TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2022-07-12, n. 202209558
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Testo completo
Pubblicato il 12/07/2022
N. 09558/2022 REG.PROV.COLL.
N. 13256/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 13256 del 2021, proposto da
Università Giustino Fortunato, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G T e L A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza San Bernardo, 101;
contro
Ministero dell'Università e della Ricerca, ANVUR - Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, Università degli Studi di Roma La Sapienza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
- del D.M. n. 1154 del 14 ottobre 2021, recante “Decreto autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio”, in parte qua;
- della Delibera ANVUR n. 166 del 27 luglio 2021, recante “Proposta di revisione del decreto ministeriale n. 6 del 7 gennaio 2019”, in parte qua;
- del Decreto della Direzione generale degli ordinamenti della formazione superiore e del diritto allo studio, Segretariato Generale, del MUR, n. 2711 del 22 novembre 2021, in parte qua;
- della delibera ANVUR n. 248 del 11 novembre 2021, richiamata nel D.D. n. 2711/2021, ancorché non conosciuta;
- ove occorra, del D.M. n. 289 del 25 marzo 2021, concernente le Linee Generali di indirizzo della programmazione 2021-2023, in parte qua;
- di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale ancorché lesivo e non conosciuto dalla ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Università e della Ricerca, di ANVUR - Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca e dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2022 la dott.ssa Paola Patatini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Col ricorso in esame, parte ricorrente, università telematica istituita con decreto del (allora) MIUR del 13 aprile 2006, impugna il decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) n. 1154 del 14 ottobre 2021, con cui è stata dettata la disciplina di “autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio”, in sostituzione del DM n. 6 del 7 gennaio 2019.
2. Dopo una breve premessa sulla disciplina dell’accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19, parte ricorrente sottolinea come il precedente DM 6/2019 avrebbe contemplato, quanto ai requisiti di accreditamento relativi alla docenza, “una precisa differenziazione tra Università telematiche e Università tradizionali”, specificità che il nuovo decreto invece non rispetterebbe.
Il precedente DM aveva infatti previsto, per le sole telematiche, un moltiplicatore per il calcolo della numerosità massima di studenti da considerare ai fini del computo del numero minimo di docenti necessario per il rispetto dei requisiti di docenza, stabilendo altresì, per tutti gli atenei, che, in caso di superamento delle numerosità massime indicate nell’allegato D del medesimo decreto, il numero di docenti di riferimento - comprendente anche i docenti a contratto ex art. 23 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 - e quello delle figure specialistiche aggiuntive, sarebbe stato incrementato in misura proporzionale al superamento delle soglie secondo un’apposita formula, mantenendo la quota minima prevista per i professori a tempo indeterminato nell’ambito dei docenti di riferimento.
Il nuovo decreto, oggetto del presente giudizio, adottato previa formulazione della proposta di revisione del DM 6/2019 da parte dell’ANVUR (con delibera n. 166 del 29 luglio 2021), ha invece eliminato il suddetto moltiplicatore e previsto, al contempo, un proporzionale aumento del numero dei professori a tempo indeterminato per il caso di superamento della numerosità massima degli studenti, “stravolgendo in maniera aberrante, senza che ciò fosse minimamente prevedibile, le regole di un sistema in base al quale le Università telematiche, ivi inclusa la ricorrente, avevano strutturato numerosi corsi di studio e conseguito l’accreditamento per la loro attivazione”.
3. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di diritto:
«I. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 25, comma 6, della Legge n. 289/2002. Violazione e/o falsa applicazione all’art. 2, comma 148, del D.L. n. 262/2006. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5-9 del D.Lgs. n. 19/2012. Violazione e/o falsa applicazione del D.M. MIUR del 17 aprile 2003 (cd. Stanca M). Violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 196/2018. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria. Erroneità dei presupposti. Contraddittorietà intrinseca ed estrinseca. Carenza di motivazione. Manifesta irragionevolezza. Manifesta illogicità. Sviamento di potere».
