TAR Palermo, sez. II, sentenza 2015-10-05, n. 201502420

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. II, sentenza 2015-10-05, n. 201502420
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 201502420
Data del deposito : 5 ottobre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00581/2014 REG.RIC.

N. 02420/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00581/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 581 del 2014, proposto da L L, rappresentato e difeso dall'avv. A S, con domicilio eletto in Palermo, Via Libertà, 171, presso lo studio del predetto difensore;

contro

- il Comune di Altofonte, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. R S, con domicilio eletto in Palermo, Via Sammartino, 45, presso lo studio del predetto difensore;

per l'annullamento

- dell'ordinanza n. 21 del 18 novembre 2013 d’ingiunzione di demolizione delle opere realizzate in difformità dalla concessione edilizia n. 27 del 2 ottobre 1998, nell’immobile sito in via degli Astronauti 18/E, in catasto al foglio 5, p.lla 1740, sub 1-3;

- nonchè degli atti tutti presupposti, connessi e conseguenziali;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione in giudizio del Comune di Altofonte, con i relativi allegati;

Vista l’ordinanza collegiale n.220 del 10 marzo 2014, di accoglimento della domanda incidentale di sospensione cautelare del provvedimento impugnato;

Vista l’ordinanza collegiale istruttoria n.39 dell’8 gennaio 2015, eseguita dal Comune di Altofonte il 19 febbraio 2015;

Viste la memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore la dott.ssa Anna Pignataro;

Uditi, nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2015, i difensori delle parti, presenti così come specificato nel verbale d’udienza;


FATTO e DIRITTO

Con ordinanza n. 21 del 18 novembre 2013, il Comune di Altofonte ha ingiunto al sig. L L - in qualità di comproprietario e/o committente - la demolizione delle opere realizzate in difformità dalla concessione edilizia n. 27 del 2 ottobre 1998, nell’immobile sito in via degli Astronauti 18/E, in catasto al foglio 5, p.lla 1740, sub 1-3, ricadente in zona soggetta a vincolo paesaggistico e sismico, consistenti:

- nell’ampliamento dell’edificio originario, mediante la costruzione di un vano in corrispondenza dello scivolo d’ingresso al garage posto al piano scantinato, con sovrastante terrazza, con un solaio di calpestio in c.a. di ml 4,30 x 7,60 e pareti esterne e copertura di legno e pannelli recanti infissi a giorno (lato valle), nonché di alcuni vani al piano terreno, in c.a. con tetto spiovente e manto di tegole (lato monte);

- nella differente giacitura dell’intero immobile rispetto a quanto descritto negli allegati alla concessione edilizia n.27 del 2 ottobre 1998.

Avverso il predetto ordine di demolizione il sig. L L propone ricorso, ritualmente notificato i giorni 20 e 22 gennaio 2014 e depositato il 19 febbraio successivo, per i motivi di:

1) “ Violazione e falsa applicazione degli artt.7 e 10 bis legge n.241 e degli artt. 8 e 11 bis l.r. n. 10/1991;
Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria
” a causa della omessa comunicazione di avvio del procedimento che non gli avrebbe consentito di dimostrare di non essere più il proprietario dell’immobile e il responsabile degli abusi contestati.

2) “ Violazione e falsa applicazione dell’art.3 della l. n. 241/1990;
Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione”.

Si deduce la lesione dell’affidamento generato dal lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera alla luce del comportamento dell’amministrazione che, in tale periodo, avrebbe consentito il completamento delle opere interne di finitura, rilasciato il certificato di abitabilità e autorizzato l’allacciamento alla fognatura. L’atto impugnato, d’altro canto, non recherebbe alcuna motivazione sulla sussistenza dell’interesse pubblico concreto a suo supporto.

3) “ Violazione e falsa applicazione degli artt.29 e 31 del DPR n.380/2001 e degli artt. 4, 6 e 7 della l. n. 47/85;
Eccesso di potere per erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria
.”

Dalla data del 29 aprile 2013, la proprietà dell’immobile sarebbe stata trasferita a terzi, mentre la responsabilità degli abusi sarebbe da attribuire al precedente proprietario e dante causa, tale fino alla data del 6 febbraio 2002.

4) “ Violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 31 del DPR n.380/2001 e degli artt. 4, 6 e 7 della l. n. 47/85;Violazione e falsa applicazione degli artt.1 e 3 della l. n. 241/1990 e degli artt. 1 e 3 della l.r. n. 10/91;
Eccesso di potere per erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria;
violazione del principio di proporzionalità. Abnormità
”.

Nel provvedimento impugnato è stata omessa l’indicazione della quantità di terreno pertinenziale che sarebbe acquisita gratuitamente al patrimonio comunale, unitamente all’immobile e all’area di sedime, nell’ipotesi d’inottemperanza all’ordine demolitorio, acquisizione che, in ogni caso, non poteva essere disposta contestualmente quale effetto automatico;
si ribadisce l’estraneità al compimento degli abusi, al tempo del quale non sarebbe stato ancora acquistato il diritto di proprietà.

5) “ Violazione e falsa applicazione degli artt.10, 31,32, 33, 34 e 37 del DPR n.380/2001, dell’art. 10 della legge 47/85, degli artt. 4, e 7 della l.r. n. 37/85, dell’art. 20 della l.r. 4/2003;Violazione dell’art.24 del regolamento edilizio comunale;
Eccesso di potere sotto il profili dell’assoluta carenza dei presupposti, del difetto di istruttoria, della carenza di motivazione, dell’erroneità, manifesta, del travisamento dei fatti e dello sviamento dalla causa tipica
”.

Si sostiene l’illegittimità dell’ingiunzione di demolizione avuto riguardo alla natura e alle caratteristiche degli abusi contestati.

Quanto all’asserita “differente giacitura” se ne contesta la natura di variazione essenziale poiché si tratterebbe solo di una rotazione dell’immobile su stesso e non della sua ubicazione in area diversa da quella indicata nel progetto approvato, che, comunque, sarebbe stata effettuata prima dell’acquisto dell’immobile: nei procedimenti relativi alla verifica di abitabilità e allaccio fognario, peraltro, nulla era stato rilevato in proposito dal Comune di Altofonte e dal Genio civile di Palermo.

Quanto al presunto ampliamento con l’edificazione del vano a valle (4,30 x 7,60 x h 2,70) si sostiene che si tratterebbe di un’opera interna non necessitante di concessione o di autorizzazione, posto a copertura di un vuoto tecnico sotterraneo, incorporato nell’immobile principale e chiuso con strutture precarie e facilmente amovibili;
l’unico vano a monte destinato a locale lavanderia sarebbe di modeste dimensioni (8 mq x h 2,50) e non potrebbe essere considerato quale variazione essenziale né realizzato in parziale difformità poiché non supererebbe la misura di tolleranza del 3% rispetto ai parametri edilizi di progetto;
in ogni caso, avrebbe natura pertinenziale non superando il 15% della volumetria dell’immobile principale e, in forza della norma del regolamento edilizio comunale sopra calendata, sarebbe soggetto soltanto alla previa autorizzazione in mancanza della quale l’unica sanzione applicabile è quella pecuniaria.

Si deduce, infine, che l’affermazione della natura essenziale delle variazioni apportate, ricondotta automaticamente all’esistenza di un vincolo paesaggistico, sarebbe generica e non dimostrata anche sotto il profilo della data d’imposizione del vincolo stesso.

6) “ Illegittimità della sanzione demolitoria applicata. Violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 31, 32, 33, 34 e 37 D.P.R. 380 del 2001;
eccesso di potere sotto i profili della illogicità manifesta, dell’assoluta carenza dei presupposti e dello sviamento dalla causa tipica
”.

Non poteva essere ingiunta la demolizione dell’intero edificio ma solo delle parti asseritamente abusive;
in ogni caso, la demolizione anche solo parziale comprometterebbe la staticità dell’intero edificio.

Il Comune intimato si è costituito in giudizio depositando documentazione, tra la quale la nota prot. n.421/516.7 del 27 gennaio 2014, con la quale la Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo, ai sensi dell’art. 167 del D.lgs. 42 del 2004, ha ordinato all’odierno ricorrente la dismissione delle opere edilizie per le quali è causa in quanto eseguite in assenza della preventiva autorizzazione di cui all’art. 146 del D.lgs. 42 del 2004 e insistenti su area sottoposta a vincolo dal 9 agosto 1995 (D.A. n.5682) e ha altresì invitato il Comune medesimo a fornire informazioni circa la rilevata differente giacitura dell’intero immobile per la quale non aveva rilasciato alcun preventivo nulla osta.

Con successiva memoria difensiva, il Comune ha controdedotto analiticamente sulle argomentazioni esposte nei singoli motivi di gravame.

Con l’ordinanza collegiale n.220 del 10 marzo 2014, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare del provvedimento impugnato, sussistendo il periculum in mora, pur dovendosi approfondire nel merito la fondatezza del quinto motivo articolato.

A seguito dell’esecuzione dell’ordinanza collegiale istruttoria n.39 dell’8 gennaio 2015 da parte del Comune di Altofonte, è stato acquisito agli atti di causa il provvedimento n.7494/516.7 del 28 novembre 2014, contenente il pronunciamento della competente Soprintendenza ai BB.CC.AA. - chiesto dal Comune medesimo con la nota n.4915 del 4 giugno 2014 - al fine della valutazione dell’interesse pubblico all’annullamento della concessione edilizia n.27 del 2 ottobre 1998, nel quale si afferma la “nullità” della predetta concessione e l’insanabilità degli interventi di che trattasi a causa della assenza del preventivo nulla osta di competenza.

Parte ricorrente, in vista della trattazione nel merito della causa, ha replicato alle affermazioni difensive del Comune resistente.

All’udienza pubblica del 23 giugno 2015, su conforme richiesta delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato.

Con riguardo al vizio di violazione delle garanzie partecipative, dedotto con il primo motivo, è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio anche nel caso di specie, secondo cui i provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall'avviso dell'inizio del procedimento, trattandosi di procedimenti tipizzati e vincolati, considerato, altresì, che i provvedimenti sanzionatori presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate, nonché sul carattere non assentito delle medesime (cfr. ex plurimis: Cons. Stato, IV, 30 marzo 2000, n. 1814;
T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 6 giugno 2007, n. 1617;
27 marzo 2007, n. 979;
III, 20 marzo 2006, n. 608;
20 aprile 2005, n. 577;
Catania, III, 3 marzo 2003, n. 374;
T.A.R. Campania, IV, 12 febbraio 2003, n. 797;
14 giugno 2002, n. 3499;
28 marzo 2001, n. 1404).

Anche il secondo motivo è infondato.

Il Collegio aderisce al costante orientamento giurisprudenziale, dal quale non ravvisa ragioni per discostarsi nel caso di specie, secondo il quale il tempo intercorso non elide, né aggrava quanto a motivazione, il doveroso e imprescrittibile esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’amministrazione pubblica: invero, l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare (C. Stato, V, 8 giugno 1994, n. 614;
IV, 16 aprile 2010, n. 2160;
V, 11 gennaio 2011, n. 79;
V, 27 aprile 2011, n. 2497;
VI, 11 maggio 2011, n. 2781;
IV, 20 luglio 2011, n. 4403;
VI, 4 marzo 2013, n. 1268).

Quanto al terzo motivo, in primo luogo si osserva che appare sfornita di prova l’affermazione secondo cui le opere abusive sarebbero state eseguite prima dell’acquisto da parte del ricorrente in data 6 febbraio 2002, il quale, pertanto, non sarebbe il responsabile degli abusi.

La giurisprudenza in materia edilizia è univoca nel sostenere che l’onere della prova in ordine a risalenza e alle consistenze edilizie contestate dall’amministrazione, per evitare sanzioni demolitorie ovvero per essere ammessi a procedure di sanatoria, incombe sul soggetto destinatario della sanzione ovvero su quello che ha richiesto la sanatoria (cfr. Cons. Stato, IV, 8 gennaio 2013, n. 39, 17 settembre 2012, n. 4924;
Tar Campania, Napoli, VI, 20 febbraio 2014, n. 1122) e che lo stesso (onere) può essere invertito e spostato in capo all’amministrazione solo in presenza di produzione da parte del privato di “concreti elementi” idonei a far luogo all’inversione (sempre ex plurimus, Cons. Stato, IV, 13 gennaio 2010, n. 45;
V, 9 novembre 2009, n. 6984;
Tar Campania, Napoli, VI, 20 febbraio 2014, n. 1122;
6 novembre 2013, n. 4904;
II, 30 aprile 2013, n. 2242;
4 dicembre 2013, n. 5487, VII, 8 febbraio 2013, n. 828;
Tar Liguria, Genova, I, 4 dicembre 2012, n. 1565).

Dall’atto pubblico di compravendita del 6 febbraio 2002, in atti, risulta che la villetta cui accedono i presunti ampliamenti abusivi per i quali è causa, al momento del suo trasferimento era “ in corso di costruzione…costituita dalla sola struttura in cemento armato, tetto di copertura, tompagnamento esterno, priva di ogni rifinitura interna ed esterna e di impianti, occupante una superficie di circa metri quadrati 70 (settanta) a piano ” (piano seminterrato, destinato a box auto, piano terra e primo destinati a abitazione): da tale descrizione non può neanche presumersi che gli ampliamenti contestati fossero stati già compiuti al momento del trasferimento, quanto, semmai, il contrario.

A soccorso della tesi del ricorrente non giova neanche la documentazione allegata contrassegnata con i nn. da 6 a 17, atteso che in questa non è contenuto nessun riferimento specifico all’edificazione prima del 6 febbraio 2002 degli asseriti ampliamenti, così come descritti nel provvedimento impugnato.

Ne consegue che l’odierno ricorrente va ritenuto responsabile degli abusi contestati, restando irrilevante che egli non sia più il proprietario dell’immobile per averlo ceduto con atto di donazione del 29 aprile 2013 alle figlie A ed E.

Per completezza va ricordato che è principio indiscusso quello secondo il quale la abusività dell’opera è una connotazione di natura reale: “segue” l’immobile anche nei successivi trasferimenti del medesimo. Diversamente opinando, sarebbe sufficiente l’alienazione dell’immobile abusivo, successivamente alla perpetrazione dell’abuso, per vanificare le esigenze di tutela dell’ordinato sviluppo urbanistico, del “governo del territorio” e dell’ambiente che sono sottese all’ordine di rimozione.

Privo di base è il quarto motivo.

E’ principio giurisprudenziale consolidato (sia durante la vigenza dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 e ora dell’art. 31 del D.P.R. n.380 del 2001) quello in base al quale l’individuazione dell’area da acquisirsi non deve essere necessariamente contenuta nel provvedimento di ingiunzione di demolizione, a pena di illegittimità dello stesso, ben potendo essere riportata nel momento in cui si procede all’acquisizione del bene, giacché la posizione del destinatario dell’ingiunzione è tutelata dalla previsione di un successivo e distinto procedimento di acquisizione dell’area, rispetto al quale, tra l’altro, assume un ruolo imprescindibile l’atto di accertamento dell’inottemperanza nel quale va indicata con precisione l’area da acquisire al patrimonio comunale (Cons. Stato, VI, 5 gennaio 2015, n. 13).

Parimenti infondato è il quinto motivo.

Quanto all’asserita non necessità del titolo edilizio perché le opere sarebbero soggette eventualmente alla sola autorizzazione e l’omissione sanzionabile solo pecuniariamente, va osservato, innanzitutto, che è dato dimostrato dall’Amministrazione resistente che l’area in questione è soggetta a vincolo paesaggistico dal 9 agosto 1995 (D.A. n.5682).

Acclarata, dunque, nel caso di specie, la sussistenza del vincolo paesaggistico, trova applicazione quanto chiaramente disposto dall’art. 2 (“ Vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia ”) della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 (“ Nuove norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive ”) secondo il quale nessuna opera può essere eseguita in assenza di titolo in un’area con tali caratteristiche e corre l’obbligo dell’autorità comunale, qualora siano eseguite opere abusive, di ordinarne la demolizione e il ripristino dei luoghi “ previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa ” (comma 2).

Il successivo art. 4, commi 6 e 7, della legge regionale n. 37/1985, al pari dell'art. 32, comma 3, ultimo periodo, del D.P.R. n. 380 del 2001, inoltre, sancisce che ogni intervento effettuato in difformità dal titolo edilizio rilasciato su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico ed ambientale, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, costituisce variazione essenziale.

Dunque, nel caso di interventi in aree soggette a tutela paesaggistica sussiste l'obbligo di sottoporre all'ente competente i progetti delle opere da eseguire affinché ne sia accertata la compatibilità paesaggistica e sia rilasciata l'autorizzazione e astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione (art. 146, c. 2 del D.lgs. 42/2004).

Quanto alla possibilità di ottenere la compatibilità paesaggistica postuma, l’art. 167 del D.lgs. 42/2004, prevede che “ In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4 ”: quest’ultima norma è chiara nel disporre che “ L'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati (…)”.

Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, con l’intervento edilizio oggetto di contestazione sono stati prodotti aumenti di superficie e di volumi e ciò rende di per sé inammissibile l’autorizzazione paesaggistica postuma e la sanabilità degli abusi commessi.

Non può, dunque, dubitarsi che per gli interventi eseguiti era necessaria la preventiva richiesta del parere all’organo di tutela e che per le stesse non sia stata chiesta alcuna autorizzazione postuma alla competente Soprintendenza nonostante parte ricorrente affermi che gli interventi non hanno alterato la volumetria.

Analoghe considerazioni valgono per la questione della “ differente giacitura “ dell’intero immobile rispetto al progetto originario e, perciò, non può essere condivisa la tesi esposta nella perizia tecnica di parte ricorrente, ove si sostiene che non si tratterebbe di una variazione essenziale in quanto il fabbricato non sarebbe localizzato in un’area completamente diversa da quella prevista nel progetto ma sarebbe soltanto ruotato: il punto focale sul quale glissa parte ricorrente è che comunque tale differente giacitura integra una fattispecie di variazione essenziale in forza della certa sussistenza del vincolo paesaggistico.

In conclusione, partendo dalla dimostrata sussistenza del vincolo paesaggistico sull’area ove insistono le opere abusive di che trattasi, consegue che quest’ultime correttamente sono state qualificate dal Comune resistente alla stregua di variazioni essenziali.

Dalle superiori considerazioni consegue l’infondatezza del sesto e ultimo motivo.

Chiaramente con il provvedimento impugnato è ingiunta la demolizione dell’intero edificio a causa dell’esistenza del vincolo paesaggistico alla stregua del quale tutte le acclarate difformità dal progetto approvato – in fatto non contestate - acquisiscono la connotazione di variazioni essenziali.

Non giova dunque invocare l'applicazione dell'art. 12, comma 2, della l. n. 47 del 1985 (oggi, art. 34 comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001) che prevede l'applicazione della sola sanzione pecuniaria nel caso in cui l'ingiunta demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, poiché, appunto, non si verte in ipotesi di “parziale difformità”.

Il ricorso, dunque, va rigettato.

Le spese di lite seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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