TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2024-05-14, n. 202409514

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2024-05-14, n. 202409514
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202409514
Data del deposito : 14 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/05/2024

N. 09514/2024 REG.PROV.COLL.

N. 14703/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14703 del 2016, proposto da
Società Agricola Lieta Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G C e P L, con domicilio eletto presso lo studio P L in Roma, via G.Antonelli, 15;

contro

Ministero della cultura, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti


per l'annullamento

decreto MIBACT – Comm. Reg. Tut. Patr. Cult. del Lazio del 16 settembre 2016, recante “Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area Tenute storiche di Tor Mastorta, di Pilo Rotto, dell'Inviolata, di Tor dei Sordi, di Castel Arcione e di alcune comunità limitrofe nel Comune di Guidonia Montecelio”;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (ora Ministero della cultura);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2024 la dott.ssa F S C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La Società Agricola Lieta S.p.a. ha rappresentato di essere proprietaria di un appezzamento di terreno di circa 200 ettari sito nel Comune di Guidonia Montecelio e ubicato in adiacenza dell’autostrada A1, in una zona descritta come “ periurbana e parzialmente edificata ”, interessata da un procedimento di V.A.S. – in itinere – per la realizzazione di un polo direzionale di servizi urbani programmato con delibera di C.C. n. 43/2009 (il cui programma è previsto nel Piano Strategico Comunale approvato con delibera C.C. n. 49/2013).

2. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, notificato e depositato nei termini e forme di rito, la medesima Società è insorta avverso il decreto del MIBACT – Commissione Regionale per la Tutela del Patrimonio Culturale del Lazio adottato in data 16 settembre 2016 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 157 del 27 settembre 2016, recante dichiarazione di notevole interesse pubblico ex art. 136, co. 1, lett. c) e d) d. lgs. n. 42/2004 di un’area ubicata nel medesimo Comune di Guidonia Montecelio, nel cui perimetro è ricompreso anche il lotto di proprietà.

2.1. La ricorrente ha premesso, in punto di fatto, che una porzione dell’area de qua era stata già interessata, in passato, da un procedimento di apposizione del vincolo di tutela paesaggistica quale “zona di interesse archeologico” ai sensi dell’art. 142, co. 1, lett. m) del medesimo d. lgs. n. 42/2004 (per un’estensione di circa 1.500 ettari), nel corso del quale l’interessata aveva presentato osservazioni e che era stato successivamente archiviato all’esito del parere reso dall’Ufficio Legislativo del MIBAC con nota prot. n. 24710 del 19 ottobre 2015, motivato in ragione della nozione eccessivamente ampia di “zona di interesse archeologico” fatta propria dalla proposta di vincolo. Il nuovo decreto ha sottoposto a vincolo, sulla scorta di un diverso articolato normativo, un’area ancor più estesa di quella contemplata dalla suddetta precedente proposta, pari a circa 2.000 ettari.

2.2. In diritto il ricorso è affidato alle censure appresso sintetizzate:

I. Violazione, per falsa od omessa applicazione, degli artt. 136 e 142, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e s.m.i., con violazione, in via derivata, dell’art. 97, Cost., sub specie del principio di tipicità degli atti amministrativi, e con eccesso di potere per difetto d’istruttoria, carenza di presupposti e motivazione, manifesta irragionevolezza ed illogicità, violazione del giusto procedimento. Sviamento ”.

Il provvedimento assoggetterebbe ad un unico regime di tutela, imposto con un’unica dichiarazione fondata su un unico impianto motivazionale ed emessa all’esito di un’unica procedura istruttoria, distinte tipologie di beni [in specie, bellezze d’insieme di cui all’art. 136, co. 1, lett. c) e d) d.lgs. n. 42/2004, e zone d’interesse archeologico di cui al successivo art. 142, co. 1, lett. m) ], che avrebbero, invece, richiesto distinte procedure dichiarative, motivate in base al diverso interesse pubblico che con ciascuna di esse si persegue, fondate su differenti presupposti istruttori e, soprattutto, alla luce dei diversi effetti che ciascuna di dette misure vincolistiche produce, con apposizione di un regime (quello contemplato dalla Parte II del Codice) “ assai più penetrante e specifico ” di quello previsto dalla Parte III per le aree tutelate ope legis . Tale indebita commistione sarebbe resa evidente dal confronto tra la comunicazione di avvio del procedimento, incentrata prettamente sulle valenze panoramiche e dunque sulle qualità paesaggistiche dell’area da tutelare, e la relazione illustrativa accompagnatoria, la quale darebbe risalto quasi esclusivo ai suoi valori archeologici e storico-testimoniali (come emerge dal paragrafo intitolato “Motivazioni del provvedimento”). Tanto si tradurrebbe nella violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi, corollario del principio di legalità di cui all’art. 97 Cost.;

II. Violazione, per falsa od omessa applicazione, degli artt. 136 e 142, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e s.m.i., ed in sviata e falsa applicazione degli artt. 45, 46 e 47, d.lgs. n. 42/2004, con conseguente derivata violazione dell’art. 97, Cost., sub specie del principio di tipicità degli atti amministrativi, nonché in eccesso di potere per difetto d’istruttoria, carenza dei presupposti di fatto e diritto;
difetto di motivazione, manifesta irragionevolezza ed illogicità, violazione del giusto procedimento. Sviamento
”.

