l’elenco delle condotte poste in essere da Telecom, ipotizzate nella comunicazione di avvio, poi, come già visto, risultate accertate all’esito dell’istruttoria.

Invero la frase su cui si appunta l’attenzione critica della ricorrente rappresenta un obiter di una intera sezione del provvedimento (sez. III - parr. 4 – 34) in cui l’Autorità espone le risultanze istruttorie, come già visto, con ampiezza argomentativa e dettaglio ricostruttivo.

3. Parimenti non coglie nel segno la tesi, prospettata nel terzo motivo, secondo cui Telecom non avrebbe potuto porre in essere le condotte per la cui omissione è stata sanzionata dall’AGCM in quanto ciò le sarebbe stato asseritamente vietato con una delibera dell’AGCom.

Invero, la delibera n. 569/07/CONS del 13 ottobre 2007, pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 287 dell’11 dicembre 2007, ha testualmente ritenuto “che l’iniziativa unilaterale avviata da Telecom Italia è idonea a violare norme poste a presidio, non solo del principio di condivisione delle procedure di migrazione, ma anche della continuità e della funzionalità del servizio fornito ai clienti finali;
e che, inoltre, l’assenza di procedure di migrazione condivise tra Telecom Italia e gli operatori alternativi è idonea a pregiudicare la possibilità per questi ultimi di gestire le attività di portabilità dei numeri di rete fissa nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 20, comma 3, della delibera 4/06/CONS, come, peraltro, ribadito dall’articolo 18, comma 5, della delibera n. 274/07/CONS”.

Quindi, in ragione della specifica violazione rilevata, l’AGCom ha ordinato:

“1. alla società Telecom Italia S.p.A., …. l’immediata interruzione della procedura unilaterale di migrazione ed, in particolare, l’immediata interruzione della modalità operativa volta ad accettare dai clienti finali mandato a completare tale procedura;

2. a Telecom Italia S.p.A. e alle società riportate nell’Allegato A, …:

- di provvedere alla conclusione delle negoziazioni necessarie ad assicurare l’operatività delle procedure di migrazione, nel rispetto dell’obbligo di preavviso previsto dalla legge n. 40/07 e di quanto previsto dal quadro normativo e regolamentare evidenziato in motivazione, entro il termine di 30 giorni dalla data di notifica del presente provvedimento;

- di trasmettere all’Autorità, entro il medesimo termine di cui al precedente alinea, gli accordi sulle procedure di migrazione stipulati ad esito delle predette negoziazioni”.

Dalla lettura del provvedimento invocato dalla ricorrente emerge che l’AGCom, in quel caso, aveva rilevato la violazione di norme poste a presidio, non solo del principio di condivisione delle procedure di migrazione, ma anche della continuità e della funzionalità del servizio fornito ai clienti finali. Quindi ciò che veniva vietato dall’Autorità di regolazione non era nessuna delle condotte poi contestate dall’AGCM con l’impugnato provvedimento, bensì l’aver adottato unilateralmente procedure di migrazione che, secondo la normativa, dovevano invece essere preventivamente negoziate fra i vari operatori, tanto che l’ordine di addivenire agli accordi era rivolto non solo a Telecom ma a tutti gli operatori ivi elencati nell’Allegato A.

Il rilievo che precede porta, dunque, ad escludere la fondatezza della tesi per cui l’AGCM avrebbe inteso “imporre” a Telecom pratiche che le sarebbero, invece, state “vietate” dall’AGCom;
inoltre mette in evidenza come, fra le due ipotesi, non sussista “l’identità dei fatti materiali” perseguiti che, secondo la giurisprudenza della CEDU, determinerebbe la violazione del principio del ne bis in idem .

Parimenti la suddetta violazione non potrebbe ravvisarsi qualora la ricorrente intenda riferirsi al procedimento avviato dall’AGCom e non concluso, menzionato in ricorso, riguardante ipotetici addebiti a Telecom di violazione della regolamentazione in tema di procedure di attivazione, atteso che non risulta in atti né è allegata dalla ricorrente l’esistenza di un provvedimento in ipotesi “assolutorio”.

3.1. Invero, sul tema è intervenuta la sentenza della Corte di Strasburgo, Sez. II, del 4 marzo 2014, n. 18640 (sentenza Grande Stevens e altri

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