Ad avviso della ricorrente, il decreto sarebbe viziato sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto non sarebbero state esplicitate le ragioni sottese alla “parificazione” tra università telematiche e università convenzionali quanto ai requisiti di docenza, sovvertendo la disciplina previgente in assenza di cambiamenti del quadro giuridico e fattuale sotteso al DM 6/2019. Sarebbe poi mancato il coinvolgimento delle università telematiche, diversamente da quanto accaduto in precedenza, allorché le stesse erano state coinvolte sia nel Tavolo tecnico istituito con DM 196/2018, richiamato nelle premesse del DM 6/2019 e invece scomparso in quelle del DM 1154, sia “nell’ambito dell’iter sotteso all’adozione del DM n. 6/2019”.
Ad avviso della parte, poi, l’evidenziato difetto istruttorio non potrebbe essere sanato nemmeno dalla prevista revisione periodica degli indicatori, di cui all’art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 19/2012, atteso che, a supporto delle modifiche apportate, non si rinverrebbero né particolari esigenze di coerenza con gli standard e le linee guida stabilite dall'Associazione europea per l'assicurazione della qualità del sistema universitario ( Standards and Guidelines for Quality Assurance in the European Association for Quality Assurance in Higher Education - EHEA ), né riferimenti agli esiti delle attività di monitoraggio.
«II. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 25, comma 6, della Legge n. 289/2002. Violazione e/o falsa applicazione all’art. 2, comma 148, del D.L. n. 262/2006. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5-9 del D.Lgs. n. 19/2012. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 della Legge n. 240/2010. Violazione e/o falsa applicazione del D.M. MIUR del 17 aprile 2003 (cd. Stanca M). Violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 196/2018. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria. Erroneità dei presupposti. Contraddittorietà intrinseca ed estrinseca. Carenza di motivazione. Manifesta irragionevolezza. Manifesta illogicità. Sviamento di potere».
Il DM sarebbe in ogni caso illegittimo per aver eliminato la “giusta differenziazione” tra università telematiche e convenzionali quanto al possesso dei requisiti di docenza, essendo stato ingiustificatamente aumentato il numero di docenti a tempo indeterminato. Vi sarebbe inoltre una contraddittorietà rispetto alle determinazioni precedentemente assunte dal Ministero in ordine al diverso regime delle telematiche, nonché violazione di legge per aver disatteso la previsione dell’art. 25, comma 6, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e dell’art. 2, comma 148, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, come convertito, di introdurre una fonte regolamentare per la disciplina specifica dell’accreditamento dei soli corsi a distanza.
Per effetto del nuovo decreto, le telematiche si troverebbero ora in una condizione sperequata rispetto alle convenzionali in ragione del fatto che la numerosità degli studenti è calcolata sugli iscritti “per la prima volta nel corso” e non sugli iscritti al primo anno, come previsto per gli altri atenei.
Inoltre, con riferimento alle tipologie di docenti di riferimento, il nuovo DM modificherebbe radicalmente la previgente disciplina prevedendo limitazioni all’utilizzo dei docenti in convenzione e a contratto, di cui agli artt. 6, comma 11, e 23 della legge n. 240/2010.
La nuova determinazione dei requisiti di docenza sarebbe quindi contraria a ogni criterio di efficienza ed efficacia, a nulla giovando l’aumento del numero di docenti, con eccessiva parcellizzazione delle attività didattiche, e in violazione del criterio di “sostenibilità economico-finanziaria”, di cui non si sarebbe in concreto tenuto conto.
4. Per resistere al gravame si sono costituiti il MUR e l’ANVUR, depositando documentazione e relazione illustrativa.
5. Si è altresì costituita l’Università degli studi di Roma la Sapienza, evidenziando la propria estraneità al giudizio.
6. All’esito della camera di consiglio del 10 gennaio 2022, la Sezione ha respinto l’istanza cautelare con ordinanza n. 41/2022 (non impugnata).
7. Alla pubblica udienza del 27 aprile 2022, sentite approfonditamente le parti, la causa è stata trattenuta in riservata decisione e definitivamente decisa alla camera di consiglio riconvocata del 25 maggio 2022.
8. Il ricorso non è fondato.
9. Il Collegio ritiene preliminare ricostruire il quadro normativo di riferimento.
L’istituzione delle università telematiche, quale la ricorrente, è stata consentita dall’art. 26, comma 5, della legge n. 289/2002, che, nel demandare ad un decreto interministeriale la definizione dei criteri e delle procedure di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici, si limitava a stabilire che ai fini dell’acquisizione dell’autorizzazione al rilascio dei titoli accademici, le università dovessero disporre di adeguate risorse organizzative e gestionali ivi indicate.