Il provvedimento sarebbe affetto da sviamento di potere conseguente alla denunciata violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi, con effetti illegittimi sia sul piano sostanziale che procedimentale, atteso l’erroneo incedere dell’azione amministrativa, avendo essa predisposto un indifferenziato regime di tutela da applicarsi ad ambiti estesissimi e del tutto eterogenei, i quali avrebbero invece richiesto specifica e distinta considerazione, al fine di apprestarvi una corretta, coerente e proporzionata protezione. A titolo esemplificativo cita la previsione, contenuta nel decreto di vincolo, che vieta di effettuare arature o movimenti di terra per un raggio di 100 metri a partire dal centro dei siti archeologici, quale funzionale non già alla salvaguardia dei coni visuali e delle prospettive panoramiche, come imporrebbe la ratio della tutela paesaggistica approntata ai sensi dell’art. 136, lett. c) e d) del d. lgs. n. 42/2004, ma alla tutela dell’integrità di eventuali reperti presenti nel sottosuolo, e dunque afferente ad un distinto ambito di interessi pubblici, oltre che avente una portata quantitativa tutt’altro che marginale, in quanto interessante un’estensione territoriale complessiva di ben 90 ettari circa;

III . “ Violazione, per falsa od omessa applicazione, degli artt. 136, 140 e 142, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, s.m.i., nonché in sviata violazione ed elusione dell’assetto di zona dettato dal p.t.p.r. adottato con D.G.R. Lazio n. 556 del 25 luglio 2007 e n. 1025 del 21 dicembre 2007, con conseguente complessiva violazione, in via derivata, dell’art. 97, Cost., nonché in eccesso di potere per difetto d’istruttoria, carenza di presupposti, difetto di motivazione, manifesta irragionevolezza ed illogicità, violazione del giusto procedimento. Sviamento ”.

Il regime di tutela concretamente imposto dal vincolo violerebbe i principi di logicità, proporzionalità e ragionevolezza del sacrificio imposto agli interessi proprietari privati: l’amministrazione avrebbe introdotto, senza un adeguato corredo motivazionale, un indifferenziato e rigido regime di divieti, esteso, senza alcuna diversificazione o gradazione, a ben 2.000 ettari (ossia ad un’area pari a circa un quarto del territorio comunale), peraltro configuranti ambiti assai eterogenei tra loro per caratteristiche e valenze paesaggistiche, impedendone, di fatto, ogni concreta utilizzazione. Sarebbe stato in tal modo aggravato il regime di tutela già dettato dal P.T.P.R. del Lazio tramite la riclassificazione “ in peius ” di tutte le aree ivi previste, senza nemmeno tener conto delle previsioni contenute sia nella L.R. n. 22/1996, istitutiva del Parco naturale-archeologico dell’Inviolata, sia nei decreti ministeriali con i quali sono stati individuati, in maniera puntuale, specifici beni archeologici, e così violando anche la ratio sottesa al disposto di cui all’art. 140, co. 2 d. lgs. n. 42/2004, che prevede che sia lo stesso atto impositivo del vincolo a dettare la specifica disciplina d’uso e valorizzazione dell’area di interesse paesaggistico (con previsione di un vincolo cd “vestito”), senza tuttavia che sia consentito vietare, se non in via del tutto eccezionale, qualsiasi possibilità di intervento o trasformazione dell’ambito tutelato, pena lo snaturamento delle funzioni e dei limiti dello strumento in esame.

3. Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (ora Ministero della cultura) si è costituito in giudizio e, con memoria illustrativa depositata in data 23 febbraio 2024, ha chiesto il rigetto del gravame in ragione della legittimità del gravato provvedimento di vincolo, in quanto inteso a tutelare una porzione del territorio del Comune di Guidonia Montecelio che conserva al suo interno un insieme particolarmente armonico di elementi agricoli e naturali, scarsamente antropizzati, inscindibilmente collegati con numerosissime preesistenze architettoniche (castelli e torri) e archeologiche di grande rilevanza storico artistica, quali beni diversi (che presentano aspetti di interesse agricolo, storico testimoniale) che concorrono a formare un insieme di particolare interesse paesaggistico, in quanto inscindibilmente coniugati tra loro, e introducendo una tutela differenziata per le singole parti del territorio suffragata da un’adeguata e articolata motivazione, in coerenza con la definizione di “Paesaggio” posta nell’articolo 131 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

3.1. Il Comune di Guidonia Montecelio e la Regione Lazio, pur evocati in giudizio, non si sono costituiti.

4. La ricorrente ha prodotto memoria ex art. 73, co. 1, cod. proc. amm. (dep. in data 23 febbraio 2024), con la quale ha ribadito le doglianze avanzate con il ricorso, insistendo per il suo accoglimento, e memoria di replica (dep. il 5 marzo 2024), con cui ha preso posizione sulle difese dedotte dall’amministrazione, che a suo giudizio sarebbero confermative della denunciata illegittimità del gravato decreto.

5. Alla pubblica udienza del 26 marzo 2024 il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il gravame è destituito di fondamento.

2. In punto di fatto è opportuno premettere quanto segue.

2.1. Come adombrato in narrativa, la Soprintendenza Archeologia del Lazio e dell’Etruria Meridionale, in concomitanza con la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le Province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, aveva avviato, con nota prot. n. 6491 del 6 agosto 2015, un procedimento diretto alla “ ricognizione e perimetrazione, con prescrizioni d’uso ” dell’area composta dalle “ tenute storiche di Tor Mastorta, Pilo Rotto, dell’Inviolata, di Tor dei Sordi, di Castell’Arcione e di alcune località limitrofe ricadenti nel Comune di Guidonia Montecelio ”, di estensione pari a circa 1.500 ettari, quale “zona di interesse archeologico” ai sensi dell’art. 142, co. 1, lett. m) del d. lgs. n. 42/2004, in quanto comprensiva al suo interno di un altissimo numero di “ importanti presenze archeologiche (in gran parte ancora da indagare) ”, oltre che della sua obiettiva attitudine a far emergere altri elementi di interesse archeologico (vedasi il corredo motivazionale della nota versata in atti al doc. 4 allegato al ricorso).

