TAR Milano, sez. II, sentenza 2017-06-07, n. 201701288
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Pubblicato il 07/06/2017
N. 01288/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00855/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO I
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 855 del 2016, proposto da:
Immobiliare Carducci s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati T S e B S, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Galleria del Corso, 2
contro
Comune di Cabiate, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M Z, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Via Dante, 16
nei confronti di
A M, rappresentata e difesa dagli avvocati A V e M M, con domicilio eletto in Milano, Via Pier Luigi Da Palestrina, 6
per l'annullamento
dell’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino n. 1 del 21 marzo 2016, emessa dal responsabile dell’area tecnica ed edilizia privata del Comune di Cabiate, con la quale è stato ingiunto alla ricorrente di provvedere, entro il termine di 90 giorni dalla notifica, “ alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi, in modo tale che nella superficie da recuperare ai fini abitativi venga esclusa la superficie dello sporto di gronda, in quanto la stessa non poteva essere considerata come volume di sottotetto esistente e pertanto esclusa dal conteggio dello stesso ”, con espresso avviso che “ in caso di mancata ottemperanza, anche parziale, della presente ordinanza, si procederà all'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 31, commi 3-4-5, del D.P.R. 380/2001 e s.m.i. ”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cabiate e della sig.ra A M;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso ritualmente proposto la società Immobiliare Carducci s.r.l. ha impugnato, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino n. 1 del 21 marzo 2016, emessa dal responsabile dell’area tecnica ed edilizia privata del Comune di Cabiate, con la quale è stato ingiunto alla ricorrente di provvedere, entro il termine di 90 giorni dalla notifica, “ alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi, in modo tale che nella superficie da recuperare ai fini abitativi venga esclusa la superficie dello sporto di gronda, in quanto la stessa non poteva essere considerata come volume di sottotetto esistente e pertanto esclusa dal conteggio dello stesso ”, con espresso avviso che “ in caso di mancata ottemperanza, anche parziale, della presente ordinanza, si procederà all'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 31, commi 3-4-5, del D.P.R. 380/2001 e s.m.i. ”.
La ricorrente ha premesso di essere “ proprietaria dell’immobile sito in Comune di Cabiate, Via Trento, n. 16, censito in Catasto al foglio 4, mappale 381, sub 2 e 3, realizzato sul finire degli anni sessanta in virtù di regolari licenze edilizie e di successive varianti. In data 27 ottobre 2011 l’odierna proprietaria presentava la DIA n. 79/2011 (prot. n. 8992), per procedere con un intervento di ristrutturazione edilizia e recupero del sottotetto ad uso abitativo;il successivo 10 luglio 2012 veniva presentata la comunicazione di avvio dei lavori e in data 28 agosto 2014 veniva depositata la proroga del termine di fine lavori ” (cfr. pag. 2).
Ha soggiunto che “ durante la fase di esecuzione dei lavori l'ufficio tecnico comunale ha effettuato diversi sopralluoghi di verifica – a volte anche con la partecipazione di agenti della Polizia locale – in particolare, uno di essi veniva effettuato in data 22 luglio 2014. Nel corso di tali sopralluoghi sono stati disposti rilievi della struttura, anche quella inerente il sottotetto che era già stato realizzato, delle superfici e delle altezze, e non sono mai stati evidenziati vizi della DIA n. 79/2011 né è mai stata riscontrata alcuna difformità esecutiva ” (cfr. pag. 3).
È, però, accaduto che in data 1.10.2015 l’Amministrazione ha emesso un’ordinanza di sospensione dei lavori oggetto della DIA n. 79/2001, motivata sull’assunto che “ a seguito di un riesame della stessa si è riscontrata un’anomalia progettuale negli elaborati grafici allegati alla precitata DIA n. 79/2011, che hanno determinato una maggior superficie di sottotetto recuperata ai fini abitativi ”, cui è seguita – dopo che “ nel termine di sospensione lavori nessun ulteriore atto e comunicazione interveniva da parte del Comune, che è rimasto inerte per ben sei mesi ” (cfr. pag. 4) – l’impugnata ordinanza, con cui si è, in particolare, contestato che “ nel progetto depositato con la precitata D.I.A. n. 79/2011, veniva recuperata una porzione di superficie, che nella fattispecie, così come previsto dal su richiamato art. 63, comma 1 bis della L.R. 12/2005, per le sue caratteristiche strutturali dell’edificio stesso non poteva essere considerato come “volume” del sottotetto esistente e pertanto da escludersi dal conteggio della superficie finalizzata al recupero del sottotetto a fini abitativi ”: segnatamente che “ lo sporto di gronda non poteva di fatto rientrare nel calcolo del volume esistente, e recuperato come superficie finalizzata al recupero del sottotetto ”.
A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:
1°) eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;violazione degli artt. 22 e 31 del DPR 380/2001.
La ricorrente ha evidenziato che “ il Comune, (…), che pure ordina la demolizione delle opere, trascura che la DIA sulla base delle quale sono stati realizzati i lavori: risulta in tutto valida ed efficace, in quanto tale DIA non è stata inibita, dopo la sua presentazione, entro il termine di legge;è stata anzi verificata in sede di istruttoria e lo sono stati anche i lavori edilizi, nel corso dei diversi sopralluoghi svolti, che hanno attestato la piena conformità tra opere realizzate e titolo;neppure successivamente la DIA ha costituito oggetto di annullamento in autotutela da parte del Comune, così che, come anticipato, essa risulta oggi in tutto valida ed efficace. Questo, come noto, rappresenta l’unico strumento di cui l’Amministrazione dispone ove voglia contestare il titolo edilizio ritualmente formatosi e consolidatosi, una volta decorso il termine di legge. Ed è altrettanto noto che il potere di annullamento in autotutela soggiace anch’esso a precisi limiti temporali – nel caso decorsi – e può essere esercitato solo laddove ricorrano i presupposti di legge ” (cfr. pag. 6).
La legittimità delle opere, desumibile dall’efficacia della DIA, precluderebbe l’applicazione dell’art. 31 del DPR 380/2001, non ricorrendo, ad avviso della ricorrente, “ nessuno dei presupposti di legge che legittimano l’esercizio del potere sanzionatorio, che è stato perciò arbitrariamente esercitato ” (cfr. pag. 8).
2°) Violazione degli artt. 19, comma 6 e 21 nonies della legge 241/1990;eccesso di potere per travisamento, difetto d’istruttoria e arbitrarietà.
La ricorrente ha, inoltre, dedotto che “ nell’ordinanza di sospensione lavori si faceva riferimento al fatto che – in sede di riesame dopo cinque anni (…) della DIA, il che implica esplicita ammissione che un primo esame era stato fatto – era stata riscontrata un’anomalia progettuale negli elaborati grafici allegati alla precitata DIA n. 79/2011, che hanno determinato una maggior superficie di sottotetto recuperata ai fini abitativi ”: anomalia che sarebbe consistita nell’imprecisione di un “ mero grafico presente in uno degli elaborati della DIA, rappresentanti lo stato dei luoghi, concernente in particolare l'allineamento della linea di falda del tetto con la testata della gronda e gli ingombri strutturali presenti nel sottotetto ” (cfr. pag. 9);che “ una volta formatosi il titolo edilizio della DIA, l’intervento dell’Amministrazione può essere giustificato soltanto nell'ambito di un procedimento di secondo grado di annullamento o di revoca d'ufficio, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies legge 241/1990, previo avviso di avvio di procedimento all'interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell'ambito della partecipazione al procedimento ” (cfr. pag. 10);che, in ogni caso, tale potere non sarebbe esercitabile alla luce della disciplina introdotta dalla legge 124/2015, applicabile ratione temporis alla fattispecie, essendo decorso il massimo termine “ragionevole” (non superiore a diciotto mesi) dal momento dell’adozione dell’atto da annullare (cfr. pag. 13).
Si sono costituiti in giudizio:
- la sig.ra A M (28.4.2016), proprietaria di un lotto confinante con quello oggetto del contendere, la quale, nella memoria del 9.5.2016, dopo essersi soffermata sulla conformità urbanistica ed edilizia del fabbricato insistente sul suo lotto, ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione dell’ordinanza di sospensione n. 1/2016 e della relazione dell’11.9.2015, per il resto opponendo la legittimità dell’impugnato provvedimento;
- il Comune di Cabiate (29.4.2016), che nella memoria del 9.5.2016 ha premesso che soltanto grazie ad alcune segnalazioni “ il Comune di Cabiate è venuto a conoscenza dei maggiori volumi realizzati dalla ricorrente rispetto al mero recupero del sottotetto ” ed ha, pertanto, “ incaricato un proprio tecnico, il geometra Giancarlo Colombo, degli accertamenti necessari al fine di verificare la presenza di difformità ” (cfr. pag. 2);nel merito ha opposto che “ la rilevanza del contorno perimetrale assume specifico rilievo anche con riferimento al recupero dei sottotetti, considerato che la legge regionale (12/2005) definisce «sottotetti i volumi sovrastatiti l'ultimo piano degli edifici», senza dunque possibilità di realizzare volumi esterni rispetto al perimetro dell'ultimo piano (e quindi dell'edificio). Traslando tali principi e definizioni al caso di specie, emerge come le opere realizzate da Immobiliare Carducci non possono che considerarsi nuova costruzione ” (cfr. pag. 3), esulando, dunque, “dalla fattispecie degli interventi di recupero dei sottotetti a fini abitativi ” e rendendosi, pertanto, necessaria la richiesta di rilascio di un permesso di costruire (cfr. pag. 4);che “ il provvedimento comunale, dati i presupposti, appariva ed appare dunque doveroso;non certo per una mera esigenza di ripristino della legalità, bensì perché l'intervento risultava privo non solo di titolo abilitativo, ma anche della necessaria istruttoria per verificarne la sua compatibilità con gli strumenti urbanistici ed edilizi: elementari esigenze di pubblico interesse alla tutela del territorio, al perseguimento delle finalità pianificatorie e perfino alla tutela della sicurezza pubblica (a cui l'istruttoria sulle nuove costruzioni risulta diretta) imponevano l’adozione della misura disposta dal Comune ” (cfr. pag. 5);che, infine, l’impugnato provvedimento non sarebbe stato precluso dalla riforma della disciplina sull’annullamento in autotutela, dal momento che la legge 124/2015 non sarebbe applicabile alla fattispecie controversa.
Con ordinanza n. 569 del 13 maggio 2016 la Sezione ha accolto la domanda cautelare con la seguente motivazione: “ considerato che, sia pure ad un primo sommario esame ed impregiudicata la fondatezza o meno dei motivi di ricorso, il danno lamentato appare grave ed irreparabile e che perciò parrebbe opportuno almeno conservare integra la rem nello stato attuale: ciò fino all’esito del giudizio di merito, tenendo conto che l’opposto interesse pubblico, in caso di esito negativo del ricorso medesimo, potrà comunque essere pienamente ripristinato e che, in caso contrario, poterebbe ipotizzarsi – ora solo scolasticamente – una qualche forma di risarcimento da parte del Comune;rilevato che la portata della presente cautelare non può consentire la prosecuzione dei lavori stessi, restando salvo, nel frattempo, un componimento tecnico tra le parti ”.
In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 25 maggio 2017, le parti hanno depositato le rispettive memorie e repliche.
In particolare:
- nella memoria del 20.4.2017 l’Amministrazione comunale ha eccepito che non sarebbe fondatamente contestabile l’esercizio tardivo del potere repressivo in quanto “ nella specie non si è trattato di un provvedimento in autotutela sulla DIA, ma di accertamento del totale difetto di idoneo titolo abitativo ” (cfr. pag. 3);
- nella memoria del 24.4.2017 la società ricorrente ha ribadito, con richiamo alla documentazione depositata in giudizio, di aver “ realizzato quanto indicato nella DIA n. 79/2011 presentata in data 27 ottobre 2011 ”, da ciò conseguendo che l’intervento non potrebbe essere assoggettato all’esercizio dei poteri di cui all’art. 31 TUED, come invece accaduto;che l’opposizione del Comune circa l’assenza di un “ idoneo titolo abilitativo ” costituirebbe “ un’inammissibile integrazione postuma del provvedimento, che peraltro è smentita dagli stessi atti comunali nei quali, (…) sono gli stessi tecnici comunali a dire che non è stata riscontrata alcuna tipologia di abuso ” (cfr. pag. 5);ha, inoltre, replicato all’eccezione preliminare opposta dalla sig.ra A M;
- nella memoria del 24.4.2017 la controinteressata ha nuovamente insistito nell’eccezione di inammissibilità precedentemente opposta, integrando tali deduzioni con un’eccezione di “ inammissibilità e infondatezza della domanda di risarcimento ” che sarebbe stato chiesto nei suoi confronti dalla ricorrente;
- nelle memorie di replica le parti non hanno aggiunto elementi di sostanziale novità alle rispettive argomentazioni.
All’udienza pubblica del 25 maggio 2017 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, opposta dalla controinteressata, risultando pacifico che l’efficacia dell’ordinanza di sospensione dell’1.10.2015, notificata in data 8.10.2015, è ampiamente cessata dal 22.11.2015 per il decorso dei 45 giorni previsti dall’art. 27, comma 3 del DPR 280/2001, mentre l’ordinanza di demolizione, oggetto di impugnazione, è stata emessa in data 21.3.2016.
Sicché la ricorrente non avrebbe avuto alcun interesse a tale impugnazione (cfr. TAR Lazio – Roma, 2 aprile 2015, n. 4976).
Parimenti da respingere è l’eccezione di “ inammissibilità e infondatezza della domanda di risarcimento nei confronti dell’interessata ”, e ciò, sembra di capire, in relazione alla mancata vendita degli appartamenti facenti parte dello stabile oggetto del contendere: domanda che, tuttavia, non risulta affatto coltivata dalla ricorrente nel presente giudizio.
Nel merito, il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
Con entrambi i motivi di censura, che per dipendenza tematica possono essere esaminati in maniera congiunta, la ricorrente ha dedotto l’eccesso di potere in cui sarebbe incorso il Comune di Cabiate, il quale avrebbe in sostanza travisato (dopo un lungo lasso di tempo dalla presentazione della DIA del 27.10.2011, quest’ultima avente ad oggetto il recupero di un sottotetto a fini abitativi con cambio di destinazione d’uso) i presupposti giuridici per contestare la realizzazione di un volume asseritamente non previsto e contrastante con la disciplina urbanistica (“ lo sporto di gronda non poteva di fatto rientrare nel calcolo del volume esistente, e recuperato come superficie finalizzata al recupero del sottotetto ”), senza, peraltro, annullare – così violando l’art. 21 nonies della legge 241/1990 – il titolo che si sarebbe legittimamente formato a seguito della presentazione della sopra citata DIA.
Dall’analisi della documentazione depositata in giudizio emerge quanto segue:
1) in data 11.12.2014 è stato effettuato dal personale dell’ufficio tecnico un sopralluogo nella proprietà della ricorrente, dal quale è risultato che “ la struttura della copertura risulta diversa da quanto autorizzato con DIA 79/11. Più precisamente nella DIA 79/11 viene prevista la realizzazione della soletta di copertura in CA di circa 30 cm escluso pacchetto di isolamento. (…) Tale opera realizzata difformemente dal titolo abilitativo comporta la modifica della parte strutturale della copertura con un presunto innalzamento dell’altezza media ponderale del sottotetto, nonché modifica in aumento dell’altezza della costruzione ”;oltre a ciò sono state rilevate alcune modifiche “ alle aperture, in particolare dei lucernari, nei prospetti e nella diversa distribuzione degli spazi interni ”. In esito a tale sopralluogo si è concluso che “ per la regolarizzazione delle opere rilevate, non essendo riscontrato alcuna tipologia di abuso, risulta ammissibile la presentazione di idonea pratica SCIA in variante al precedente titolo abilitativo, prima della conclusione dei lavori ed entro le tempistiche di validità del titolo abilitativo ”. Nessun rilievo è, quindi, stato mosso allo sporto di gronda;
2) nove mesi più tardi rispetto al sopralluogo, in data 11.9.2015, il funzionario dell’UTC ha comunicato al Segretario comunale di aver riscontrato, a seguito di un esame della pratica edilizia di cui alla DIA n. 79/2011, una “ anomalìa progettuale negli elaborati grafici ”, i quali avrebbero “ una maggior superficie di sottotetto recuperato a fini abitativi ”, per tale ragione proponendo l’emissione di un ordine di sospensione dei lavori, ma nel contempo “ dando atto che il relativo titolo abilitativo risulta ancora in essere, in quanto prorogato nei termini di validità, così come previsto dalla legge n. 98/2013, sino al 27.10.2016 ”. Anche in questo caso, nessun riferimento allo sporto di gronda;
3) il generico riferimento alla “ anomalìa progettuale ” è stato ribadito nell’ordinanza di sospensione dei lavori n. 1 dell’1.10.2015, dunque persistendo totale incertezza sulle specifiche contestazioni che avrebbero integrato tale anomalìa;
4) soltanto con l’ordinanza impugnata, emessa in data 21.3.2016, si è – per la prima volta – esplicitato il rilievo tecnico concernente l’aumento di SLP del sottotetto, recuperata a fini abitativi, che sarebbe derivata dall’illegittima ricomprensione di un volume (quello delineato dall’inclusione dello sporto di gronda) contrastante con la disciplina di cui all’art. 63, comma 1 bis della legge regionale 12/2005 (“ si definiscono sottotetti i volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura ”).
Sulla base di quanto illustrato, viene in evidenza che il titolo formatosi a seguito della DIA del 27.10.2011 è stato prorogato ex lege sino al 27.10.2016, e ciò ai sensi dell’art. 30, comma 3 della legge 98/2013, secondo cui “ salva la diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all’entrata in vigore del presente decreto, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell’interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell’interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati ”: circostanza non contestata tra le parti ai sensi dell’art. 64, comma 2 del codice del processo amministrativo.
Tale titolo, valido ed efficace, non è stato annullato in autotutela dall’Amministrazione comunale: incombente, quest’ultimo, che la Sezione reputa, all’opposto, dirimente ai fini del corretto esercizio del potere repressivo in materia edilizia, in linea con l’orientamento prevalente della giurisprudenza (cfr. TAR Lombardia – Milano, 7 giugno 2011, n. 1405;cfr., altresì, TAR Marche, 27 settembre 2010, n. 3305;TAR Campania –Napoli, 2 luglio 2010, n. 16562).
Invero, anche nelle pronunce (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 21 ottobre 2014, n. 5887) che “ pur se restrittivamente ” hanno sostenuto l’ammissibilità del c.d. “ provvedimento implicito ” si è, comunque, precisato che la manifestazione di volontà dell’Amministrazione deve risultare chiara “ nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà ” (cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa, 1 febbraio 2012, n. 118).
Una lettura interpretativa, questa, che in ogni caso non ha condotto alla revisione dell’indirizzo pretorio dominante (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4780;id., sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4902), secondo cui il provvedimento assunto in autotutela, incidendo – come nella specie – su situazioni giuridiche consolidate, debba motivatamente evidenziare, alla stregua di una valutazione comparativa che tenga conto delle situazioni di fatto potenzialmente generatrici di aspettative qualificate e dell’affidamento nascente dal trascorrere del tempo, le ragioni che abbiano indotto l’Amministrazione ad assumere una diversa determinazione rispetto a vicende giuridiche connotate da un assetto degli interessi ormai definito.
Nella specie tutto ciò è mancato.
L’Amministrazione, nel corso delle verifiche in loco (cfr. sopralluogo dell’11.12.2014) da parte del personale tecnico, non ha mai rilevato profili critici connessi allo sporto di gronda, all’opposto vagamente delineati in occasione dell’esame documentale della pratica (cfr. nota dell’11.9.2015): in entrambi i casi si è trattato, però, dello stesso funzionario (geom. Giancarlo Colombo), il quale, come più sopra si è detto, non ha frontalmente e chiaramente censurato la legittimità del titolo sulla base del quale la ricorrente ha avviato, proseguito e (sostanzialmente) concluso l’intervento edilizio, ma ha posto a fondamento delle proprie elaborazioni tecniche la generica contestazione di una “anomalia progettuale” negli elaborati grafici.
Tale spunto tecnico, privo della puntualità necessariamente connaturata all’efficace esercizio dei poteri di cui all’art. 27 TUED, è stato acriticamente richiamato dal nuovo responsabile del servizio (geom. Patrizio Elli) nell’ordinanza di sospensione n. 1/2015 e dettagliato, infine, soltanto nell’ordinanza di demolizione n. 1/2016, ma sempre e comunque nella perdurante validità ed efficacia della DIA n. 79/2011.
Sono state, inoltre, violate le garanzie previste dall’art. 19 legge 241/1990 che, nell’ipotesi di DIA illegittima, consente certamente all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all’art. 23, comma 6 del DPR 380/2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della DIA ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
Si deve, dunque, affermare che l’impugnato provvedimento sia illegittimo perché basato su una istruttoria carente e contraddittoria, le cui risultanze si sono fatalmente ripercosse sulla congruità e completezza della motivazione, ma ancor prima sulla sviata applicazione alla fattispecie dell’art. 31 TUED: una disposizione il cui preciso ambito di applicazione riguarda l’assenza di un permesso di costruire o la realizzazione di opere in totale difformità dal titolo edilizio.
Né possono cambiare il segno delle valutazioni sopra evidenziate le argomentazioni sviluppate dal difensore del Comune di Cabiate nella memoria del 9.5.2016 (in particolare nel paragrafo intitolato “ sulla natura dell’intervento edilizio realizzato ”), costituenti – ad ogni modo – un’inammissibile integrazione postuma della motivazione dell’impugnato provvedimento.
La mancata adozione di un provvedimento di autotutela rende, conseguentemente, ininfluente ai fini del decidere la definizione della questione relativa all’applicabilità, al caso controverso, della novella di cui alla legge 124/2015.
In conclusione il ricorso va accolto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono quantificate, ai sensi del DM 55/2014, in €. 1.500,00, oltre accessori, che, in eguale e integrale misura, dovranno essere corrisposti alla società ricorrente sia dal Comune di Cabiate, sia dalla controinteressata sig.ra A M.