TAR Roma, sez. 5S, sentenza 2024-07-17, n. 202414563

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5S, sentenza 2024-07-17, n. 202414563
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202414563
Data del deposito : 17 luglio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/07/2024

N. 14563/2024 REG.PROV.COLL.

N. 14748/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14748 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati R B e E M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto del Ministro dell’Interno datato 07/08/2019 (protocollo n° -OMISSIS-) con il quale veniva respinta l’istanza presentata dal -OMISSIS- volta ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, primo comma, lettera f) Legge 05/02/1992 n. 91


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4- bis , cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 19 aprile 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I. - Il ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 22 gennaio 2016.

II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione ha respinto, con DM del 7 agosto 2019, la domanda dell’interessato, ritenendo che non vi fosse coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza.

Il provvedimento denegativo è stato fondato, all’esito del contraddittorio con l’interessato assicurato in ragione della comunicazione del preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10- bis della legge n. 241/1990, sulla presenza in capo al richiedente di una sentenza penale, emessa dal GUP del Tribunale di Prato in data 20.09.2012, irrevocabile il 13.02.2013, per omesso versamento delle ritenute previdenziali (art. 81 c.p. e art. 2 legge 11/11/1983 n. 638), commesso da marzo a novembre 2008.

III. – Il ricorrente eccepisce l’illegittimità dell’atto impugnato, chiedendone l’annullamento dell’efficacia in quanto asseritamente affetto dai vizi di:

1) eccesso di potere per travisamento dei fatti;
eccesso di potere per difetto di istruttoria;
eccesso di potere per perplessità manifesta;
eccesso di potere per difetto dei presupposti;
violazione di legge per omessa applicazione dell’art. 6, comma 3, legge 05/02/1992 n. 91;
violazione di legge per omessa applicazione degli artt. 3 e 8 d.lgs. 15/01/2016 n. 8
. In particolare, secondo la prospettazione attorea, la condotta contestatagli sarebbe priva di rilevanza, vista la depenalizzazione intervenuta per le omissioni che riguardano importi inferiori a 10.000,00, che nel caso dell’interessato ha condotto alla revoca della sentenza di condanna;

2) eccesso di potere per travisamento;
eccesso di potere per difetto di motivazione;
eccesso di potere per difetto di istruttoria;
eccesso di potere per perplessità manifesta;
violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 3 legge 07/08/1990 n. 241.
In tal caso viene rimproverato all’autorità pubblica di non avere considerato se la condotta contestata, risalente nel tempo, denotasse uno scarso inserimento sociale e, quindi, una incompiuta integrazione nella comunità nazionale del richiedente lo status .

IV. – Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato.

V. – All’udienza straordinaria del 19 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I. - Il ricorso è infondato.

II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022).

L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume, ictu oculi , dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza “ può ” - e non “ deve ” - essere concessa.

La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“ il sacro dovere di difendere la Patria ” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).

A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, n. 1796/2008;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’ agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “ concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa ”).

In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis , Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009;
Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022;
n. 4121/2021;
n. 7036 e n. 8233 del 2020;
n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa;
il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
Sez. IV, n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).

IV. - Alla luce del quadro ricostruito, questo Collegio ritiene l’operato della p.a. immune dai vizi dedotti con il ricorso, che, in quanto, strettamente connessi, sono suscettibili di essere trattati congiuntamente.

V. - Il provvedimento impugnato si fonda su un giudizio di inaffidabilità del ricorrente e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, formulato, sulla base di un compiuto contraddittorio con il richiedente, in considerazione dell’accertata condotta di omesso versamento delle ritenute previdenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, anche se depenalizzata, posta in essere nel decennio antecedente la domanda di cittadinanza.

Invero, il Collegio rileva che la giurisprudenza anche di questa Sezione, tenuto conto della funzionalizzazione del giudizio prognostico dell’autorità procedente alla conservazione dell’ordine e della sicurezza nazionale, ha ritenuto comunque significativo, a confutazione della tesi attorea, l’omesso versamento delle ritenute sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, osservando che “ si tratta di condotte che, a prescindere dalla perdita di effetti penali a seguito della loro depenalizzazione, restano valutabili quale “fatto storico”, in quanto sintomatici di non avvenuta integrazione e condivisione dei valori fondamentali che improntano il rapporto con altri cittadini, in particolare con i lavoratori dipendenti, investendo direttamente il dovere di solidarietà, soprattutto sotto il profilo previdenziale, assistenziale e pensionistico, nonché l’obbligo di regolare contribuzione che incombono sul datore di lavoro, essendo le violazioni connesse a situazioni di sfruttamento del personale impiegato ” (TAR Lazio, sez. V bis, n. 3475/2022;
5130/2022, 8043/2022;
cfr. da ultimo, più in generale, con riferimento a violazioni tributarie, doganali, contributive, TAR Lazio, sez. V bis, n. 6605/2022).

Le fattispecie in questione quindi, ad onta dei riflessi sotto il profilo sanzionatorio penale, rivelano, ai fini della concessione della cittadinanza italiana, una scarsa aderenza ai valori della comunità (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. Il quater, 15 aprile 2015, n. 5554, TAR Lazio, sez. I ter, n. 11349/2021, nonché, da ultimo, Tar Lazio, sez. V bis, n. 6609/2022), e, nella fattispecie, ancor minore interesse per la concessione dello status civitatis , ove non anche scarsa considerazione degli obblighi che si accompagnano a detta concessione (v. in tal senso Tar Lazio, sez. I ter, n. 5708/2019) tra cui, appunto, vi è quello di contribuire al progresso anche economico del Paese, inclusa la partecipazione agli oneri connessi allo Stato sociale.

Ciò comporta l’obbligo di corrispondere ai lavoratori subordinati i contributi necessari a fini previdenziali ed assistenziali e di riconoscere ai lavoratori autonomi le somme spettanti per la propria opera, che costituiscono parte del diritto fondamentale alla retribuzione ex art. 36 Cost.

In tale prospettiva “solidaristica” risulta pertanto irrilevante l’eventuale depenalizzazione del reato, dato che il “fatto storico” della violazione di tale normativa costituisce un elemento cui va attribuito un significato diverso sul piano penale e su quello della valutazione della meritevolezza della concessione della cittadinanza: esso “ non viene valutato sotto il profilo della condanna in sede penale del suo autore, bensì sotto il diverso profilo dell'interesse pubblico del Paese ospite ad accogliere chi lo ha commesso tra i propri cittadini;
valutazione che implica anche l'opportunità di evitare di inserire tra questi chi, con la propria condotta, non mostri di condividere alcuni valori dell'ordinamento giuridico ritenuti meritevoli di tutela
” (Tar Lazio, sez. II quater, n. 6616/2015;
sez. V bis, 8040/2022).

In altri termini, con specifico riferimento al caso sub iudice il Collegio, la condotta contestata - oggetto di una sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p., anche se poi revocata - legittima, malgrado l’intervento legislativo di depenalizzazione, la compiuta valutazione sfavorevole del grado di condivisione dei valori fondamentali dell’ordinamento e la formulazione del giudizio prognostico negativo sull’utile inserimento del ricorrente nella comunità di cui chiede di far parte integrante.

VI. - A ciò si aggiunga che, ai fini della significatività della condotta, ha inciso, come chiaramente sottolineato nelle premesse motivazionali del provvedimento, il tempus commissi delicti , collocandosi (in quanto posta in essere nel 2008) nel c.d. “periodo di osservazione”, che coincide con il decennio antecedente la presentazione dell’istanza (che ha avuto luogo il 22 gennaio 2016), nel corso del quale devono essere maturati e conservati i requisiti per la cittadinanza, ai sensi dell'art. 9 legge n. 91 del 1992, inclusi quelli dell’irreprensibilità della condotta, salve le fattispecie di particolare gravità che possono essere apprezzate nel loro particolare valore “sintomatico”, in quanto indicative di tendenze caratteriali, anche oltre il decennio (Consiglio di Stato sez. VI n. 52/2011, Consiglio di Stato sez. III n. 1726/2019, 5271/2019, 4122/2021;
TAR Lazio, sez. II quater, n. 10678/2013, 5615/2015, 5917/2021;
cfr. TAR Lazio, sez. V bis, n. 2643, 2644, 2945, 2946, 4469, 4618, 4621, 4623, 11286 e 11026 del 2022, nonché, da ultimo, n. 10363/2024: “ il requisito della residenza legale da almeno di 10 anni nel territorio della Repubblica prescritto dal comma 1 lett. f) della richiamata disposizione va inteso non solo nel senso “quantitativo” della “durata minima del soggiorno” che legittima la presentazione dell’istanza, in quanto indicativo del “legame” che si è venuto a instaurato con il Paese di accoglienza, ma anche nel senso “qualitativo” del “periodo di osservazione” in cui chi aspira ad essere ammesso in una Comunità politica, per determinarne le sorti, assumendo diritti politici ed esercitato funzioni pubbliche, deve dare prova di saper mantenere – per lo meno nell’arco dell’ultimo decennio - un “comportamento senza mende” in modo da dimostrare di aver conseguito un adeguato grado di assimilazione dei valori fondanti per la nostra Comunità ”).

VII. – Peraltro neanche l’invocata integrazione economico-sociale raggiunta dal richiedente assurge ad elemento di speciale merito, in grado di bilanciare il disvalore derivante dal comportamento pregiudizievole esaminato.

Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non è in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, rappresentando solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale ( ex multis , Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022).

L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento se ha dimostrato di non condividerne i fondamentali valori di solidarietà e sicurezza.

In altre parole, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.

VIII. - In ogni caso, a favore della posizione della ricorrente, il Collegio ritiene opportuno rammentare che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessata di ripresentare l’istanza nel futuro e che dunque le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “ interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente ” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici), dato che l’interessata può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima.

Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, ha ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta “giustificato” ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione di tale status . Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente, ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica.

IX. – Il Collegio, conclusivamente, ritiene, sulla scorta dei postulati enucleati, che le determinazioni a cui è giunta l’Amministrazione siano immuni dai vizi dedotti dal ricorrente.

X. - In conclusione, per quanto osservato, il ricorso deve essere respinto perché infondato.

XI. – Sussistono giustificate ragioni, tenuto conto della specificità della fattispecie trattata, per disporre la compensazione delle spese di lite.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi