TAR Catania, sez. IV, sentenza 2020-09-30, n. 202002353

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. IV, sentenza 2020-09-30, n. 202002353
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202002353
Data del deposito : 30 settembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/09/2020

N. 02353/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02860/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2860 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A R, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Catania, viale Raffaelo Sanzio n. 6;

contro

il Ministero dell’Interno – -OMISSIS-, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, presso i cui uffici, siti in via Vecchia Ognina, n. 149, è domiciliato ex lege;

quanto al ricorso principale, per la declaratoria

dell’illegittimità del silenzio – inadempimento serbato dal -OMISSIS- sull’istanza di riesame presentata il 26 novembre 2013 avverso il decreto -OMISSIS- bis con il quale è stato imposto al ricorrente il divieto di detenzione di armi e munizioni;

nonché per l’annullamento:

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti:

- della nota prot. -OMISSIS-. – Area 1 ter del 27 novembre 2014, con la quale la -OMISSIS- ha rigettato l’istanza di revoca in autotutela del decreto prefettizio prot n.-OMISSIS-;

quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti:

- della nota della -OMISSIS-, Commissariato di Pubblica sicurezza di -OMISSIS- del 14 aprile 2014;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Vista l’ordinanza cautelare n. -OMISSIS-;

Visti documenti e la memoria difensiva del ricorrente;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 settembre 2020 il dott. Maurizio Antonio Pasquale Francola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con decreto prot n.-OMISSIS- il -OMISSIS- ha proibito al ricorrente la detenzione di armi e munizioni.

Il ricorrente, in data 26 novembre 2013, presentava un’istanza di riesame del predetto provvedimento alla -OMISSIS- senza esito alcuno, ricorrendo, in seguito, al T.a.r. Sicilia, Sezione staccata di Catania, avverso il silenzio-inadempimento serbato nell’occasione dall’Amministrazione.

Nel corso del giudizio, la Prefettura rispondeva al ricorrente con la nota prot. -OMISSIS-. – Area 1 ter del 27 novembre 2014, rendendolo edotto che, all’esito dell’ulteriore istruttoria condotta, non erano “ emersi nuovi elementi tali da determinare la revoca del provvedimento del 4 marzo 2005 ” con cui è stato decretato il divieto di detenzione di armi e munizioni.

Con ricorso per motivi aggiunti il ricorrente impugnava il predetto provvedimento di diniego, domandandone l’annullamento, previa sospensione cautelare degli effetti, per difetto di motivazione e di istruttoria.

Il Ministero dell’Interno si opponeva all’accoglimento del ricorso per motivi aggiunti, ritenendo ostativa alla revoca del predetto divieto la parentela del ricorrente con il figlio convivente, responsabile di condotte di rilevanza penale e, comunque, di significativa pericolosità sociale.

Il ricorrente, dopo avere rinunciato alla domanda cautelare proposta con il predetto ricorso per motivi aggiunti, notificava e depositava un secondo ricorso per motivi aggiunti con cui domandava l’annullamento della nota della -OMISSIS-, Commissariato di Pubblica sicurezza di -OMISSIS- del 14 aprile 2014.

Con apposita memoria, il Ministero dell’Interno eccepiva l’infondatezza delle censure di legittimità dedotte dal ricorrente.

Con ordinanza n. -OMISSIS- pubblicata il 10 luglio 2015, all’esito della camera di consiglio del 9 luglio 2015, il Collegio rigettava l’istanza cautelare del ricorrente per carenza di periculum in mora .

All’udienza pubblica del 17 settembre 2020, il Collegio, dopo avere udito i difensori delle parti costituite comparsi ed averli avvertiti ai sensi dell’art.73 co.3 c.p.a. della sussistenza di una possibile causa di inammissibilità del ricorso principale e del secondo ricorso per motivi aggiunti, tratteneva il ricorso in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso introduttivo si deduce l’illegittimità del silenzio serbato dalla -OMISSIS- sull’istanza di riesame di autotutela presentata dal ricorrente in data 26 novembre 2013 avverso il provvedimento del 4 marzo 2005.

Il Collegio osserva che la sussistenza di un precipuo obbligo di provvedere costituisce presupposto indefettibile dell’azione di cui agli artt.31 e 117 c.p.a. avverso il silenzio inadempimento.

La giurisprudenza ritiene che non sussiste alcun obbligo per l'Amministrazione di pronunciarsi su un'istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall'esterno l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto amministrativo mediante l'istituto del silenzio-rifiuto e il connesso strumento di tutela offerto;
invero, il potere di autotutela si esercita discrezionalmente d’ufficio, essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, IV, 11-10-2019, n. 6923;
II, 1-2-2019, n. 806;
V, 27-12-2018, n. 7246).

Si afferma, dunque in proposito, che non sussiste la possibilità di fare ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto allo scopo di provocare l’esercizio di poteri di autotutela, rinvenendo siffatto divieto il proprio fondamento nell'esigenza di evitare il superamento della regola della necessaria impugnazione dell'atto amministrativo entro il termine di decadenza previsto per legge.

L'inesistenza di un obbligo di provvedere deriva, dunque, dalla circostanza che i poteri amministrativi di autotutela sono espressione dell'esercizio di una potestà tipicamente discrezionale, con la conseguenza che una richiesta di autotutela non determina in capo all'amministrazione un obbligo di provvedere, dovendo alla stessa essere riconosciuta una funzione meramente sollecitatoria (cfr. Cons. Stato, V, 1-7-2019, n. 4502;
Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3507/2018, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 3530/2018, T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, n. 387/2018, T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. III, n. 441/2018, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 829/2018 e Consiglio di Stato, Sez. VI, n., 5819/2017).

Se, dunque, l’istanza di revoca di un precedente provvedimento costituisce, senza alcun dubbio, atto propedeutico a stimolare l’esercizio di un potere di autotutela, deve escludersi nel caso in esame la sussistenza di un obbligo per la -OMISSIS- di pronunciarsi. La richiesta di revoca, infatti, non costituisce atto introduttivo di un procedimento amministrativo ad istanza di parte che dovrà concludersi con la pronuncia di un provvedimento espresso, assumendo, invece, la mera valenza di una sollecitazione volta a stimolare l’Amministrazione all’apertura di un procedimento che è e rimane pur sempre d’ufficio. Donde, l’inesistenza di alcun obbligo di provvedere su istanze come quella in esame con le quali si domanda la revoca di un precedente provvedimento.

Né, peraltro, può considerarsi quella in questione un’istanza volta ad instaurare un nuovo procedimento amministrativo di primo grado distinto da quello conclusosi con il provvedimento restrittivo del 5 marzo 2004, poiché gli elementi di novità, di fatto o di diritto sopravvenuti alle precedenti determinazioni dell’Amministrazione, possono rilevare soltanto per distinguere le istanze in successione presentate per ottenere il rilascio di un provvedimento ampliativo più volte negato, come una concessione o un’autorizzazione, tenuto conto, infatti, che, in questi casi, la nuova istanza viene considerata introduttiva di un procedimento nuovo e distinto rispetto a quello già conclusosi con il precedente provvedimento di diniego.

Nella fattispecie, invece, l’istanza del ricorrente, pur essendo motivata sulla base di un quid novi rinvenibile nella dedotta cessazione della coabitazione con il figlio, è pur sempre preordinata al ritiro di un provvedimento restrittivo della propria sfera giuridica e, pertanto, deve essere considerata propedeutica a stimolare l’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 21 quinquies L. n.241/1990 con conseguente instaurazione di un procedimento amministrativo di secondo grado e non, invece, quale atto introduttivo di un nuovo procedimento amministrativo di primo grado.

Il ricorso principale, pertanto, è inammissibile.

Il primo ricorso per motivi aggiunti è, invece, infondato.

Nel nostro ordinamento la detenzione ed il porto d’armi derogano al generale divieto sancito dagli artt. 699 c.p. e 4, comma 1, l. 18 aprile 1975 n. 110, e, quindi, in quanto eccezioni, non costituiscono diritti assoluti. Non essendo, dunque, previste né tutelate posizioni di diritto soggettivo in ordine alla detenzione e al porto d’armi, ma al contrario essendo configurabili situazioni di interesse legittimo, le valutazioni dell’Amministrazione esplicative dei poteri di cui agli artt.11, 39 e 43, t.u. 18 giugno 1931 n. 773 devono considerarsi ampiamente discrezionali ed, in quanto tali, sindacabili in sede giurisdizionale soltanto in caso di manifesta illogicità o incongruenza delle determinazioni assunte (T.A.R. Emilia Romagna, I, 15 marzo 2010, n. 2224;
C.S., V, 13 novembre 2009, n. 7107). Conseguentemente, « l’interesse pubblico alla sicurezza dei cittadini va - nel dubbio - considerato prevalente rispetto al contrapposto interesse ludico - sportivo di cui è titolare colui che richiede la licenza di porto d'armi » (T.A.R. Lombardia, Brescia, 5 marzo 2007, n. 246)" (TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 31 marzo 2016, n. 917;
T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 24/12/2018, n.363).

Occorre, inoltre, ricordare che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, « l'inaffidabilità all'uso delle armi è idonea a giustificare il ritiro della licenza, senza che occorra dimostrarne l'avvenuto abuso: l'art. 39 del R.D. 18 giugno 1031, n. 773, nel prevedere che "il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne", conferma che è sufficiente l'esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato (Consiglio di Stato, sez. III, 18/04/2017, n. 1814). La revoca o il diniego dell'autorizzazione possono cioè essere adottate sulla base di un giudizio ampiamente discrezionale circa la prevedibilità dell'abuso dell'autorizzazione stessa, per cui rilevano anche fatti isolati, ma significativi. Conseguentemente la valutazione dell'Autorità di pubblica sicurezza caratterizzata - come detto - da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l'abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di non affidabilità è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a buona condotta (Consiglio di Stato, sez. III, 10/08/2016, n. 3590) » (Cons. St., Sez. III, 13 settembre 2017, n. 4334).

Il potere discrezionale dell'amministrazione implica la facoltà di valutare tutte quelle circostanze, oggettive o soggettive, che anche secondo un calcolo probabilistico, basato sull'esistenza di fatti indiziari o fattori predisponenti, inducano a ritenere sussistente la possibilità dell'abuso delle armi, delle munizioni o delle materie esplodenti (Cons. St. sez. IV, 15 luglio 1999, n. 1247).

Le richiamate esigenze implicano, dunque, il possibile apprezzamento di elementi riferibili non soltanto al titolare della licenza, ma financo alle persone da questi frequentate, ben potendo l'Amministrazione valutare che il pericolo di abuso possa derivare anche da parte di soggetti con cui l’interessato abbia relazioni familiari o personali. Pertanto, considerato che nel nostro ordinamento la detenzione ed il porto d’armi derogano al generale divieto sancito dagli artt. 699 c.p. e 4, comma 1, l. 18 aprile 1975 n. 110, e che, quindi, in quanto eccezioni, non costituiscono diritti assoluti, il potere esercitato dall’Amministrazione deve ritenersi disciplinato oltre che dalle disposizioni specifiche previste dagli artt.11, 39 e 43, t.u. 18 giugno 1931 n. 773, anche dai principi generali del diritto pubblico in ordine al rilascio dei provvedimenti discrezionali, con la conseguente configurabilità soltanto di posizioni soggettive di interesse legittimo.

Il vincolo di parentela con il figlio, ritenuto autore di minaccia a mano armata nel corso di un tentativo di rapina, costituisce un fatto di particolare allarme sociale e, quindi, di per sé particolarmente significativo in ordine alla rilevata pericolosità di abuso delle armi. Se, infatti, è pur vero che a carico del figlio del ricorrente non risultano condanne o procedimenti penali a carico, è anche vero che, da un lato, non occorre l’accertamento di fatti di rilevanza penale per proibire il possesso di armi e munizioni e, dall’altro, il legame di parentela desta, comunque, particolare perplessità al punto da ritenere probabile un abuso delle armi eventualmente detenute dal padre ricorrente in considerazione della pericolosità caratterizzante la personalità del figlio desunta dal fatto indicato nel provvedimento del 4 marzo 2005 e non smentita sul piano documentale. Il ricorrente, peraltro, non ha categoricamente escluso rapporti di frequentazione con il figlio, né la sussistenza di contatti con il medesimo, considerato che entrambi, pur non essendo più conviventi, sono, comunque, residenti nel Comune di -OMISSIS-.

Il che costituisce motivo valido per negare il ritiro in autotutela del provvedimento impugnato, dovendosi privilegiare, nel contemperamento degli interessi, la tutela delle esigenze di ordine pubblico rispetto all’aspirazione individuale all’esercizio di una determinata attività sportiva.

Il primo ricorso per motivi aggiunti, pertanto, va respinto, non essendo fondata la dedotta censura di illegittimità del provvedimento impugnato per difetto di motivazione e di istruttoria.

Il secondo ricorso per motivi aggiunti è inammissibile per carenza di interesse, poiché gli atti endoprocedimentali, come appunto la nota interna del Commissariato di Pubblica Sicurezza di -OMISSIS- del 14 aprile 2014 trasmessa alla -OMISSIS- per il successivo inoltro alla -OMISSIS- e di cui il ricorrente domanda espressamente l’annullamento, non sono, in modo alcuno, suscettibili di autonoma impugnazione, non essendo idonei a produrre effetti diretti sulla sfera giuridica degli eventuali interessati.

Le spese processuali vanno per metà compensate poiché l’inammissibilità del ricorso principale e del secondo ricorso per motivi aggiunti sono stati rilevati d’ufficio dal Collegio, dovendosi la residua metà liquidare in favore del Ministero dell’Interno ed a carico del ricorrente nella misura di € 1.500,00 oltre spese generali al 15,00%, come per legge.

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