TAR Venezia, sez. II, sentenza 2023-01-28, n. 202300112

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. II, sentenza 2023-01-28, n. 202300112
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202300112
Data del deposito : 28 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/01/2023

N. 00112/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00879/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 879 del 2022, proposto da
P M, M M, rappresentati e difesi dagli avvocati G S, M E S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio G S in Padova, Gall. G. Berchet n. 8;

contro

Il Ministero della Cultura – Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per Le Province di Verona, Rovigo e Vicenza, non costituito in giudizio;
Comune di Albettone, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Padova, via San Marco n. 11/C;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia

- del Parere della Soprintendenza del 22.04.2022, comunicato il 23.04.2022, avente ad oggetto: diniego dell'autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del Dlgs 42/04, relativo al progetto di ristrutturazione edilizia di Casa M mediante demolizione e ricostruzione su diverso sedime di fabbricato;

- del diniego di autorizzazione paesaggistica del Comune di Albettone del 27.04.2022 (prot. 0002574);

- del diniego di permesso di costruire del 30.04.2022 (pratica edilizia n. 2022/0232 a firma del Responsabile Edilizia ed Urbanistica del Comune di Albettone);

- di ogni altro atto presupposto e/o connesso e in particolare, per quanto occorrer possa, del Decreto del Ministro dei Beni Culturali e Ambientali del 23.09.1975 “Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una zona in Comune di Albettone, della scheda ricognitiva del vincolo e del parere del MIC del 22.09.2021 in risposta all'interrogazione dell'

VIII

Commissione Ambiente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Albettone;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2022 il dott. Marco Rinaldi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I Sig.ri M sono proprietari, in Comune di Albettone, Via Forni n. 17, dell’area a destinazione agricola E (fg. 7 mapp.le 582, 217, 327 del Catasto Terreni), su cui insistono un fabbricato residenziale di tre piani fuori terra e un deposito.

I predetti immobili, in forza del Decreto Ministeriale 23 settembre 1975, ricadono in un’area soggetta a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 136, lett. c) e d), del Dlgs 42/04 (Immobili ed aree di notevole interesse pubblico).

Il richiamato DM ha istituito, ai sensi della previgente L. 1497/1939, un vincolo paesaggistico di notevole interesse pubblico per la zona del Colle di Lovertino e delle colline adiacenti in Comune di Albettone, con la seguente motivazione: l’ambito, formato da quattro colline, “ha notevole interesse pubblico perché costituisce un anello di congiunzione tra il complesso dei Colli Euganei e quello dei Berici, ha carattere unitario, è perfettamente inserito nella pianura vicentina, con andamento dolcemente ondulato (…) e presenta le seguenti caratteristiche: (…) 5) la circostante campagna è tutta animata dalla fitta presenza dell’uomo con molte case sparse o in gruppetti e le non rare ville signorili (….);
per tutti gli elencati requisiti la zona in questione costituisce un complesso di cose immobili aventi valore estetico e tradizionale, nonché di un insieme di quadri naturali ricchi di punti belvedere (…) dai quali si gode la vista di numerosi e stupendi panorami”.

I signori M, in data 01.02.2022, hanno presentato istanza, con contestuale richiesta di rilascio di autorizzazione paesaggistica, per la ristrutturazione dell’immobile, mediante demolizione e ricostruzione su diversa area sedime del fabbricato e dell’annesso deposito, ai sensi dell’art. 41, comma 4 ter della L.R. 11/04 e degli artt. 16.5 e 52.1 delle N.T.O. comunali.

Il progetto prevedeva la demolizione dei volumi di fabbrica e la ricostruzione di un volume inferiore distribuito su di un solo piano, posto in area pianeggiante adiacente.

L’istanza non veniva accolta dalla P.A., in quanto, all’esito di un ampio contraddittorio endoprocedimentale, la Soprintendenza esprimeva parere negativo, cui faceva seguito il diniego di autorizzazione paesaggistica emesso dal Comune di Albettone in data 27 aprile 2022 e il diniego di permesso di costruire emesso dal medesimo Ente Civico in data 30 aprile 2022.

Avverso tali provvedimenti negativi (diniego di autorizzazione paesaggistica e diniego di permesso di costruire) sono insorti gli odierni ricorrenti, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.

Il Ministero della Cultura, benchè ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio.

Si è, invece, costituito in giudizio il Comune di Albettone, replicando analiticamente alle avverse censure e chiedendo il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica in epigrafe indicata la causa è passata in decisione.

Il ricorso merita parziale accoglimento.

Il diniego di autorizzazione paesaggistica è illegittimo, mentre il diniego di permesso di costruire resiste alle censure dei ricorrenti.

Il diniego di autorizzazione paesaggistica è illegittimo per le ragioni di seguito sinteticamente esposte.

La Soprintendenza ha motivato il parere negativo al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica richiamando le considerazioni svolte nel cd. preavviso di diniego, nelle quali si evidenziava che: “la circostante campagna è tutta animata dalla fitta presenza dell’uomo, con molte case sparse o gruppetti e le non rare ville signorili”, (…) si osserva che Casa M presenta morfologie e tecniche costruttive di carattere storico testimoniale quale esempio di edilizia rurale e del primo Novecento e quindi è da ricomprendere nelle citate “case sparse” che connotano il contesto paesaggistico della zona. La presenza dell’edificio costituisce una componente architettonica sedimentata, soprattutto in rapporto al comparto di archeologia industriale adiacente;
la sua eliminazione comporterebbe un depauperamento dei luoghi non compatibile con la tutela paesaggistica che, a fronte del proliferare di abitazioni di recente costruzione dal carattere anonimo e decontestualizzato, persegue il mantenimento le componenti storico-testimoniali esistenti. Pertanto, l’intervento deve prevedere il recupero di casa M, per il quale non si rilevano motivi ostativi conclamati derivanti dalle considerazioni molto generiche riportate in relazione in merito alle condizioni strutturali del manufatto”
.

Tali assunti, ad avviso del Collegio, sono inidonei a sostenere il parere negativo della Soprintendenza e il conseguente diniego di autorizzazione paesaggistica emesso dal Comune in quanto fondati su un’erronea individuazione della portata del vincolo paesaggistico.

E invero, come sopra anticipato, il DM del 23.09.1975 ha istituito, ai sensi degli art. 1 e 2 della L. 1497/1939 , un vincolo paesaggistico a tutela dalla zona del Colle di Lovertino e delle colline adiacenti in Comune di Albettone, in quanto detto ambito: “costituisce un anello di congiunzione tra il complesso dei Colli Euganei e quello dei Berici, ha carattere unitario, è perfettamente inserito nella pianura vicentina con andamento dolcemente ondulato e segnato da alcune lievi depressioni” e presenta le caratteristiche enucleate nei punti da 1 a 5 del provvedimento istitutivo.

Tra le caratteristiche del contesto (cfr. punto 5) è indicata anche “ la presenza dell’uomo con molte case sparse o in gruppetti e le non rare ville signorili” (queste ultime singolarmente individuate).

Il Ministero (cfr. art. 1 punto 4 e art. 2 della L. 1497/1939) ha, in tal modo, inteso tutelare una bellezza panoramica costituente un quadro naturale e formata dal complesso delle quattro colline.

È, dunque, l’unitario complesso naturalistico a costituire oggetto di tutela.

Casa M non è oggetto di tutela in sé considerata, ma rappresenta una delle numerose e non meglio identificate case sparse presenti nel contesto.

La Soprintendenza ha, invece, compiuto un’irragionevole inversione dell’oggetto del vincolo, elevando l’edificio di proprietà dei ricorrenti (casa M) a bene tutelato, nonostante la mancata previsione di alcun vincolo diretto sul bene stesso.

Le “case sparse”, valorizzate dalla Soprintendenza, non possono essere considerate edifici sottoposti a tutela, rappresentando, le stesse, una caratteristica, mutevole nel tempo, del contesto paesaggistico tutelato. E, invero, a differenza delle Ville Signorili puntualmente e nominativamente individuate nel DM istitutivo del vincolo e sottoposte a vincolo proprio, la presenza delle “case sparse” è soltanto genericamente indicata come elemento presente nel quadro naturale oggetto di tutela e non può costituire motivo per impedire l’esecuzione dell’intervento proposto.

La presenza delle “case sparse”, compreso l’edificio dei signori M, ha, in altri termini, una valenza meramente descrittiva del contesto paesaggistico, non costituendo essa oggetto di tutela diretta, tanto più che, come dimostrato dai ricorrenti, nel corso degli ultimi anni sono stati autorizzati molteplici interventi di ristrutturazione che, come quello in esame, hanno portato all’integrale demolizione di vecchi edifici e alla realizzazione di nuove costruzioni.

La mera presenza nel contesto tutelato di una costruzione (casa M) con asserite caratteristiche testimoniali non può legittimamente giustificare di per sé l’emanazione di un parere negativo, poiché l’Amministrazione non ha (mai) ritenuto di intervenire con l’apposizione di un vincolo specifico sul manufatto;
vincolo che, nel caso di specie, risulta assente.

Il DM del 1975 si prefigge l’obiettivo di mantenere un equilibrato rapporto tra la presenza dell’uomo e il paesaggio circostante, ma non quello di garantire la perenne immutabilità, con riguardo alla presenza delle case sparse, della situazione fotografata nel 1975.

Sono, pertanto, illegittimi il parere negativo della Soprintendenza e il diniego di autorizzazione paesaggistica del Comune che negano la possibilità stessa di eseguire qualsivoglia intervento modificativo delle caratteristiche dell’immobile di proprietà dei ricorrenti.

L’illegittimità del diniego di autorizzazione paesaggistica non si riverbera, tuttavia, sul diniego di permesso di costruire. Ciò in quanto il diniego di permesso di costruire opposto dal Comune è fondato anche su altre e autonome ragioni (profili squisitamente edilizi: limiti alla ristrutturazione edilizia di immobili sottoposti a tutela e applicabilità ratione temporis del cd. vincolo di ricostruzione fedele);
e, com’è noto, in presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale.

L’Ente Civico ha, infatti, negato il permesso di costruire, oltre che per l’assenza di autorizzazione paesaggistica, perché la ristrutturazione edilizia di immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio richiedeva, ratione temporis, il rispetto del cd. vincolo di ricostruzione fedele e non consentiva modifiche di prospetti, sagome, sedime, etc..

Com’è noto, in applicazione del principio tempus regit actum, la legittimità del provvedimento amministrativo deve essere scrutinata alla luce della normativa vigente al momento dell’adozione del provvedimento.

Orbene, alla data in cui l’Amministrazione comunale ha denegato il rilascio del permesso di costruire (30 aprile 2022), l’art. 3, comma 1 lett d), del d.P.R. n. 380/2001 disponeva, per quanto qui interessa, che "... Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell'articolo 142 del medesimo codice, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.

La ristrutturazione edilizia di immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio (come quello per cui è causa, situato in un’area soggetta a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 136 - Immobili ed aree di notevole interesse pubblico – lett. c) e d) del Dlgs 42/04 e non ai sensi dell’art. 142 del medesimo codice) o ubicati in zona A e assimilate richiedeva, pertanto, il vincolo della ricostruzione fedele (identità di sagoma prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e assenza di incrementi di volumetria), laddove l’eventuale modifica anche solo di uno di tali parametri ( es. mutamento del sedime) comportava l’impossibilità di ricondurre l’intervento alla categoria della ristrutturazione edilizia e il suo assoggettamento al regime autorizzatorio delle nuove costruzioni (fatte salve, per la sola seconda categoria di edifici sopra indicati, le diverse previsioni delle leggi regionali o degli strumenti urbanistici).

Il Comune, in applicazione del principio tempus regit actum, ha correttamente assoggettato l’intervento per cui è causa, implicante un mutamento del sedime, alla categoria della nuova costruzione, escludendo la sua riconducibilità alla nozione di ristrutturazione edilizia.

Le censure svolte dai ricorrenti non possono essere accolte in quanto:

- il provvedimento impugnato (diniego di permesso di costruire) è sorretto da congrua istruttoria ed approfondita motivazione;

- come condivisibilmente chiarito dalla Circolare congiunta Mit-Funzione Pubblica del 2 dicembre 2020, che ha accompagnato l’entrata in vigore del d.l. n. 76/2020, la clausola di salvezza invocata dagli istanti (che prevede la possibilità di derogare al vincolo di ricostruzione fedele da parte di leggi regionali e degli strumenti urbanistici) si riferisce solo alla diversa fattispecie, qui non ricorrente, degli edifici ubicati nelle zone omogenee A di cui al d.m. n. 1444/1968 e in zone a queste assimilate dai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici ovvero nelle aree comunque di particolare pregio storico o architettonico, in relazione ai quali (edifici) l’equiparazione voluta dal legislatore al regime degli edifici vincolati è solo tendenziale, essendo espressamente fatte salve eventuali disposizioni di leggi regionali e degli strumenti urbanistici (sia generali che attuativi) che consentano, per le aree in questione, interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione anche con limiti meno stringenti di quelli individuati dall’art. 3 del testo unico per gli edifici vincolati ex d.lgs. n. 42/2004.

Tale fattispecie, tuttavia, non ricorre nel caso in esame, sicchè è superfluo disquisire in ordine alla sussistenza della fascia di rispetto stradale, alla natura della strada, etc.;

- attesa la genericità della locuzione “ immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio” deve ritenersi che il vincolo della ricostruzione fedele, applicato dal Comune e vigente ratione temporis, riguardasse non solo gli edifici aventi caratteri intrinseci di pregio architettonico, ma anche gli edifici ricadenti in aree o ambiti tutelati (cfr parere del Ministero della Cultura, reso dinnanzi alla competente commissione della Camera dei deputati in data 22 settembre 2021;
TAR Sardegna, sez. II, 5 dicembre 2017, n. 772, ove si precisa che: “ Ad avviso del Collegio la locuzione “…immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42…” non può che essere inteso nel senso ampio ritenuto dall’ufficio regionale, non coincidendo con il singolo edificio ma comprendendo anche le aree e i terreni oggetto di tutela (in termini: Cass. Pen., Sez. III, 8.3.2016 n. 33043). Più precisamente, vista la genericità della previsione, non possano operarsi distinzioni a seconda della fonte e della natura del vincolo;
ne consegue che essa si applicherà anche nei casi di beni vincolati ai sensi della Parte terza del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché nei casi in cui detti vincoli comportino un regime di inedificabilità non già assoluta ma solo relativa. L’interpretazione della norma in esame, condotta sulla base della sua lettera, porta dunque a ritenere che l’intervento di cui è causa – che incide su un’area soggetta a vincolo paesaggistico e che pacificamente non rispetta il limite della sagoma preesistente – va correttamente qualificato come intervento di nuova costruzione”).

- la normativa sopravvenuta (legge 15 luglio 2022, n. 91. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50) - che ha escluso il vincolo della ricostruzione fedele per gli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), consentendo pro futuro la realizzazione dell’intervento edilizio per cui è causa - non è applicabile al presente giudizio, in quanto entrata in vigore dopo l’adozione del diniego di permesso di costruire in questa sede impugnato.

La normativa sopravvenuta (ius superveniens), avente carattere innovativo e non di interpretazione autentica, conferma, per tabulas, la legittimità del provvedimento del Comune che, ai fini dell’assentibilità dell’istanza, richiedeva, ratione temporis, il rispetto di tutti i parametri edilizi (inclusa l’area di sedime) per gli immobili, come quello in esame, ricompresi in contesti paesaggisticamente tutelati ai sensi dell’art. 136, lett. c) e d), del Codice Urbani.

Alla luce delle suesposte considerazioni - ribadito che, in base principio tempus regit actum, la legittimità del provvedimento amministrativo deve essere valutata con riferimento alla normativa vigente al momento dell’adozione del provvedimento - il ricorso proposto contro il diniego di permesso di costruire deve essere respinto, ferma restando la riproponibilità dell’istanza.

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della problematicità delle questioni trattate e della soccombenza reciproca.

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