Tale procedimento, nel corso del quale l’Ufficio Legislativo del MIBAC rendeva il parere di cui appresso meglio si dirà, con il quale in sostanza rilevava la non congruità e dunque l’illegittimità, rispetto agli scopi perseguiti, della procedura attivata, non risulta essere stato portato a conclusione.

2.2. Con successiva nota prot. n. 6605 dell’11 marzo 2016, la citata Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le Province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo avviava un nuovo procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area denominata “ Tenute storiche di Tor Mastorta, Pilo Rotto, dell’Inviolata, di Tor dei Sordi, di Castell’Arcione e di alcune località limitrofe ” ai sensi della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio, segnatamente dell’art. 136, co. 1, lett. c) e d) d. lgs. n. 42/2004. La nota di avvio del procedimento era corredata da documentazione, tra cui la “Relazione Generale” redatta dallo stesso organo periferico e la perimetrazione dell’area (avente un’estensione pari a circa 2.000 ettari).

La suddetta proposta è stata formulata giusta il disposto dell’art. 138, co. 3 del Codice (“ E’ fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136 ”) e assoggettata all’iter procedimentale di cui agli artt. 139 e 141, con acquisizione delle osservazioni presentate dai soggetti interessati (tra cui anche l’osservazione della Società odierna ricorrente, di cui v. infra ), cui hanno fatto seguito le controdeduzioni della Soprintendenza.

La proposta è stata accolta con il decreto ministeriale n. 73 del 16 settembre 2016, oggetto del presente gravame.

Detto provvedimento, nel rinviare per relationem al contenuto della nota della Soprintendenza di avvio del procedimento, ha motivato l’apposizione del vincolo sul rilievo che l’area individuata conserva “ un insieme particolarmente armonico di elementi agricoli e naturali, scarsamente antropizzati se non dalla realizzazione, nel corso del tempo, di interessanti esempi di insediamenti agricoli tipici della Campagna Romana (…) inscindibilmente coniugati con una numerosissima serie di preesistenze architettoniche (castelli e torri) e archeologiche di grande rilevanza storico-artistica, alcune emerse e sottoposte a tutela diretta ed altre ancora non portate alla luce, così come riscontrabili nelle carte archeologiche storiche e recenti che testimoniano l’antica vocazione rurale di questi luoghi, rimasta pressoché inalterata fino ai nostri giorni ”.

Il decreto ha confermato la disciplina contenuta nel P.T.P.R. del Lazio adottato nel 2007, mantenendo invariate, per alcune delle aree ubicate all’interno dei confini ivi individuati, le classificazioni di “paesaggio” previste dalla Tav. A del piano territoriale e modificandole per altre (ad esempio con trasformazione in “Paesaggio naturale agrario” e “Paesaggio agrario di rilevante valore”). Inoltre, sono state confermate le prescrizioni contenute nelle norme del citato P.T.P.R. in riferimento ai diversi “paesaggi” e integrata la relativa disciplina con alcune specifiche prescrizioni d’uso (di cui si dirà meglio infra ), introdotte ai sensi dell’art. 140 co. 2 del d. lgs. n. 42/2004 (“ La dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. Essa costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo ”).

2.3. Al fine di meglio cogliere la portata delle censure dedotte con il gravame giova qui riportare, in forma sintetica, alcuni degli stralci più significativi della “Relazione generale” allegata al decreto del MIBACT quale parte integrante, in quanto contenente la compiuta descrizione dell’ambito territoriale incluso nel perimetro del vincolo e delle ragioni addotte a fondamento dello stesso.

In particolare, nelle sue premesse la relazione sottolinea come l’area sottoposta a tutela, comprensiva delle tenute storiche conosciute come “Tor Mastorta”, “Pilo Rotto”, “Inviolata”, “Tor dei Sordi, “Castell’Arcione”, nonché di territori limitrofi che le collegano in modo da formare con esse “ un insieme paesaggistico di notevole bellezza ”, configura un “ paesaggio (…) caratterizzato dalla persistenza delle caratteristiche agro-silvo-pastorali che per secoli hanno connotato, in generale, il territorio dell’Agro Romano e che in questo lacerto di campagna romana si sono mantenute pressoché intatte. Ampie zone di paesaggio vedono la presenza di seminativi e di uliveti;
l’agricoltura è ancora oggi, in quest’area, l’attività produttiva prevalente
”.

Il territorio di cui trattasi è poi meglio descritto nella parte del documento rubricata “ Descrizione e situazione attuale dell’area – Motivazioni del provvedimento ”, in cui si legge che l’area è compresa nella Campagna Romana (o Agro Romano), di cui conserva gli inconfondibili e pregevoli caratteri del paesaggio storico-archeologico, ma anche geologico-idrografico e naturalistico, famoso soprattutto fra i viaggiatori del Grand Tour e celebrato da artisti e scrittori: “ proprio queste caratteristiche della zona, che fondono le valenze naturali originarie dei luoghi con le modifiche apportate dall’antichissima frequentazione da parte dell’uomo, attraverso la trasformazione in zone coltivate e la realizzazione di agglomerati a carattere rurale di particolare bellezza ed interesse storico, ad aver reso necessario redigere il presente provvedimento, che intende conservare (come è già stato per la zona dell’ambito meridionale dell’Agro Romano compreso tra la Via Laurentina e la Via Ardeatina, nonché, in precedenza, per il vasto ambito dei Castelli Romani) la parte residua, in questa area del territorio a Nord-Est del Comune di Roma, della Campagna Romana così tanto celebrata in passato ”.

