TAR Venezia, sez. II, sentenza 2011-02-01, n. 201100182

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. II, sentenza 2011-02-01, n. 201100182
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201100182
Data del deposito : 1 febbraio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00757/1996 REG.RIC.

N. 00182/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00757/1996 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 757 del 1996, proposto da M R G B, rappresentata e difesa dall'avvocato P V G, con domicilio eletto presso il medesimo in Venezia, S. Croce, 466/G;

contro

Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M B, G G, M M, G Vn, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Civica, in Venezia, San Marco 4091;

per l'annullamento

- del provvedimento prot. n. 65781/458/01 DEL 6.12.1995, notificato il 12.12.1995, con il quale il Direttore del settore dell’Assessorato all’edilizia privata del Comune di Venezia ha respinto la domanda di concessione edilizia in sanatoria relativa ad alcuni manufatti di pertinenza di un immobile in Venezia Lido;

- del provvedimento prot. n. 94/4905/197 del 13.12.1995, notificato il 28.12.1995, con il quale il Dirigente di settore dell’Assessorato all’Edilizia Privata di Venezia ha ordinato la demolizione delle opere di cui all’ordinanza sub 1).


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2011 il referendario Marina Perrelli e uditi l’avvocato Grimani per la ricorrente e l’avvocato Iannotta per il Comune intimato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

A. Il dante causa dell’odierna ricorrente presentava il 3.12.1985 una domanda di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47/1985, avente ad oggetto anche la realizzazione di alcuni manufatti di pertinenza del fabbricato principale, sito in Venezia Lido, via Partecipazio n. 4.

B. Il 17.11.1993 il Comune di Venezia rigettava la domanda di condono relativamente ai manufatti de quibus sulla scorta del parere negativo espresso dalla Commissione provinciale per i Beni Ambientali che aveva ritenuto «le baracche realizzate in legno e in lamiera» «ampliamenti costruiti con materiali la cui precarietà altera sia l’aspetto dell’edificio principale sia l’ambiente circostante».

C. Il 26.11.1993 il Comune resistente rilasciava, quindi, la concessione in sanatoria richiesta, condizionata alla rimozione dei predetti manufatti. Tale ultimo provvedimento veniva impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato, mentre la successiva ordinanza di demolizione veniva gravata davanti a questo Tribunale.

D. Successivamente con atto n. 94/4905/197 il Dirigente del Settore Edilizia Privata revocava il precedente diniego del 17.11.1993 e il conseguente ordine di demolizione del 30.5.1994 in quanto il primo atto recava una firma non riferibile all’Amministrazione e, quindi, con i provvedimenti impugnati emetteva un nuovo diniego di concessione in sanatoria e una nuova ordinanza di demolizione.

E. La ricorrente deduce l’illegittimità del nuovo diniego di concessione in sanatoria:

1) per violazione dell’art. 1 bis della legge n. 206/1995, dell’art. 4 della legge n. 360/1991 e dell’art. 32 della legge n. 47/1985, come modificato dall’art. 7 del D.L. n. 88/1995, giacché in forza dell’art. 6 della legge n. 171/1973, come modificato dall’art. 1 bis della legge n. 206/1995, l’unico organo competente a emettere parere in relazione ai beni vincolati ex lege n. 1497/1939 è la Commissione per la Salvaguardia di Venezia e non la Commissione provinciale per i Beni Ambientali;

2) per violazione dell’art. 6 della L.R. n. 63/1994 giacché tale disposizione ha attribuito ai Comuni la competenza a rilasciare l’autorizzazione ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497/1939;

3) per violazione dell’art. 35 della legge n. 47/1985, per eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà poiché nella fattispecie in esame è ampiamente decorso il termine di 24 mesi, previsto dal citato art. 35, per la formazione del silenzio assenso sull’istanza di condono, essendo stata la relativa domanda presentata il 3.12.1985 ed essendo stato reso il parere negativo dalla Commissione provinciale per i Beni Ambientali il 27.11.1991;

4) per violazione degli artt. 32 e 35 della legge n. 47/1985, per eccesso di potere per genericità e per perplessità, per travisamento dei fatti e per carenza di presupposti giacché l’area nella quale ricadono i manufatti abusivi non è vincolata ai sensi della legge n. 1497/1939 essendo stato il decreto Galasso relativo alla laguna di Venezia annullato con la sentenza del TAR Veneto n. 74/1986;

5) per violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, per eccesso di potere per difetto di motivazione e per difetto di istruttoria in quanto il diniego impugnato richiama il parere negativo della Commissione provinciale per i Beni Ambientali, motivato in maniera apodittica, tautologica e priva di ogni riscontro istruttorio.

F. La ricorrente, infine, deduce l’illegittimità anche dell’ordinanza di demolizione per vizi derivati dal presupposto diniego di concessione e per vizi autonomi:

1) per violazione dell’art. 1 bis della legge n. 206/1995, dell’art. 4 della legge n. 360/1991 e dell’art. 32 della legge n. 47/1985, come modificato dall’art. 7 del D.L. n. 88/1995, poiché l’unica autorità competente a esprimere il parere sulla compatibilità paesaggistica è la Commissione per la Salvaguardia di Venezia;

2) per violazione dell’art. 11 delle preleggi, dell’art. 93 della L.R. n. 61/1995 e degli artt. 9 e 20 della legge n. 47/1985 in quanto l’abuso avrebbe dovuto essere sanzionato in base alla legge n. 1142/1950 vigente all’epoca della sua commissione e non in forza dell’art. 7 della legge n. 47/1985;

3) per violazione dell’art. 92 della L.R. n. 61/1985 in quanto non è stato acquisito in relazione al nuovo procedimento il parere della Commissione edilizia;

4) per violazione dell’art. 7 della legge n. 47/1985 e dell’art. 92 della L.R. n. 61/1985, nonché per eccesso di potere per carenza dei presupposti, per illogicità e contraddittorietà poiché trattandosi di opere pertinenziali - deposito per biciclette e deposito per attrezzi per la manutenzione del fabbricato e del giardino - non è possibile sanzionarle con la demolizione, ma solo con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

G. Il Comune di Venezia, ritualmente costituito in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso in quanto infondato.

H. Alla pubblica udienza del 12.1.2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato e va respinto per le ragioni di seguito esposte.

2. Con le prime due censure la ricorrente deduce l’illegittimità del diniego impugnato in quanto l’unico organo competente a emettere il parere in relazione ai beni vincolati ex lege n. 1497/1939 è la Commissione per la Salvaguardia di Venezia o la Commissione edilizia integrata e non invece la Commissione provinciale per i Beni Ambientali.

2.1. In forza dell'art. 82, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 616/77, ferma restando la spettanza alla Regione delle attribuzioni in merito all'individuazione delle bellezze naturali (e, ovviamente, al coordinamento della commissione deputata alla compilazione degli elenchi delle stesse), la tutela delle stesse è demandata alla Provincia che la esercita attraverso apposite commissioni consultive cui è conferito il «compito di formulare pareri obbligatori sugli atti da emanarsi dagli organi dell'Amministrazione provinciale nell'esercizio delle funzioni subdelegate» (art. 2, comma 1, della LR n. 11/84).

2.2. E’, inoltre, pacifico che nell'ambito delle funzioni subdelegate alla Provincia rientra anche la formulazione del parere prescritto dall'art. 32 della legge n. 47/85, espressamente indicato all'art. 1, comma 2, lett. a) della L.R. n. 11/84 ( relativo alla necessaria preventiva determinazione di compatibilità delle realizzande opere con l'assetto ambientale tutelato). Né vale opporre che il parere ex art. 32 della legge n. 47/85 non può essere rilasciato dalla Provincia in quanto tale legge è successiva alla L.R. n. 11/84 di subdelega, che, dunque, non poteva determinarsi in relazione ad un profilo procedimentale che sarebbe stato individuato in futuro: è evidente, invero, come la funzione prevista dal richiamato art. 32, che è funzione inerente alla tutela dei beni ambientali, debba essere esercitata dall'organo individuato in base alla ripartizione delle competenze precedentemente effettuata dal legislatore statale (d.P.R. n. 616/77) e regionale (L.R. n. 11/84).

2.3. La competenza a esprimersi ai sensi dell'art. 32 della legge n. 47/85 sulla compatibilità ambientale delle opere abusive di cui si chieda il condono spetta, dunque, alla Provincia in forza dell’art. 4, comma 1, della L.R. n. 11/84.

Tale regime vale anche - in virtù dell'art. 42 della stessa legge n. 47/85 che ha espressamente derogato alla disciplina introdotta dalla legge n. 173/71 - relativamente agli interventi eseguiti nella conterminazione lagunare di Venezia , nel territorio dei centri storici di Chioggia e di Sottomarina e nelle isole di Pellestrina, Lido e S. Erasmo.

2.4. Solo con l'entrata in vigore (in data 29.11.1991) della legge 4.8.1991 n. 360, il legislatore ha privato la Provincia della competenza a esprimere il parere di cui all'art. 32 della legge n. 47/85 relativamente alle opere abusive eseguite nel comprensorio della laguna veneta, attribuendola invece alla Commissione per la salvaguardia di Venezia: stabilisce, infatti, l'art. 4, comma 3, della citata legge n. 360/91 che «la Commissione per la salvaguardia di Venezia esprime parere vincolante su tutti gli interventi edilizi...da eseguirsi nella vigente conterminazione lagunare....Il parere della Commissione sostituisce ogni altro parere, visto, autorizzazione, nulla osta, intesa o assenso, comunque denominati, che siano obbligatori ai sensi delle vigenti disposizioni normative statali e regionali, ivi compresi il parere delle commissioni edilizie dei comuni di volta in volta interessati e il parere della commissione provinciale per i beni ambientali».

2.5. Nel Caso di specie la Commissione provinciale per i Beni Ambientali ha espresso il parere di compatibilità paesaggistica il 21.10.1991 e, dunque, prima dell’entrata in vigore della legge n. 360 del 29.11.1991. Quindi, in conformità con quanto già sostenuto in fattispecie analoghe da questa Sezione, ciò che rileva per stabilire l’Autorità competente a emettere il parere di compatibilità delle opere abusive non è la disciplina vigente al momento di presentazione della domanda di condono, né quella vigente al momento di definizione della relativa istanza, bensì quella in vigore al tempo in cui il parere viene reso. Ne discende che nella fattispecie in esame va affermata la competenza della Commissione provinciale per i Beni Ambientali in quanto il parere è intervenuto nella vigenza del combinato disposto dagli artt. 32, comma 1, e 42 della legge n. 47/85, prima dunque della modificazione introdotta dall'art. 4 della legge 360/91 (cfr. in termini Tar Veneto, II, n. 1407/06;
TAR Veneto, II, n.4110/07;
TAR Veneto, II, n. 1739/08).

2.7. Alla luce delle suesposte considerazioni devono, pertanto, essere disattesi il primo e il secondo motivo di ricorso.

3. Il terzo e il quarto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente stante la loro connessione. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento di diniego a causa del decorso del termine di 24 mesi, previsto dal citato art. 35, per la formazione del silenzio assenso sull’istanza di condono, essendo stata la relativa domanda presentata il 3.12.1985 ed essendo stato reso il parere negativo dalla Commissione provinciale per i Beni Ambientali il 21.10.1991;
con il quarto motivo viene dedotto che l’area nella quale ricadono i manufatti abusivi non è vincolata ai sensi della legge n. 1497/1939, essendo stato il decreto Galasso relativo alla laguna di Venezia annullato con la sentenza del TAR Veneto n. 74/1986.

3.1. Entrambe le censure sono infondate e vanno disattese per le seguenti motivazioni.

3.2. Il Collegio osserva che l'Amministrazione comunale correttamente ha ritenuto di dover acquisire il parere in ordine alla compatibilità dell'abuso con il vincolo ex lege n. 1497/39, al quale è assoggettato l'ambito in cui è situato l'immobile.

Invero, come in più occasioni rilevato da questa Sezione, il vincolo paesaggistico ex lege n. 1497/39 insiste su tutto il territorio della laguna veneziana, sulla base del D.M. 1.8. 1985, il quale, ancorché annullato - per asserita incompetenza del Ministro - con sentenza di questo Tribunale Amministrativo n. 74/86, è stato recuperato per effetto della sentenza emessa dal Consiglio di Stato n. 168/93, la quale ha chiarito come il potere di sottoposizione a tutela della cd. bellezze d'insieme spetti in via autonoma e concorrente anche allo Stato, oltre che alle Regioni a seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 616/77 (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, 22.5.2006, n. 1407).

3.3. Alla luce delle suesposte considerazioni in ordine alla sussistenza del vincolo sull’area nella quale ricadono le opere abusive oggetto del diniego impugnato, non appare neanche condivisibile la tesi sostenuta dalla ricorrente con il terzo motivo, secondo la quale il condono deve intendersi rilasciato in forza dell'avvenuto decorso del termine di 24 mesi stabilito dall'art. 35 della legge n.47/85.

3.4. Come appropriatamente opposto dall'Amministrazione, l'area in questione è sottoposta a vincolo ambientale ex lege n. 1497/39 e, quindi, il termine di 24 mesi può decorrere soltanto dal momento in cui è stato emesso il parere paesaggistico favorevole (art. 35, comma 19, della legge n. 47/1985). Nel caso di specie, peraltro, il parere espresso dall'Amministrazione preposta al vincolo è sfavorevole al condono e, quindi, non può essere considerato ai fini del decorso ex art. 32 della legge citata (cfr. T.A.R. Veneto, II, 26.11.2010, n. 6168;
TAR Veneto, 8.7.2009, n. 2125).

3.5. Per tali ragioni devono, quindi, essere disattesi i motivi di ricorso esaminati.

4. E’, infine, infondato anche il quinto e ultimo motivo con il quale la ricorrente lamenta l’illegittimità del diniego di condono per eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria giacché il provvedimento impugnato richiama il parere negativo della Commissione provinciale per i Beni Ambientali, motivato in maniera apodittica, tautologica e priva di ogni riscontro istruttorio.

4.1. La Commissione provinciale per i Beni Ambientali aveva espresso parere sfavorevole al condono ritenendo «le baracche realizzate in legno e in lamiera» «ampliamenti costruiti con materiali la cui precarietà altera sia l’aspetto dell’edificio principale sia l’ambiente circostante».

4.2. Orbene, come già affermato da questa Sezione, in materia di dinieghi di condono, le specifiche caratteristiche dei manufatti, nel concreto spazio in cui insistono, possono consentire al giudice, cui sia offerto un adeguato supporto probatorio, di intendere ed eventualmente approvare (sempre, naturalmente, nei limiti del sindacato di legittimità) le ragioni del diniego stesso, per quanto solo compendiate nel provvedimento. In tal senso vanno intese le recenti decisioni (T.A.R. Veneto, II, 27.5.2009, n. 624;
T.A.R. Veneto, II, 24 gennaio 2009, n. 151) nelle quali la Sezione ha rammentato che l'obbligo di motivazione, ex art. 3 della legge n.241/90, può essere assolto in forma sintetica, laddove le ragioni della determinazione amministrativa risultino evidenti ed apprezzabili dal contesto.

4.3. In relazione a provvedimenti negativi in materia di nulla osta paesaggistico l'Amministrazione è, infatti, certamente tenuta a motivare in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto sottoposto all'esame con i valori paesaggistici tutelati, indicando le specifiche ragioni per le quali le opere edilizie considerate non si ritengano adeguate alle caratteristiche ambientali protette, motivazione questa che deve essere ancor più pregnante nel caso in cui si operi nell'ambito di vincolo generalizzato.

4.4. Nel caso in esame le ragioni del diniego sono correttamente incentrate sulla natura dei materiali (legno e lamiera) con i quali sono state edificate le baracche adibite a deposito biciclette e attrezzi, materiali che conferiscono ai detti manufatti un carattere di precarietà tale da alterare sia l’aspetto dell’edificio principale nelle cui vicinanze sono posti, sia l’intero ambiente circostante.

4.5. In definitiva, ad avviso del Collegio, nel caso in esame il diniego espresso in ordine alla domanda di sanatoria contiene una valutazione congruamente motivata che appare soddisfare i requisiti minimali della motivazione, essendo sufficiente, alla stregua di quanto appena evidenziato, l’affermazione che il manufatto in questione non è compatibile con il contesto ambientale per i materiali utilizzati e la tipologia costruttiva.

5. Sulla scorta delle suesposte considerazioni devono, pertanto, essere disattese tutte le censure relative al diniego di condono, nonché tutte le censure di invalidità derivata dedotte in relazione all’ordinanza di demolizione.

6. Vanno quindi disattesi, anche i motivi di ricorso – da trattarsi congiuntamente - relativi all’ordinanza di demolizione che costituisce atto dovuto e consequenziale al diniego di condono.

6.1. Per quanto concerne il rilievo inerente l'omessa acquisizione del parere della Commissione edilizia integrata, va rilevato che in sede di emanazione di ordinanza di demolizione di opere abusive in area vincolata non occorre acquisire il parere della CEI, dal momento che l'ordine di ripristino discende dall'applicazione della disciplina edilizia vigente e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni derivanti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio, con il corollario che il potere di disporre la demolizione di opere abusive rientra nei poteri sanzionatori edilizi di competenza del Comune.

6.2. Parimenti infondata è la censura con la quale si assume la natura pertinenziale dei manufatti in questione, atteso che la giurisprudenza distingue il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile (art. 817 ss. c.c.) da quello inteso in senso urbanistico (art. 7, comma 2, lett. a) del d.l. 23.1.1982 n. 9, convertito nella L. 25.3.1982, n. 94) per cui non assumono carattere di pertinenza quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa civilistica, sono suscettibili di svolgere una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere successivamente utilizzato in modo autonomo e separato. (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 11.2.2005, n. 365). In tale ottica non può essere riconosciuta, nei confronti dei manufatti in questione, la qualifica di pertinenza atteso anche che si tratta di interventi di non modesta entità.

6.3. Infine, se è vero che l'art. 7 della legge n. 47/1985 - ora trasfuso nell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 -, correttamente applicato ratione temporis alla fattispecie in esame, fa riferimento, al fine di individuare il destinatario delle misure repressive di abusi edilizi, al responsabile dell' abuso, va evidenziato che la giurisprudenza ha precisato che nei riguardi del proprietario dell'area di sedime e della costruzione dell'immobile sul quale sono eseguite le opere abusive esiste pur sempre una presunzione di responsabilità per gli abusi edilizi accertati, presunzione che può essere vinta dall'interessato solo dimostrando la sua estraneità all' abuso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1.10.1999, n. 1228;
Cons. Stato, sez. V, 28.1.1993, n. 178). Ne discende, pertanto, che il destinatario dell'ordinanza di demolizione è stato correttamente individuato nella ricorrente, avente causa dell’originario proprietario e coniuge dello stesso.

7. Sussistono, peraltro, giustificati motivi, in considerazione del mutamento degli orientamenti giurisprudenziali succedutisi nelle more del giudizio, per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.

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