TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-11-22, n. 201033793
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Testo completo
N. 33793/2010 REG.SEN.
N. 03457/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3457 del 2010, proposto da:
A B, rappresentata e difesa dall’Avv. L M e dall’Avv. R R, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Vietti &Associati sito in Roma, Via XX Settembre, 26;
contro
Il Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
Prezioso F, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
- del provvedimento (affisso con decorrenza dal 9 luglio 2009) con il quale la Commissione esaminatrice del concorso a n. 230 posti di notaio (bandito con D. D.G. del 10 luglio 2006, e pubblicato nella G.U. n. 54 del 18 luglio 2006 – 4° serie speciale), ha dichiarato la ricorrente “non idonea” a sostenere le prove orali, all’esito della correzione dei tre elaborati scritti, ravvisando in essi “insufficienze e carenze”;
- nonché contro ogni ulteriore atto, presupposto o conseguente, ad essi comunque connesso e, in particolare, del verbale n. 2136 redatto dalla Commissione di concorso, nella parte in cui gli elaborati della ricorrente sono stati ritenuti “non idonei”;
- nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente e comunque connesso;
Visti il ricorso presentato innanzi al TAR Sicilia, Palermo, e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Visto l’atto per regolamento di competenza presentato nell’ambito del giudizio instaurato innanzi al TAR Sicilia, Palermo;
Vista la decisione del Consiglio di Stato n. 1707 del 2010 con cui è stata dichiarata la competenza del TAR Lazio, Roma;
Visti l’atto di riassunzione del giudizio proposto da parte ricorrente innanzi a questo Tribunale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2010 il Consigliere E S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Espone in fatto l’odierna ricorrente di aver partecipato al concorso a 230 posti di notaio, bandito con D. D.G. del 10 luglio 2006, e di non essere stata ammessa a sostenere le prove orali in esito alla correzione dei tre elaborati scritti, avendo la Commissione di concorso riscontrato in essi “insufficienze e carenze”.
Nel richiamare la disciplina normativa dettata per il concorso per notaio e nell’evidenziare le vicende che hanno caratterizzato la procedura concorsuale in questione, deduce parte ricorrente, avverso l’esito delle prove scritte, il seguente complesso motivo di censura:
- Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del D.Lgs. n. 166 del 2006. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, per manifesta illogicità e ingiustizia, per palese disparità di trattamento e di giudizio, per violazione dei principi generali del giusto procedimento e della par condicio tra i candidati.
Nell’affermare la correttezza dei propri elaborati e la conformità dei relativi contenuti ai criteri di valutazione predeterminati dalla Commissione, lamenta parte ricorrente l’illegittimità del giudizio dalla stessa espresso sui propri elaborati, significando come le medesime soluzioni giuridiche contenute in essi siano state adottate da numerosi altri candidati giudicati idonei.
Procede, quindi, la ricorrente ad esaminare i singoli rilievi espressi dalla Commissione per ciascun elaborato, evidenziando, per ciascun profilo, come identiche soluzioni giuridiche siano state adottate da altri candidati che hanno ottenuto il giudizio di idoneità, lamentando la sussistenza di una palese disparità di trattamento, peraltro evidenziata dalla relazione di uno dei componenti della Commissione, G S, nella quale viene evidenziato l’intervenuto mutamento del metro di giudizio con riguardo a determinati argomenti, con la conseguenza che a parità di soluzioni proposte alcuni candidati sono stati giudicati idonei ed altri candidati, i cui elaborati sono stati corretti in fasi successive, non idonei, chiedendo di procedere ad una nuova valutazione degli elaborati già corretti.
A seguito della presentazione del ricorso innanzi al TAR Sicilia, Palermo, è stato proposto dall’Amministrazione regolamento di competenza, sul quale è intervenuta la decisione del Consiglio di Stato n. 1707 del 2010 con cui è stata dichiarata la competenza del TAR Lazio, Roma.
Il giudizio è stato quindi riassunto da parte ricorrente innanzi a questo Tribunale.
Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo l’infondatezza delle censure proposte.
Alla Pubblica Udienza del 27 ottobre 2010, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
DIRITTO
Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso il giudizio di non ammissione della ricorrente a sostenere le prove orali del concorso a 230 posti di notaio, indetto con decreto del Direttore Generale del 10 luglio 2006, sulla base del giudizio di non idoneità formulato in esito alla valutazione complessiva degli elaborati riferiti alle tre prove scritte sostenute.
La compiuta delibazione in ordine alle censure proposte con il gravame in esame suggerisce di procedere, in via preliminare, alla illustrazione del quadro normativo di riferimento, da cui trarre le necessarie coordinate di giudizio ai fini del decidere sulla controversia di cui è causa.
In tale direzione va rilevato che il concorso in esame soggiace alla disciplina dettata dal D.Lgs. 24 aprile 2006 n. 166, il quale dispone, all’art. 10, comma 2, che la Commissione, prima di iniziare la correzione, definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l'ordine di correzione delle prove stesse.
Il successivo comma 6 affida al Presidente del predetto organismo il compito di assicurare, all'interno delle sottocommissioni che procedono alla correzione, una periodica variazione dei componenti, compatibilmente con le esigenze organizzative, attribuendo al medesimo Presidente, allo scopo di garantire omogeneità di valutazioni, la facoltà di convocare riunioni plenarie o sedute allargate della commissione in modo che possano assistere alla correzione anche altri commissari che, nell'occasione, non hanno diritto di voto e di intervento (comma 7).
Quanto alle modalità di correzione degli elaborati, l’art. 11, al comma 1, prevede che ciascuna sottocommissione proceda, collegialmente e nella medesima seduta, alla lettura dei temi di ciascun candidato, al fine di esprimere un giudizio complessivo di idoneità per l'ammissione alla prova orale.
Prosegue il comma 2 stabilendo che, “salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissione delibera a maggioranza se il candidato merita l'idoneità”.
La previsione normativa di cui al richiamato comma 7 stabilisce che “nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi”.
Emerge, alla luce delle riferite disposizioni normative, la sussistenza di un preciso e puntuale onere per la Commissione di procedere alla predeterminazione dei criteri di valutazione degli elaborati, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.Lgs. n. 166 del 2006, ed alla individuazione dei criteri sulla cui base individuare le ipotesi di nullità o di grave insufficienza che consentono, secondo quanto previsto dal comma 7 dell’art. 11 del citato decreto - ed in deroga all’obbligo di procedere alla valutazione in esito alla lettura dei tre elaborati, previsto dal precedente comma 2 del medesimo articolo - di addivenire ad un giudizio di non idoneità senza procedere alla lettura degli elaborati successivi.
Tale adempimento riceve, invero, accentuata rilevanza alla luce della doverosa lettura congiunta della fondamentale disposizione di cui al comma 2 dell’art. 11 – con la quale viene radicalmente innovato il meccanismo di valutazione degli elaborati nell’ambito del concorso notarile, prevedendosi la regola della valutazione globale e complessiva degli stessi al fine di addivenire ad un giudizio di idoneità o meno del candidato - con la previsione di cui al successivo comma 7.
Difatti, se è vero che è rimessa all’organo concorsuale la generale fissazione dei “criteri che regolano la valutazione degli elaborati”, la pur consentita possibilità di escludere un candidato dalla partecipazione alle prove orali, nel caso in cui dal primo o dal secondo elaborato emergano “nullità” o “gravi insufficienze”, postula, con ogni evidenza, che siffatte categorie vengano adeguatamente precisate mediante l’individuazione delle tipologie di carenze suscettibili di essere ricondotte nell’ambito della generica declaratoria di legge.
In altri termini, alla declaratoria generale dei criteri di valutazione accede l’ulteriore onere della specificazione contenutistica delle fattispecie della “nullità” e della “grave insufficienza” che, ai sensi del comma 7 dell’art. 11, consentono di non procedere alla lettura dei successivi elaborati, ovvero di quegli elementi che, in ragione della insuperabile, ovvero accentuatamente grave, presenza di errori o incompletezze, consentano di disporre senz’altro l’esclusione del candidato dalla procedura selettiva senza dover procedere alla valutazione complessiva degli elaborati.
Il modus procedendi al riguardo seguito dalla Commissione è esplicitato nel verbale n. 7 dell’8 novembre 2008, nell’ambito del quale è contenuta la declaratoria dei criteri per la valutazione degli elaborati.
In primo luogo, il predetto organismo ha stabilito che, ai sensi del comma 7 dell’art. 11 del D.Lgs. n. 166 del 2006, “non si procederà alla lettura del secondo o del terzo elaborato, dichiarando non idoneo il candidato:
- in caso di nullità, comprese quelle formali, a meno che dal complessivo esame dell’intero elaborato si evinca inequivocabilmente che tali nullità derivino da meri errori materiali;
- nel caso in cui l’elaborato presenti una delle seguenti “gravi insufficienze” e precisamente:
- travisamento della traccia o contraddittorietà tra le soluzioni adottate o tra le soluzioni medesime e le relative motivazioni;
- gravi errori di diritto nella scelta delle soluzioni e/o nell’illustrazione delle parti teoriche;
- totale mancanza delle ragioni giustificative della soluzione adottata e/o delle argomentazioni giuridiche a supporto dei ragionamenti svolti nell’elaborato;
- gravi carenze della parte teorica anche per omessa trattazione di punti significativi della stessa;
- evidente inidoneità nell’analisi e nella risoluzione dei problemi e/o dei temi posti nella traccia;
- gravi errori di grammatica e/o di sintassi”.
Nel soggiungere che analogamente, il candidato sarà dichiarato non idoneo allorquando le citate mancanze dovessero risultare dalla lettura del terzo elaborato, la Commissione ha altresì proceduto all’individuazione, ai sensi del comma 2 dell’art. 10 del D.Lgs. n. 166 del 2006, dei criteri generali di correzione cui attenersi nella valutazione degli elaborati.
Al riguardo, si è stabilito che la valutazione delle soluzioni adottate dai candidati, “per ogni questione prospettata nelle singole prove”, sarebbe intervenuta “considerando prioritariamente:
- la rispondenza al contenuto della traccia;
- l’aderenza ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico vigente nonché alle tecniche redazionali”.
Alla luce dei criteri contenuti nel richiamato verbale è dato argomentare che laddove le nullità o le gravi insufficienze siano emerse dalla lettura del primo o del secondo elaborato, la Commissione, coerentemente con la presupposta previsione di legge, non procederà all’esame – rispettivamente – della seconda o terza prova sostenuta dal candidato e, analogamente, laddove tali tipologie inficianti (evidentemente non riscontrate all’interno delle prime due prove) siano venute a configurarsi nel terzo elaborato, si procederà alla declaratoria di non idoneità.
Diversamente, i criteri generali di correzione trovano operatività laddove tutti e tre gli elaborati non presentino le illustrate “nullità” o “gravi insufficienze”, venendo pertanto in considerazione la rispondenza contenutistica alla traccia fornita, nonché l’“aderenza ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico vigente nonché alle tecniche redazionali”.
Con riguardo agli elaborati non affetti dalle gravi mende, la griglia di valutazione generale si dimostra correttamente enucleata attraverso l’individuazione dei criteri sopra riportati, come definiti dalla Commissione con il citato verbale datato 8 novembre 2007, che consentono la verificabilità:
- della rispondenza dell’elaborato alla traccia fornita;
- dell’aderenza delle soluzioni prospettate ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico;
- del rispetto delle tecniche redazionali che assistono la formazione degli atti notarili.
È evidente che, all’interno delle macrocategorie, come sopra fissate dalla Commissione, non possono non trovare applicazione anche le species dal medesimo organismo elaborate quale tipologie sintomatiche della presenza di “nullità” o “gravi insufficienze”, laddove, ovviamente, le carenze riscontrate nell’elaborato non dimostrino un grado di criticabilità tale da imporre un’immediata declaratoria di non idoneità al prosieguo della procedura selettiva.
In altri termini, alla fissazione dei suindicati criteri generali di valutazione accede la complementare valutabilità, all’interno di essi, di quelle puntuali specificazioni, evidentemente ove non presenti con il carattere di accentuata - quanto insanabile anche per effetto della consentita compensazione da effettuarsi nell’ambito della valutazione complessiva - gravità di cui al comma 7 dell’art. 11, suscettibili di informare l’apprezzamento del contenuto delle prove al fine sia di pervenire ad un giudizio di non idoneità reso in esito alla correzione di tutti e tre gli elaborati, sia alla graduazione del punteggio nel caso di valutata “idoneità” ai fini dell’ammissione alle prove orali.
Conseguentemente, pur a fronte della rammentata esplicitazione dei criteri generali di valutazione, la valutazione complessiva degli elaborati, al di fuori, quindi, dalle ipotesi di cui al comma 7 dell’art. 11, ben avrebbe potuto tenere conto di:
- profili di non puntuale aderenza alla traccia insuscettibili di indurne il travisamento;
- errori di diritto “non gravi” nella scelta delle soluzioni e/o nell’illustrazione delle parti teoriche;
- carenze “non gravi” nella parte teorica;
- vizi formali non recanti nullità
- occasionali – e comunque non gravi – errori di grammatica e sintassi.
Tale ricostruzione logica del processo valutativo avrebbe senz’altro ricevuto – non può omettere la Sezione di ribadire – migliore esplicitazione laddove la Commissione, nella predeterminazione dei criteri, avesse seguito un ordine espositivo inverso rispetto a quello seguito, riservando prioritaria considerazione ai criteri generali e demandando ad una successiva definizione contenutistica le fattispecie suscettibili di determinare l’applicabilità dell’ipotesi sancita dal comma 7 dell’art. 11 del D.Lgs. n. 166 del 2006.
Peraltro, anche in presenza di un difforme procedimento logico di individuazione dei criteri di che trattasi, deve tuttavia escludersi che le determinazioni assunte dalla Commissione nella seduta dell’8 novembre 2008 si prestino a censure sotto il profilo della legittimità.
Un consolidato indirizzo giurisprudenziale ha definito l’attività di individuazione dei criteri di valutazione nell’ambito di una procedura concorsuale frutto dell'ampia discrezionalità amministrativa di cui è fornita la commissione per lo svolgimento della propria funzione, conseguentemente escludendo che le relative scelte siano assoggettabili al sindacato di legittimità del giudice amministrativo - impingendo esse nel merito dell'azione amministrativa - salvo che non siano ictu oculi inficiate da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti (ex pluribus, Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2008 n. 5862, 8 giugno 2007 n. 3012, 11 aprile 2007 n. 1643, 22 marzo 2007 n. 1390, 17 settembre 2004 n. 6155, 17 maggio 2004 n. 2881, 10 dicembre 2003 n. 8105, 2 marzo 2001 n. 1157).
Ribadita, doverosamente, l’esclusa sindacabilità nel merito della scelte in materia compiute dall’organismo concorsuale, vanno dunque considerate, quali coordinate di apprezzabile legittimità dell’operato posto in essere dalla Commissione:
- l’operata distinzione, in osservanza del disposto normativo, fra mende suscettibili di determinare un immediato giudizio di non idoneità ed imperfezioni valorizzabili solo in esito all’esame di tutti e tre gli elaborati;
- la pure effettuata categorizzazione – congruamente esplicitata sotto il profilo contenutistico – delle tipologie inficianti nel quadro delle categorie fissate dal comma 7;
- e, da ultimo, la parimenti evidenziata consistenza delle generali condizioni di valutazione delle prove scritte (suscettibili – fuori dalla riscontrata presenza di insanabili imperfezioni – di determinare l’espressione di un giudizio di non idoneità a fronte di una complessiva disamina degli elaborati, ovvero, nella diversa ipotesi di un positivo apprezzamento delle prove, di condurre alla graduazione del relativo punteggio).
In siffatta tipologia di procedura concorsuale, ove è richiesta una elevata specializzazione dei candidati, i criteri di valutazione delle prove scritte non si prestano ad un meccanismo rigido ed automatico basato su meri riscontri tra gli elaborati ed una serie di ipotesi e definizioni predeterminate che guidino il giudizio, né necessitano di particolare analiticità, risolvendosi il giudizio in una verifica essenzialmente qualitativa della preparazione dei candidati, a differenza di altri procedimenti concorsuali, quali quelli ad evidenza pubblica, in cui l’intensità della discrezionalità dell’Amministrazione discende anche dalla variabilità degli elementi da valutare, con la conseguente necessità di individuare ed esplicitare analiticamente i criteri cui ancorare il giudizio.
In ragione dell’ampiezza della discrezionalità di cui dispone l’Amministrazione nella predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove, i criteri predeterminati dalla Commissione risultano rispondenti allo scopo sia di apprestare una adeguata articolazione delle ipotesi che consentono l’arresto della procedura di correzione – necessariamente più rigorose rispetto a quelle riferite ai criteri generali di correzione – sia di indirizzare la valutazione complessiva degli elaborati, dovendo ulteriormente precisarsi, con riferimento alla prima tipologia di criteri, che né la legge né la natura della selezione esigono l’allestimento di una specifica e tassativa casistica entro cui imbrigliare la discrezionalità valutativa della Commissione.
Tanto premesso in linea generale, il sollecitato vaglio giurisdizionale deve indirizzarsi all’esame delle censure proposte avverso il giudizio di non idoneità della ricorrente, formulato in esito alla lettura degli elaborati relativi a tutte le tre prove scritte, in relazione al quale parte ricorrente, previo illustrazione delle osservazioni formulate dalla Commissione, procede alla loro puntuale contestazione denunciandone l’illegittimità stante l’applicazione di un metro di giudizio difforme rispetto ad altri candidati ammessi alle prove orali sulla base di elaborati di analogo contenuto, procedendo, per ciascun elaborato, alla illustrazione delle soluzioni adottate.
Il vaglio giurisdizionale, con le proposte censure sollecitato, suggerisce di preliminarmente soffermarsi sull’ambito entro il quale lo stesso è consentito, cui specularmente parametrare l’ammissibilità delle doglianze sollevate avverso l’esercizio della discrezionalità valutativa.
In tale direzione, occorre rammentare che, dal momento che il giudizio di legittimità non può trasmodare in un pratico rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, trova espansione il principio per cui l'apprezzamento tecnico della Commissione è sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà.
Come più volte affermato in giurisprudenza, anche della Sezione, il giudizio della Commissione, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e siano tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 2006 n. 172).
Pur in presenza del superamento dell’equazione concettuale tra discrezionalità tecnica e merito – quest’ultimo riservato all'Amministrazione nella determinazione del regolamento di interessi più opportuno, e dunque insindacabile - nondimeno il limite del controllo giurisdizionale è dato dal fatto che l'applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza: ed anzi, quando contiene concetti giuridici indeterminati, dà luogo ad apprezzamenti tecnici ad elevato grado di opinabilità (si confronti, in proposito, la sentenza 25 giugno 2004 n. 6209 di questa Sezione).
Si dimostra, pertanto, infondata una censura che miri unicamente a proporre una diversa modalità di soluzione del tema oggetto di concorso, anche ove supportata dall'allegazione di pareri “pro veritate”, atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione.
In altri termini, se, per un verso, non è ammissibile un rifacimento, da parte del Tribunale, del giudizio della Commissione in sostituzione di questa, in quanto non consentito alla luce degli evidenziati limiti sul sindacato del giudice amministrativo, va altresì evidenziato che in sede di valutazione degli elaborati svolti in una procedura per l'accesso ad una professione a numero chiuso, ciò che assume rilievo non è solamente la esattezza delle soluzioni giuridiche prescelte e la preparazione, ma anche la modalità espositiva, la capacità argomentativa e quell’insieme di qualità intellettive che l’esercizio di una professione altamente specializzata richiede.
Ove così non fosse, dovrebbe ammettersi che tutti i candidati estensori di elaborati recanti soluzioni corrette debbano necessariamente superare la prova concorsuale, il che non può sicuramente avvenire, posto che le finalità del concorso risiedono nella selezione dei migliori e non già di tutti coloro che dimostrino di saper comunque giungere a conclusioni esatte.
Fermo, dunque il delineato ambito del consentito sindacato giurisdizionale del Giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali espresse dalla Commissione di concorso, in cui si versa in tema di discrezionalità tecnica e non amministrativa, e pertanto di valutazione intrinsecamente censurabile in sede di legittimità ma solo in presenza di macroscopici vizi emergenti dalla motivazione, attestanti irragionevolezza, sproporzione, incongruità, travisamento dei fatti, erroneità, giova richiamare le motivazioni poste a sostegno del gravato giudizio di non idoneità della ricorrente, per poi procedere alla verifica della sussistenza dei denunciati vizi asseritamente inficianti il giudizio.
Nel verbale n. 551 del 4 giugno 2009, la Commissione, dopo aver completato la lettura dei tre elaborati della ricorrente, ha formulato il giudizio di non idoneità sulla base della rilevata sussistenza di “carenze e insufficienze” così motivando: “Preliminarmente si osserva che in tutti e tre gli elaborati, con particolare riguardo all’atto mortis causa, il Candidato redige la clausola di approvazione delle postille in modo non conforme a quanto prescritto dalle norme e dalla prassi notarili. Atto mortis causa – nella disposizione e favore di S, nulla prevede il Candidato in ordine alla c.d. ‘forte determinazione’ del testatore a che S assuma le funzioni di amministratore;- nella disposizione a favore di C, non viene previsto alcun meccanismo che obblighi la vendita degli immobili legati, che costituisce il motivo funzionale e determinante del lascito;- la disposizione a favore di G travisa la traccia, prevedendo l’attribuzione di un legato di alimenti, mentre palese è l’intento del testatore di far luogo ad un legato di natura remuneratoria e, come tale, svincolato dall’eventuale stato di bisogno della beneficiaria;- è imprecisa la disposizione relativa al pagamento dei debiti condominiali e l’interpretazione dei relativi effetti;- la parte teorico-motiva, estremamente succinta, non tratta in modo esauriente ed approfondito gli istituti proposti dalla traccia. Atto societario – nel verbale il candidato omette di far accertare al presidente l’identità e la legittimazione dei presenti, come prescritto dall’art. 2371 c.c.;- la parte teorica risulta decisamente insufficiente nella trattazione di tutti gli argomenti richiesti dalla traccia. Atto tra vivi – la tecnica redazionale è spesso imprecisa ed incongruente: il Candidato dispone la delegazione di pagamento a S, prima di enunciare il corrispettivo della compravendita, e ne prevede l’immediata esecuzione, con contestuale quietanza da parte dello stesso S e rilascio di consenso alla cancellazione dell’ipoteca;successivamente viene enunciato il prezzo e viene ripetuto il versamento a favore del medesimo S;il Candidato descrive il primo dei pagherò cambiari, successivamente ne prevede la consegna al Notaio per l’inoltro all’Ufficio del Territorio “..ai fini della preventiva annotazione”, senza aver preventivamente previsto la concessione dell’ipoteca;successivamente richiama la descrizione degli altri nove pagherò ed enuncia la concessione dell’ipoteca, senza peraltro precisare “a favore di chi” e senza prevedere l’elezione di domicilio, - si rilevano inoltre altre enunciazioni improprie, che sottendono anche ad errori di diritto: dopo aver enunciato che Tizio e Tizia sono tra loro coniugati in regime di comunione legale dei beni, il Candidato prevede che essi acquistino “…in parti uguali ed indivise tra loro” mostrando di ignorare il particolare regime cui sono sottoposti i beni della comunione legale fra coniugi;il Candidato prevede inoltre: “Le parti rinunziano ad ogni e qualsiasi ipoteca legale che possa derivare dal presente atto”, non comprendendosi quali siano le parti legittimate, all’infuori del venditore C, a rinunciare all’ipoteca legale;- la parte teorico-motiva, come nelle altre prove, risulta carente e poco approfondita e contiene anche errori di diritto, come quando il Candidato afferma che l’intervento di Tizia nell’atto è necessario “…ai fini della delegazione di pagamento e dell’assunzione della obbligazione di pagamento rateizzato, garantito dalle cambiali ipotecarie”, quando, invece, tale intervento si può presumere necessario esclusivamente per la concessione dell’ipoteca sull’immobile che ha formato oggetto dell’acquisto ed è caduto in comunione, pur non trascurando, sul punto, un’interpretazione minoritaria che ritiene tale intervento non necessario anche con riferimento alla concessione dell’ipoteca.”
Parte ricorrente, come accennato in parte narrativa, articola puntuali contestazioni avverso i singoli rilievi espressi dalla Commissione, evidenziando come gli stessi si riferiscano a soluzioni giuridiche ed aspetti presenti negli elaborati di numerosi altri candidati.
Quanto alla affermata correttezza del contenuto degli elaborati, che avrebbero asseritamente meritato il giudizio di idoneità, rileva il Collegio che il sindacato giurisdizionale non può estendersi al merito delle valutazioni effettuate attraverso la prospettazione di un differente giudizio di valore del contenuto degli elaborati.
Le cesure sollevate non sono dirette a far emergere con immediatezza la presenza di vizi aventi carattere di manifesta illogicità, erroneità o irrazionalità, i quali solo possono formare oggetto di vaglio da parte del giudice adito, ma che richiedono un approfondito esame degli elaborati finalizzato alla formulazione di un diverso giudizio di valore e, quindi, fuoriescono dall’ambito del consentito sindacato estrinseco sulla valutazione espressa dalla Commissione, essendo volte a sollecitare una valutazione qualitativa del contenuto degli elaborati attraverso la prospettazione di valutazioni soggettive del livello di tale contenuto, così sollecitando la valutazione diretta del giudice che andrebbe a sostituirsi all’organo competente, travalicando i limiti del consentito sindacato di legittimità.
In proposito, occorre ribadire che il giudizio espresso dalla Commissione esaminatrice sulla prova scritta di un candidato a pubblico concorso, per il suo carattere squisitamente tecnico - discrezionale, non può formare oggetto di sindacato da parte del giudice di legittimità salvo che per i ricordati profili di illogicità, irrazionalità manifesta, travisamento dei fatti, emergenti con immediatezza ed evidenza. L'apprezzamento delle prove di un concorso pubblico è, infatti, affidata dall'ordinamento alla Commissione d'esame, i cui componenti, in ragione della loro peculiare professionalità, devono valutare criticamente la prova, esprimendo un giudizio sul quale il sindacato del giudice potrà effettuarsi nei ricordati ristretti limiti, e non certo sul merito della valutazione espressa dalla Commissione.
Come costantemente affermato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, la sindacabilità del giudizio espresso dalla Commissione di concorso transita esclusivamente attraverso il riscontro di tipologie inficianti rilevanti sub specie della macroscopica ed evidente illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o, ancora, della manifesta disparità di trattamento o del travisamento del fatto.
Pur nel ribadire che, all’interno del controllo giurisdizionale sull'esercizio del potere che ha quale presupposto la valutazione di un fatto, in base a conoscenze scientifiche, nella fattispecie derivanti dalla scienza giuridica, la cognizione del giudice amministrativo è comunque piena e non solo estrinseca e che essa, conseguentemente, investe non solo le modalità del procedimento valutativo ma anche l'attendibilità del giudizio espresso dall'organo amministrativo, va nondimeno dato atto che il limite oggettivo di tale apprezzamento è determinato dall'opinabilità e relatività di ogni valutazione scientifica e dall'impossibilità per il giudice di sostituirsi all'Amministrazione, in quanto il potere di valutazione è stato attribuito dall'ordinamento all'Amministrazione stessa e non si verte in tema di giurisdizione di merito (si confrontino, nell’ambito delle numerose pronunce rese dal giudizi d’appello con carattere puntualmente confermativo dell’orientamento della Sezione sopra esposto: Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 novembre 2008 n. 5862;30 settembre 2008 n. 4724;11 aprile 2007 n. 1463;22 marzo 2007 n. 1390).
Non risulta, inoltre, utilmente invocabile, in proposito, l’affermata circostanza che elaborati di candidati giudicati idonei contengano analoghe soluzioni, con conseguente asserita disparità di trattamento, dovendo ricordarsi che il vizio di disparità di trattamento postula l’identità o la totale assimilabilità delle situazioni di base poste a raffronto (ex plurimis: Consiglio di Stato – Sez. IV – 12 febbraio 2010 n. 805;2007 n. 1390) e dovendo affermarsi l’irrilevanza, in genere, per un candidato, del giudizio reso in favore di altro concorrente laddove la valutazione delle prove di quest’ultimo non abbia tenuto conto di errori o imperfezioni commesse dal primo.
Coordinando le suesposte considerazioni con il meccanismo della procedura concorsuale delineato dalla disciplina normativa cui sopra si è fatto cenno ed alla circostanza che, nella fattispecie in esame, il giudizio di non idoneità è stato formulato in esito alla lettura di tutti gli elaborati della ricorrente - sulla base quindi di quella valutazione contestuale e complessiva che, ai sensi dell’art. 11, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 166 del 2006, costituisce la regola della procedura valutativa, sulla cui base esprimere un giudizio globale che agganci la ritenuta idoneità o meno del candidato al risultato delle prove nel loro complesso – la natura delle censure proposte non consente al giudice di ravvisare nel gravato giudizio profili, anche solo sintomatici, di illegittimità, tenuto conto della natura del giudizio tecnico discrezionale espresso dalla Commissione di concorso, che investe vari profili attestanti le necessarie capacità richieste dalla specifica selezione, in ordine al quale il sindacato è consentito solo in presenza di vizi manifesti, che rendano non plausibile l’attività valutativa compiuta.
Più specificamente, la Commissione di concorso ha formulato un giudizio tecnico-discrezionale espressione di puro merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità salvo che risulti viziato da macroscopica illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento del fatto (ex multis: Cons. Stato - Sez. IV, 22 settembre 2005 n. 4989), pur dovendosi in proposito ricordare che, alla luce della più recente elaborazione giurisprudenziale in tema di discrezionalità tecnica (ex multis: TAR Lazio – Roma – Sez. I – 4 maggio 2009 n. 4487), nel controllo giurisdizionale sull’esercizio del potere che ha quale presupposto la valutazione di un fatto, in base a conoscenze scientifiche (nella fattispecie derivanti dalla scienza giuridica), la cognizione del giudice amministrativo è comunque piena e non solo estrinseca, investendo perciò non solo le modalità del procedimento valutativo ma anche l’attendibilità del giudizio espresso dall’organo amministrativo.
Il limite oggettivo di tale apprezzamento è tuttavia determinato dalla opinabilità e relatività di ogni valutazione scientifica e dalla impossibilità per il giudice di sostituirsi all’Amministrazione, laddove il potere di valutazione sia stato attribuito dall’ordinamento all’amministrazione stessa e non si verta in tema di giurisdizione di merito (in termini, Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 2003 n. 6201).
Discendendo da ciò che l’esercizio del sindacato giurisdizionale di legittimità non può tradursi, di fatto, nella sostituzione della statuizione giudiziale all’apprezzamento tecnico-discrezionale invece riservato all’Amministrazione.
Né, nella fattispecie, la proposta censura di disparità di trattamento può trovare utile ingresso, posto che parte ricorrente afferma che singole soluzioni presenti nei propri elaborati ed indicate dalla Commissione come carenze o insufficienze, siano state adottate da altri candidati giudicati idonei, in tal modo parcellizzando la comparazione per singoli elementi con candidati diversi, il che, già di per sé, impedisce di poter ravvisare una completa sovrapponibilità ed identità degli elaborati posti a confronto.
Giova, infatti, ricordare, quanto alla possibilità di riscontro del vizio di disparità di trattamento, che lo stesso postula che l’amministrazione, nell’esercizio di un potere discrezionale, si sia diversamente determinata riguardo a situazioni oggettivamente identiche, il che richiederebbe una completa sovrapponibilità degli elaborati.
Inoltre, il vizio di disparità di trattamento non potrebbe comunque sussistere nella fattispecie in esame atteso che la positiva valutazione attribuita ad un elaborato non è idonea di per sé sola a dimostrare il vizio della valutazione negativa o meno favorevole attribuita ad altro candidato, ben potendo l’irragionevolezza della valutazione risiedere nella positiva valutazione dell’elaborato posto in comparazione, anziché nella diversa valutazione attribuita all’altro elaborato.
Ancora, essendo la valutazione di non idoneità della ricorrente frutto di una valutazione complessiva degli elaborati scritti, esternata in una serie di rilievi aventi natura prettamente qualitativa circa il livello degli stessi, non è ipotizzabile una perfetta identità con gli elaborati di un altro candidato.
Né la valutazione complessiva espressa nei confronti della ricorrente può essere inficiata dalla circostanza che singole soluzioni, identiche a quelle della ricorrente, siano state adottate da altri candidati giudicati idonei, posto che nella valutazione complessiva riferita a tali candidati sono necessariamente confluiti ulteriori elementi e caratteristiche degli elaborati invece non presenti in quelli della ricorrente, dovendo in proposito ricordarsi che la natura della selezione sfugge, laddove non vengano riscontrati gravi errori e carenze che consentono di non procedere alla correzione degli altri elaborati, a meccanismi valutativi automatici, essendo la valutazione diretta ad accertare il possesso di un insieme di qualità richieste per l’esercizio di una professione altamente specializzata.
Da ultimo, con riferimento alla censura volta a lamentare l’intervenuto mutamento di orientamento da parte della Commissione sulla correttezza delle soluzioni prospettate dai candidati su quattro argomenti – segnatamente il legato di usufrutto con facoltà di vendita, il termine per la sottoscrizione dell’aumento di capitale in una società, il legato di contratto, la necessità del consenso alla cancellazione di ipoteca in caso di rinuncia alla stessa – mutamento comprovato dalla relazione di uno dei componente della Commissione, G S, con conseguente asserita difformità di giudizio a fronte di soluzioni omogenee e sovrapponibili, rileva il Collegio come la posizione della ricorrente non risulti in alcun modo incisa da tale mutamento di orientamento, essendo il giudizio di non idoneità nei suoi confronti espresso basato su profili diversi e non attinenti agli argomenti sui quali vi sarebbe stata una rimeditazione da parte della Commissione.
In conclusione, alla luce delle considerazioni in precedenza diffusamente esposte, il ricorso deve essere rigettato.
La novità delle problematiche coinvolte dalla trattazione del gravame, in ragione della modificazione del quadro normativo di riferimento - oggetto, relativamente alla vicenda concorsuale all’esame, di prima applicazione - integra la presenza di giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.