Ivi si legge che il paesaggio è formato da terreni destinati per il 90% a colture prevalentemente seminative con ritmo stagionale, che consente in inverno l’utilizzazione come pascolo stanziale e transumante, con la conservazione, sui pendii maggiormente acclivi e lungo i fossi, di apprezzabili estensioni di macchia, relitto degli ampi boschi medioevali: l’area, pertanto, si presenta come “ un insieme di elementi naturali, che caratterizzano soprattutto il territorio del Parco Regionale dell’Inviolata (già individuato dalla Regione Lazio), che il presente provvedimento intende inviluppare all’interno di una zona più vasta con caratteristiche simili, composti da zone boscate, alternate a zone coltivate o lasciate a pascolo, attraversate da numerosi percorsi, alcuni databili ad età romana (quali la Via della Selciatella) o addirittura preromana, ed altri rappresentati da viabilità vicinale risalente ad epoche storiche successive, dal Medioevo all’Ottocento, che collegavano i diversi agglomerati rurali, di cui oggi ancora si conservano le vestigia e dei quali molti sono ancora abitati ”. All’interno dell’area, circondata da una serie di corsi d’acqua minori, sono presenti antichi abitati e riserve naturali individuate con provvedimenti specifici, oltre agli unici due interventi pesantemente lesivi della sua integrità ( i.e. , discarica in località Inviolata e Bretella autostradale Fiano-San Cesareo), nonostante i quali il territorio si presenta in generale “ come un’isola sostanzialmente integra dal punto di vista ambientale-paesaggistico (…) di straordinaria rilevanza archeologica ”, data dalla presenza di “ ricchi giacimenti culturali (che datano dalla preistoria all’età moderna e che comprendono un notevole numero di preesistenze soprattutto di epoca romana, disseminate nell’intera estensione perimetrata, e di strutture architettoniche a carattere rurale di epoche storiche differenti) ”.

Segue un’ulteriore parte del provvedimento recante la “ Relazione archeologica, monumentale e paesaggistica ”, con compiuta e articolata descrizione dell’area sia dal punto di vista geografico e ambientale, sia sotto il profilo storico e archeologico.

2.4. Per completezza va altresì precisato che la proposta della Soprintendenza si colloca nel solco di altre iniziative volte alla tutela di ulteriori tratti di Campagna Romana (vedasi i riferimenti testuali, contenuti nella Relazione generale, all’ambito meridionale dell’Agro Romano compreso tra la Via Laurentina e la Via Ardeatina, nonché al vasto ambito dei Castelli Romani), su cui la giurisprudenza si è già pronunciata, sancendo la legittimità delle valutazioni operate dall’amministrazione (cfr. le sentenze del Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 533, 534 e 535, rese in merito al decreto con il quale era stato dichiarato il notevole interesse pubblico dell’area, sita nel Comune di Roma, denominata “ Ambito meridionale dell’agro romano compreso tra le vie Laurentina ed Ardeatina ”). Va del resto puntualizzato come questa Sezione, investita di ricorsi esperiti avverso ulteriori provvedimenti impositivi di vincoli di tutela su altre zone espressive dei tratti originari propri della “Campagna romana”, ha anch’essa confermato la validità delle determinazioni ministeriali volta per volta gravate, sulla scorta di argomentazioni che, come si dirà, si fondano su principi di diritto replicabili anche ai fini che qui occupano [cfr. ad es. T.A.R. Lazio, II quater, 30 ottobre 2018, n. 10464, confermata in appello da Cons. Stato, Sez. VI, 6 novembre 2019, n. 7570, avente ad oggetto il decreto con cui era stato dichiarato il notevole interesse pubblico dell’area “ Tenute storiche di Torre Maggiore, Valle Caia, e altre della Campagna Romana nei comuni di Pomezia e Ardea ” ai sensi delle stesse norme invocate nel provvedimento oggi impugnato - art. 136, co. 1, lett. c) e d) d. lgs. n. 42/2004 - e ancora le sentenze del 17 marzo 2021, n. 3238, 23 dicembre 2021, n. 13428 e 13 giugno 2022, n. 7786, relative al vincolo apposto sull’area “ La Campagna Romana tra la Via Nettunese e l’Agro Romano (Tenuta storica di Palaverta, Quarti di S. Fumia, casette, S. Maria in Fornarolo e Laghetto) ”].

3. Tanto opportunamente premesso, i passaggi della Relazione generale della Soprintendenza sopra riprodotti evidenziano come siano destituite di fondamento, in punto di fatto, le censure veicolate con il primo motivo di ricorso, incentrate sull’assunto che, nel caso, di specie, il resistente Ministero avrebbe indebitamente assoggettato ad un unico (e asseritamente più rigoroso) regime di tutela due distinte tipologie di beni, ossia i “complessi con valore estetico e tradizionale” e/o le “bellezze d’insieme”, da un lato, e le “zone d’interesse archeologico”, dall’altro, che il Codice dei beni culturali e del paesaggio invece contempla separatamente, ai sensi rispettivamente degli artt. 136, co. 1, lett. c) e d) e 142, co.1, lett. m) , sul presupposto che i rispettivi provvedimenti tutori si fondano su differenti presupposti e perseguono distinti interessi pubblici.

In altri termini, a giudizio della ricorrente, il provvedimento in esame sarebbe inficiato da uno sviamento di potere (assunto sul quale poggiano anche le censure dedotte con il secondo mezzo).

