TAR Catania, sez. II, sentenza 2012-10-19, n. 201202482

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. II, sentenza 2012-10-19, n. 201202482
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 201202482
Data del deposito : 19 ottobre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03465/2011 REG.RIC.

N. 02482/2012 REG.PROV.COLL.

N. 03465/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3465 del 2011, proposto da L G A, nella qualità di titolare della ditta “Caprice di L G A”, rappresentato e difeso dall'avv. L F, con domicilio eletto presso il suo studio, in Catania, via Oliveto Scammacca, 23/C;

contro

il Comune di Fiumefreddo di Sicilia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avv. A S, con domicilio eletto presso il suo studio, in Catania, via V. Giuffrida, 37;

il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, presso la quale ope legis domicilia in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento,

previa misura cautelare,

- del provvedimento del Comune di Fiumefreddo di Sicilia n. 18 del 25 novembre 2011 a mezzo del quale il responsabile comunale dello sportello unico per le attività produttive ha dichiarato decaduta l'autorizzazione n. 26/03 del 23 giugno 2003, con cui la ditta “Caprice di L G A” era stata autorizzata alla vendita al pubblico ed alla somministrazione di caffè in tazze, alimenti, bevande e bevande alcoliche e superalcoliche;

- ove possa avervi interesse, dell'ordinanza n. 4 del 25 novembre 2011, con cui il responsabile comunale dello sportello unico per le attività produttive ha ordinato al Sig. T C la chiusura immediata della attività;

- ove occorra, del processo verbale di contestazione di accertata violazione amministrativa del 24 novembre 2011 elevato dalla Guardia di Finanza nei confronti dei signori L G A e T C.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Fiumefreddo di Sicilia e del Ministero dell'economia e delle finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2012 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Parte ricorrente impugna i provvedimenti in epigrafe, ed in particolare la dichiarazione di decadenza del provvedimento autorizzativo n. 26/2003, in virtù del quale conduceva il bar situato in Piazza San Vincenzo a Fiumefreddo di Sicilia;
impugna quindi anche l’ordine del Comune, rivolto ad altro soggetto, di chiusura immediata della attività di somministrazione di alimenti e bevande presso lo stesso bar ed il verbale della Guardia di Finanza redatto in esito al controllo effettuato su tale esercizio commerciale in data 17 novembre 2011.

Affida il ricorso ai seguenti motivi.



1. Mancata comunicazione di avvio del procedimento;
la decadenza dalla autorizzazione 26/2003 sarebbe stata pronunciata senza previa comunicazione di avvio del procedimento.



2. Violazione per falsa applicazione dell’art. 64, comma 8, D. Lgs. 59/2010, difetto di presupposti e travisamento dei fatti;
motivazione insufficiente. La norma citata, come la precedente identica previsione di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) , della legge 287/1991, si applicherebbe laddove l’attività venisse in concreto non esercitata;
nel caso di specie, l’attività non sarebbe mai stata sospesa.



3. Difetto dei presupposti per l’applicazione dell’art. 64, comma 9, D. Lgs. 59/2010;
travisamento dei fatti sotto altro profilo;
difetto di motivazione e di istruttoria. Al momento del controllo della Guardia di Finanza l’attività sarebbe stata esercitata da altro soggetto sulla base di un contratto di associazione in partecipazione.

Si sono costituiti sia il Ministero dell’economia e delle finanze che il Comune di Fiumefreddo di Sicilia.

L’Avvocatura dello Stato, per il Ministero ha chiesto che il ricorso venisse dichiarato inammissibile o rigettato, riportandosi a quanto contenuto in un rapporto informativo della Guardia di Finanza – Compagnia di Riposto;
il rapporto, accompagnato da documentazione, ricostruisce in maniera precisa i fatti e controdeduce in ordine al terzo motivo di ricorso, con specifico riguardo a quanto emerso nel corso dell’attività di controllo espletata da personale in forza a tale Compagnia.

Il Comune di Fiumefreddo di Sicilia ha spiegato difese in rito e nel merito, chiedendo in particolare l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui impugna la citata ordinanza n. 4 del 25 novembre 2011, in quanto relativa ad altro soggetto, e comunque il suo rigetto.

Questa Sezione II interna, con decreto 6 dicembre 2011, n. 1530, ha sospeso gli effetti dell’impugnato provvedimento n. 18 del 25 novembre 2011;
quindi, con ordinanza 12 gennaio 2012, n. 6, ha accolto la domanda di sospensiva dei provvedimenti impugnati, fissando per la trattazione del merito l’udienza pubblica del 6 giugno 2012.

All’udienza pubblica del 6 giugno 2012 il ricorso è stato trattato e trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Preliminarmente va detto che, per ragioni di ordine logico, lo svolgersi della sentenza non seguirà l’ordine dei motivi di ricorso.

Il ricorso è in parte inammissibile, ed in parte fondato.

E’ inammissibile per difetto di legittimazione nella parte in cui impugna la citata ordinanza n. 4 del 25 novembre 2011, con cui è stato ordinato al sig. T C, in quanto «…gestore di fatto del Bar-Tabacchi…» la chiusura immediata della attività;
nel provvedimento non si fa infatti alcun riferimento all’odierno ricorrente, né il sig. T C è parte del presente giudizio.

E’, altresì, inammissibile nella parte in cui impugna il verbale della Guardia di Finanza – Compagnia di Riposto del 24 novembre 2011, trattandosi di atto ex se non impugnabile (sul punto, Cass. civ., Sez. I, 2 settembre 2004, n. 17674: «…secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il verbale di accertamento delle violazioni per le quali sia prevista l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria non è, di per sé, lesivo di situazioni giuridiche soggettive della persona cui sia attribuita la violazione, trattandosi di un atto di natura procedimentale, cui fa seguito un'attività istruttoria destinata a concludersi, ove l'autorità competente ritenga la sussistenza dell'infrazione contestata, con l'emanazione del provvedimento irrogativo della sanzione, la cui impugnabilità, in sede giurisdizionale, è espressamente riconosciuta dal legislatore (…) il riconoscimento (…) della possibilità di proporre opposizione avverso il verbale di accertamento delle violazioni in tema di circolazione stradale, trova il suo presupposto nella circostanza che in tal caso, a differenza di quanto stabilito dalla disciplina generale delle sanzioni amministrative di carattere pecuniario, il verbale di accertamento è idoneo ad assumere valore ed efficacia di titolo esecutivo e ad incidere, conseguentemente, sulla, posizione giuridica della persona alla quale la violazione sia addebitata…» ).

E’ invece fondato nella parte in cui impugna il provvedimento del Comune di Fiumefreddo di Sicilia n. 18 del 25 novembre 2011.

Ai fini dello scrutinio di legittimità di tale atto, il Collegio ritiene di dover comunque farsi carico della delibazione delle censure contenute nel terzo motivo di ricorso, rivolte a censurare l’attività istruttoria svolta dalla Guardia di Finanza, poi trasfusa nel citato verbale del 24 novembre 2011.

Scopo di tali censure è infatti, nella sostanza, confutare il tenore delle dichiarazioni dell’odierno ricorrente, verbalizzate durante il controllo effettuato il 17 novembre 2011, richiamate nel verbale del 24 novembre 2011, e che l’impugnato provvedimento del Comune di Fiumefreddo di Sicilia n. 18 del 25 novembre 2011 pone a suo fondamento;
secondo tali dichiarazioni, in sintesi, l’esercizio commerciale non sarebbe stato gestito dal ricorrente, ma dal sig. T C in ragione di contratto di affitto di azienda.

Dette censure devono quindi essere ritenute ammissibili in quanto rivolte avverso un atto istruttorio, utilizzato dal Comune ai fini della adozione del provvedimento n. 18 del 25 novembre 2011.

Né si pone una questione di querela di falso del verbale, sia perché non può essere attribuita fede privilegiata al contenuto delle dichiarazioni riportate dal pubblico ufficiale nel corpo del verbale ( ex plurimis , Cass. civ., Sez. II, 25 maggio 2006, n. 12386), sia perchè il contenuto del ricorso conferma che il ricorrente ha effettivamente reso le dichiarazioni verbalizzate nel citato verbale del 17 novembre 2011.

L’odierno ricorrente ha infatti affermato, nel corso del controllo operato il 17 novembre 2011, di avere stipulato un contratto di affitto d’azienda e preliminare di cessione con il Sig. T C in data 1 giugno 2010, prorogato con altro contratto in data 3 gennaio 2011;
entrambi i documenti risultano esibiti ai militari durante il controllo (pag. 5 del verbale delle operazioni del 17 novembre 2011, allegato sub A al citato rapporto informativo della Compagnia di Riposto);
ha quindi dichiarato, in seno allo stesso verbale (pag. 8), di aver percepito euro 4.000,00 mensili «…dal mese di giugno 2010 al mese di ottobre 2011…» .

In seno al ricorso si afferma in proposito che l’attività commerciale di cui si tratta veniva invece esercitata dal sig. T C non in forza di tale contratto di affitto di azienda (che sarebbe spirato il 30 aprile 2011), bensì sulla base di un contratto di associazione in partecipazione «…della cui presenza, unitamente agli altri documenti, i Militari non si sono accorti…» (ricorso, pag. 9), e che il ricorrente avrebbe rilasciato le dichiarazioni inerenti il contratto di affitto di azienda durante il controllo della Guardia di Finanza perché «…a fronte di un controllo dichiaratamente finalizzato alla verifica del rispetto delle norme sul lavoro, il titolare abbia pensato (commettendo – si ammette – un grave errore ed una scorrettezza) di evitare di dichiarare di aver associato in partecipazione il Tcona con il presumibile intento di sfuggire alle gravi sanzioni previste per la mancata regolarizzazione contributiva e previdenziale dell'associato…» (ricorso, pag. 12).

Il problema che si pone è quindi quello del valore probatorio da riconnettere alla verbalizzazione da parte della Guardia di Finanza alle dichiarazioni dell’odierno ricorrente, che il ricorso afferma successivamente non essere veritiere. E ciò, lo si ripete, non in relazione al verbale della Guardia di Finanza del 24 novembre 2011, che deve ritenersi solo tuzioristicamente impugnato in questa sede, ma in relazione a circostanze fondanti il provvedimento del Comune di Fiumefreddo di Sicilia n. 18 del 25 novembre 2011.

Sul punto, in sede civile, la giurisprudenza del Giudice Ordinario appare ferma nel ritenere che le dichiarazioni rese agli organi di polizia giudiziaria costituiscono confessione stragiudiziale fatta ad un terzo che il giudice ha il potere - dovere di apprezzare liberamente ( ex plurimis , Cass. civ., Sez. lavoro, 16 agosto 2000, n. 10825, Cass. civ., Sez. III, 17 aprile 1997, n. 3309).

La giurisprudenza del Giudice Amministrativo ha, sul punto, affermato che la confessione stragiudiziale proveniente da parte privata e resa a terza persona, liberamente valutabile dal giudice e conforme pertanto al principio del libero convincimento, deve ritenersi ammissibile anche nel processo amministrativo (TAR Valle d’Aosta, Sez. Unica, 2 novembre 2011, n. 71).

Il Collegio ritiene, indipendentemente dal valore che si voglia attribuire alla confessione stragiudiziale nel processo amministrativo, decisiva la considerazione, cui si è già fatto cenno, che il processo verbale redatto dal pubblico ufficiale fa piena prova relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, al tenore delle dichiarazioni al medesimo rese e agli altri fatti dal medesimo compiuti o che questi attesti essere avvenuti in sua presenza;
pertanto, l'efficacia privilegiata che l'articolo 2700 cod. civ. assegna all'atto pubblico non si estende alla intrinseca veridicità delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale dalle parti (in tal senso, ex plurimis , Cass. civ., Sez. II, 25 maggio 2006, n. 12386;
Cass. civ., Sez. I, 19 settembre 2011, n. 19058).

Nel caso di specie, questo Collegio non ritiene condivisibili le affermazioni del ricorrente secondo cui i militari operanti nel corso del controllo del 17 novembre 2011 abbiano potuto non accorgersi della esistenza del contratto di associazione in partecipazione;
e ciò non solo per la completezza, l’analiticità e la precisione con cui i verbali versati in atti risultano essere redatti, ciò che appare indice di una condotta scrupolosa nell’espletamento della attività di accertamento, ma anche: a) perché l’esibizione del contratto di associazione in partecipazione da parte del ricorrente in sede di controllo del 17 novembre 2011 sarebbe stata contraddittoria con le dichiarazioni effettuate in tale sede (pagamento da parte del sig. Tcona del canone di affitto fino al mese di ottobre 2011, ben dopo l’asserita stipula del contratto di associazione in partecipazione);
b) perché, e soprattutto, la circostanza di aver esibito il contratto di associazione in partecipazione ai militari operanti, ancorchè «…unitamente agli altri documenti …» , appare in radicale contraddizione con quanto asserito in ricorso circa la volontà del ricorrente di nasconderne l’esistenza (ricorso, pag. 12: «…a fronte di un controllo dichiaratamente finalizzato alla verifica del rispetto delle norme sul lavoro, il titolare abbia pensato (commettendo – si ammette – un grave errore ed una scorrettezza) di evitare di dichiarare di aver associato in partecipazione il Tcona con il presumibile intento di sfuggire alle gravi sanzioni previste per la mancata regolarizzazione contributiva e previdenziale dell'associato…» ).

Tuttavia, altri elementi inducono questo Collegio a ritenere che il contratto di affitto di azienda non abbia effettivamente protratto i suoi effetti oltre il 30 aprile 2011: a) anzitutto, secondo quanto pattuito nell’atto con cui è stato prorogato il contratto di affitto di azienda stipulato fra il ricorrente ed il sig. T C (all. sub C al citato rapporto informativo della Guardia di Finanza), gli effetti del contratto di affitto di azienda sarebbero scaduti il 30 aprile 2011;
b) il Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, Ufficio regionale della Sicilia, Sezione distaccata di Messina, con provvedimento prot. n. 7134 del 31 gennaio 2012, depositato dal ricorrente in data 12 aprile 2012, «…Ritenuto che, come risulta dalle osservazioni scritte prodotte dal concessionario della rivendita a seguito dell'avvio del procedimento di revoca della concessione, i predetti Sigg. L G A e T C hanno stipulato in data 01/05/2011 un contratto di associazione in partecipazione per la gestione dell'azienda commerciale sopra descritta, limitatamente alla somministrazione di alimenti e bevande, con esclusione della rivendita tabacchi che, dal 01/05/2011, ha continuato ad essere gestite dal concessionario sig. L G A…» , ha disposto «…l’archiviazione dell’avvio del procedimento di revoca della concessione della rivendita n. 8 in Fiumefreddo di Sicilia…» .

Risulta quindi provato che il contratto di affitto di azienda in ragione del quale il sig. T C avrebbe gestito l’esercizio commerciale di cui si tratta non ha esplicato effetti oltre il 30 aprile 2011, ciò che conduce all’accoglimento del terzo motivo di ricorso.

Infatti l’impugnato provvedimento del Comune di Fiumefreddo di Sicilia n. 18 del 25 novembre 2011 si basa sulla mancata conduzione dell’esercizio per oltre un anno da parte del titolare, odierno ricorrente.

Sulla base di quanto visto, deve ritenersi che il periodo durante il quale l’esercizio sia stato condotto dal sig. Tcona in forza di contratto di affitto di azienda sia corso dal 30 giugno 2010 al 30 aprile 2011.

