TAR Roma, sez. I, sentenza 2023-04-24, n. 202307037
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Testo completo
Pubblicato il 24/04/2023
N. 07037/2023 REG.PROV.COLL.
N. 04443/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4443 del 2021, proposto da FU AD, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro AD, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Giustizia, Csm - Consiglio Superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Tribunale di Civitavecchia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
- previa disapplicazione dell’art.29, comma 2, del d.lgs. n. 116/2017 ed in diretta applicazione del diritto europeo, del provvedimento del CSM comunicato con la nota prot. n. 6873 del 26 marzo 2021 - pratica CSM n. 557/GP/2010 (delibera di conferma dell’incarico quadriennale come giudice di pace in servizio presso la sede di Civitavecchia a decorrere dal 1° giugno 2020), nella parte in cui prevede la cessazione ope legis del ricorrente dal servizio di giudice di pace al compimento del 68° anno di età, vale a dire a partire dal 3 maggio 2021;
- per l’accertamento del diritto del ricorrente, quale giudice di pace ancora in servizio, ad ottenere lo status di pubblico dipendente equiparabile quanto alle condizioni di lavoro al magistrato professionale, e quindi al trattenimento in servizio fino al compimento del 70° anno di età, previa disapplicazione dell’art. 29, comma 2, del d.lgs. n.116/2017, in diretta applicazione del diritto europeo (con riserva per ogni eventuale collegata pretesa volta alla ricostruzione della posizione giuridica, economica, assistenziale e previdenziale del ricorrente equiparata alle condizioni di lavoro del magistrato professionale, ed alla corresponsione delle relative differenze retributive);
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, del Csm - Consiglio Superiore della Magistratura e del Tribunale di Civitavecchia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2023 il dott. Filippo Maria Tropiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, Giudice di Pace presso l’Ufficio di Bracciano, ha impugnato la deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura del 26 marzo 2021, nella parte in cui l’Organo ha previsto la cessazione dell’incarico de quo al raggiungimento del 68° anno di età e cioè al 3 maggio 2021, non riconoscendo all’istante la durata speciale prevista per i magistrati ordinari sino al raggiungimento dell’età pensionabile. Ha altresì agito per sentir accertare il proprio diritto ad essere riconosciuto nello status di pubblico dipendente equiparabile al magistrato togato con decorrenza dal primo incarico rivestito e sino al termine di pensionabilità necessario per il requisito contributivo, con conseguente condanna del datore di lavoro. Ha chiesto dunque la costituzione di un rapporto di pubblico impiego in ragione della predetta parità sostanziale di funzioni con i magistrati professionali, con riserva di agire per l’ottenimento della ricostruzione della posizione giuridica, economica, assistenziale e previdenziale, come equiparata alle condizioni di lavoro del magistrato professionale, ed alla corresponsione delle relative differenze retributive).
Si sono costituite le amministrazioni intimate, contestando il ricorso e chiedendone il rigetto a mezzo di ampie deduzioni difensive.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 25 gennaio 2023.
Tanto premesso in fatto, il Collegio rileva che le domande svolte sono tutte incentrate sulla dedotta equiparazione tra la figura del giudice onorario con quella del giudice professionale cd. togato, per le motivazioni dettagliatamente esposte in ricorso.
Orbene, la questione della pretesa equiparazione del magistrato onorario al giudice togato è stata già risolta dalla Sezione in vari precedenti, ai quali si può rinviare ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 74, comma 4 del codice di rito (v. tra le varie sentenze nn. 13897/2022 e 14067/2022).
Il TAR ha ritenuto l’ontologica differenza che intercorre tra i magistrati divenuti tali per concorso e i giudici onorari contemplati dall’articolo 106, comma due, della Costituzione, quali funzionari onorari non inseriti organicamente nei ruoli del personale statale.
Il Tar ha così opinato “… La domanda di costituzione del rapporto di impiego è dunque infondata in quanto lo impedisce la Costituzione stessa; né essa può essere dedotta dai successivi rinnovi degli incarichi, i quali avrebbero fatto insorgere un affidamento nella definitività del rapporto. Premesso che la temporaneità degli incarichi era nota anche al ricorrente e a tutti i magistrati onorari che venivano di volta in volta prorogati (spesso con il veicolo normativo del cd. “milleproroghe”), va osservato che l’articolo 106 Cost. impone il superamento dell’apposito concorso per l’ingresso nella magistratura ordinaria. A testimonianza della differenza esistente, vale rilevare che i giudici onorari assumono limitate funzioni giurisdizionali, tanto da essere sottoposti anche a stringenti limiti di compatibilità con l’esercizio di attività libero-professionale; elemento quest’ultimo, che chiaramente depone per l’insussistenza di un rapporto di pubblico impiego, uguale a quello dei giudici per concorso. Né si dà alcuna violazione tra il regime di permanenza in servizio dei giudici di pace, con l'art. 117 Cost., per contrasto fra la legge nazionale e l'art. 12 della Carta sociale europea, la quale prevede il diritto di ciascun lavoratore alla sicurezza sociale, tenendo tuttavia conto che l'art. E, della Parte V, della Carta, dispone che “Una differenza di trattamento fondata su un motivo obiettivo e ragionevole non è considerata discriminatoria”. Del resto, se è vero che la violazione delle norme convenzionali internazionali o sovranazionali comporta l'illegittimità della norma nazionale, è sempre necessario verificare, secondo la teoria dei cd. contro-limiti