Invero, in disparte l’opinabilità, in punto di diritto, della tesi di parte, che vorrebbe essere distinta la disciplina approntata dal d. lgs. n. 42/2004 per i beni oggetto di vincolo dichiarativo ex art. 138 rispetto a quelli tutelati ex lege ai sensi dell’art. 142, laddove invece entrambe le tipologie di immobili e/o aree sono assoggettate all’unitaria disciplina di tutela contenuta nella Parte III del Codice e valida per tutti i “beni paesaggistici” (come elencati dall’art. 134), in ogni caso, al fine di escluderne la fondatezza, è dirimente la portata dell’impianto motivazionale articolato nella Relazione della Soprintendenza: dal tenore dei passi sopra riportati, oltre che dalla riassuntiva motivazione contenuta nel decreto, infatti, emerge chiaramente come l’amministrazione statale, muovendosi nell’ambito della definizione di paesaggio offerta dall’art. 131 d. lgs. n. 42/2004 (quale “ territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e umani, e dalle loro interrelazioni ”, la cui tutela attiene a quegli “ aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale o locale, in quanto espressione di valori culturali ”), abbia inteso salvaguardare un intero ambito territoriale considerato nel suo complesso, e dunque alla stregua di un “insieme” unitario, quale coacervo di plurimi elementi naturalistico-ambientali e archeologico-culturali che, nella loro interrelazione, fanno del luogo un contesto paesaggistico di notevole bellezza.

In particolare, quello di cui trattasi rappresenta un lacerto di campagna romana (e dunque una porzione dell’area storicamente nota come Agro Romano – vedasi anche l’esaustiva descrizione contenuta nella Relazione al par. 4.3), il quale, come si legge nell’impianto motivazionale dell’atto, ha mantenuto pressoché integre quelle originarie caratteristiche agro-silvo-pastorali che l’autorità tutoria ha ritenuto pregevoli e dunque meritevoli di tutela.

Il vincolo di tutela paesaggistica imposto nel caso di specie, dunque, trova il suo preciso referente normativo proprio nel disposto di cui alle lett. c) e d) del comma 1 dell’art. 136 d. lgs. n. 42/2004, che qualificano quali aree di notevole interesse pubblico, soggette a tutela paesaggistica, “ i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici ” e “ le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze ”.

Del resto, l’espressione “complesso di cose immobili” utilizzata dalla citata lettera c) implica una tutela estesa a porzioni di territorio che costituiscono, nel loro insieme inscindibile, un unico complesso paesaggistico (cfr. Cons. Stato, nn. 353, 354 e 355 del 2013, cit.)

Assodato che il potere di cui trattasi costituisce tipica espressione di discrezionalità tecnica, non sindacabile se non sotto i profili della manifesta illogicità, incongruità, irragionevolezza o arbitrarietà (v. infra ), giova ribadire l’orientamento già chiarito dalla Sezione (peraltro espresso proprio con riferimento al vincolo di tutela imposto su altre porzioni dell’Agro Romano, come sopra rappresentato), secondo cui dalle citate previsioni emerge come “ la tutela dei beni paesaggistici non è limitata alla tutela del dato di natura, ma anche del risultato storico dell’interazione tra intervento umano e dato di natura (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 luglio 2012, n. 3893). Il vincolo paesaggistico ha la funzione di tutelare l'assetto complessivo di una porzione di territorio ritenuta di valore sotto il profilo estetico o storico-culturale, al fine di prevenirne la modificazione e di garantirne la fruizione da parte del pubblico, conservando i valori di cui è riconosciuto portatore. Proprio per la peculiare natura dello stesso, il vincolo paesaggistico interviene non già sul singolo edificio o bene, ma, ontologicamente, su un ambito territoriale più esteso, corrispondente, secondo la discrezionale valutazione delle Autorità preposte alla tutela del vincolo stesso, a quello necessario per garantire la sua effettività (Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 5774). (…) la legge tutela il paesaggio di per sé come valore autonomo, sintesi e somma del rilievo naturalistico, ambientale, archeologico, culturale ed umano, del territorio ” (T.A.R. Lazio, II quater, n. 10464/2018, cit.).

Ed ancora: “ il vincolo paesaggistico relativo alle bellezze naturali (art. 136, comma 1, lett. d) del D. Lgs. n. 42/2004) riguarda la bellezza estetica e panoramica offerta dalla natura, il c.d. «quadro naturale», salvaguarda il panorama e le visuali e protegge «il paesaggio quale interesse pubblico alla tutela della bellezza dei luoghi nel loro insieme, quindi rispetto alla sua fruibilità visiva da parte della collettività» (Cons. Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2013, n. 1022) ” (cfr. ancora T.A.R. Lazio, II quater, 27 gennaio 2021, n. 1080).

Dunque, il vincolo di tutela di cui all’art. 136, co. 1, lett. c) e d) d. lgs. n. 42/2004 è approntato ai fini della salvaguardia di un contesto considerato nel suo insieme, e dunque nella sua unitarietà e globalità, quale espressivo di valori naturalistico-ambientali e/o storico-culturali di particolare pregnanza e/o di rilevante pregio estetico e percettivo, che ne fanno un “bene paesaggistico”, e dunque un quid espressivo di identità nazionale e di valori culturali da conservare e valorizzare (cfr. il citato art. 131 del Codice del 2004).

Ebbene, il gravato decreto risponde appieno a tali coordinate ermeneutiche, avendo l’amministrazione individuato un determinato contesto territoriale che, per le sue complessive caratteristiche e l’insieme “ particolarmente armonico ” di plurimi elementi agricoli e naturali, frammisti a componenti storico-architettoniche e archeologiche che attestano l’originaria vocazione rurale dell’area (che sarebbe rimasta pressoché immutata sino all’attualità), appare meritevole di salvaguardia, con valutazione discrezionale scevra da manifesti vizi di illogicità/irragionevolezza e compendiata in una motivazione sufficientemente articolata ed esaustiva.

