TAR Roma, sez. I, sentenza 2024-10-28, n. 202418949

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2024-10-28, n. 202418949
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202418949
Data del deposito : 28 ottobre 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/10/2024

N. 18949/2024 REG.PROV.COLL.

N. 14456/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14456 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da
A T, rappresentata e difesa dall'avvocato G N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Consiglio Superiore della Magistratura, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Ministero della Giustizia, non costituito in giudizio;

nei confronti

A D, rappresentata e difesa dall'avvocato G P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

per quanto riguarda il ricorso introduttivo: della deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura del 19.4.2023, con cui è stato conferito alla dott.ssa A D l’ufficio direttivo di Presidente di Sezione della Corte di Cassazione;
del DPR di nomina;
di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, compresi i verbali della Quinta Commissione del CSM e del relativo atto di concerto con il Ministero della Giustizia.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati in data 21.4.2024: per l’accertamento dell’illegittimità della deliberazione impugnata a fini risarcitori in forma specifica o per equivalente monetario.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consiglio Superiore della Magistratura e di A D;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2024 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso straordinario innanzi al Presidente della Repubblica, ritualmente trasposto in sede giurisdizionale a seguito di atto di opposizione del Ministero della Giustizia e del CSM, la dott.ssa A T ha impugnato e chiesto l’annullamento della deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura del 19.4.2023, con cui è stato conferito alla dott.ssa A D l’ufficio direttivo di Presidente di Sezione della Corte di Cassazione;
del DPR di nomina;
di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, compresi i verbali della Quinta Commissione del CSM e del relativo atto di concerto con il Ministero della Giustizia.

Occorre premettere che relativamente all’ufficio direttivo oggetto del contendere è accaduto che con deliberazione del CSM del 20.1.2021 l’incarico in questione è stato conferito alla dott.ssa A D;
che, tuttavia, tale provvedimento è stato impugnato dalla dott.ssa A T dinanzi a questo Tribunale, che, con sentenza del 14 giugno 2022, n. 7936 ha accolto l’impugnazione: in particolare, sono state ritenute “ meritevoli di accoglimento le doglianze avverso la decisione del Plenum di tenere conto nella motivazione di un nuovo elemento di valutazione (i ritardi maturati dalla ricorrente nell’esercizio delle funzioni) in assenza di una adeguata istruttoria e in violazione dell’obbligo di instaurare un contraddittorio con l’interessata sul punto ”, nel senso che la dott.ssa T non sarebbe stata messa “ nelle condizioni di chiederne l’attivazione in quanto la proposta presentata al Plenum (e rispetto alla quale la dott.ssa T aveva presentato osservazioni) non conteneva alcun riferimento alla presunta incapacità organizzativa della ricorrente, desunta dai ritardi maturati. L’argomento è stato introdotto, invece, in maniera effettivamente “estemporanea” e in asserita replica alle osservazioni della ricorrente, solo nel corso del Plenum, tramite l’apposizione di emendamenti che sono stati oggetto di immediata successiva votazione. Tale iter ha, in sostanza, impedito alla ricorrente di prendere posizione su specifici elementi negativi che il CSM ha ritenuto di valorizzare al fine di ritenere il suo profilo professionale non adeguato rispetto alla nomina. La mancata attivazione del contraddittorio ha altresì viziato il contenuto della motivazione, che risulta carente e perplessa, in quanto non sorretta da una adeguata istruttoria ”;
segnatamente, sarebbero stati rilevati a carico dell’odierna ricorrente “ alcuni ritardi in cui è incorsa, in passato, quanto al deposito delle minute di provvedimenti giurisdizionali (segnalazione del Presidente titolare della Prima sezione penale della Corte di Cassazione richiamata nel parere attitudinale specifico del 6.2.2017 del Consiglio Direttivo presso la medesima Corte ” aggiungendosi, tra l’altro, che i ritardi erano stati comunque recuperati “ a seguito dell’adozione e del puntuale rispetto di apposito piano di rientro del 14.3.2016 ”;
ha, però, evidenziato il giudice di prime cure che “ da questi vaghi riferimenti, il CSM ha dedotto una sub-valenza, in chiave comparativa, della dott.ssa T rispetto alla dott.ssa D quanto all’indicatore specifico di cui all’art. 21, lett. a), del Testo Unico (“l’adeguato periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità almeno protratto per sei anni complessivi anche se non continuativi”) nonché di quello di cui alla lett. c) (“l’esperienze e le competenze organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, anche con riferimento alla presidenza dei collegi”). Il ragionamento seguito dall’organo deliberativo è affetto da illogicità, in quanto non viene chiarito per quale ragione i ritardi - che non sono stati considerati significativi in relazione al parametro del “merito” (che afferisce alla capacità e laboriosità del magistrato) - sono stati, invece, apoditticamente ritenuti di “indubbio rilievo” in relazione all’indicatore specifico attitudinale relativo alla permanenza nelle funzioni di legittimità. Tali ritardi, inoltre, sono genericamente richiamati negli emendamenti ma non ne è analizzata la consistenza né la significatività, nonché la eventuale giustificabilità in ragione di situazioni contingenti riguardanti le condizioni di salute o familiari della ricorrente ovvero dell’ufficio di appartenenza. In sostanza, la grave lacuna istruttoria circa la natura ed entità dei ritardi rende impossibile comprendere per quale ragione essi sono stati automaticamente considerati un indice di una minore “adeguatezza” del periodo svolto dalla ricorrente nelle funzioni di legittimità rispetto a quello, di durata inferiore, vantato dalla controinteressata ”;
pertanto, siccome “ i ritardi in questione paiono riferirsi a un periodo circoscritto nel tempo, in relazione alle funzioni di magistrato relatore, e che i pareri attitudinali successivi non menzionano alcun deficit organizzativo in capo alla ricorrente ma le riconoscono, invece, una “eccellente capacità auto ed etero organizzativa ”, nella sentenza n. 7936/2022 si è concluso che “ i riscontrati vizi sono di tale gravità da inficiare e travolgere l’intero giudizio di prevalenza della dott.ssa D nei confronti della dott.ssa T, non essendo possibile ricostruire l’iter logico seguito dal CSM nell’esprimere la propria valutazione ”: e si è, pertanto, accolta la predetta impugnazione “ con assorbimento di ogni altro motivo ”.

