TAR Firenze, sez. II, sentenza 2024-04-16, n. 202400455

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. II, sentenza 2024-04-16, n. 202400455
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 202400455
Data del deposito : 16 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/04/2024

N. 00455/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01018/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1018 del 2023, proposto da
F C, rappresentata e difesa dagli avvocati L B, L C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Pisa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Pisani All'Uscio S.r.l.S., M I, T M ed E S, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

- del provvedimento 7.08.2023 del Comune di Pisa - U.O SUAP con il quale è stata negata l'istanza proposta in data 31.07.2023 ai sensi dell'art.19 comma 6ter Legge n.241/1990 per l'esercizio delle verifiche di competenza dell'Amministrazione Comunale in relazione a quanto contestato;

- del provvedimento 18.9.2023 Ufficio Controllo Edilizio con il quale si è negato l'accoglimento della predetta istanza e ritenuto che la struttura non necessiti di alcun titolo edilizio;

- nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente anche se non conosciuto

e per l'accertamento dell'obbligo e la condanna del Comune di Pisa ai sensi dell'art. 34 comma 1 lett. c) CPA ad emettere ordinanza di demolizione della struttura de qua, essendo provvedimento vincolato e non residuando alcun margine di discrezionalità trattandosi di abuso edilizio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pisa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 marzo 2024 il dott. M F e udita la difesa di parte ricorrente, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La sig.ra Cagianelli è proprietaria di un immobile sito nel comune di Pisa, adiacente ad un esercizio commerciale che svolge attività di ristorazione e somministrazione di cibi e alimenti, denominato “Pisani all’Uscio”, in forza di una SCIA presentata in data 10.02.2022 (prot. n. 599).

La sig.ra Cagianelli ha inviato, in data 31.07.2023, una segnalazione, ai sensi dell’art. 19, comma 6-ter della l. n. 241/1990, con cui lamentava l’illegittimo esercizio di attività di somministrazione al pubblico da parte della citata attività commerciale in un giardino intercluso frontistante i locali (dove risulta collocata una struttura composta da 4 tendoni della superficie di circa mq 110) e chiedeva all’amministrazione l’avvio delle verifiche sul piano edilizio e commerciale;
in particolare lamenta violazione delle norme in materia igienico sanitaria, acustica, di prevenzioni incendi, urbanistica, edilizia ed inerente il commercio, in particolare l’art. 48 della LRT n. 62/2018.

Il Comune ha riscontrato l’istanza con due distinte note, la prima del SUAP del 7.08.2023 e la seconda dell’ufficio controllo edilizio del 18.09.2023, con le quali rispettivamente comunica che:

- non vengono rilevate illegittimità nei titoli abilitativi l’attività commerciale, in quanto l'ampliamento temporaneo in superficie all'aperto non è assoggettato ad alcuna autorizzazione o SCIA, fermo restando l’obbligo del rispetto delle prescrizioni esecutive in materia di sicurezza, igienico-sanitarie (riportando altresì gli esiti di un sopralluogo effettuato dalla Polizia Municipale il 7.04.2023 dal quale non emergevano irregolarità edilizie);

- non vengono rilevate illegittimità sul piano edilizio, in quanto le strutture segnalate (in particolare un tendone) devono essere qualificate come elemento di arredo (categoria prevista dal punto 50 del Glossario dell’Edilizia Libera pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7/04/2018, serie generale 81, come elemento di arredo ai sensi dell’art. 6 comma 1 lett. e-quinques del D.P.R. n. 380/2001, in quanto avente mera funzione di miglioramento della fruizione dello spazio esterno pertinenziale), evidenziando anche l’avvenuta rimozione della struttura dal 15.09.2023;

2. Avverso tali due atti l’interessata ha notificato ricorso (il 20.09.2023), ritualmente depositato avanti questo Tribunale, con cui lamenta violazione di legge ed eccesso di potere articolando le doglianze in due motivi e instando per il rilascio di misure cautelari (cui ha rinunciato in corso di camera di consiglio, come risulta dai verbali).

Per resistere al gravame si è costituito il Comune di Pisa (il 2.10.2023) che ha depositato memoria (il 2.11.2023) con cui eccepisce altresì inammissibilità del ricorso. Ha fatto seguito il deposito di memorie del Comune di Pisa (il 8.02.2024) e della ricorrente (il 9.02.2024), nonché delle rispettive memorie di replica (il 21.02.2024).

Alla udienza pubblica del 13.03.2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Il ricorso è in parte fondato ed in parte improcedibile.

4. Occorre trattare preliminarmente le due eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune.

Con la prima sostiene che gli atti impugnati non avrebbero carattere provvedimentale ma meramente interlocutorio – confermativo;
con la seconda evidenzia che la ricorrente avrebbe sollecitato i poteri inibitori e di intervento in autotutela di cui all’art. 19, comma 3 e 4 della L. n. 241/1990 ben oltre i limiti temporali ivi previsti, per cui le SCIA (edilizia e commerciale) depositate dalla controinteressata si sarebbero consolidate e non sarebbero più attaccabili.

Le eccezioni non risultano condivisibili.

Occorre premettere che benché il ricorso, in linea con l’istanza presentata dalla ricorrente in data 31.7.2023 (cfr. doc. n. 13 allegato al ricorso), si presenti come volta a sollecitare i poteri di verifica di cui all’art. 19, comma 6-ter della l. n. 241/1990, nella sostanza la stessa non si limita a denunciare i vizi tipici della SCIA commerciale ed edilizia ma rappresenta la realizzazione delle attività successive in asserita difformità dalle segnalazioni inoltrate al Comune di Pisa, ovvero l’ampliamento abusivo della superficie del locale destinata alla somministrazione. Questo emerge dal tenore della nota ma anche dal tenore del ricorso e delle successive memorie, come si avrà modo di apprezzare nel dettaglio in seguito.

Il Comune, del resto, ha pacificamente avviato verifiche e controlli sullo stato dei luoghi e sull’esercizio dell’attività commerciale (per i profili edilizi, in particolare, ha svolto successivi sopralluoghi in data 7.09.2023). Lo stesso comunica, con i provvedimenti impugnati, gli esiti di tali verifiche e le relative valutazioni evidenziando che l’attività concretamente svolta, sia sul piano commerciale che su quello edilizio, non presenterebbe irregolarità o profili di illegittimità.

Ne consegue, con riferimento alla prima eccezione, che i due atti impugnati incidono sulla sfera giuridica della ricorrente, giacché costituiscono l’esito delle attività di successiva verifica e valutazione da parte del Comune.

Il ricorso, nella sostanza, è volto a censurare la successiva attività di verifica svolta dall’amministrazione (soprattutto sul piano edilizio, come si avrà modo di evidenziare in seguito) e non l’originaria SCIA presentata.

L’art. 19 della L. n. 241/1990 reca, ai commi 3 e 4, la disciplina dei poteri inibitori, repressivi e conformativi che l’Amministrazione può esercitare, anche su sollecitazione di terzi (ai sensi del successivo comma 6-ter), per intervenire in via diretta o in autotutela sulla SCIA che presenti profili di illegittimità. A tale scopo l’ordinamento pone, tra i requisiti per poter intervenire, anche precisi limiti temporali (60 o 30 giorni per i poteri di cui al comma 3 e 12 mesi per quelli di cui al comma 4).

Nel caso che qui ci occupa, invece, occorre qualificare la domanda come volta non a contestare l’illegittimità del titolo originario, mai messo in discussione dalla ricorrente, ma quella della successiva attività di vigilanza (nonché dei relativi esiti) posta in essere dalla amministrazione. Con particolare riferimento ai profili edilizi, peraltro, è lo stesso art. 19 citato che, al comma 6-bis prevede che “ fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali ”.

Per tali tipologie di contestazione, infatti, non trovano applicazione i suindicati termini per l’esercizio dei poteri amministrativi.

Come evidenziato dalla giurisprudenza “ in caso di intervento edilizio realizzato all'esito di presentazione di SCIA, per il quale era tuttavia precluso il ricorso a detto titolo abilitativo, esigendosi di contro il rilascio di permesso di costruire, non trova applicazione il termine decadenziale per l'esercizio del potere inibitorio previsto dall'art. 19 della L. n. 241 del 1990, il cui decorso esaurisce gli ordinari poteri di vigilanza edilizia, in quanto tale termine opera solamente nelle ipotesi in cui gli interventi realizzati o realizzandi rientrino fra quelli eseguibili mediante SCIA ” (T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, 14/04/2023, n. 848). “ Il provvedimento con cui l'amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante DIA ora SCIA, occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento ” (T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, 14/04/2023, n. 848). “ In materia edilizia, in presenza di lavori abusivi, ancorché molto risalenti nel tempo, l'esercizio del potere repressivo assume natura doverosa e vincolata, non essendo la potestà soggetta a termini di decadenza o prescrizione, anche in considerazione del fatto che le violazioni edilizie hanno natura di illeciti permanenti” (Cons. Stato, Sez. VI, 05/12/2023, n. 10501).

Per quanto precede, quindi, anche l’eccezione di inammissibilità per assenza di legittimazione non può essere accolta.

5. Passando al merito della vicenda, con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art 3, lett.e.5, e dell’art.6 comma 1, lett. e-quinquies del DPR n.380/2001, dell’art. 137, comma 1, lett. a), della legge regionale n. 65/2014;
eccesso di potere per difetto dei presupposti e contraddittorietà con atti della amministrazione.

La ricorrente sostiene che il tendone collocato nel giardino retrostante il ristorante nel quale si esercita attività di somministrazione di cibi e bevande sia un’opera che non rientri tra gli elementi di arredo (quindi assoggettato ad edilizia libera, come sostenuto dall’amministrazione nella nota del 7.08.2023) ma che necessiti di titolo edilizio (permesso a costruire) che non possiede, in considerazione delle sue dimensioni nonché della stabilità dell’utilizzo cui è adibito.

La doglianza è fondata.

Il Comune, nella nota del 7.08.2023, qualifica l’intervento come privo di rilevanza edilizia in quanto, stando ai rilievi aerofotografici effettuati dalla polizia municipale il 7.04.2023, la struttura “appare composta da 4 tende a pergole composte da pali centrali che sostengono le quattro tende di copertura” (cfr. doc. n. 1 di parte resistente). Nella nota del 18.09.2023 lo stesso riferisce di un sopralluogo, svolto in data 7.09.2023, a seguito del quale la struttura viene qualificata come elemento di arredo, ai sensi dell’art. 6, comma 1 lett. e-quinquies, del D.P.R. n. 380/2000 (e riferibile alla categoria di cui all’art. 50 del Glossario dell’Edilizia pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7/04/2018, serie generale 81, vale a dire ascrivibile alle tipologie di Tenda, Tenda a Pergola, Pergotenda, Copertura leggera di arredo). La funzione del manufatto risulta quella di “migliorare la fruizione dello spazio esterno pertinenziale senza che siano modificate in modo permanente e significativo le risorse del territorio”.

Risulta agli atti che tale struttura è adibita alla attività commerciale di somministrazione alimenti e bevande (come peraltro emerge dal verbale della polizia municipale del 7.04.2023, cfr. doc. n. 7 allegato al ricorso).

Le foto depositate in giudizio evidenziano che la struttura, composta da 4 tende a pergole, risulta pavimentata, dotata di impianto elettrico ed aerazione con canna fumaria ed è facilmente accessibile dai locali della struttura ricettiva mediante area pavimentata.

È pacifico agli atti, inoltre, che l’area su cui insiste la struttura è permanentemente dedicata all’attività di ristorazione, come palesato dalla pratica di ampliamento della superficie di somministrazione presentata dalla controinteressata il 25.09.2023 (cfr. doc. n. 18a e 18b di parte ricorrente).

La ricorrente ha inoltre ottenuto dall’ARPAT l’effettuazione di verifiche fonometriche che si sono svolte in data 24.06.2023, il 8.08.2023 e il 16.08.2023. Al di là degli esiti sullo sforamento dei limiti di emissione acustica, che di per sé dimostrano lo svolgimento di attività aperta al pubblico nell’area di cui si controverte, il periodo di riferimento della indagine costituisce elemento di prova quantomeno della stagionalità e non occasionalità della destinazione della struttura di cui si controverte (cfr. doc. n. 17 di parte ricorrente).

Parte ricorrente ha quindi fornito apprezzabili elementi di prova che dimostrano univocamente non solo che la struttura presenta carattere di stabilità e significatività strutturale (trattandosi di una area di 110 mq, pavimentata e completa di impianti) ma anche di costante impiego e destinazione d’uso.

La giurisprudenza ha chiarito che le “aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici", di cui all'art. 6, comma 1 lett. e-quinquies), del D.P.R. n. 380 del 2001, richiamato nel provvedimento impugnato, contemplano opere che esemplificativamente, includono “ piccole strutture come altalene, scivoli, dondoli, panche, tavoli da picnic, cuccia del cane, casetta gioco bimbi, barbecue rimovibili, vasi e fioriere mobili, e simili, ovvero tutti manufatti strutturalmente non ancorati al suolo e comunque destinati alla più comoda fruizione di aree pertinenziali di edifici” (T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, 20/09/2021, n. 1964).

Tale disposizione è stata ripresa dalla normativa regionale all’art. 137 della LRT n. 65/2014 (Norme per il governo del territorio) che, nel descrivere le ipotesi di attività edilizia libera, al comma 1 lett. h) vi annovera l’omologa ipotesi “ le aree ludiche senza fini di lucro, quali sistemazioni di spazi esterni per il gioco e il tempo libero attraverso l'installazione di manufatti semplicemente ancorati al suolo senza opere murarie, e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici ”.

Quanto alle dimensioni della struttura e al rapporto di pertinenzialità, la giurisprudenza ha evidenziato che “ la nozione di pertinenza urbanistica è meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. In particolare, gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono;
tali strutture necessitano del permesso di costruire quando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio e alle parti dello stesso su cui vengono inserite o, comunque, una durevole trasformazione del territorio con correlativo aumento del carico urbanistico. In tal caso, non v'è dubbio, infatti, che la tettoia costituisca una nuova costruzione assoggettata al regime del permesso di costruire
” (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 19/11/2019, n. 5419).

Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali richiamati, ai fini edilizi la precarietà di un manufatto non dipende solo dalla tipologia di materiali usati per la sua edificazione e dalle caratteristiche costruttive quanto piuttosto da un profilo funzionale che si identifica con l’uso cui il manufatto stesso è destinato. Se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, la natura precaria dell’opera va comunque esclusa, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata.

Sul punto la giurisprudenza ha evidenziato che in ordine ai “ requisiti che deve avere un'opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi: 1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo;
2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea. Il carattere precario di un manufatto deve essere valutato non con riferimento al tipo di materiale utilizzato per la sua realizzazione, ma avendo riguardo all'uso cui lo stesso è destinato, nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria dell'opera, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata;
la precarietà non va, peraltro, confusa con la stagionalità, vale a dire con l'utilizzo annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo. La precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula, infatti, un uso specifico ma temporalmente limitato del bene. Ne consegue l'obbligo di valutare l'opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale: con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo o pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, n. 833 del 2023;
Cons. Stato Sez. II, n.6768 del 2020)”
(Cons. Stato, Sez. VI, 27/02/2024, sent. n. 1912).

Anche questo Tribunale ha ripetutamente affermato che i manufatti funzionali a soddisfare esigenze permanenti del pubblico esercizio, seppure amovibili, vanno considerati alla stregua di vere e proprie costruzioni che alterano lo stato dei luoghi ed incrementano il carico urbanistico, a nulla rilevando l’eventuale assenza di opere murarie, dovendo invece valutarsi l’utilizzo per fini contingenti, per soddisfare esigenze durature nel tempo, per attività non stagionale (cfr. TAR Toscana, sez. III, 17/04/2018, n. 556;
Sez III, 4/05/2021, n. 642).

Ne consegue che manufatti come quello di cui si controverte - rimovibili ma stabilmente aderenti al suolo, utilizzati in via continuativa anche per ricevere la clientela (elemento che ben può desumersi dagli allacci agli impianti elettrico e di condizionamento) - assolvono ad una funzione stabile connessa all'attività economica svolta nei locali di riferimento e, di conseguenza, le strutture non possono ritenersi precarie.

Dalla lettura dei provvedimenti impugnati emerge che l’amministrazione ha desunto la precarietà della struttura da elementi afferenti i soli aspetti strutturali obliterando del tutto l’analisi funzionale degli stessi. Quest’ultimo aspetto costituisce componente istruttoria necessaria nell’esercizio dei poteri di vigilanza in materia di abusi che, sebbene integrino ipotesi di potere vincolato nell’esito, presuppongono comunque accertamenti e valutazioni complesse sui presupposti di fatto che le integrano.

Ciò implica che l’attività di vigilanza edilizia svolta dal Comune non risulta completa e la relativa istruttoria soffre delle carenze lamentate nel ricorso. In altri termini il Comune non ha ancora esercitato a pieno il potere attribuitogli dalla norma e pertanto non può essere accolta la domanda della ricorrente per l’emanazione di una pronuncia di condanna del Comune intimato ad emettere ordinanza di demolizione della struttura di cui si discute.

Per tale ragione deve essere annullato il provvedimento comunale 18.9.2023 dell’Ufficio Controllo Edilizio con riferimento ai profili edilizi lamentati nel ricorso, dichiarando l’obbligo del Comune di riattivare l’attività di vigilanza e di adottare i provvedimenti ritenuti opportuni alla luce degli indirizzi conformativi sopra esplicitati.

Il primo motivo di ricorso è pertanto fondato.

6. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 48 e 50 della L.R.T. n.62/2018 e dell’art. 6 del D.Lgs. n. 59/2010;
eccesso di potere per difetto dei presupposti, motivazione incongrua e contraddittoria.

La ricorrente sostiene che, sul piano della disciplina commerciale, la presenza del tendone, dei tavoli e delle sedie, unitamente alla continuità dell’utilizzo, costituirebbero ampliamento della superficie commerciale, contestando il richiamo alla risoluzione del MISE n. 145811 del 14.8.2014 contenuto nella nota del 14.09.2023 (in quanto tale risoluzione si riferirebbe all’impiego di soli tavoli e sedie), e sostiene che il provvedimento sarebbe emanato in violazione di quanto disposto all’art. 50, comma 4 della LRT n. 62/2018 (che del pari limiterebbe l’ipotesi di non ampliamento al mero utilizzo di tavoli e sedie) e dell’art. 48 della medesima legge (che riproduce l’art. 6 del D.Lgs. n. 59/2010) che subordinano l’esercizio delle attività commerciali al rispetto delle normative urbanistico-edilizie, igienico sanitarie e di sicurezza dei luoghi di lavoro.

Il Collegio ritiene il motivo privo di interesse per la ricorrente a causa della sopravvenuta presentazione, da parte della controinteressata, in data 25.09.2023, della SCIA commerciale finalizzata proprio all’ampliamento della superficie di somministrazione (cfr. doc. n. 18a e 18b di parte ricorrente). Su tale atto sopravvenuto risulta quindi spostato l’interesse della ricorrente, in relazione alle censure in trattazione.

Come evidenziato dalle parti nelle memorie di replica, tale atto risulta efficace anche se parte ricorrente deduce che è stata presentata ulteriore istanza ex art. 19, comma 6-ter, della L. n. 241/1990 con riserva di tutela avverso il silenzio amministrativo.

Ciò implica che gli effetti dei provvedimenti impugnati, limitatamente ai profili commerciali, risultano superati dalle sopravvenienze appena descritte, producendo, per tale parte, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

7. In conclusione il ricorso, nel suo complesso, è fondato e, pertanto deve essere accolto;
per l’effetto i provvedimenti impugnati risultano annullati, ai fini e nei limiti di cui in motivazione.

8. Le spese di lite vengono poste a carico del Comune di Pisa e sono liquidate come da dispositivo;
spese compensate per le parti resistenti non costituite, in ragione della mancata attività difensiva.

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