Ne consegue, dunque, che non ha pregio la doglianza con cui la parte lamenta che sarebbero stati contemplati, in via quasi esclusiva, i valori archeologici e storico-testimoniali del sito, e dunque assoggettati ad un vincolo unico beni paesaggistici che assume essere diversi, operando in tal modo una indebita “commistione” tra profili che avrebbero dovuto essere mantenuti distinti: come trapela dall’impianto motivazionale della Relazione generale acclusa al decreto, infatti, i riferimenti alle testimonianze e reperti archeologici esistenti in loco (e già sottoposti a tutela diretta, dunque ad un vincolo specifico e puntuale) non sono fini a se stessi, nel senso di rappresentare la principale (se non unica) ragione di tutela, bensì vanno intesi come finalizzati a mettere in evidenza l’esistenza anche di componenti di interesse archeologico e architettonico, e dunque espressivi di valori storico-artistici che comunque si innestano in un più ampio contesto, scarsamente antropizzato e dunque ancora oggi portatore di un’originaria vocazione agreste ritenuta di particolare pregio.

È proprio nelle complessive e variegate caratteristiche d’insieme dell’ambito territoriale perimetrato che risiede l’essenza del vincolo imposto dall’autorità.

In tal senso depongono chiaramente anche le controdeduzioni della Soprintendenza alle osservazioni presentate in sede procedimentale dalla Società in relazione alla proposta di vincolo (versate in atti al doc. 8 allegato al ricorso), in cui si legge testualmente che “ la procedura qui avviata riguarda principalmente la tutela degli aspetti naturali ed agrari della porzione di territorio in esame, che formano un insieme inscindibile con i valori archeologici, storici e monumentali in essa contenuti e ancora perfettamente leggibili ” (cfr. osservazione n. 5).

Peraltro, è lo stesso parare dell’Avvocatura dello Stato prot n. 24710 del 2015, richiamato in ricorso e versato in atti dalla difesa ministeriale, reso nel corso del precedente procedimento (poi mai concluso) diretto alla “ ricognizione e perimetrazione, con prescrizioni d’uso ” dell’area di cui trattasi quale “zona di interesse archeologico” ai sensi dell’art. 142, co. 1, lett. m) del d. lgs. n. 42/2004, a dare atto che le finalità di tutela prospettate dall’amministrazione, preordinate alla salvaguardia di un “ paesaggio «misto», non solo archeologico, ma esprimente anche altre categorie e tipologie di valori paesaggistici ”, pur “ condivisibili e ben argomentate ”, avrebbero dovuto essere perseguite utilizzando il più appropriato strumento, specificamente previsto dal legislatore, della “nuova” dichiarazione di interesse pubblico paesaggistico, ai sensi degli artt. 138, comma 3, e 141 del codice [“ le (consistenti e significative) ragioni di sottoposizione a vincolo delle aree prese in considerazione dall’ampia istruttoria compiuta dovrebbero (se del caso) essere soddisfatte attraverso la procedura più appropriata e calzante per la fattispecie in oggetto, ossia attraverso la procedura di dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico per iniziativa autonoma ministeriale, ai sensi dei già ricordati artt 138, comma 3, e 141 del codice, sulla falsariga del «modello» positivamente sperimentato per il vincolo del 2009 dell’Agro romano (area peraltro, a quel che sembra di comprendere dai dati disponibili, sostanzialmente omogenea per la tipologia di plurimi valori paesaggistici, anche archeologici, espressi ”].

4. Essendo questa la ratio sottesa al regime di tutela approntato, perdono di consistenza anche gli ulteriori profili di doglianza avanzati con il gravame, a principiare dal riferimento all’ampiezza del contesto territoriale salvaguardato e alla pretesa “eterogeneità” degli ambiti territoriali inclusi nel perimetro del vincolo.

In via generale va opportunamente premesso che, in linea con la consolidata giurisprudenza, la tutela del paesaggio è volta a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime, con il risultato che la dichiarazione di notevole interesse pubblico costituisce il frutto di un giudizio valutativo nel quale convergono una pluralità di competenze tecnico-scientifiche, tutte concorrenti al fine di dare concretezza a una nozione – quella di bene paesaggistico – che rappresenta un vero e proprio concetto giuridico indeterminato. In quanto tale, la dichiarazione di interesse è giocoforza connotata da un apprezzabile margine di opinabilità, la quale riflette il carattere delle differenti cognizioni specialistiche che vi concorrono, tutte ascrivibili al novero delle scienze umane (antropologia, urbanistica, architettura, urbanistica, storia, storia dell’arte, agronomia, a titolo puramente esemplificativo) e non delle scienze esatte. Ne consegue che il sindacato giurisdizionale – sempre ammissibile, trattandosi della valutazione di fatti complessi e non di scelte di stretto merito amministrativo – va condotto sul piano dell’attendibilità del giudizio tecnico espresso dall’amministrazione, essendo il giudice chiamato a stabilire se quel giudizio rientri o meno nella gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto: detto sindacato, così inteso, è comunque pieno e presuppone che la parte interessata contesti e ponga seriamente in discussione il nucleo delle valutazioni tecniche che fondano la dichiarazione di notevole interesse, col risultato che laddove nessun profilo di inattendibilità emerga a carico di tali valutazioni, e semplicemente restino sul campo a fronteggiarsi opinioni tecnico-scientifiche divergenti, ma tutte allo stesso modo plausibili, il giudice non può che dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito della competenza ad adottare decisioni collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato (in tal senso cfr. recente T.A.R. Toscana, Sez. I, 20 febbraio 2024, n. 194).

Nel caso di specie, le valutazioni ministeriali si palesano attendibili, in quanto suffragate da un impianto motivazionale articolato e puntuale (vedasi la Relazione generale acclusa al decreto, di cui sono stati sopra riportati i passaggi più significativi), che non consente di cogliere profili di implausibilità, irragionevolezza o manifesta illogicità.

