TAR Napoli, sez. II, sentenza 2017-06-23, n. 201703439
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Testo completo
Pubblicato il 23/06/2017
N. 03439/2017 REG.PROV.COLL.
N. 02223/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 cod. proc. ammin., sul ricorso numero di registro generale 2223 del 2017 proposto dal sig. S V, rappresentato e difeso dagli avvocati S G P, C C e R S e con domicilio eletto presso lo studio Bruno Arena in Napoli, via A. D'Isernia N.38;
contro
Comune di Cicciano in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
per l'annullamento previa sospensione,
del provvedimento n.2435 del 22/3/2017 di diniego su SCIA in sanatoria e conferma della legittimità dell’ordinanza di demolizione n.5/2016, nonché dell’ingiunzione di pagamento ex art.31, co.4-bis del DPR n.380/2001.
Visti il ricorso e i relativi allegati, in cui si espone di essere proprietario di immobile in Cicciano alla Via del Clanio snc di cui al fl.9 p.lla 898 sub 4/5 ove è in corso la costruzione di fabbricato di cui al Permesso di costruire n.38/2013 ed alla variante n.26/2015 e per il quale veniva presentata una SCIA ex art.22, co.2-bis del DPR n.380/2001. In data 22/3/2017 veniva notificato un verbale di accertamento dell’inottemperanza ad ordinanza di demolizione n.5/2016 e sempre in pari data veniva comunicato l’avvio del procedimento di annullamento della SCIA da considerarsi in sanatoria ex artt.36 e 37 del DPR n.380/2001, confermandosi la legittimità dell’ordinanza di demolizione n.5/2016 e diffidando dalla continuazione dei lavori di cui al Permesso di costruire n.26/2015 tuttora valido. Nonostante il deposito di documentazione integrativa, è stata adottata anche ingiunzione di pagamento ex art.31, co.4-bis del DPR n.380/2001;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore - alla Camera di Consiglio del giorno 20 giugno 2017 – il Cons. G N, ed uditi il difensore come da verbale;
Sentita parte ricorrente ai sensi degli artt. 60 e 73, comma 3°, cod. proc. amm.;
Viste le circostanze di fatto e le ragioni di diritto come spiegate dalle parti negli atti processuali;
Considerato:
che il Collegio ritiene il ricorso manifestamente fondato, con la conseguenza che esso può essere deciso ai sensi dell’art. 60 cod. proc. ammin. con sentenza in forma semplificata sin dalla presente fase cautelare, come rappresentato ai difensori delle parti (anche ai sensi dell’art. 73, comma 3°, c.p.a.), essendo ciò consentito dall’oggetto della causa, dall’integrità del contraddittorio e dalla completezza dell’istruttoria;
che, per quanto dedotto in sede di ricorso introduttivo e non smentito in atti, gli interventi in questione sono riconducibili agli interventi di manutenzione straordinaria che trovano il proprio aggancio normativo nell'art. 3, comma primo, del D.P.R. n. 380/2001 nel testo precedente alle modifiche introdotte dalla legge 11 novembre 2014, n. 164;l'intervento edilizio costituito dall'installazione di una copertura non calpestabile, aperta su tre lati, finalizzata alla protezione dalla pioggia degli impianti tecnologici e della scala esterna di accesso al piano di copertura rientra pacificamente nel novero degli interventi di manutenzione straordinaria sottratte, quindi, al regime del Permesso di costruire, ciò perché, ai sensi dell'art. 22 del DPR n.380/2001, gli interventi di ristrutturazione edilizia non devono incidere sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, né modificare la destinazione d'uso e la categoria edilizia, laddove il Permesso è sempre necessario in caso di sostanziali variazioni di sagoma, volumetria e destinazione d'uso (Cons. Stato, IV, 26.7.2012, n.4258);
che per principio giurisprudenziale pacifico (cfr. T.A.R. Marche, 21.2.2017, n.141), al fine di stabilire se un locale possa essere ritenuto alla stregua di un mero vano tecnico, occorre effettuare una valutazione complessiva delle sue caratteristiche, in modo da escludere in maniera oggettiva che lo stesso possa assolvere ad una funzione abitativa, anche solo in via potenziale o per il futuro, a prescindere dalla destinazione soggettiva impressa dal proprietario (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 16.6.2016, n.1208). In altri termini per l'individuazione della nozione di volume tecnico, come tale escluso dal calcolo della volumetria, bisogna fare riferimento a tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo esso avere un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione;il secondo ed il terzo, negativi, ossia ricollegati, rispettivamente, all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse e ad un rapporto di necessaria proporzionalità che deve sussistere fra le esigenze edilizie e il volume realizzato. Quest'ultimo deve essere completamente privo di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto esclusivamente destinato a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale, che non possono essere ubicati all'interno di essa. L'applicazione di tali criteri induce a concludere che i volumi tecnici degli edifici, per essere esclusi dal calcolo della volumetria, non devono assumere le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità (T.A.R. Campania, Napoli, IV, 2.4.2015, n. 1927;III, 9.12.2014, n. 6431;VI, 6.2.2014, n. 785;T.A.R. Molise, 31.3.2014, n. 225;Cons. Stato, IV, 4.5.2010, n.2565);
che, alla luce dei suddetti criteri, il manufatto che il ricorrente intende realizzare per la protezione dalla pioggia degli impianti tecnologici e della scala esterna di accesso al piano di copertura può essere qualificato un mero vano tecnico, come consistente in un locale – di asseriti complessivi mq.33,33 e precisamente mq.6,80 per vani e mq.26,53 per residuo spazio occupato dagli impianti - avente una propria ed autonoma individualità fisica e conformazione strutturale, funzionalmente inserito al servizio di un'esigenza oggettiva della costruzione principale, privo di valore autonomo di mercato e tale da non consentire una destinazione diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. Il carattere strumentale rispetto all'immobile principale risulta in maniera oggettiva e non dalla destinazione soggettivamente conferita dal progettista o dal proprietario del bene ed è facilmente rilevabile il rapporto di proporzionalità tra questi volumi e le esigenze effettivamente presenti (T.A.R. Campania, Napoli, IV, 14.11.2016, n.5248;Cons. Stato, III, 26.4.2016, n.1613) che non consentono soluzioni alternative, ciò perché in altri termini trattasi di un manufatto privo di una qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, destinato a contenere impianti serventi di una costruzione principale e che, come tali, non generano alcun aumento di carico territoriale o di impatto visivo (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I, 2.4.2015, n.4975;Cons. Stato , VI, 31.3.2014, n. 1512);
che, sotto ulteriore profilo, la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria va valutata nella fase esecutiva del procedimento di repressione dell’abuso, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione;per tal motivo la norma viene a costituire, in sostanza, un’ipotesi ulteriore di sanatoria, denominata di solito “fiscalizzazione dell’abuso” (Cons. Stato, 12.4.2013, n.2001). Secondo logica l’Amministrazione, tenuta a decidere sull’istanza della parte, deve in primo luogo valutare se l’abuso costituisce effettivamente una “parziale difformità” e, in caso positivo, se effettivamente non può essere demolito senza pregiudizio per la parte conforme, ciò perché non ogni violazione eccedente il 2% considerato costituisce difformità totale, ma al contrario le violazioni contenute entro tale limite sono irrilevanti, dal momento che il testo della norma, contenuta nell’articolo dedicato appunto alle conseguenze della “parziale difformità”, stabilisce quando la stessa “non si ha” e quindi disciplina un caso in cui l’abuso esula;
che la norma è stata aggiunta con l’art. 5 del decreto legge 70/2011 - cd. “Decreto sviluppo” - il cui dichiarato scopo è “liberalizzare le costruzioni private”, scopo rispetto al quale è congruo un regime, appunto, di franchigia, volto ad alleggerire gli oneri che gravano sul privato ed i costi della sanzione applicata a qualsiasi a difformità, anche fra le più lievi;peraltro, se effettivamente il comma 2 ter contenesse la nozione normativa di parziale difformità, ne seguirebbe che sarebbe abuso, e comporterebbe in via principale l’ordine di rimessione in pristino, ogni difformità rispetto alle misure di progetto, anche la più lieve, con risultati pratici assurdi, di moltiplicazione e complicazione del contenzioso;
che l’accoglimento del ricorso quanto agli atti presupposti deve, comunque, estendersi all’ingiunzione di pagamento quale pure oggetto di impugnazione;non sfugge al Collegio che, in presenza di vizi accertati dell'atto presupposto, deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l'annullamento dell'atto presupposto si estende automaticamente all'atto conseguenziale anche quando quest'ultimo non è stato impugnato, mentre nel secondo caso l'atto conseguenziale è affetto da illegittimità derivata ma resta efficace ove non ritualmente impugnato;la prima ipotesi ricorre nel solo caso in cui l'atto successivo venga a porsi nell'ambito della medesima sequenza procedimentale quale inevitabile conseguenza dell'atto anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, il che comporta la necessità di valutare l'intensità del rapporto di conseguenzialità tra l'atto presupposto e l'atto successivo, con riconoscimento dell'effetto caducante qualora detto rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l'atto successivo si ponga, nell'ambito dello stesso contesto procedimentale, come conseguenza ineluttabile rispetto all'atto precedente;
che, ciò stante, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento degli atti oggetto di impugnazione, mentre – data la peculiarità della controversia – sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio,