TAR Napoli, sez. V, sentenza 2023-10-18, n. 202305680
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Testo completo
Pubblicato il 18/10/2023
N. 05680/2023 REG.PROV.COLL.
N. 03347/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3347 del 2020, proposto da
A A, rappresentato e difeso dall'avvocato A M D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, Questura di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domiciliano in Napoli, alla via Diaz n. 11;
Ministero della Difesa, non costituito in giudizio;
per l'annullamento:
a) del Decreto della Questura di Napoli - Commissariato di Pubblica Sicurezza di Sorrento - Sezione Polizia Amministrativa e Sociale - a firma del Dirigente Vice Questore n. 2020/Sez.Amm.va Cat. 6F/CM del 15.06.2020;
b) di ogni altro atto precedente, conseguente o comunque connesso, tra cui: 1) la comunicazione CAT. 6F2020 del 08.05.2020 di avvio del procedimento amministrativo ex artt. 7, 8 e 10 bis della L. 07.08.1990 n. 241, notificata in data 27.05.2020;2) la proposta di diniego a detenere armi e munizioni del 04.02.2020 inoltrata dalla Stazione dei Carabinieri di Piano di Sorrento alla Prefettura di Napoli.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 21 settembre 2023, tenutasi mediante collegamento da remoto. la dott.ssa R L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente presentava, in data 15.01.2020, presso la Stazione dei Carabinieri di Piano di Sorrento, istanza di rinnovo della Licenza di Porto di Fucile per uso caccia.
Con nota dell’8.05.2020 la Questura di Napoli - Commissariato di Pubblica Sicurezza di Sorrento comunicava l’avvio del procedimento teso al diniego della istanza. Il ricorrente inoltrava, a mezzo P.E.C., memoria difensiva ex art. 10 bis L. 241/90. Con Decreto n. 2020/Sez.Amm.va Cat 6/F/CM l’istanza di rinnovo veniva definitivamente denegata: era emerso, infatti, in sede di istruttoria, che il ricorrente aveva denunciato il furto dell’arma, riposta nella propria autovettura, “parcheggiata e lasciata chiusa a bordo strada per impellenti bisogni fisiologici”, e che il furto era avvenuto “tramite sfondamento”, da parte dei malfattori, di un finestrino. I militari dell’Arma effettuavano immediatamente un sopralluogo sul posto oggetto del denunciato furto e sull’auto dove era trasportato il fucile e constatavano che l’auto non presentava alcuna manomissione e i vetri della stessa erano integri, documentando il sopralluogo anche con fotografie dell’autovettura e del luogo del presunto furto da parte dei malfattori, di un finestrino. Il ricorrente, pertanto, veniva denunciato dalla Stazione Carabinieri di Piano di Sorrento in quanto responsabile della violazione dell’art. 20 legge del 18.04.1975, art. 110 e 479 del C.P (v. decreto impugnato).
Il ricorrente ha impugnato il suindicato provvedimento deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione. Si è costituito in resistenza il Ministero dell’Interno.
Alla udienza del 21 settembre 2023, tenuta da remoto in ossequio alle vigenti disposizioni processuali, la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.
Con il primo e unico motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione, della legge n. 241/90, del R.D. 773/1931, artt. 1, 5, 11 e 43, della legge 18.04.1975, art. 20: l’Amministrazione non avrebbe specificato le concrete ragioni poste alla base dell’adottata misura, che, in ogni caso, doveva reputarsi sproporzionata rispetto ai fatti occorsi;il giudizio di pericolosità, poi, era stato espresso in maniera generica ed illogica in quanto si era basato sulla mera denuncia di reato inoltrata dalla Stazione dei Carabinieri di Piano di Sorrento alla Prefettura di Napoli, alla quale non aveva fatto seguito alcuna condanna penale. Il provvedimento impugnato era, quindi, viziato da un evidente deficit di motivazione e di istruttoria.
Le censure così proposte sono infondate e vanno respinte.
Occorre ricordare che il Testo Unico di pubblica sicurezza, nel disciplinare il rilascio della «licenza di porto d’armi», nell’intento di salvaguardare la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, è caratterizzato da un sistema rigoroso di controlli volti a ridurre al minimo il possesso e la circolazione delle armi e i rischi connessi. Come sancito dalla Corte Costituzionale (cfr. sent. 16 dicembre 1993, n. 440), il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi «costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975». Ne deriva, dunque, che la detenzione del porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, un’eccezione al normale divieto di portare le armi (cfr., ex. plurimis, T.a.r. Campania, Napoli, sez. V, sent. n. 998/2022).