4.1. In particolare, quanto all’estensione del perimetro del vincolo (comprensivo di una porzione territoriale di circa 2.000 ettari), che la Società (in più punti del ricorso) lamenta essere eccessiva, anche perché assai maggiore di quella individuata nel corso del precedente iter procedimentale azionato ai sensi dell’art. 142, co. 1, lett. m) d. lgs. n. 42/2004 (di circa 1.500 ettari), è sufficiente rinviare alla consolidata giurisprudenza, anche di questa Sezione (cfr. T.A.R. Lazio, II quater, n. 10464/2018, cit., peraltro relativa ad un vincolo di analoga estensione, essendo anch’esso pari a circa 2000 ettari), la quale ha sancito che “ l’ampia estensione delle aree vincolate appare irrilevante una volta riconosciuta l’esistenza dei presupposti per sottoporre a tutela una parte ampia di territorio proprio in quanto avente le caratteristiche del richiamo «identitario», nel caso di specie, con riferimento agli aspetti tipici della «Campagna Romana» ” (la sentenza rinvia poi ai principi di diritto enunciati dal Consiglio di Stato con le citate sentenze del 29 gennaio 2013, n. 533, n. 534, n. 535, che hanno sottolineato l’irrilevanza rispetto ai fini paesaggistici della particolare ampiezza dell’area, in quanto è proprio l’estensione dell’area che costituisce il “ presupposto per la sua qualificazione in termini di paesaggio, offrendo il contesto identitario dell’ampiezza dei quadri panoramici segnati dal permanente uso agricolo diffuso, nel cui ambito si sono stratificati gli ulteriori caratteri sia storici, archeologici e architettonici, che di vegetazione, con un effetto d’insieme qualificante l’intera area nella sua complessiva consistenza, non identificabile senza l’apprezzamento della configurazione assunta dalla stessa nella sua estensione, non essendo la tutela isolata delle sue singole componenti equivalente alla tutela del complesso in cui ciascun elemento si correla agli altri, integrandosi nell’insieme e rapportandosi ai tratti comuni di questo insieme i sistemi paesistici che lo compongono, anche con le trasformazioni intervenute ”). Anche in sede di appello è stato confermato che “ la giurisprudenza si è (…) occupata del caso che qui rileva, ovvero dell’ipotesi in cui si intenda vincolare una porzione di territorio particolarmente estesa, ed ha affermato che il tipo di vincolo da imporre anche in questo caso non è necessitato a priori, ma dipende dalle finalità che in concreto si vogliono perseguire: quando, come avviene più di frequente, si intenda conservare la visuale, si imporrà la tutela dei beni paesaggistici;
si potrà invece legittimamente imporre la tutela propria del bene culturale quando si intenda conservare non la visuale, ma la consistenza materiale dell’area, che rappresenti un’eredità storica. In tal senso, l’ampia estensione dell’area è irrilevante, perché la tutela dovrà estendersi fin dove del bene culturale esistano le caratteristiche
” (cfr. Cons. Stato, sent. 7570/2029, cit.).

Vedasi ancora quanto sancito da T.A.R. Lazio, Sez. II quater, n. 13428/2021, cit., secondo cui “ nella ratio del provvedimento è proprio l'estensione dell'area che costituisce il presupposto per la sua qualificazione in termini di paesaggio, offrendo il contesto identitario dell'ampiezza dei quadri panoramici segnati dal permanente uso agricolo diffuso, nel cui ambito si sono stratificati gli ulteriori caratteri sia storici, archeologici e architettonici, che di vegetazione, con un effetto di insieme qualificante l'intera area nella sua unitaria complessità. Il riconoscimento di tale unitarietà non sarebbe stato perciò possibile senza l'apprezzamento della configurazione assunta dall'area nella sua estensione, non essendo la tutela isolata delle sue singole componenti equivalente alla tutela del complesso in cui ciascun elemento si correla agli altri integrandosi nell'insieme, rapportandosi ai tratti comuni di questo insieme i sistemi paesaggistici che lo compongono anche con le trasformazioni intervenute. Al riguardo occorre prendere atto della scelta di fondo di ritenere meritevole di tutela, nel contesto sociale, urbanistico e culturale attuale, la «campagna romana»;
scelta che si deve ritenere compiuta nell'esercizio della discrezionalità amministrativa espressione della «politica di settore» e in quanto tale non suscettibile di censura se non nei limiti della ragionevolezza (…)
”.

In altri termini, e come ribadito anche di recente, la tutela paesaggistica non è pregiudizialmente incompatibile con la cospicua estensione del territorio interessato (cfr. T.A.R. Toscana, n. 194/2024, cit.).

4.2. Quanto al secondo profilo, rappresentato dalla dedotta “eterogeneità” delle componenti invocate nel decreto (vedasi sul punto quanto argomentato con il secondo mezzo), occorre ribadire che la tutela paesaggistica appontata a vaste aree territoriali, ai sensi delle lett. c) e d) dell’art. 136 cui è stata data applicazione del caso di specie, trova il suo ragionevole presupposto nella presenza (come riscontrato nella fattispecie in esame) di elementi unificanti che operano a più livelli, tanto sotto il profilo più propriamente naturalistico e geo-morfologico quanto sotto quello architettonico/archeologico e dunque culturale/testimoniale, i quali, come detto, vanno considerati nella loro globalità, concorrendo nella loro interrelazione a formare un insieme che l’amministrazione reputi espressivo di valori identitari meritevoli di essere preservati e salvaguardati.