Tale sentenza è stata impugnata dal CSM innanzi al Consiglio di Stato, che con sentenza del 9 febbraio 2023, n. 1435, ha respinto tale impugnazione nonché l’appello incidentale proposto dalla stessa ricorrente A T.

Si è, pertanto, proceduto ad una rinnovazione della valutazione, limitata “ quanto al profilo “soggettivo”, (…) ai soli candidati dott.ri A T e A D, avendo gli altri (originari) aspiranti (ove non già revocanti ovvero destinati a nuove funzioni) prestato acquiescenza al pregresso conferimento dell’incarico in oggetto. Quanto al profilo “oggettivo”, la medesima riedizione è compiuta “ora per allora”, ossia con riferimento ai profili professionali relativi ai due citati candidati sussistenti al momento della vacanza (ossia al 4.12.2019;
sul punto, cfr., da ultimo, Cons. St., 18.10.2022, n. 9343)
”.

Segnatamente, la ricorrente, “ nominata con DM 30.12.1977, è stata: dal 22.2.1979 giudice presso il Tribunale di Milano;
dal 25.9.1985 giudice presso il Tribunale di Palermo;
dal 15.5.2001 sostituto procuratore generale presso la Procura Generale di Palermo;
dall’1.10.2010 è consigliere presso la Corte di Cassazione
”;
e la controinteressata dott.ssa A D, “ nominata con DM 18.2.1984, è stata: dal 26.6.1985 pretore presso la Pretura di Cerignola;
dal 16.6.1987 giudice presso il Tribunale di Trani;
dal 29.1.2004 consigliere presso la sezione lavoro della Corte d’appello di Bari;
dal 16.9.2013 è consigliere presso la Corte di Cassazione
”.

Poste in comparazione, il CSM ha evidenziato che “ il profilo della dott.ssa A T deve senza dubbio ritenersi subvalente rispetto a quello della dott.ssa D ”.

In particolare, si è rilevato – dopo aver riepilogato lo stato di servizio prestato in varie sedi – che “ le fonti di conoscenza – e le informazioni acquisite dal Consiglio con l’attività istruttoria compiuta in sede di riedizione – evidenziano l’esistenza di taluni ritardi maturati dalla dott.ssa T nel deposito delle minute di provvedimenti (cfr., sul punto, i prospetti trasmessi dal Comitato Direttivo della Corte di Cassazione, in atti). Ancorché oggettivamente rilevanti (per quantità ed estensione), i ritardi in parola – accumulati dall’aspirante in esame a causa della complessità dei procedimenti trattati, del tempo dedicato all’attività di studio dei fascicoli e della sussistenza di ragioni personali nel medesimo periodo di maturazione degli stessi ritardi in questione (cfr., in proposito, quanto precisato dalla medesima candidata in occasione della audizione del 28.3.2023)– non possono ritenersi, alla luce dell’istruttoria svolta, valutata l’intera carriera della dott.ssa T, come tali “dirimenti” ai fini della presente comparazione, trovando piuttosto la sicura prevalenza della candidata proposta (ossia la dott.ssa D) solide ed incontestabili ragioni nella valutazione degli indicatori specifici previsti dal T.U., nei termini di seguito precisati ”.