Dunque, la regola generale nel nostro ordinamento è rappresentata dal divieto di detenzione delle armi, che l’autorizzazione di polizia è suscettibile di rimuovere in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e di rischi anche solo potenziali che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza scongiurare.
All’Autorità di P.S. è attribuito, al riguardo, un potere ampiamente discrezionale che presuppone lo svolgimento di un giudizio di natura prognostica in ordine alla possibilità di abuso delle armi da svolgersi secondo parametri tecnico- probabilistici che tengano in primaria considerazione l’interesse prevalente all’incolumità e alla sicurezza dei cittadini.
A tal fine, il Testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza individua, agli articoli 11, 39 e 43, i casi in cui l’Autorità amministrativa può vietare la detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia già titolare, quando sia riscontrabile una capacità "di abusarne".
Il pericolo di abuso viene considerato nella sua più ampia accezione, ricomprendendo, dunque, ogni comportamento sintomatico di una anche potenziale mancanza di affidabilità del soggetto istante.
Applicando i menzionati principi all’odierna fattispecie, reputa il Collegio che, nell’adottare l’impugnato provvedimento, l’intimata amministrazione abbia esercitato la propria discrezionalità nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, all'esito di un’adeguata istruttoria, sul punto congruamente motivando.
Invero, dall’analisi dell’art. 43 TULPS, alla stregua del quale la licenza di porto d’armi può essere ricusata “a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”, si evince che sia sufficiente, ai fini del divieto di detenzione, anche la mera previsione probabilistica di un uso inappropriato dell’arma.
Il principio ispiratore in materia è, dunque, quello della massima cautela.
Il diniego di licenza o la revoca della licenza di porto d'armi, quindi, non richiedono un oggettivo ed accertato abuso nell'uso delle armi, essendo sufficiente che, secondo una valutazione non inattendibile, il soggetto non dia affidamento di non abusarne (sul punto, vedasi Con. Stato, sez. III, 14 settembre 2015, n. 4270).
Pertanto, salvo il limite dell'onere motivazionale, la valutazione cui è chiamata l'Amministrazione, titolare del potere in materia di pubblica sicurezza, può essere contestata nel merito solo per illogicità e travisamento dei fatti, sfuggendo invece al sindacato di legittimità l'apprezzamento amministrativo relativo alla prognosi di non abuso delle armi da parte del soggetto che ne sia possessore. Il divieto di detenzione di armi, munizioni, esplosivi, così come il diniego di licenza o la revoca della licenza di porto d'armi, non richiedono, pertanto, un oggettivo ed accertato abuso nell'uso delle armi, essendo sufficiente - secondo una valutazione prognostica sindacabile, come tutte le valutazioni discrezionali, nei limiti della palese illogicità, irragionevolezza, carenza istruttoria o motivazionale - che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 27/04/2022, n. 3331;28/03/2022, n. 2229).
Sul punto, è anche stato ribadito che la funzione dei provvedimenti in materia di licenze e di autorizzazioni di pubblica sicurezza - tra cui quelli relativi alle cd. interdittive antimafia - non è quella di accertare responsabilità né tanto meno di sanzionare illeciti, bensì di porre rimedio, con ampia discrezionalità, a situazioni che, complessivamente e non già atomisticamente considerate, risultino ragionevolmente sintomatiche di un pericolo per l'incolumità pubblica e privata, per l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica.
Ne discende che il sindacato del G.A. deve arrestarsi innanzi alla verifica che le complessive valutazioni discrezionali operate dalla p.a. non siano ictu oculi illogiche, irragionevoli ovvero viziate da travisamento dei fatti e carenza dei presupposti (cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 04/04/2022, n. 258;T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 09/10/2021, n. 448;Consiglio di Stato, Sez. III, 8 novembre 2012 n. 5678;in termini id., 10 luglio 2019, n. 4868).
Dall'applicazione dei sopra esposti principi discende, nel caso in esame, l’infondatezza delle censure poste a base del ricorso essendo il provvedimento impugnato sufficientemente e congruamente motivato con riferimento eventi in esso descritti, peraltro non contestati, e posti a fondamento del giudizio di inaffidabilità nell’uso delle armi espresso dall’Amministrazione.
I fatti in questione denotano, indubbiamente, la scarsa diligenza nella custodia delle armi da parte del ricorrente, che lasciava il fucile in sua detenzione incustodito in auto;comportamento che del tutto ragionevolmente giustifica la prognosi di inaffidabilità espressa.
Per quanto considerato, il ricorso va respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.