Il successivo decreto interministeriale 17 aprile 2003 (cd. Stanca M), recante “Criteri e procedure di accreditamento dei corsi di studio a distanza delle università statali e non statali e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici di cui all’art. 3 del decreto 3 novembre 1999, n. 509”, all’art. 2, comma 2, ha espressamente qualificato gli atenei telematici come quelli deputati all’insegnamento a distanza che abbiano ottenuto l’accreditamento in virtù delle disposizioni contenute nel medesimo decreto. Ai sensi dell’art. 7 del predetto D.I., «il provvedimento di accreditamento […] abilita l’Università richiedente ad attivare i corsi di studio a distanza [e] autorizza l’Università stessa al rilascio dei titoli accademici al termine dei corsi di studio a distanza per i quali è stata prodotta la relativa istanza. I predetti titoli hanno identico valore legale di quelli rilasciati ai sensi del decreto ministeriale 3 novembre 1999, n. 509».
Sull’art. 26 sopra detto, è poi intervenuto il legislatore chiarendo all’art. 2, comma 148, d.l. n. 262/2006, come convertito, rubricato “Misure in materia di riscossione”, che «[p]er le finalità di cui all'articolo 26, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, si provvede con regolamento del Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, fermi restando i princìpi e i criteri enunciati nella medesima disposizione e prevedendo altresì idonei interventi di valutazione da parte del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU) sull'attività svolta, anche da parte delle università e delle istituzioni già abilitate al rilascio dei titoli accademici alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento, non può essere autorizzata l'istituzione di nuove università telematiche abilitate al rilascio di titoli accademici».
Nelle more dell’adozione del regolamento, è quindi intervenuta la legge n. 240/2010 (cd. Legge Gelmini), applicabile anche alle università telematiche (in tal senso anche la giurisprudenza, v. Tar Lazio, Sezione Terza, sentenza n. 6682/2014), il cui art. 5 reca una delega in materia di interventi per la qualità e l'efficienza del sistema universitario, anche ai fini dell’introduzione di un sistema di accreditamento delle sedi e dei corsi universitari (v. art. 5, comma 3, lettera a).
A tale delega è stata data attuazione col d.lgs. n. 19/2012, le cui disposizioni trovano applicazione con riguardo a «tutte le istituzioni universitarie italiane, statali e non statali, comunque denominate, ivi compresi gli istituti universitari a ordinamento speciale e le università telematiche» (cfr. art. 3), il quale, al Capo II (artt. 5-9), disciplina il sistema di accreditamento delle sedi e dei corsi universitari.
In particolare, l’art. 5, comma 2, distingue l’accreditamento iniziale, ovvero «l’autorizzazione all’Università da parte del Ministero ad attivare sedi e corsi di studio [che] comporta l’accertamento della rispondenza delle sedi e dei corsi di studio agli indicatori ex ante definiti dall’ANVUR ai sensi dell’articolo 6, volti a misurare e verificare i requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di qualificazione dei docenti e di qualificazione della ricerca idonei a garantire qualità, efficienza ed efficacia nonché a verificare la sostenibilità economico-finanziaria delle attività», da quello periodico (comma 3), con ciò intendendo «la verifica dei requisiti di qualità, di efficienza e di efficacia delle attività svolte. L'accreditamento periodico avviene con cadenza almeno quinquennale per le sedi e almeno triennale per i corsi di studio ed è basato sulla verifica della persistenza dei requisiti di cui al comma 2, su ulteriori indicatori definiti ex ante dall'ANVUR e sugli esiti della valutazione di cui agli articoli 9 e 10».
Ai sensi del successivo art. 6, l’ANVUR provvede quindi a definire gli indicatori per l’accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e li comunica al Ministero, il quale li adotta con apposito decreto.
Gli indicatori, elaborati in coerenza con gli standard e le linee guida stabilite dall'Associazione europea per l'assicurazione della qualità del sistema universitario ( Standards and Guidelines for Quality Assurance in the European Association for Quality Assurance in Higher Education - EHEA ), devono tener conto «degli obiettivi qualitativi definiti ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 2010, n. 76, e delle linee generali di indirizzo della programmazione triennale delle università, definite con decreto del Ministro ai sensi dell'articolo 1-ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, nonché dell'accertamento della sostenibilità economico-finanziaria».
Gli indicatori definiti per i corsi di studio sono oggetto di revisione periodica con cadenza triennale (quinquennale, per quelli relativi alle sedi) al fine di renderli costantemente coerenti con le linee guida definite a livello europeo e in linea con gli obiettivi qualitativi e le linee programmatiche sopra dette, nonché al fine di tenere conto degli esiti dell'attività di monitoraggio.
Nel tempo, gli indicatori per l’accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio sono stati definiti da vari decreti ministeriali (e ss.mm.ii.): il DM 47/2013, il DM 987/2016, il DM 6/2019 e, da ultimo, il DM 1154/2021 impugnato, in base alle diverse Linee generali di indirizzo della programmazione triennale succedutesi negli anni (in particolare, DM del 23 dicembre 2010 per il triennio 2010-2012, DM del 8 agosto 2016, n. 635 per il triennio 2016-2018;DM del 25 marzo 2021, n. 289 per il triennio 2021-2023).
Con particolare riguardo all’accreditamento dei corsi di studio, l’art. 8 del d.lgs. n. 19 del 2012, come da ultimo modificato dall’art. 19, comma 2 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni in legge 11 settembre 2020, n. 120, ha poi previsto che «[c]on regolamento da adottarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentiti l'ANVUR, la Conferenza dei rettori delle università italiane e il Consiglio universitario nazionale, sono definite le modalità di accreditamento dei corsi di studio da istituire presso sedi universitarie già esistenti, in coerenza con gli obiettivi di semplificazione delle procedure e di valorizzazione dell'efficienza delle università. Con decreto del Ministro dell'università e della ricerca, da adottarsi entro e non oltre la data del 15 aprile precedente all'avvio dell'anno accademico, è prevista la concessione o il diniego dell'accreditamento», stabilendo altresì l’abrogazione dei commi da 3 a 9, disciplinanti le modalità della procedura di accreditamento, «a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento».
Va ulteriormente ricordato che, con specifico riferimento all’accreditamento dei corsi universitari a distanza, il MIUR, “ravvisata la necessità di adottare il regolamento in ossequio alle prescrizioni di cui all’art. 26, comma 5 della legge n. 289 del 2002”, provvedeva, con decreto 2 marzo 2018, n. 196, ad istituire un apposito Tavolo tecnico, composto, tra gli altri, anche da un rappresentante delle università telematiche, al fine di elaborare la proposta di regolamento “che dovrà prevedere appositi e specifici criteri di sostenibilità dei corsi in sostituzione di quelli attualmente in vigore a seguito dell’emanazione del DM 987/2016 e ss.ii.mm.” (vigente al momento dell’emanazione del decreto n. 198, n.d.r.).
A tale tavolo tecnico, non ha tuttavia fatto seguito alcuna proposta di regolamento, che ad oggi non risulta ancora adottato.
10. Così ricostruita la disciplina, invero scarna, delle università telematiche, può ora passarsi ad esaminare le censure di parte ricorrente che, per evidenti ragioni di connessione sostanziale, possono trattarsi congiuntamente.
11. L’assunto da cui muove la difesa poggia sostanzialmente sull’asserita parificazione che il nuovo DM 1154/2021 avrebbe comportato tra le università telematiche e quelle convenzionali, modificando “ingiustificatamente e drasticamente” la disciplina fino ad allora vigente per gli atenei a distanza.
12. Tale tesi, anche alla luce della ricostruzione normativa sopra fatta, non può tuttavia condividersi.
13. Va in primo luogo osservato che i requisiti di docenza, indicati nell’allegato A del DM impugnato, tengono invero conto della specificità delle università telematiche laddove diversificano il numero minimo di docenti in base alle differenti modalità di erogazione dei corsi: più alto per quelli erogati in modalità convenzionale o mista, più basso, di quasi il 30%, per i corsi di studio erogati prevalentemente o integralmente a distanza.
A parità di tipologia di corsi di studio, quindi, i requisiti di docenza richiesti per i corsi a distanza sono inferiori proprio in ragione della loro particolare caratteristica, consistente nel permettere la raggiungibilità di un numero indefinito di studenti.
Va inoltre evidenziato che la soglia minima di docenza riportata nell’allegato A è la stessa fissata nei precedenti DM 987/16 e DM 6/19;pertanto non vi è stata alcuna modifica sotto questo profilo.
14. Quanto al meccanismo del moltiplicatore, in base al quale per tutti i corsi interamente o prevalentemente a distanza le numerosità massime di studenti andavano triplicate, sebbene non più previsto nel DM impugnato, va sottolineato come lo stesso abbia rappresentato piuttosto un’innovazione del precedente decreto 6/2019, in quanto né il DM 47/2013, né quello 987/2016 lo avevano mai contemplato.
Anzi, il primo aveva testualmente stabilito che «ai corsi di studio delle università telematiche e a quelli a distanza possono essere richiesti i requisiti previsti per i corsi delle università statali se, a seguito delle verifiche in loco, l'ANVUR ritiene che la docenza di riferimento non garantisca un livello qualitativo adeguato all'attività formativa», così aprendo alla possibilità che i requisiti di docenza minima ivi indicati potessero essere modificati nel senso di un loro avvicinamento a quelli delle università convenzionali, al fine di garantire un adeguato livello qualitativo dell’attività formativa offerta dagli atenei a distanza.
14. Inoltre, sia il DM 47/2013 che quello 987/2016 stabilivano che, in caso di superamento della numerosità massima degli studenti, «il numero di docenti di riferimento viene incrementato in misura proporzionale al superamento di tali soglie», in base ad una formula rimasta invariata in tutti i decreti.
È solo con il DM 6/2019 che si aggiunge la precisazione per cui l’incremento in misura proporzionale dei docenti deve avvenire «mantenendo la quota minima prevista per i professori a tempo indeterminato nell’ambito dei docenti di riferimento».
Tale previsione, nell’ultimo DM, è invece stata modificata nel senso di «aumenta[re] in proporzione il numero dei professori a tempo indeterminato».
15. Con riguardo alla contestata modalità di computo del “numero di studenti”, si osserva poi che il riferimento al «numero di iscritti per la prima volta nel corso», non rappresenta affatto una novità introdotta con il decreto impugnato, essendo invece questa la modalità di calcolo prevista per i corsi a distanza fin dal DM 987/2016 e confermata anche nel DM 6/2019 (mentre nulla si diceva nel primo DM 47/2013), e che trova la propria ratio nella peculiarità dei corsi a distanza nei quali, come evidenziato dalla difesa ministeriale, diversamente dai corsi convenzionali, la prevalenza degli ingressi degli studenti non si verifica al primo anno di corso ma in anni successivi al primo.
16. Deve poi rilevarsi, con riferimento alla previsione dei docenti a contratto ex art. 23 della legge n. 240/2010, che tale figura è stata introdotta nella categoria dei docenti di riferimento solo con il DM 6/2019, non essendo mai stata contemplata in precedenza.
Mentre il DM 6/2019 li ha ricompresi senza alcun limite in rapporto al corpo docente strutturato, il DM 1154 ha invece previsto che questi possano essere conteggiati “entro il limite massimo di ½ della quota della docenza di riferimento non riservata ai professori a tempo indeterminato”, stabilendo altresì che detti docenti, insieme a quelli in convezione di cui all’art. 6, comma 11, legge n. 240/2010 e ai professori a tempo determinato con incarichi triennali, possano contribuire ai requisiti di docenza “nel limite di 1/3 del totale dei docenti di riferimento”.
17. Alla luce di quanto sopra osservato, non può allora seguirsi la tesi ricorrente circa l’asserito e lamentato “stravolgimento” della disciplina delle telematiche recato dal DM impugnato, in quanto, come sopra visto, il meccanismo del moltiplicatore e la previsione dei docenti a contratto su cui si incentrano le doglianze dell’università, non fanno parte di un sistema di accreditamento consolidato nel tempo, ma hanno piuttosto rappresentato un’innovazione rispetto alla precedente disciplina, nei confronti dei quali l’ANVUR aveva manifestato i propri rilievi critici fin dalla epoca della modifica dei requisiti di docenza previsti dal DM 987/2016 e poi adottati col DM 6/2019 (v. delibere n. 246 del 26 novembre 2020 e poi n. 266 del 2021).
18. Chiarito ciò, deve quindi chiedersi se l’aver nuovamente modificato la disciplina dell’accreditamento con il DM 1154/2021 sia, come sostenuto dalla ricorrente, “ingiustificato” in assenza di mutamenti del quadro giuridico e fattuale sotteso al precedente decreto e di una concertazione con le università interessate.
19. A tale quesito va data risposta negativa.
Invero, il DM 1154 cit. rappresenta il risultato della revisione periodica dei criteri di accreditamento, in attuazione di quanto previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 19 del 2012, cui l’ANVUR deve provvedere ogni tre anni al fine di tenere gli indicatori costantemente coerenti con le linee guida europee per l'assicurazione della qualità del sistema universitario e con quelli di programmazione universitaria triennale, tenendo conto degli esiti dell’attività di monitoraggio.
Se le linee guida europee sono invero rimaste immutate dalla loro approvazione nel maggio 2015 alla Conferenza di Yerevan, nel marzo 2021 sono state invece adottate le nuove “Linee generali d’indirizzo della programmazione delle università 2021-2021 e indicatori per la valutazione periodica dei risultati”, con il DM 289/2021, che hanno quindi rappresentato un cambiamento sul piano giuridico.
L’art. 8 del suddetto decreto ha invero previsto al comma 2 che «[c]on apposito decreto, su proposta dell’ANVUR, sono definiti, a decorrere dall’a.a. 2022/2023, i criteri, le modalità e gli indicatori per l’accreditamento iniziale e periodico, tenuto conto delle linee di indirizzo riportate nell’allegato 4 e degli indicatori riportati nell’allegato 2 del presente decreto […] di sedi e corsi di studio presso le Università, in sostituzione del d.m 7 gennaio 2019 (prot. n. 6), e successive modificazioni».
In tale quadro, l’ANVUR, nell’istruttoria fatta prima di proporre al Ministero i nuovi requisiti di docenza, ha quindi verificato l’evoluzione dell’insieme dei docenti strutturati (professori ordinari, professori associati e ricercatori) e degli studenti iscritti alle università telematiche prima dell’adozione del DM 6/2019 e a seguito della sua attuazione, constatando, a fronte di sostanziale mantenimento, quando non riduzione, del numero di docenti strutturati, un sensibile aumento del numero degli studenti iscritti alle telematiche.
Ciò non poteva non incidere quindi sul rapporto docente/studenti in termini di qualità di alcune attività che necessariamente fanno capo ai docenti, e che non possono essere demandate ai tutor cui le linee guida affidano solo una funzione di supporto, quali in particolare lo svolgimento degli esami, l’attività di relatore delle tesi di laurea e l’erogazione della didattica.
Ne derivava quindi che l’applicazione del DM 6/2019 con il particolare regime di favor riconosciuto alle telematiche, aveva determinato un’espansione dell’offerta formativa caratterizzata da una numerosità effettiva della docenza strutturata non adeguata, ad avviso dell’Agenzia, rispetto al numero degli studenti iscritti presso gli atenei a distanza.
D’altronde l’ANVUR aveva già espresso il proprio parere in merito alla maggior adeguatezza dei corsi di studio organizzati con una docenza strutturata, rispetto a quelli supportati prevalentemente da contratti di insegnamento. Con la delibera n. 246/2020 l’Agenzia aveva infatti già proposto al Ministero di intervenire sul DM 6/2019 a decorrere dall’a.a. 2022/23, eliminando dal conteggio dei requisiti di docenza i contratti di insegnamento ex art. 23 della legge 240/2010.
Tale posizione è stata confermata e ribadita nella successiva proposta di revisione degli indicatori, di cui alla delibera n. 166/2021, in cui si proponeva di ridurre il peso previsto dal DM 6/2019 dei docenti in convenzione e dei professori a tempo determinato ai fini dei requisiti di docenza e di eliminare i contratti di insegnamento dai requisiti in questione, oltre a uniformare le soglie del numero di studenti dei corsi a distanza ai corsi in presenza, anche in linea con le raccomandazioni formulate dall’ANAC con l’atto di indirizzo n. 39 del 14/5/2018 “di intervenire sulla disciplina applicabile a dette Università allo scopo di renderla omogenea rispetto a quella vigente in materia di Università tradizionali, prospettando anche l'abrogazione delle disposizioni derogatorie in loro favore”.
20. Alla luce di quanto sopra, le modifiche apportate con il nuovo decreto non appaiono dunque “ingiustificate” nel senso prospettato dalla ricorrente, ma si giustificano piuttosto con l’intento di ricondurre l’offerta formativa delle telematiche a standard di qualità adeguati al cresciuto numero di studenti.
Nel fare ciò, non sono state affatto annullate le peculiarità delle università telematiche.
21. Non può infatti essere letto in tal senso il mancato richiamo, nelle premesse del decreto, del DM n. 198/2016, atteso che lo stesso era stato adottato prima del DM 6/2019 al fine di predisporre una proposta di regolamento che, laddove adottato, avrebbe necessariamente influito sui criteri di accreditamento dei corsi a distanza. Tuttavia, non avendo avuto alcun esito, lo stesso deve ormai ritenersi superato.
22. Né può sostenersi che il decreto sia stato adottato in violazione di legge, con riferimento alla previsione contenuta nell’art. 26, comma 5, della legge n. 289/2002, come interpretato dall’art. 2, comma 148, del d.l. n. 262/2006, sulla necessità di un regolamento per la disciplina dei corsi a distanza.
Anche a prescindere dalla considerazione per cui lo stesso DM 6/2019 - che parte ricorrente invoca a sostegno delle proprie difese - è stato adottato nelle medesime forme del DM qui impugnato, in mancanza di tale fonte, le università telematiche continueranno ad essere disciplinate dal d.lgs. n. 19 del 2012, essendo allo stato l’unica disciplina a queste riferibile, comportando invece l’assenza di un regolamento unicamente il divieto di istituire nuove università.
Va poi aggiunto che l’art. 8 del d.lgs. n. 19/2012, come da ultimo modificato, ha introdotto la fonte regolamentare per la disciplina delle modalità di accreditamento dei corsi di studio da istituire presso le sedi universitarie già esistenti (siano esse convenzionali o telematiche).
Tale previsione tuttavia non inficia, né potrebbe, la legittimità del decreto impugnato in quanto gli ambiti applicativi sono diversi: il DM 1154 è stato infatti adottato ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 19 cit. e riguarda la revisione degli indicatori per l’accreditamento;l’art. 8 ha invece ad oggetto la procedura di accreditamento, che è distinta da quella di definizione/aggiornamento degli indicatori.
23. Non si ravvisa infine nemmeno il denunciato difetto di concertazione con le telematiche.
Invero, parte ricorrente ha più volte affermato l’avvenuto coinvolgimento delle telematiche nell’adozione del precedente decreto.
Tale assunto, non provato, non trova in ogni caso riscontro in alcuna fonte normativa - né la difesa ricorrente ha saputo precisarla in sede di discussione orale - atteso che la definizione e la successiva revisione degli indicatori, di cui al più volte citato art. 6, non prevede affatto il coinvolgimento degli atenei, bensì la sola proposta dell’ANVUR e la successiva adozione del decreto ministeriale.
Alcun obbligo di coinvolgimento delle telematiche può poi farsi discendere dal precedente DM 196/2018 in quanto istitutivo del tavolo tecnico finalizzato all’elaborazione della diversa proposta di regolamento per la disciplina di accreditamento dei corsi, in attuazione di quanto previsto dal d.l. n. 262/06.
A ciò si aggiunga che neppure per l’adozione del regolamento di cui all’art. 8 cit. è previsto il coinvolgimento delle telematiche, essendo invero richiesto, oltre al parere dell'ANVUR, quello della Conferenza dei rettori delle università italiane e del Consiglio universitario nazionale, organismi cui le università telematiche sono estranee.
24. Infine, con riguardo alla mancata considerazione della sostenibilità economica, fermo restando che nelle premesse del DM 1154 è richiamato il decreto n. 585/2018 relativo al costo standard per studente, va osservato che il criterio in questione rileva in realtà in sede di elaborazione iniziale degli indicatori, non già in sede di revisione (cfr. art. 6, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 19/2012), tanto che la voce “sostenibilità” si rinviene nel DM impugnato nel solo allegato B, relativo ai requisiti di accreditamento iniziale delle sedi.
25. Alla luce delle considerazioni sopra fatte, il ricorso va quindi respinto.
26. La novità delle questioni trattate giustifica tuttavia l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.