Il Consiglio, inoltre, non ha ritenuto decisivo “ quanto osservato dalla dott.ssa T – con riferimento al merito della prevalenza in questione e, quindi, alla opportunità della “scelta” del candidato più idoneo – nelle memorie prodotte sia prima che dopo l’odierna riedizione. La prevalenza in parola trova, infatti, ragione, in ossequio a quanto prescritto dall’art. 26, c. II, T.U., nella complessiva valutazione degli indicatori previsti dal T.U., come di seguito dimostrato. Passando, quindi, alla comparazione tra i profili professionali delle due candidate, deve ritenersi la prevalenza di quello della dott.ssa D in relazione all’odierno posto a concorso, soprattutto sul piano degli indicatori specifici, ai quali va attribuito “speciale rilievo” nella presente valutazione comparativa (ai sensi dell’art. 26 T.U.). Entrambe le candidate sono in possesso dell’indicatore di cui all’art. 21, lett. a, T.U., avendo maturato, alla data della vacanza, il periodo minimo di 6 anni di permanenza nelle funzioni di legittimità ”.

Ha, in effetti, dato atto che “ la dott.ssa T vanta un’esperienza in Cassazione complessivamente più prolungata ma, in presenza di percorsi contraddistinti per entrambe dal raggiungimento di ottimi risultati, il solo dato temporale in parola non giustifica un’automatica prevalenza rispetto all’indicatore in disamina, nel momento in cui risulta comunque soddisfatto l’arco temporale minimo espressamente individuato dalla menzionata disposizione come idoneo ad attestare l’adeguatezza, sul piano attitudinale, dell’esperienza maturata nelle funzioni ”;
ha soggiunto che “ senza dubbio prevalente deve ritenersi, invece, il profilo della dott.ssa D rispetto all’indicatore relativo alla partecipazione alle Sezioni Unite (art. 21, lett. b, T.U.). Come detto, la candidata proposta è stata designata come componente delle Sezioni Uniti civili, per la sezione lavoro, con decreto del Primo Presidente del 12.4.2018, a fronte di un’analoga esperienza iniziata per la dott.ssa T solo a seguito di decreto di designazione emesso il 15.3.2019 ”;
e ciò in quanto “ la dott.ssa D vanta, pertanto, alla data della vacanza, una partecipazione alle Sezioni Uniti civili protrattasi per circa 1 anno e 8 mesi (periodo in cui ha redatto sentenze definite nel rapporto del Presidente titolare della VI sezione civile «importanti», «anche su questioni di massima di particolare importanza e per la definizione di contrasti»), esperienza da considerarsi ben più significativa e consolidata di quella maturata dalla dott.ssa T, alla stessa data, per poco meno di 9 mesi, presso le sezioni unite penali ”.

Il CSM ha, inoltre, sottolineato che “ anche sotto il profilo dell’esperienza maturata nell’ufficio spoglio (art. 21, lett. c, T.U.) appare prevalente il profilo professionale della dott.ssa D, che ha svolto tale attività sin dal 2014 presso la sezione lavoro (con riferimento alle cause previdenziali ed assistenziali), altresì provvedendo, su incarico del Presidente titolare della sezione, alla formazione dei ruoli di udienza, incombenza che ha curato, con riferimento al collegio previdenza ed assistenza, sino al 30 aprile 2017, anche a seguito della ripartizione delle competenze tra i presidenti della sezione. La dott.ssa D, del resto, ha svolto, successivamente, attività di spoglio anche presso la VI sezione civile (dal maggio del 2017). Ben più contenuta risulta, al riguardo, l’esperienza della dott.ssa T. L’attività della VII sezione penale è assimilabile, con riferimento all’assetto normativo vigente al momento della vacanza, solo per alcuni profili allo spoglio, non risultando ad esso (quanto meno integralmente) riconducibile. Infatti, nel settore penale, l’attività dell’Ufficio Spoglio viene svolta, in misura prevalente e più pregnante, a livello sezionale, dovendo la VII sezione unicamente valutare l’eventuale ricorrenza di profili di inammissibilità del ricorso, adottando la relativa pronuncia in caso affermativo e restituendo gli atti alla sezione competente negli altri casi. Di contro, l’Ufficio Spoglio sezionale ha il compito di provvedere all’esame dei procedimenti assegnati alle sezioni, di individuare i ricorsi da trasmettere alla VII sezione e, ove non siano rilevate cause di inammissibilità e verificata la competenza interna della sezione, di attribuire a ciascun ricorso un “valore ponderale di difficoltà” (anche determinato dalla natura delle questioni sottese e dal loro carattere di novità);
vengono calcolati, inoltre, i termini di scadenza della custodia cautelare e quelli di prescrizione dei reati. All’esito dell’esame dei ricorsi, i consiglieri che effettuano lo spoglio segnalano, infine, al Primo Presidente le questioni da rimettere alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 610, comma 2, c.p.p., in presenza di orientamenti giurisprudenziali difformi. È innegabile, quindi, per quanto rappresentato, la maggiore complessità dell'attività dell'Ufficio Spoglio sezionale rispetto a quella demandata alla VII sezione penale, atteso che l’individuazione di eventuali profili di inammissibilità dei ricorsi – oggetto esclusivo della valutazione rimessa alla VII Sezione – costituisce solo uno dei segmenti di attività richiesti ordinariamente ai consiglieri addetti all’Ufficio Spoglio sezionale. Va ulteriormente evidenziato che i ricorsi vengono assegnati alle singole sezioni, e da queste eventualmente rimessi alla VII sezione, senza una preliminare selezione ed attività di spoglio da parte di quest’ultima (come avviene per la VI sezione civile). Non apparendo, pertanto, riconducibile il servizio prestato presso la VII sezione penale entro il novero dell’attività di spoglio propriamente intesa (con effettivo rilievo ai fini attitudinali che qui interessano), la residuale esperienza della dott.ssa T nello spoglio sezionale ha avuto inizio soltanto in data 1.12.2019 e, in quanto per soli 3 giorni antecedente all’odierna vacanza, non risulta sostanzialmente valutabile nella presente procedura concorsuale
”.

Quanto, infine, “ all’indicatore relativo alle esperienze e competenze organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, anche con riferimento alla presidenza dei collegi (art. 21, lett. d, T.U.), se le due candidate vantano un’ampia e consolidata esperienza nella presidenza di collegi in Cassazione – che integra, come già osservato, l’esperienza di rilievo organizzativo più pregnante e funzionale nell’ottica dell’incarico direttivo di legittimità a concorso –, deve unicamente evidenziarsi la più ampia esperienza maturata dalla dott.ssa D nell’ambito della presidenza dei collegi anche a livello di merito (funzione svolta presso la sezione lavoro della Corte d’appello di Bari e presso il Tribunale di Trani, nelle udienze di appello di lavoro e previdenza ed in quelle per la trattazione delle controversie agrarie). Ritenuta, per i motivi esposti, la sicura prevalenza della dott.ssa D sul piano della complessiva valutazione degli indicatori specifici applicabili alla presente procedura, risultando quest’ultima senza dubbio prevalente con riferimento a tre indicatori specifici su quattro (il riferimento è agli indicatori di cui all’art. 21, lett. b, c e d, T.U.), l’esame degli “indicatori generali” riconducibili alle due candidate (avuto riguardo alle esperienze ed agli incarichi menzionati nelle rispettive autorelazioni), considerate peraltro le esperienze ordinamentali vantate dalla candidata proposta nei termini già innanzi richiamati, non offre elementi di valutazione di tale pregnanza da renderli come tali idonei a “sovvertire” gli esiti della comparazione attitudinale specifica sin qui effettuata ”.

Sulla scorta di quanto sopra rilevato, il CSM ha confermato il conferimento dell’incarico alla dott.ssa D.

A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:

1°) sul periodo di esercizio delle funzioni di legittimità (art. 21 lett. a);
eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta, irragionevolezza e disparità di trattamento;
violazione degli artt. 10, 11 e 12 del d.lgs 160/2006;
dell’art. 3 della legge 241/1990;
del Testo Unico sulla dirigenza P-14858-2015 del 28.7.2015;
dell’art. 97 della Costituzione.

La ricorrente ha, in prima battuta, lamentato di vantare “ una maggiore esperienza nelle funzioni di legittimità, essendo stata assegnata alla Suprema Corte dal 1° ottobre 2010, rispetto alla controinteressata, assegnata dal 16 settembre 2013 ” (cfr. pag. 6).

2°) Sull’esperienza maturata nelle sezioni unite (art. 21 lett. b);
eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta, irragionevolezza e disparità di trattamento;
violazione degli artt. 10, 11 e 12 del d.lgs 160/2006;
dell’art. 3 della legge 241/1990;
del Testo Unico sulla dirigenza P-14858-2015 del 28.7.2015;
dell’art. 97 della Costituzione.

La ricorrente ha, poi, dedotto che il CSM si sarebbe limitato “ a un mero computo aritmetico dei mesi maturati dalla designazione alle sezioni unite, quasi fosse un’anzianità di servizio, criterio che non garantisce una effettiva comparazione delle biografie a concorso, sia avuto riguardo alla non omogeneità dei settori civile e penale, sia in relazione al principio di effettività delle valutazioni ” (cfr. pag. 7), nel senso che non sarebbe stato “ considerato il diverso peso - neppure minimamente comparabile - tra settore civile (che si occupa anche di conflitti e prevede ordinanze interlocutorie) e settore penale ” (cfr. pag. 8).

3°) Sul non valutabilità del periodo di spoglio della ricorrente (art. 21 lett. c);
eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta, irragionevolezza e disparità di trattamento;
violazione degli artt. 10, 11 e 12 del d.lgs 160/2006;
dell’art. 3 della legge 241/1990;
del Testo Unico sulla dirigenza P-14858-2015 del 28.7.2015;
dell’art. 97 della Costituzione.

La ricorrente ha, inoltre, contestato che “ il CSM, ritenendo “non valutabile” l’esperienza della ricorrente presso l’ufficio spoglio e non rilevante quella presso la sezione VII penale, ha illegittimamente omesso di considerarle, così finendo per evitare qualsivoglia confronto quali/quantitativo con quella della controinteressata, essendo quindi mancata un’istruttoria al fine di verificare, in termini comparativi, il tipo di attività, la frequenza, la turnazione e il numero di fascicoli esaminati ”;
ed ha soggiunto che non sarebbe state adeguatamente valutata “ l’esperienza della controinteressata svolta in sezione lavoro, dal 2014, di “spoglio” dei fascicoli di previdenza e assistenza “per la formazione dei ruoli di udienza” - in cui non sembra che siano svolte quelle attività che lo stesso CSM ritiene caratterizzare lo spoglio, ossia di attribuzione di peso ponderale e di verifica di inammissibilità dei ricorsi -, genericamente descritte nel provvedimento impugnato e dal 2017 presso la sesta sezione civile, sottosezione lavoro, che si occupa della sola verifica ex art. 376 c.p.c. e differisce dall’ufficio spoglio sezionale come disciplinato dalle tabelle organizzative della Corte ” (cfr. pag. 11).

4°) Sulle esperienze organizzative: presidenze di collegio (art. 21 lett. d);
eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta, irragionevolezza e disparità di trattamento;
violazione degli artt. 10, 11 e 12 del d.lgs 160/2006;
dell’art. 3 della legge 241/1990;
del Testo Unico sulla dirigenza P-14858-2015 del 28.7.2015;
dell’art. 97 della Costituzione.

Con tale motivo la ricorrente ha dedotto che il CSM avrebbe omesso di considerare “ le maggiori presidenze della ricorrente in cassazione (54 alla data della domanda) e, soprattutto, il maggior numero di provvedimenti firmati in qualità di presidente: non centinaia come per la controinteressata, bensì migliaia (alla data della domanda risultavano depositati, quale presidente, 4195 provvedimenti, di cui 1699 della Sezione prima penale e 2496 della Sezione settima penale, con 162 sentenze già massimate) ”;
nonché la circostanza che “ la ricorrente, e non la controinteressata che si è occupata di sesta sezione civile, ha svolto funzioni di presidente non soltanto alla Settima sezione penale stralcio, ma anche alla Prima sezione penale, occupandosi di importanti e delicati processi ” (cfr. pag. 12);
e dovendosi, ulteriormente, considerare che la ricorrente avrebbe “ svolto in modo stabile presidenze di collegi nella giurisdizione di merito, dato del tutto trascurato nonostante fosse stato evidenziato nel precedente giudizio e risultante dall’autorelazione ” (cfr. pag. 13).

5°) Sulle altre esperienze organizzative della ricorrente (art. 21 lett. d);
eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta, irragionevolezza e disparità di trattamento;
violazione degli artt. 10, 11 e 12 del d.lgs 160/2006;
dell’art. 3 della legge 241/1990;
del Testo Unico sulla dirigenza P-14858-2015 del 28.7.2015;
dell’art. 97 della Costituzione.

Altro fronte di contestazione ha riguardato le “ esperienze organizzative ben più rilevanti rispetto alle presidenze di collegio ”, riferibili alla ricorrente e tali da marcare una superiorità nei confronti della controinteressata.

6°) Omessa considerazione di indicatori attitudinali generali posseduti dalla ricorrente;
violazione degli 8, 9, 12 T.U.;
eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta, irragionevolezza e disparità di trattamento;
violazione degli artt. 10, 11 e 12 del d.lgs 160/2006;
dell’art. 3 della legge 241/1990;
del Testo Unico sulla dirigenza P-14858-2015 del 28.7.2015;
dell’art. 97 della Costituzione.

La ricorrente ha, altresì, contestato il giudizio del CSM, che non avrebbe ponderato, “ anche in termini comparativi, l’esperienza consolidata della ricorrente in una pluralità di settori, dal civile al penale, in funzioni requirenti e giudicanti, anche di secondo grado presso la Procura Generale della Corte di appello di Palermo, a fronte di un’esperienza della controinteressata maturata unicamente nel settore civile e del diritto del lavoro. Eppure, il CSM proprio per incarichi direttivi di legittimità, quando ha voluto, ha adeguatamente apprezzato la versatilità delle carriere ” (cfr. pag. 16).

Sarebbero state, inoltre, disattese nella valutazione “ le competenze della ricorrente di coordinamento investigativo (art. 8, lett. c), sia nel settore penale, che in quello civile svolte presso la sezione fallimentare ed elogiate nei pareri attitudinali ”;
la positiva esperienza organizzativa della ricorrente di riorganizzazione della sezione fallimentare del Tribunale di Palermo, l’attività di Presidente della Commissione di sorveglianza e di scarto degli atti di archivio della Procura generale presso la Corte d’appello di Palermo, nonché la delega alla riorganizzazione del lavoro del personale amministrativo presso la Procura Generale della Corte di appello di Palermo, che vengono meramente accennate, ma non valutate in termini comparativi ”;
l’attività formativa specifica per direttivi ” (cfr. pag. 16).

7°) Sull’esperienza presso il Comitato pari opportunità riconosciuto alla controinteressata;
eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta, irragionevolezza e disparità di trattamento;
violazione degli artt. 10, 11 e 12 del d.lgs 160/2006;
dell’art. 3 della legge 241/1990;
del Testo Unico sulla dirigenza P-14858-2015 del 28.7.2015;
dell’art. 97 della Costituzione.

Da ultimo, la ricorrente ha stigmatizzato l’irrilevanza dell’esperienza associativa riconosciuta alla dott.ssa D.

Si è costituito in giudizio il Consiglio Superiore della Magistratura (14.11.2023), nonché la dott.ssa A D (27.11.2023), la quale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso sul presupposto che “ la ricorrente non ha certamente interesse essendo stata collocata a riposo per sopraggiunti limiti di età già in data 27.4.23, prima ancora di proporre il ricorso straordinario poi trasposto in questa sede e all’odierno esame ” (cfr. pag. 1 della memoria dell’8.4.2024).

Poco prima dell’udienza pubblica del 24 aprile 2024 la ricorrente ha depositato, in data 21.4.2024, motivi aggiunti, e ciò al fine di evidenziare che la domanda di accertamento dell’illegittimità della deliberazione impugnata a fini (anche) risarcitori sarebbe stata “ implicita in quella di annullamento e la prospettiva risarcitoria era stata già enunciata nel ricorso introduttivo mediante richiamo alla pertinente giurisprudenza ”.

Cosicché la causa è stata rinviata all’udienza pubblica del 23 ottobre 2024, prima della quale le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni: a tale udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso principale è inammissibile per difetto d’interesse.

Non è contestato tra le parti, ai sensi dell’art. 64, comma 2 c.p.a., che la ricorrente è stata collocata in quiescenza in epoca (27.4.2023) anteriore al deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio (3.11.2023).

Tanto premesso, è noto che l’attualità dell’interesse a ricorrere presuppone che tale interesse sussista al momento della presentazione del ricorso e che perduri per tutto lo svolgimento del giudizio.

L’interesse a ricorrere è condizione dell’azione e corrisponde ad una specifica utilità o posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita, contraddistinto indefettibilmente dalla personalità e, appunto, dall’attualità della lesione subita, nonché dal vantaggio ottenibile dal ricorrente;
in sostanza, sussiste interesse al ricorso se la posizione azionata dal ricorrente lo collochi in una situazione differente dall’aspirazione alla mera ed astratta legittimità dell’azione amministrativa genericamente riferibile a tutti i consociati, se sussiste una lesione della sua posizione giuridica, se è individuabile un’utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento e se non sussistono elementi tali per affermare che l’azione si traduce in un abuso della tutela giurisdizionale.

Ma tali utilità, nella specie, non sono ravvisabili.

L’eliminazione dal mondo giuridico della deliberazione impugnata non potrebbe consentire alla ricorrente di ottenere il conferimento dell’ufficio direttivo oggetto del contendere;
né la medesima ricorrente potrebbe ottenere un’utilità indirettamente collegabile alla posizione della controinteressata.

L’attività di riedizione del potere, ora per allora, ed il relativo effetto ripristinatorio rinvengono, quindi, un limite nelle trasformazioni irreversibili della realtà materiale prodottesi fino alla emanazione della sentenza (vale a dire la pacifica circostanza che la ricorrente è, ormai, in pensione).

Senza contare che a tali trasformazioni irreversibili vanno, poi, ad aggiungersi le sopravvenienze cronologicamente susseguenti alla decisione della controversia e che incidono anch’esse sul concreto dispiegarsi degli effetti della sentenza (vale a dire che l’Amministrazione non potrebbe, comunque, conferire l’ufficio direttivo oggetto del contendere ad un soggetto – come la ricorrente – ormai estranea all’organizzazione magistratuale).

In altri termini, l’ipotetica riedizione della procedura non potrebbe condurre ad alcun risultato utile per la ricorrente, poiché l’Amministrazione, pur operando ora per allora, non potrebbe non tenere conto dei mutamenti di fatto e di diritto nel frattempo realizzatisi.

Nel ricorso per motivi aggiunti, invece, la ricorrente ha prospettato che la deliberazione impugnata conterrebbe “ un errato giudizio di subvalenza che ha offuscato l’immagine della ricorrente, andando ad incidere negativamente sulla stima e apprezzamento che la stessa era riuscita a conquistarsi nel tempo all’interno del proprio ambito professionale e nelle relazioni sociali. Il pregiudizio è derivato altresì dal comportamento posto in essere dal CSM, discriminatorio e vessatorio ”;
e, pertanto, ha chiesto il “ risarcimento dei danni conseguenti sia all’ingiusta deliberazione, sia all’illecito comportamento, di natura patrimoniale e non patrimoniale, quali: il danno morale, quale patimento interiore, quello esistenziale, afferente alla sfera delle relazioni personali e sociali, tra loro cumulabili, nonché quello biologico, quale pregiudizio psico-fisico della ricorrente. In relazione a tali danni la ricorrente è stata collocata in quiescenza con l’amarezza di essere stata destinataria di un ingiusto giudizio di subvalenza e, in termini assoluti di un giudizio inadeguato sulle attitudini, nonostante la brillante carriera e nonostante ella abbia svolto negli ultimi anni funzioni di presidente di collegio della Prima sezione penale, assegnataria di importanti processi, sempre condotti in maniera esemplare, come unanimemente riconosciuto in tutte le sedi e nei pareri e rapporti attitudinali;
- il danno curriculare e da perdita di chance, poiché la mancata nomina ha prodotto conseguenze negative in relazione all’interesse «ad acquisire l'atto di conferimento dell'incarico quale prova tangibile del riconoscimento dei propri meriti, derivandone ricadute positive in varie direzioni, anche al di fuori dell'ufficio, e persino in un futuro diverso ambito» (Cons. St., IV, 10 luglio 2014, n. 3501). È innegabile che l’incarico direttivo di legittimità costituisce un arricchimento nella carriera del magistrato con rilevanza esterna, indipendentemente dal fatto – qui irrilevante - che in magistratura il conferimento di funzioni direttive non costituisca un avanzamento di carriera in senso stretto in base al principio secondo cui i magistrati si distinguono solo per diversità di funzioni (all'art. 10 d. lgs. n. 160/2006). Il danno da perdita di chance è accertabile in via presuntiva e in termini di rilevante probabilità del risultato utile essendo notorio che un titolo di (ex) presidente di sezione di Corte di cassazione possa garantire un maggior apprezzamento nel mondo accademico e scientifico, nonché in ambito professionale, ai fini della partecipazione, anche remunerata, a convegni e incontri ovvero ai fini del conferimento di incarichi professionali
” (cfr. pagg. 8 – 9).

Ritiene il Collegio che tale domanda debba essere esaminata alla luce delle statuizioni espresse dall’Adunanza plenaria 3 luglio 2022, n. 8, la quale ha fissato i seguenti principi: “ per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori;
non è pertanto necessario specificare i presupposti dell’eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione;
la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 cod. proc. amm.
”;
una volta manifestato l’interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l’atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell’azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda ”.

Nella specie, nondimeno, il ricorso principale è inammissibile per (originario) difetto d’interesse all’annullamento e non, invece, improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse;
ciò in quanto la ricorrente è stata collocata in pensione ancor prima di promuovere l’azione.

La citata plenaria ha preso in esame, ai fini della procedibilità della domanda di risarcimento connessa ad una domanda di annullamento, l’istituto della “ improcedibilità del ricorso ”, che “ si verifica quando viene meno l’interesse ad una decisione nel merito della domanda azionata. In questa situazione il processo non ha assolto alla sua funzione, di affermare in modo incontrovertibile il diritto o l’interesse giuridicamente protetto la cui lesione ha portato il titolare ad agire in giudizio, con una pronuncia che ai sensi dell’art. 2909 cod. civ. fissa la regola applicabile al rapporto controverso e che le parti sono tenute ad osservare. Del carattere di giudicato sostanziale delle pronunce giurisdizionali sancito dalla disposizione da ultimo richiamata sono invece prive le sentenze c.d. in rito, contraddistinte dal fatto di non pronunciarsi sulla situazione giuridica azionata in giudizio. Tra queste ultime vi è appunto quella di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse prevista dall’art. 35, comma 1, lett. c), cod. proc. amm. in precedenza menzionato ”.

Diversamente opinando, se cioè si ammettesse una domanda risarcitoria – correlata, è rilevante evidenziarlo, alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato: nella specie la ricorrente ha espresso “ un interesse a rimuovere la deliberazione impugnata dal contenuto lesivo della immagine, dignità e professionalità della ricorrente, indipendentemente poi dall’interesse a un eventuale rinnovo degli atti. Di modo che la caducazione dell’atto impugnato garantirebbe ex se (in questo senso sentenza auto esecutiva) un soddisfacimento dell’interesse protetto ” (cfr. pag. 2 dei motivi aggiunti) – si legittimerebbe la cognizione (e, dunque, l’ammissibilità) di una domanda (risarcitoria) dipendente dalla cognizione di una domanda (caducatoria) inammissibile per (originario) difetto d’interesse.

Il che determinerebbe per la ricorrente un effetto ingiustamente premiante, che, viceversa, la plenaria ha riconosciuto, in applicazione della disposizione di cui all’art. 34, comma 3 c.p.a., evidenziando che “ in un sistema evoluto di tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, in cui alla tradizionale azione di annullamento si è affiancata con pari dignità rispetto ad essa l’azione risarcitoria, l’accertamento di illegittimità ai fini risarcitori previsto dalla disposizione processuale in esame risponde alla medesima esigenza sulla cui base era stato ristretto l’ambito di applicazione dell’improcedibilità del ricorso. Essa consiste nel conservare un’utilità alla decisione di merito sulla domanda di annullamento, pur a fronte di un mutamento della situazione di fatto e di diritto rispetto all’epoca in cui la stessa è stata azionata ”.

Nella specie, il Collegio rileva che non vi è stato alcun “ mutamento della situazione di fatto e di diritto rispetto all’epoca in cui la stessa è stata azionata ”;
al contrario, è dirimente la fissità di un presupposto fattuale – il collocamento in quiescenza – acclarato ancor prima della proposizione della domanda di annullamento.

In conclusione, il ricorso principale ed i motivi aggiunti devono essere dichiarati inammissibili, nei sensi espressi in motivazione.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono quantificate in €. 1.500,00, oltre accessori, che la ricorrente dovrà corrispondere sia al Consiglio Superiore della Magistratura, sia alla controinteressata dott.ssa A D (totale €. 3.000,00, oltre accessori).

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