4.3. La parte, poi, tenta di corroborare il proprio assunto difensivo ( i.e ., esistenza di uno sviamento di potere) richiamando la prescrizione, contenuta nel decreto di vincolo, che vieta di “ effettuare arature o movimenti di terra per un raggio di 100 m a partire dal centro dei siti archeologici con complessi monumentali e ruderi emergenti, corrispondenti ai numeri 8, 12-13, 15, 17, 22, 25, 28, 33, 35-37, 39-40, 42-43, 47, 49, 53, 63, 69-70, 73, 78, 80, 86-87, 90-91, indicati nella planimetria inclusa nella Relazione generale ”, quale in tesi estranea al novero delle possibili misure di tutela paesaggistica del contesto (e finanche avulsa dagli obiettivi di tutela delle “zone di interesse archeologico”).

Tale deduzione, che si appunta solo su una delle diversificate prescrizioni d’uso introdotte dal decreto, si palesa inammissibile per difetto di interesse.

Negli scritti difensivi, infatti, non è stato dedotto alcunché in ordine alla concreta lesività che tale imposizione esplica nei confronti della sfera giuridica della ricorrente, non essendo possibile evincere se il lotto di sua proprietà sia in effetti ubicato nelle immediate vicinanze (per meglio dire, a distanza inferiore a 100 metri) di uno dei siti archeologici tutelati presenti nel perimetro dell’area e come tale, dunque, attinto, in via di fatto, dal suddetto divieto.

5. Sono prive di fondamento anche le censure veicolate con l’ultimo mezzo, le quali si appuntano, in sostanza, sul contenuto delle prescrizioni imposte dal vincolo, di cui lamentano un difetto di ragionevolezza e proporzionalità, in ragione della loro eccessiva rigidità, oltre che un deficit motivazionale.

Giova premettere che, ai sensi dell’art. 138, co.1, ultimo periodo d. lgs. n. 42/2004, la proposta volta alla dichiarazione di notevole interesse pubblico contiene anche “ le prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei valori espressi ”, dovendo detta dichiarazione dettare “ la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato ”, giusta il disposto del successivo art. 140, co. 2, secondo il modello della cd “vestizione” del vincolo.

Le citate prescrizioni d’uso hanno carattere atipico, dovendo le medesime essere “tagliate” sullo stato dei luoghi e dunque variamente congegnate, con valutazione di tipo necessariamente casistico e non predeterminabile ex ante , in quanto funzionale all’individuazione delle misure specifiche che, volta per volta, appaiono le più adeguate ad assicurare la conservazione dei valori espressi dal sito.

Ciò precisato, la parte non ha addotto alcun elemento preciso da cui possa desumersi l’irragionevolezza o abnormità delle misure introdotte dal Ministero, al di là, ancora una volta, di un vago riferimento all’eccessiva estensione del perimetro tutelato (su cui si rinvia a quanto sopra argomentato) e alla pretesa impossibilità di una concreta utilizzazione, di fatto, dell’intera area inclusa entro detto confine, con deduzione che tuttavia non trova conforto nello specifico contenuto del decreto: il provvedimento, infatti, oltre a sancire il già citato divieto di movimentazioni di terra a ridosso dei complessi archeologici, si limita a vietare la realizzazione di strade carrabili ulteriori, l’installazione di tralicci e/o piloni di grandi dimensioni con altezza superiore a 6 m, l’ampliamento o la riapertura del sito della discarica esistente, oltre a prevedere prescrizioni in merito alla cartellonistica, rinviando, per il resto, all’intero corpo normativo del P.T.P.R adottato, di cui conferma le prescrizioni relative ai diversi paesaggi individuati.

Trattasi di specifiche e puntuali prescrizioni d’uso che, con valutazione tecnico-discrezionale non irragionevole, sono state reputate le più idonee alla conservazione e salvaguardia dei valori paesaggisti espressi dall’ambito territoriale da tutelare: sul punto è stato motivato che “ gli obiettivi di tutela prefissati, a quanto indicato nell’art. 135, comma 4 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (…) sono: - la conservazione degli elementi costituitivi e delle morfologie dei beni paesaggistici esistenti, tenendo presenti le numerose valenze architettoniche e archeologiche e le tecniche e i materiali costruttivi delle preesistenze, con particolare attenzione alle esigenze di ripristino dei valori paesaggistici;
- la riqualificazione delle aree compromesse e degradate. Ciò con riferimento, in primo luogo, all’area della discarica e dell’impianto di smaltimento dei rifiuti ed anche alle altre zone parzialmente compromesse da interventi di varia natura, come descritte nella Relazione Generale
” (v. le “Norme” redatte dalla competente Soprintendenza e allegate al decreto quale parte integrante, versate in atti al doc. 6 della produzione documentale dell’Avvocatura dello Stato).

L’amministrazione, dunque, ha motivato la funzione cui sono preordinate le prescrizioni d’uso introdotte dal decreto, né la ricorrente ha efficacemente argomentato che la specifica disciplina di tutela di cui trattasi abbia impedito, in radice, qualsivoglia utilizzazione di fatto dell’intera area inclusa nel perimetro del vincolo.

6. In conclusione, accertata la legittimità del gravato provvedimento, il ricorso va rigettato.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono stabilite in favore del Ministero della cultura nella misura liquidata in dispositivo, mentre nulla si dispone nei confronti delle ulteriori amministrazioni (ossia la Regione Lazio e il Comune di Guidonia Montecelio) evocate in giudizio (il ricorso, infatti, è stato proposto anche “nei confronti” di tali Enti) e non costituitesi, con la puntualizzazione che le medesime non rivestono propriamente la qualifica processuale di soggetti “controinteressati” ai sensi e agli effetti dell’art. 41, co. 2 cod. proc. amm.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi