TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2011-03-22, n. 201100192

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2011-03-22, n. 201100192
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Reggio Calabria
Numero : 201100192
Data del deposito : 22 marzo 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00467/2009 REG.RIC.

N. 00192/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00467/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 467 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Coopservice -Società Cooperativa Sociale A.R.L.-, rappresentato e difeso dall'avv. M A L, con domicilio eletto presso Fabio De Simone Sacca' Avv. in Reggio Calabria, via del Gelsomino, 35;

contro

Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15;

per l'annullamento

(con il ricorso e con motivi aggiunti):

delle informazioni emesse dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, datate 01.12.2008 e recanti il nr.0237176/7-13 P conosciute in data 09.10.2009;

dell'informativa antimafia a carattere interdittivo emessa dalla Prefettura di Reggio Cal. il 29.5.2009 nei confronti della Società ricorrente e comunicata il 9.6.2009 dalla A.S.L. di Locri e conosciuta nel suo contenuto il 16.6.2009 a seguito di accesso agli atti (prot. nn. 36979, 36981 e 36985)

nonchè per il risarcimento di tutti i danni derivati per effetto della informativa interdittiva.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria;

Viste le ordinanze nn. 349/09 e 400/09 con cui è stata respinta la domanda cautelare, proposta rispettivamente, nel ricorso e nei motivi aggiunti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2011 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La Cooperativa in epigrafe ricorre avverso le determinazioni dell’Autorità con cui sono state attestate a suo carico circostanze comportanti il rischio di infiltrazioni mafiose, con conseguente effetto interdittivo.

Avverso tali atti deduce articolate censure, sia con il ricorso che con i motivi aggiunti.

Si è costituita l’Amministrazione intimata che resiste al ricorso ed ai motivi aggiunti di cui chiede il rigetto.

Con due distinte ordinanze, la nr. 349/09 e la nr. 400/09 è stata respinta la domanda cautelare, formulata nel ricorso e riproposta nei motivi aggiunti.

Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

A conferma dell’orientamento espresso in sede cautelare, il gravame è infondato e va respinto.

In fatto, si osserva che a motivazione dell’informazione interdittiva impugnata è stata posta dall’Autorità la circostanza che una dei soci è coniugata con un detenuto gravato da precedenti penali per vari reati tra i quali quello di associazione a delinquere di stampo mafioso;
il coniuge di un’altra socia è stato più volte controllato con pregiudicati;
tra i dipendenti, diciotto di essi sono coniugati, o comunque imparentati, con membri appartenenti o vicini ai clan mafiosi dei Cordì e dei Cataldo.

La difesa della ricorrente basa le sue censure sulla prospettazione di un errore di valutazione o comunque di una carente motivazione dell’apprezzamento dell’Autorità, evidenziando che i dipendenti interessati dagli accertamenti sono un numero esiguo in relazione agli 89 dipendenti complessivi, ricevono una retribuzione minima, dunque sono in una posizione che non consente loro di influire in alcun modo sulle scelte gestionali dell’impresa;
ed, in ogni caso, sono stati tutti licenziati al fine di rendere la Cooperativa immune da ogni censura (alcuni dei quali, tuttavia, riassunti in servizio a seguito di vittoriosa lite di fronte al Tribunale civile di Locri).

Ad avviso del Collegio, l’entità degli accertamenti delle Forze dell’Ordine è complessivamente idonea a sostenere il giudizio di pericolo che l’Autorità ha tratto a fondamento della misura impugnata.

Va premesso che, secondo la giurisprudenza, in tema di informative antimafia interdittive ai sensi dell’art. 10 comma 7 lett. “c”, del DPR 252/98 è necessario e sufficiente, ai fini della loro adozione, la concomitanza di un quadro di oggettiva rilevanza, dal quale desumere elementi che, secondo un giudizio probabilistico, o anche secondo comune esperienza, possano far presumere non una attuale ingerenza delle organizzazioni mafiose negli affari, ma una effettiva possibilità che tale ingerenza sussista o possa sussistere (ex multis, da ultimo, Consiglio Stato , sez. VI, 03 marzo 2010 , n. 1254;
T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 01 marzo 2010 , n. 248;
TAR Reggio Calabria, 20 ottobre 2010, nr. 943).

A tale proposito, la circostanza che un numero congruo di dipendenti di una Cooperativa sociale sia direttamente ricollegato o ricollegabile a sodalizi criminali operanti nel territorio e che tali sodalizi siano essenzialmente omogenei tra loro, denota con un grado evidente di probabilità l’esposizione della medesima Cooperativa all’influenza dei suddetti sodalizi.

In primo luogo, la fattispecie presa in esame dalle relazioni delle Forze dell’Ordine denota plurimi e stabili contatti di un rilevante numero di dipendenti con soggetti controindicati, valorizzati dalla loro connessione con vicende dell’impresa che depongono nel senso di una attività sintomaticamente connessa a logiche ed interessi malavitosi (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, VI, 19 ottobre 2009, nr. 6380).

In secondo luogo, è notorio che una delle variegate caratteristiche delle attività criminali della ‘ndrangheta è quella di assicurarsi un controllo su attività economiche imprenditoriali esterne per servirsene anche allo scopo di assunzione di manovalanza o di operatori di basso profilo in entità economiche idonee a contrattare con la PA. Ciò assicura alle famiglie mafiose la possibilità di gestire posti di lavoro ed offrire occasioni di impiego, per quanto poco qualificati, con conseguente accentramento di potere e di influenza sulla società o sulle comunità locali.

Tale risulta essere il significato del rischio di infiltrazioni che l’Autorità ha paventato nel caso in esame, senza vizi logici e senza manifeste incongruenze: la sussistenza di diciotto dipendenti su ottantanove con pregiudizi o comunque con collegamenti parentali molteplici con vari esponenti di due sodalizi criminali pacificamente come tali riconosciuti, può essere senza dubbio ricollegata o ricollegabile alla avvenuta creazione di un serbatoio lavorativo disponibile per i suddetti sodalizi criminali per un facile e pronto reperimento di occasioni di impiego.

Si aggiunga che tale tipologia di influenza mafiosa o, comunque, la prospettabilità di un serio e ragionevole rischio di ingerenza nella conduzione dell’impresa, è favorita nel caso di un organismo imprenditoriale destinato ad operare nel campo dei servizi, laddove l’elemento personale delle prestazioni erogate è fortemente predominante sui fattori del capitale o delle attrezzature ed a maggior ragione laddove l’assenza di qualificazione elevata del medesimo personale ne renda possibile il reclutamento tra soggetti di media o bassa formazione professionale.

Ciò rende recessive le deduzioni difensive di parte ricorrente, circa il modesto compenso ed il ruolo meramente esecutivo degli operatori interessati, come pure le considerazioni secondo cui essendo la Cooperativa di tipo B le sue assunzioni sono ordinariamente rivolte a persone svantaggiate (incluse quelle provenienti dal circuito penale), perché quest’ultima circostanza è indicata dalla difesa di parte ricorrente in maniera puramente ipotetica, senza nessuna dimostrazione che i 18 dipendenti siano stati effettivamente assunti in tale veste.

Peraltro, la giurisprudenza del Tribunale ha già ravvisato nell’offerta di assunzione in una impresa rivolta a persone vicine o gravitanti nel circuito mafioso, un elemento indicatore di una possibile infiltrazione mafiosa nella gestione dell’azienda (cfr. TAR Reggio Calabria 7 aprile 2009, nr. 224) e tale principio trova nell’odierna vicenda una ulteriore conferma.

Irrilevante, dunque, è l’avvenuto licenziamento del personale interessato, perché ciò non incide sulla legittimità del provvedimento adottato in precedenza e comporta solamente un obbligo di riesame da parte dell’UTG (che dovrà essere condotto con la necessaria attenzione ed approfondimento, allo scopo di accertare che i mutamenti nella compagine sociale siano il frutto di una effettiva “sterilizzazione” dell’organismo, non comportino rischi di semplice interposizione fittizia e non mantengano comunque elementi di riferibilità al contesto mafioso anche in relazione al restante personale in servizio, alla provenienza delle dotazioni finanziarie ed operative, all’impiego dei proventi e simili).

Il ricorso è dunque infondato e come tale va respinto.

La circostanza suesposta costituisce una giustificata ragione per disporre la piena compensazione delle spese di lite tra le parti.

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