Né, comunque, il contratto di associazione in partecipazione versato in atti dal ricorrente (allegato sub 8 al ricorso), in cui il sig. Tcona viene qualificato come associato, potrebbe indurre a ritenere che l’esercizio possa essere stato condotto da quest’ultimo, disponendo l’art. 2552 cc che «La gestione dell'impresa o dell'affare spetta all'associante» .

Parimenti, deve essere accolto il secondo motivo di ricorso, secondo cui l’art. 64, comma 8, D. Lgs. 59/2010, si applicherebbe laddove l’attività venisse in concreto non esercitata;
nel caso di specie, l’attività non sarebbe mai stata sospesa.

Il Comune ritiene in proposito che «…l'articolo 64 del decreto legislativo 59/2010, sanzionando con la decadenza dall'autorizzazione la prolungata sospensione dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande, intende imporre l'esercizio di tale attività al soggetto effettivamente autorizzato a svolgerla…» (controricorso, pag. 7).

La norma cui si fa riferimento prevede che «L'autorizzazione e il titolo abilitativo decadono nei seguenti casi: (…) b) qualora il titolare sospenda l'attività per un periodo superiore a dodici mesi (…) d) nel caso di attività soggetta ad autorizzazione, qualora il titolare, salvo proroga in caso di comprovata necessità, non attivi l'esercizio entro centottantagiorni…» .

In proposito, non è in dubbio che l’attività non sia stata sospesa (ciò risultando provato dalla emanazione, da parte del Comune, della citata ordinanza n. 4 del 25 novembre 2011, con cui è stato ordinato al Sig. T C la chiusura immediata della attività);
la questione sottoposta a questo Giudice risulta quindi essere se il provvedimento possa fondarsi sulla interruzione della attività da parte del titolare, odierno ricorrente.

In proposito, occorre muovere le mosse dalla considerazione che l’analoga previsione contenuta nell’art. 4, comma 1, lett. a) , della legge 25 agosto 1991, n. 287 («…L'autorizzazione di cui all'articolo 3 è revocata: a) qualora il titolare dell'autorizzazione medesima, salvo proroga in caso di comprovata necessità, non attivi l'esercizio entro centottanta giorni dalla data del rilascio ovvero ne sospenda l'attività per un periodo superiore a dodici mesi…» ), è stata unanimemente ricondotta dalla giurisprudenza amministrativa ad un provvedimento avente natura sanzionatoria (TAR Sicilia – Palermo, Sez. III, 11 novembre 2011, n. 2093;
TAR Lazio – Roma, Sez. II, 5 gennaio 2006, nn. 99 e 103;
TAR Lazio – Roma, Sez. II, 28 novembre 2005, n. 12426;
Cons. Stato, Sez. V, 15 settembre 2005, n. 4196;
Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6800).

Inoltre, la giurisprudenza amministrativa, sempre con riferimento al citato art. 4, ha avuto modo di affermare come «…La previsione normativa di cui all'art. 4, l. n. 287 del 1991 trova la sua ragione di essere, specie nelle ipotesi di esercizi soggetti ad indicazioni numeriche limitative stabilite sulla base di parametri numerici ottimali, nell'esigenza che un'autorizzazione assentita in osservanza degli stessi parametri e non attivata nei termini previsti dalla legge non sottragga a tempo indefinito unità di somministrazione al pubblico ad altri esercenti che intendano svolgere la stessa attività e che non possano ottenerla in conseguenza dell'esistenza di esercizi autorizzati ma non aperti…» (TAR Lazio – Roma, Sez. II, 6 novembre 2008, n. 9868;
analogamente, TAR Lazio – Roma, Sez. II, 28 novembre 2005, n. 12426, e 19 agosto 2004, n. 7841).

Tale impostazione risulta oggi riconfermata e rafforzata dalla circostanza che la previsione è stata riprodotta nel corpo dell’art. 64 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno , con cui è stata trasposta nell’ordinamento italiano la cd. “direttiva Bolkestein”, inerente la liberalizzazione dei servizi nel mercato interno.

Tale articolo 64 prevede infatti, al comma 1, che «L'apertura o il trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, di cui alla legge 25 agosto 1991, n. 287, sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio solo nelle zone soggette a tutela ai sensi del comma 3. L'apertura e il trasferimento di sede, negli altri casi, e il trasferimento della gestione o della titolarità degli esercizi di cui al presente comma, in ogni caso, sono soggetti a segnalazione certificata di inizio di attività da presentare allo sportello unico per le attività produttive del comune competente per territorio, ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni» .

Pertanto, ferme restando le eventuali diverse autorizzazioni previste da altre norme, cui sono soggetti gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico a tutela di interessi pubblici diversi, per quanto riguarda il caso di specie, la decadenza risulta quindi posta a tutela dell’interesse a che, in zone soggette a limitazione, non vengano sottratte unità di somministrazione al pubblico ad altri esercenti che intendano svolgere la stessa attività e che non possano ottenerla in conseguenza dell'esistenza di esercizi autorizzati ma non aperti.

Occorre infine considerare come, essendo le norme a carattere sanzionatorio norme di stretta interpretazione, esse «…precludono soluzioni interpretative sulla base di criteri estensivi o analogici, tesi ad estenderne l'applicazione oltre ai casi ed i tempi presi in considerazione dalla norma…» (Cons. Stato, Sez. VI, 28 marzo 2008, n. 127;
analogamente Cons. Stato, Sez. Atti Normativi, adunanza del 9 febbraio 2009, n. 409).

Applicando tali considerazioni al caso di specie, ne consegue che non è possibile ritenere che il citato art. 64, comma 8, preveda la decadenza in conseguenza della conduzione dell’esercizio da parte di persona diversa dal titolare.

Ciò sia per l’assenza di una disposizione che ciò preveda espressamente, sia per l’impossibilità di ricavare dalla disposizione tale significato senza incorrere nel divieto di analogia per le norme sanzionatorie.

Infatti, osservato come il bene giuridico che la norma sanzionatoria di cui si tratta intende tutelare sia connesso all’interesse a che il servizio venga effettivamente erogato e non ad interessi diversi (quali, ad esempio, il rispetto del principio di personalità delle autorizzazioni di polizia di cui all’art. 8 TULPS, in relazione al quale si veda TAR Campania – Napoli, Sez. III, 13 giugno 2007, n. 6129), alla cui tutela risultano preposte altre norme, un’interpretazione che ipotizzasse la decadenza come conseguenza della conduzione dell’esercizio da parte di persona diversa dal titolare legittimamente autorizzato risulterebbe incongrua rispetto al bene tutelato dalla norma e quindi violativa del principio di stretta interpretazione delle norme sanzionatorie.

Peraltro, proprio tali ragioni fanno si che l’effetto conformativo della presente sentenza non limiti la possibilità del Comune di irrogare – sussistendone i presupposti – sanzioni basate su norme diverse.

L’accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso risulta assorbente ed esime il Collegio dalla delibazione del primo motivo di ricorso, afferente l’asserito difetto di comunicazione di avvio del procedimento.

In fine, il Collegio ritiene opportuno mandare alla Segreteria di questa Sezione II interna per l’invio della presente sentenza all’Ispettorato provinciale del lavoro, alle Direzioni provinciali INPS ed INAIL, ed all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate competenti per territorio per le valutazioni di loro pertinenza in relazione alla vicenda di cui si tratta, ove già essa non fosse stata oggetto di segnalazione da parte della Guardia di Finanza.

Il Collegio è dell'avviso che, in ragione dell’evoluzione della vicenda e della parziale inammissibilità del presente ricorso, sussistano eccezionali motivi, ai sensi degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92 c.p.c., per disporre l'integrale compensazione delle spese del presente giudizio tra tutte le parti in causa.

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