TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2018-12-03, n. 201811688

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2018-12-03, n. 201811688
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201811688
Data del deposito : 3 dicembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/12/2018

N. 11688/2018 REG.PROV.COLL.

N. 09111/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9111 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da G B, P C, L G, G A, M M, C C, M B, R V, rappresentati e difesi dagli avvocati F T, M R, S R, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Largo Messico, n. 7;

contro

il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
la Banca d'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Napoletano, Olina Capolino, Michele Cossa, con domicilio eletto presso l’Avvocatura dell’ente in Roma, via Nazionale, n. 91;
la Consob - Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituita in giudizio;
la Banca Popolare di Spoleto S.p.a.- Gruppo Bancario Banco di Desio e della Brianza, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Eugenio Bruti Liberati, Alessandra Canuti e Paola Tanferna, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Maria Adelaide, n. 8;
l’ex collegio commissariale straordinario della Spoleto Credito e Servizi Società Cooperativa a r.l., nelle persone dell’avvocato Gianluca Brancadoro, del Dott. Giovanni Boccolini e del Dott. Nicola Stabile, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Società Clitumnus S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituita in giudizio;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
D C, rappresentato e difeso dagli avvocati F T e S R, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Largo Messico, n. 7;

per l’annullamento

del decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze n. 150 del 20 aprile 2015, con il quale è stato nuovamente disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Spoleto Credito e Servizi Società Cooperativa a r.l. e la sottoposizione della stessa alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi degli artt. 70, comma 1, lett. b), 98 e 105 del T.U,B., con effetto a decorrere dall'8 febbraio 2013, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente ovvero collegato, ivi compresi ed in quanto occorra, la proposta formulata con nota della Banca d'Italia n.010575313 del 30 gennaio 2013 e la nota della Banca d'Italia n. 316595/15 del 19 marzo 2015;

nonché per il risarcimento dei danni subiti e subendi in relazione all'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa, con conseguente condanna degli enti intimati.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze, della Banca d'Italia e della Banca Popolare di Spoleto S.p.a.;

Visto l’atto di intervento ad adiuvandum del Dott. D C;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2018 la dott.ssa B B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, i Sig.ri G B, P C, L G, G A, M M, C C, M B, R V – ex componenti del consiglio di amministrazione della Spoleto Crediti e Servizi S.p.a. (di seguito anche S.C.S.) – hanno agito per l’annullamento del decreto n. 150 del 20 aprile 2015, con il quale il Ministro dell’economia e delle finanze ha nuovamente disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo della S.C.S. e la sottoposizione ad amministrazione straordinaria, ai sensi ai sensi degli artt. 70, comma 1, lett. b), 98 e 105 del d. lgs. n. 385 del 1993 (di seguito Tub), con effetto a decorrere dall'8 febbraio 2013, nonché degli altri atti in epigrafe indicati, formulando, altresì, domanda di risarcimento del danno subito in conseguenza dell’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa.

Per un corretto ed esaustivo inquadramento della controversia, si rendono necessarie alcune premesse fattuali, alla base delle complesse vicende che hanno interessato la S.C.S e la Banca Popolare di Spoleto (di seguito anche B.P.S.), sino alla sottoposizione alle procedure di amministrazione straordinaria.

Occorre considerare, infatti, che:

- a seguito degli esiti degli accertamenti ispettivi eseguiti dall’Autorità di vigilanza nel 2012, il Ministro dell’economia e delle finanze, con decreti nn. 16 e 17 dell’8 febbraio 2013 ha disposto, previo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo, la sottoposizione alla procedura di amministrazione straordinaria, rispettivamente della B.P.S. e della S.C.S., sua controllante. Tali decreti sono stati adottati, ai sensi dell’art. 70 Tub, in seguito all’invio delle risultanze istruttorie effettuate dalla Banca d’Italia ed illustrate nelle proposte prot. nn. 0105750/13 e 0105753/13. Con provvedimento prot. n. 0142492/13, il Vicedirettore generale della Banca d’Italia ha provveduto alla nomina degli organi straordinari sia della B.P.S. che della S.C.S.;

- entrambi i decreti sopra indicati hanno costituito oggetto di impugnazioni innanzi a questo Tribunale;
in particolare, il decreto n. 17 dell’8 febbraio 2013 è stato impugnato dagli odierni ricorrenti, unitamente alla presupposta proposta della Banca d’Italia, ed il relativo giudizio è stato definito con sentenza n. 9029 del 2013 di rigetto del ricorso;

- nelle more della definizione dei giudizi in appello (proposti avverso le sentenze di questo Tribunale di rigetto dei ricorsi aventi ad oggetto l’annullamento dei decreti nn. 16 e 17 del 2013): la Banca d’Italia ha autorizzato la convocazione dell’assemblea straordinaria degli azionisti della B.P.S. S.p.a. ai fini della deliberazione dell’aumento di capitale – con esclusione del diritto di opzione dei soci, tra i quali S.C.S. – per un controvalore totale di euro 155.277.778,00 (in particolare è stato deliberato, per un verso, un aumento di capitale in denaro per un controvalore di euro 139.750.000,00, integralmente riservato al Banco di Desio, e, per altro verso, un aumento di capitale riservato ai dipendenti di BPS, per un controvalore massimo di € 15.527.778);
l’Autorità di vigilanza ha anche, con provvedimento n. 0494615/14 del 13 maggio 2014, accertato la conformità delle modifiche apportate all’art. 5 dello Statuto di Banca Popolare di Spoleto S.p.a. al principio di sana e prudente gestione;
l’amministrazione straordinaria della B.P.S. si è conclusa, in data 31 luglio 2014, con la nomina del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale e con la contestuale acquisizione, da parte dei nuovi organi ordinari, della situazione dei conti ai sensi degli 75C4CC680F427C" data-article-version-id="8e2c568e-4be2-5845-8757-c39824f025cf::LRE1543C75C4CC680F427C::2015-11-16" href="/norms/laws/itatextu54oeemvlmdv2t/articles/itaart1jkh53cgpc3agt?version=8e2c568e-4be2-5845-8757-c39824f025cf::LRE1543C75C4CC680F427C::2015-11-16">artt. 73 comma 1 e 75 ultimo comma del Tub;
la procedura di amministrazione straordinaria di S.C.S. si è conclusa in data 11 ottobre 2014;

- con sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 966 del 26 febbraio 2015, il Giudice d’Appello – previa riunione con altro ricorso (proposto avverso la sentenza del T.a.r. Lazio, Roma n. 01698/2014, concernente lo scioglimento, con d.m. n. 16 del2013, degli organi di amministrazione e controllo della B.P.S.), in considerazione delle “notevoli ripercussioni” reciproche delle vicende riferite alle due società, tenuto conto della detenzione da parte della S.C.S. del pacchetto azionario di maggioranza della B.P.S. – ha disposto, in riforma anche della sentenza di primo grado n. 9029 del 2013, l’annullamento del decreto n. 17 del 2013;

- con analoga pronuncia (n. 657 del 9 febbraio 2015, adottata in riforma delle sentenze di questo Tribunale n. 2725, n. 2726 e n. 2727 del 2014) è stato disposto l’annullamento del d.m. n. 16 del 2013;

- con nota prot. n. 0316595/15, il Ministro dell’economia e delle finanze ha, dunque, richiesto – analogamente a quanto disposto, con distinta nota, in relazione alla B.P.S. – alla Banca d’Italia valutazioni tecniche sulla situazione “ora per allora”, alla luce delle suddette sentenze del Consiglio di Stato, a riscontro della quale, con note del 19 marzo 2015, l’Autorità di vigilanza si è espressa nel senso della reiterazione dei decreti di sottoposizione di B.P.S. e S.C.S. ad amministrazione straordinaria;

- con i decreti n. 149 e n. 150 del 25 marzo 2015, il Ministro ha, dunque, disposto l’amministrazione straordinaria, rispettivamente di BPS e di SCS “ora per allora”, a decorrere dall’8 febbraio 2013.

Con l’atto introduttivo del presente giudizio, parte ricorrente ha rappresentato la proposizione innanzi al Consiglio di Stato del giudizio di ottemperanza, assumendo la nullità del decreto n. 150 del 2015, in questa sede gravato, per violazione ovvero elusione del giudicato di cui alla sentenza n. 966 del 2015.

Avverso gli atti impugnati, i ricorrenti hanno dedotto vizi di violazione di legge ed eccesso di potere, censurando la reiterazione delle medesime illegittimità già accertate dal Giudice d’Appello con la sentenza n. 966 del 2015 in relazione al precedente decreto, nonché lamentando la violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, l’erronea considerazione della precedente proposta dell’Autorità di vigilanza del 30 gennaio 2013, in quanto annullata in sede giurisdizionale, l’insussistenza dei presupposti alla base della determinazione adottata, la violazione del principio di irretroattività dei provvedimenti amministrativi.

Come sopra esposto, i ricorrenti, unitamente all’azione di annullamento hanno anche proposto quella risarcitoria.

Con atto per motivi aggiunti depositato in data 4 gennaio 2016, parte ricorrente ha formulato ulteriori deduzioni avverso gli atti impugnati, alla luce della nota della Banca d’Italia prot. n. 316595 del 19 marzo 2015 e dei relativi allegati, conosciuti a seguito della produzione nel giudizio all’epoca pendente in appello per l’ottemperanza della sentenza n. 966 del 2015.

Con atto di intervento ad adiuvandum, depositato in data 15 dicembre 2015, il Dott. D C, ex componente del collegio sindacale di S.C.S., ha sostenuto, con argomenti analoghi a quelli dedotti dai ricorrenti, l’illegittimità del decreto e degli atti gravati.

Il Ministero dell’economia e delle finanza si è costituito in giudizio per resistere al gravame, concludendo per il rigetto del ricorso in quanto infondato.

Si è costituita in giudizio anche la Banca d’Italia, articolando ampie deduzioni a sostegno della legittimità degli atti impugnati, sollevando eccezioni preliminari, tra cui quella di inammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum, e concludendo, nel merito, per l’infondatezza del ricorso.

Si è costituita in giudizio, infine, anche la BPS S.p.a., la quale ha sollevato eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, in considerazione della irreversibilità degli effetti degli atti posti in essere dai commissari straordinari di BPS durante il periodo di amministrazione straordinaria, in specie quanto alla cessione del controllo di BPS in favore del Banco Desio S.p.a., nonché concluso per il rigetto del ricorso.

Successivamente, le parti hanno prodotto ulteriori memorie e documenti a sostegno delle rispettive deduzioni.

All’udienza pubblica del 23 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.Il Collegio deve preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della BPS S.p.a. – supportata da pertinenti e approfondite deduzioni – in considerazione della irreversibilità degli effetti degli atti posti in essere dai commissari straordinari di BPS durante il periodo di amministrazione straordinaria, in specie quanto alla cessione del controllo di BPS in favore del Banco Desio S.p.a., tale da escludere la possibilità che una eventuale pronuncia di accoglimento del gravame possa andare ad incidere su assetti ormai stabilizzati.

1.1. L’eccezione non merita accoglimento.

1.2. Il Collegio premette che la difesa della B.P.S. S.p.a. ha articolato anche nel presente giudizio eccezioni e deduzioni formulate in relazione al distinto ricorso (iscritto al numero di R.G. 8251 del 2015) proposto dagli ex componenti del consiglio di amministrazione della B.P.S. avverso il decreto n. 16 del 2015, oggetto di trattazione congiunta con il presente giudizio nella medesima udienza pubblica.

Al fine del rigetto dell’eccezione, il Collegio reputa sufficiente rilevare che, a prescindere dalla circostanza che il presente gravame ha ad oggetto il decreto n. 150 del 2015 ed attiene alle vicende che più direttamente hanno interessato la S.C.S. e la sottoposizione della stessa alla procedura di amministrazione straordinaria, anche gli ex componenti del consiglio di amministrazione della S.C.S., odierni ricorrenti, hanno proposto, unitamente all’azione di annullamento, l’azione risarcitoria, emergendo, quindi la sussistenza di un interesse strumentale di per sé idoneo a sostenere in punto di ammissibilità la proposizione del ricorso. Non va trascurato, inoltre, l’interesse di ordine morale vantato dai ricorrenti, pure autonomamente idoneo e sufficiente a sorreggere l’impugnativa.

2. Merita accoglimento, invece, l’eccezione di inammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum spiegato dal Dott. D C, notificato in data 29 novembre 2015 e depositato il successivo 15 dicembre 2015, sollevata dalla difesa della Banca d’Italia.

2.1. L’interveniente, infatti, ha qualificato la propria legittimazione in quanto ex componente del collegio sindacale della S.C.S., assumendo, dunque, la posizione di cointeressato, al pari dei ricorrenti, in quanto tale legittimato ad autonoma impugnativa, da proporre entro i prescritti termini di decadenza. Per univoca giurisprudenza (il che esime da citazioni specifiche), infatti, è inammissibile l'intervento ad adiuvandum spiegato nel processo amministrativo da chi sia ex se legittimato a proporre il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente è portatore di un interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che può far valere solo mediante proposizione del ricorso principale nei prescritti termini decadenziali. Tenuto conto della circostanza che il decreto impugnato è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 114 del 19.5.2015, risulta palese la tardività dell’impugnativa, che non può essere “recuperata” attraverso la proposizione dell’atto di intervento eludendo il termine decadenziale normativamente prescritto.

3. Sempre in via preliminare il Collegio ritiene di rilevare la sussistenza di una parziale inammissibilità del ricorso, come integrato dall’atto per motivi aggiunti depositato in data 4 gennaio 2016, per le ragioni di seguito esposte, con la precisazione che di tali profili i difensori delle parti presenti in udienza sono stati resi edotti, in conformità alle previsioni dell’art. 73, comma 3 c.p.a..

3.1. Il decreto impugnato è stato emanato, come esposto nella narrativa in fatto, successivamente all’annullamento, con sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 966 del 2015, della precedente determinazione (d.m. n. 17 dell’8 febbraio 2013), con la quale pure era stato disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della S.C.S., con sottoposizione a procedura di amministrazione straordinaria.

3.2. Con tale pronuncia, in particolare, sono state ritenute fondate le deduzioni dirette a censurare il difetto di istruttoria imputabile al Ministro dell’economia e delle finanze. Tale delimitazione del contenuto del decisum, confermata dalla coerente statuizione nel dispositivo dell’accoglimento dell’appello “nei sensi di cui in motivazione”, non è irrilevante, come si andrà ad esporre nei capi successivi della presente sentenza, in specie quanto alla perdurante validità della proposta formulata nel 2013 dalla Banca d’Italia, non travolta da quel giudicato.

3.3. Le deduzioni dirette a contestare la violazione dei principi, delle regole e delle disposizioni contenute nel dictum giurisdizionale si palesano inammissibili, risolvendosi in contestazioni della violazione ovvero della elusione del giudicato, il cui sindacato è attribuito al giudice dell’ottemperanza.

Vi è di più.

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 830 del 2016 ha rigettato il ricorso per ottemperanza proposto avverso i decreti nn. 149 e 150 del Ministro dell’economia e delle finanze sulla base della prospettazione di una adozione degli stessi in violazione o elusione del giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 966 del 26 febbraio 2015.

Nell’evidenziare, alla luce degli importanti chiarimenti forniti dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 2 del 2013, la natura composita del giudizio di ottemperanza – nel quale si concentrano “ azioni diverse, talune meramente esecutive, talaltre di chiara natura cognitoria, il cui comune denominatore è rappresentato dall’esistenza, quale presupposto, di una sentenza passata in giudicato, e la cui comune giustificazione è rappresentata dal dare concretezza al diritto alla tutela giurisdizionale, tutelato dall’art. 24 Cost. ” – con la predetta pronuncia il Giudice d’Appello ha distinto le domande propriamente inerenti all’esecuzione del dictum giudiziale, da quelle che, invece, pur successive alla formazione del giudicato, non possono essere ad esso ricondotte. E ciò ha fatto, in primis, muovendo dalla considerazione che gli atti emanati dall’amministrazione dopo il passaggio in giudicato di una sentenza che ha riconosciuto un difetto di adeguata istruttoria, possono considerarsi in violazione di giudicato solo se da questo derivi un obbligo talmente puntuale che la sua esecuzione debba concretarsi nell’adozione di un atto il cui contenuto sia desumibile integralmente dalla sentenza, ove, per contro, nella fattispecie, il giudicato formatosi sulla sentenza n. 966 del 26 febbraio 2015 è circoscritto all’accertamento del difetto di istruttoria imputabile al Ministro dell’economia e delle finanze nell’adozione dei decreti del 2013, non involgendo l’intero rapporto controverso, restando, dunque, impregiudicato il successivo agire dell’amministrazione, suscettibile di contestazione in sede di cognizione per vizi propri delle nuove determinazioni e non già per violazione ed elusione del giudicato (ciò è chiaramente enunciato nella sentenza n. 830 del 2016, ove si evidenzia: “ con la citata decisione – n.d.r. quella oggetto di ottemperanza – la Sezione non ha definito, non avendone le competenze, in modo completo il rapporto controverso: l’accertamento del difetto di istruttoria, infatti, non è idoneo di per sé a sancire la spettanza di un bene della vita, la cui attribuzione deriva da scelte di tipo discrezionale spettanti esclusivamente all’Amministrazione. Pertanto, il giudicato formatosi sulla sentenza n. 966 del 26 febbraio 2015 doveva ritenersi limitato all’accertamento del difetto di istruttoria imputabile al Ministro dell’Economia e delle Finanze ”.

4. Chiarito quanto sopra esposto, tutte le censure dedotte dai ricorrenti dirette a contestare la sussistenza di vizi propri degli atti impugnati vanno disattese, in quanto infondate.

5. Il decreto impugnato non presenta lacune sul piano dei giustificativi che ne hanno determinato l’adozione, essendo motivato “per relationem” attraverso il rinvio alla proposta di amministrazione straordinaria formulata della Banca d’Italia. L'art. 70 del Tub, infatti, nell'individuare i presupposti soggettivi ed oggettivi necessari ai fini dell'avvio della procedura di amministrazione straordinaria, disciplina anche le competenze istituzionali nella fase iniziale della stessa, attribuendo un ruolo primario alla Banca d’Italia, il cui atto di impulso costituisce una proposta obbligatoria ed in quanto tale indefettibile.

5.1. A prescindere dalla eccezione di inammissibilità per genericità sollevata dalla difesa della Banca d’Italia in relazione al primo motivo di ricorso, dalla documentazione versata in atti emerge lo svolgimento di una istruttoria particolarmente accurata ed approfondita, avendo il Ministro non solo considerato le risultanze di tutte le valutazioni tecniche espresse dall’Autorità a ciò deputata, supportate dalle correlate allegazioni documentali, ma anche sollecitato il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (di seguito CICR) ad una riformulazione degli schemi dei decreti (sia quello in questa sede impugnato sia il n. 149 del 2015, di scioglimento degli organi di amministrazione e controllo della B.P.S.) al fine di rendere la motivazione integralmente rispondente alle indicazioni contenute nelle pronunce giurisdizionali. Non va trascurato, ancora, che il Ministro ha doverosamente considerato, nel riesercitare il potere ad esso spettante, i nuovi elementi di fatto, tra cui anche l’operazione straordinaria attraverso la quale è stato realizzato il passaggio del controllo di BPS da SCS a Banca Desio. Lo stesso Consiglio di Stato, peraltro, nella sentenza n. 830 del 2016, di rigetto, come sopra esposto, del ricorso in ottemperanza, ha sottolineato, in esito all’esame della documentazione in quel giudizio prodotta, che: “ appare evidente che il Ministro dell’Economia e delle Finanze, in sede di riesercizio del potere attribuitogli dall’art. 70 T.U.B., non si sia limitato a riprodurre il contenuto dell’istruttoria fornitagli dalla Banca d’Italia, ma, alla luce di tutte le vicende sopravvenute al giudizio di legittimità, abbia ritenuto sussistenti i presupposti necessari allo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo delle società coinvolte, con contestuale sottoposizione delle stesse alla amministrazione straordinaria ”.

5.2. E’ del tutto coerente e conforme alla disciplina normativa di riferimento che il Ministro abbia richiesto all’Autorità di vigilanza, istituzionalmente competente ed in possesso tanto della specifica professionalità quanto dei dati necessari, supplementi istruttori, le cui risultanze sono state autonomamente valutate dal Ministro con consapevole condivisione e non, come contestato dai ricorrenti, con acritico recepimento delle proposte formulate dalla Banca d’Italia. In altri termini, le risultanze dell’istruttoria sono state ritenute dal Ministro adeguate, quanto a congruità ed esaustività, ed hanno fondato l’adozione del decreto impugnato, con una convergenza della valutazione definitiva rispetto alla presupposta proposta.

5.3. La motivazione per relationem, inoltre, corrisponde ad una tecnica redazionale pienamente ammessa dall’art. 3 della legge n. 241/1990, specialmente allorquando la determinazione conclusiva del procedimento sia preceduta da atti istruttori o da pareri, come nella specie;
giova precisare, al riguardo, che il ricorso a detta modalità di esplicitazione dei giustificativi alla base delle determinazioni adottate non è circoscritta a meri elementi integrativi del percorso argomentativo, con la conseguenza che non rifluisce sull’essenza dell’operazione valutativa, la quale non risulta minimamente degradata (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. V, 25 febbraio 2016 n. 752).

5.4. Né si ritiene di avallare l’approccio formalistico seguito dai ricorrenti quanto alla mancanza di riferimenti nel decreto impugnato al contestuale decreto n. 149 riferito alla B.P.S., risultando evidente dalla documentazione in atti che la vicenda è stata esaminata considerando tutti gli elementi e le interrelazioni tra gli stessi alla luce anche del peculiare rapporto sussistente tra B.P.S. e S.C.S. e, anzi, proprio l’ampiezza degli elementi a disposizione della Banca d’Italia prima e del Ministro poi hanno assicurato una istruttoria particolarmente accurata ed una altrettanto attenta ponderazione delle relative risultanze.

6. Del pari, non colgono nel segno le deduzioni incentrate sulla violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, stante l’inequivoca formulazione dell’art. 70, comma 3 del Tub che, in tutte le formulazioni che si sono succedute, non ha previsto la partecipazione degli interessati, ai quali il decreto viene comunicato solo dopo l’insediamento dei commissari, giustificandosi la deroga al generale principio di cui all’art. 7 della l. n. 241 del 1990, in ragione dei particolari interessi pubblici implicati, segnatamente riferiti alle esigenze di riservatezza a tutela del pubblico risparmio. Né è a dirsi che nella specifica fattispecie tali esigenze avrebbero dovuto ritenersi insussistenti e ciò sia in quanto la disciplina normativa che viene in considerazione è destinata ad operare con carattere di specialità per tutti i procedimenti aventi ad oggetto la valutazione in merito alla sottoposizione ad amministrazione straordinaria, sia in quanto l’annullamento giurisdizionale del precedente decreto ha connotato la riedizione del potere da parte dell’amministrazione in termini di più stringente urgenza, a presidio della ineludibile necessità di assicurare certezza e stabilità ai rapporti medio tempore sorti, scongiurando i rischi di ulteriori destabilizzazioni. L’approccio seguito da parte ricorrente nell’articolazione della deduzione nel ricorso introduttivo e negli atti successivi, incluso quello per motivi aggiunti, dunque, oltre a non trovare conferma nel dato normativo, presenta tutti i limiti di una prospettiva parziale, totalmente disancorata dagli interessi generali.

7. Le censure successive si appuntano su profili che più direttamente ineriscono al merito delle determinazioni adottate, essendo volte a contestare la sussistenza dei presupposti alla base dell’adozione del decreto impugnato.

7.1. Giova preliminarmente evidenziare, al riguardo, che per costante orientamento giurisprudenziale anche del Giudice d’Appello, gli atti posti in essere dalle Autorità di vigilanza, “costituiscono esplicazione di potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica”(Consiglio di Stato n. 2328 del 2015, che, rispetto alla attività di vigilanza della Banca di Italia, richiama la funzione di tutela delle attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito, dell’affidabilità complessiva del sistema bancario e, in particolare, di ogni singolo istituto, “in concreta esplicazione di attività volta alla tutela dei valori di promozione e tutela del risparmio, nonché di esercizio dell’attività creditizia, contemplati e garantiti dall’art. 47 della Costituzione”). Stante la natura del potere amministrativo esercitato dalle Autorità di vigilanza, gli atti adottati sono sindacabili innanzi al giudice amministrativo in sede di legittimità, oltre che per vizi di incompetenza e di violazione di legge, solo per illogicità manifesta, quale figura sintomatica di eccesso di potere, non potendo il giudice amministrativo sostituire proprie valutazioni a quelle dell’organo di controllo.

7.2. Il decreto impugnato va esente da tutte le censure dedotte, avendo il Ministro vagliato, in esito alle disposte integrazioni istruttorie, le proposte formulate dalla Banca d’Italia e le relative risultanze, emergendo una complessiva convergenza degli accertamenti alla base del primo decreto (oggetto di annullamento giurisdizionale per carenza di istruttoria) con quelli successivamente emersi che hanno consentito, tra l’altro, di approfondire lo stato della situazione patrimoniale delle società coinvolte, anche alla luce delle relazioni finali predisposte dagli organi straordinari in epoca, peraltro, antecedente alle sentenze del Consiglio di Stato del 2015.

7.3. Del tutto legittimamente è stata considerata nell’adozione del decreto impugnato la precedente proposta formulata dall’Autorità di vigilanza nel 2013, la quale, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di parte ricorrente, non ha costituito oggetto di annullamento con la più volte richiamata sentenza del Consiglio di Stato n. 966 del 2015, come emerge con immediatezza dalla lettura della pronuncia e come chiarito anche dalla successiva sentenza del Giudice d’Appello n. 830 del 2016.

7.4. La sottoposizione ad amministrazione straordinaria, inoltre, ben può operare anche per la capogruppo nell’ipotesi di gruppi bancari di fatto, in forza del disposto dell’art. 105 del Tub, ove, come nella fattispecie, una delle società del gruppo bancario sia stata sottoposta a detta procedura (art. 98, comma 2, lett.b, Tub). La sussistenza di tale presupposto emerge inequivocabilmente dall’adozione del decreto n. 149 del 2015, nella stessa data del decreto gravato, a nulla rilevando, sul piano sostanziale ed in punto di legittimità, che il predetto decreto non sia stato formalmente richiamato nelle premesse del decreto n. 150 del 2015. A ciò aggiungasi che, come correttamente evidenziato dalla difesa della Banca d’Italia, nel caso che ne occupa ricorre, oltre al sopra indicato presupposto, una autonoma causa di sottoposizione ad amministrazione straordinaria della S.C.S., recando l’art. 98 sopra citato espresso richiamo anche alle cause previste dall’art. 70 del medesimo testo normativo, tra le quali figura la previsione di gravi perdite patrimoniali.

7.5. La qualificazione del rapporto sussistente tra S.C.S. e B.P.S. non è in alcun modo incisa dalla precedenti pronunce del Consiglio di Stato sulla vicenda e, anzi, è proprio il Giudice d’Appello a rilevare la particolare pregnanza di tale relazione sin dalla statuizione che per prima figura nella sentenza n. 966 del 26 febbraio 2015.

7.6. Sul punto, il Collegio integralmente condivide le valutazioni già espresse da questo Tribunale con la sentenza n. 9029 del 2013, nella quale si evidenzia quanto segue: « Rilevato che la cooperativa Spoleto Credito e Servizi è iscritta nell’albo degli intermediari finanziari previsto dall’art. 106 del Testo Unico Bancario, la tesi della ricorrente poggia sulla circostanza che, però essa non è iscritta nell’albo dei gruppi bancari, in relazione alla formale rinuncia, in ambito statutario, ai poteri di direzione e coordinamento sulla Banca Popolare di Spoleto. Tale prospettazione non è condivisibile sia in base alla circostanza sopra riferita del possesso maggioritario delle quote azionarie della banca da parte della cooperativa interessata rispetto all’altro socio, sia in base alla circostanza che, in virtù dei patti parasociali stipulati tra i due soggetti nel 1998, alla cooperativa spetta la designazione di 9 consiglieri, tra cui il Presidente, su un totale di 14 a fronte dei 4 espressi da MPS di cui uno in accordo con SCS, detenendo quindi la cooperativa il controllo di fatto della Banca Popolare di Spoleto, secondo gli indici individuati pure dall’art. 2359 c.c. L’art. 105 del TUB sopra riportato valorizza proprio tale situazione di fatto prescrivendo che comunque sono assoggettati alla disciplina degli articoli ad esso precedenti anche i gruppi e le società per i quali, pur non essendo intervenuta l'iscrizione, ricorrano le condizioni per l'inserimento nell'albo previsto dall'art. 64. Di conseguenza a nulla rileva la circostanza che la Spoleto Credito e Servizi sia una cooperativa e non sia iscritta all’albo dei gruppi bancari, perché essa esercita il controllo di diritto e di fatto sulla banca, con la conseguenza che, in virtù dell’art. 105 TUB, ciò non le impedisce di essere assoggettata alla disciplina degli articoli 70, comma 1, lett. b) e 98 comma 2 lett. b) del TUB. Ed in questo controllo della banca, la cooperativa è pure rimasta da sola, atteso che il Monte dei Paschi di Siena, a luglio 2012, a causa delle divergenze crescenti emerse nella conduzione della banca rispetto all’azionista di maggioranza, ha comunicato di avere disdettato i patti parasociali e di voler fuoriuscire dalla proprietà della Popolare di Spoleto ».

7.7. Esaustivamente la nuova proposta di Banca d’Italia ed il nuovo decreto esplicitano le ragioni della ininfluenza degli esiti delle ispezioni effettuate dall’organo di vigilanza della Lega Nazionale Cooperative e Mutue, trovando nella fattispecie applicazione le regole prudenziali, più stringenti e rigorose rispetto a quelle sulla cooperazione, applicabili alle banche ed ai gruppi bancari.

7.8. Le risultanze in atti non consentono, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, di riconnettere una particolare pregnanza al ruolo rivestito da MPS, a fronte della centralità ed intensità dell’influenza esercitata dalla S.C.S., capace di esprimere anche la designazione del direttore generale, sulla quale non consta in atti che MPS abbia formalizzato alcun gradimento. L’assenza di univocità rispetto al controllo di fatto esercitato da S.C.S. su B.P.S. sostenuta dalla difesa dei ricorrenti è smentita dalle puntuali argomentazioni articolate, al riguardo, dalla Banca d’Italia e dagli elementi emergenti in atti.

7.9. E valgono, sul punto, le ulteriori considerazioni espresse nella sentenza di questo Tribunale n. 9029 del 2013, pure condivise dal Collegio, con le quali si evidenzia che: “ Tutta la consistente ricostruzione (…) operata dai ricorrenti e tendente a dimostrare una sorta di complotto nei confronti della Banca Popolare di Spoleto e della cooperativa socio di maggioranza, orchestrato dal Monte dei Paschi di Siena, non può scalfire la circostanza principale secondo cui la ridetta cooperativa detiene azioni o quote nel capitale di un’altra impresa che, realizzando una situazione di legame durevole con essa, è destinato a sviluppare l’attività del partecipante, laddove tale legame durevole sussiste in tutti i casi di controllo e di influenza notevole ai sensi dell’art. 2359 c.c. e secondo il concetto di controllo sostanziale ad esso sotteso ”. Nella sopra indicata pronuncia, peraltro, si chiarisce anche il segmento temporale nel quale ha assunto rilievo la qualificazione della S.C.S. in termini di capogruppo di fatto, osservandosi che: « Come correttamente sostenuto da Banca d’Italia, essa non ha proceduto prima del 2012 alla individuazione di un gruppo bancario con a capo SCS, che già deteneva la maggioranza del capitale di BPS, per la presenza dei patti parasociali stipulati tra SCS e MPS, secondo azionista della Popolare con il 26% del capitale. Fino a quando sono stati mantenuti i patti parasociali anche la direzione ed il coordinamento della Banca di Spoleto potevano intendersi esercitati congiuntamente, dato che la disciplina bancaria non prevede la possibilità che la qualifica di capogruppo possa essere ripartita o condivisa tra più partecipanti al capitale di una banca. Al mutare delle circostanze di fatto muta anche la ricostruzione della fattispecie. Quando i Patti Parasociali sono venuti meno per divergenze di MPS nei confronti della gestione di SCS, come si è verificato nel caso della adozione di delibere di carattere centrale adottate con il disaccordo di MPS, la clausola statutaria che inibisce a SCS l’esercizio della direzione e coordinamento si è svuotata di significato, perché di fatto SCS ha iniziato a esercitare le proprie prerogative di gruppo di controllo, compresa la ricerca di un nuovo socio, poi rivelatasi non fondata su solide prospettive a causa della mancanza di idonee garanzie ».

7.10 Si osserva, inoltre, che le delibere aventi ad oggetto l’aumento di capitale e le modifiche adottate con il consenso dei consiglieri B.P.S. di nomina di S.C.S. ed avversate da quelli di nomina MPS risalgono al luglio 2012, allorquando era già in carica il consiglio di amministrazione di cui facevano parte i ricorrenti, tanto da spingere MPS a disimpegnarsi dai patti parasociali con una disdetta intervenuta sotto l’egida del nuovo consiglio di amministrazione.

8. Non si valutano suscettibili di positivo apprezzamento neanche le deduzioni dirette a contestare la rilevata sussistenza della previsione di gravi perdite patrimoniali.

8.1. Nel premettere che dalla qualificazione di S.C.S. in termini di capogruppo della B.P.S. discende il necessario riferimento ad un patrimonio di vigilanza su base consolidata, segnalandosi un deficit del valore pari ad euro 209,5 milioni a fronte dei 213 milioni richiesti in base alla normativa, è di tutta evidenza la diretta incidenza dell’elevata criticità della situazione patrimoniale riferita alla controllata B.P.S., stante la consistenza della partecipazione, sia in valore assoluto sia in rapporto alle altre partecipazioni, in specie in ragione delle rettifiche per deterioramento dei crediti erogati alla clientela dalla precedente gestione di B.P.S..

8.2. Ferma la preclusione, per le ragioni esposte al capo 7 della presente pronuncia, cui si rinvia, di un sindacato di merito, il Collegio osserva che è documentato in atti che alla data dell’8 febbraio 2013 era già stata rilevata, sia pure in via provvisoria e conformemente alla rilevanza assunta dalle consistenze previsionali, in coerenza con il carattere prudenziale dell’assetto della vigilanza, una situazione fortemente negativa della società sotto il profilo reddituale, evidenziandosi, unitamente alla perdita di esercizio di B.P.S., con preclusione della distribuzione di dividendi nel 2012, la sussistenza di perdite delle altre società controllate e del settore dei servizi e di un accantonamento al Fondo oneri futuri;
della rilevazione immediata di una “ grave tensione finanziaria che caratterizzava tutte le società e la complessità delle operazioni immobiliari, talune pericolosamente tra loro collegate ” dà conto anche il bilancio di chiusura dell’amministrazione straordinaria della società.

8.3 Con precipuo riferimento alla situazione della B.P.S., si osserva che, a conclusione della propria attività, i commissari straordinari hanno accertato perdite – pari ad euro 110.723.002, 90 – essenzialmente conseguenti alle rettifiche per deterioramento dei crediti erogati alla clientela dalla precedente gestione di BPS, con quantificazione del fabbisogno patrimoniale della banca in almeno 130 milioni di euro. La correttezza delle valutazioni espresse, sul punto, dalla Banca d’Italia ha trovato conferma nella determinazione del fabbisogno necessario, conclamato dalla successiva deliberazione dell’aumento di capitale della banca per un controvalore totale di euro 155.277.778,00 e , dunque, superiore rispetto a quello denegato dall’Autorità di vigilanza con provvedimento n. 0286464/13 del 21 marzo 2013 (pari a 100 milioni di euro), con l’ulteriore rilievo da riconnettere alla limitatezza della componente azionaria del rafforzamento patrimoniale preconizzato dalla precedente proprietà ( a fronte, infatti, di una componente azionaria per 30 milioni, la restante parte dell’aumento era riferita all’emissione di obbligazioni convertibili in azioni non prima di 18 mesi, con conseguente imputazione a capitale mediante un meccanismo differito e incerto, non compatibile con la situazione di criticità rilevata). Né possono assumere rilievo, ai fini pretesi da parte ricorrente, le asserzioni riferite agli ipotetici sviluppi che la vicenda avrebbe potuto avere ove l’aumento deliberato da B.P.S. in euro 100 milioni fosse stato autorizzato, le quali si sostanziano in ottimistici auspici non suffragati da dati obiettivi ed attendibili, come rilevato anche nella sentenza con la quale è stato definito il giudizio introdotto con ricorso iscritto al numero di R.G. 8251 del 2015) proposto dagli ex componenti del consiglio di amministrazione della B.P.S. avverso il decreto n. 16 del 2015, nella quale si descrive la gravità della situazione riferita alla B.P.S..

8.4. Quanto sopra esposto riveste carattere dirimente al fine di ritenere integrati i presupposti per l’adozione del decreto impugnato, potendosi, dunque, prescindere dalle deduzioni riferite alla incidenza delle altre attività di S.C.S. svolte attraverso società controllate o partecipate, stante la concorde valutazione delle parti del presente giudizio in ordine al carattere residuale di queste ultime.

9. Tenuto conto delle documentate circostanze emergenti in atti, il Collegio ritiene insuscettibili di un favorevole apprezzamento le istanze istruttorie di parte ricorrente, sia in quanto l’allegazione degli elementi posti a fondamento delle domande proposte costituisce un onere gravante su detta parte sia in quanto tutte le contestazioni articolare non consentono di superare le copiose risultanze emergenti in atti.

10. Con il quarto motivo di ricorso parte ricorrente ha censurato il decreto impugnato per violazione del principio di irretroattività degli atti amministrativi nonché, in via di subordine, in quanto la disposta retroattività non risulta sorretta da adeguata motivazione.

10.1. La censura, nella duplice articolazione, non merita accoglimento.

10.2. E, invero, come già chiarito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. n. 830 del 2016, il giudicato di annullamento ha lasciato impregiudicato il successivo agire dell’amministrazione, potendo l’attribuzione del bene della vita anelato dai ricorrenti conseguire solo in esito a scelte di tipo discrezionale spettanti esclusivamente all’Amministrazione. La pronuncia passata in giudicato, infatti, non ha involto profili di carattere sostanziale ed il decreto in questa sede impugnato ha interessato un tratto di interesse non coperto da giudicato. Si osserva, inoltre, che in seguito all'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, la retroattività opera sugli effetti giuridici dell'atto annullato, dovendosi altresì considerare, sul piano generale, che un eventuale sopravvenuto mutamento della realtà - fattuale o giuridica - tale da non consentire l’integrale ripristino dello status quo ante può assumere semmai rilievo, ove ne ricorrano le condizioni, ai fini della integrazione del presupposto esplicitato dalla previsione del risarcimento del danno, per impossibile esecuzione del giudicato, sancita dall‘art. 112, comma 3, c.p.a., non emergendo, quindi, lacune sul piano delle tutele azionabili. Inconferente si palesa, ancora, il riferimento tanto all’art. 24 Cost. quanto all’art. 6 CEDU, atteso che l'assoggettamento del decreto impugnato al sindacato giurisdizionale assicura le garanzie del giusto processo.

10.3. La stessa difesa di parte ricorrente, peraltro, nell’evidenziare, del tutto correttamente che la retroattività costituisce una deroga al principio generale, non ne esclude l’ammissibilità nel rispetto dei principi che governano l’azione amministrativa.

10.4. Il Collegio ritiene che legittimamente sia stata disposta una efficacia retroattiva del decreto impugnando, imposta dall’esigenza di un consolidamento della situazione venutasi a determinare a seguito dell’annullamento giurisdizionale del precedente decreto in una valutazione dei rilevanti e sensibili interessi pubblichi implicati, alla luce, tra l’altro, delle sopravvenienze precedenti alla pronuncia di annullamento.

10.5. In conformità all’univoca giurisprudenza, inoltre, si ribadisce che il provvedimento che dispone l’amministrazione straordinaria non riveste natura sanzionatoria, sostanziandosi in una misura di gestione delle crisi degli intermediari vigilati (cfr., ex multis, Cons. Stato Sez. IV, 19-02-2015, n. 835).

11. Dal rigetto dell’azione di annullamento consegue anche, a prescindere da ulteriori considerazioni, la reiezione della domanda risarcitoria pure proposta da parte ricorrente.

12. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso va in parte dichiarato inammissibile e per la restante parte infondato.

13. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

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