TAR Lecce, sez. II, sentenza 2011-03-29, n. 201100600

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. II, sentenza 2011-03-29, n. 201100600
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 201100600
Data del deposito : 29 marzo 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01517/2010 REG.RIC.

N. 00600/2011 REG.PROV.COLL.

N. 01517/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Seconda

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1517 del 2010, proposto da:
H A, rappresentato e difeso dall'avv. M C, con domicilio eletto in Lecce, via G. Toma, n. 45;

contro

Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Lecce, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata per legge in Lecce, via F.sco Rubichi, n. 23;

per l'annullamento

del provvedimento nr. 0045484, emesso dalla Prefettura, Ufficio Territoriale del Governo di Lecce, in data 17.6.2010 e notificato il 30.6.2010, con cui è stata rigettata la domanda di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario ricorrente, presentata dalla sig.ra Patera Vincenza, e di ogni atto connesso, presupposto e/o consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di U.T.G. - Prefettura di Lecce;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2011 il dott. Luigi Costantini e uditi per le parti l'avv.to M. Colella e l'Avvocato dello Stato A. Roberti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Nel settembre 2009 la sig.ra Patera Vincenza presentava, ai sensi della L. n. 102/09, dichiarazione di emersione di lavoro irregolare relativamente al cittadino straniero Azhar Hicham, già da tempo impiegato alle sue dipendenze come lavoratore domestico.

In data 17/6/2010, tuttavia, la Prefettura di Lecce comunicava l’archiviazione della domanda, stante il parere negativo della Questura all’assunzione del lavoratore che, “arrestato per violazione dell’art. 14/5 bis Legge 286/98” non avrebbe potuto usufruire del beneficio.

Avverso tale determinazione insorge con il ricorso in esame il cittadino straniero, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi:

- violazione e falsa interpretazione della legge n. 102/09;
motivazione insufficiente.

Si è costituita in giudizio per resistere al ricorso l’Amministrazione dell’Interno e all’udienza pubblica del 16/2/2011 sulle conclusioni dei difensori delle parti, la causa è stata ritenuta per la decisione.

DIRITTO

L’art.

1-ter della L. n. 102/09, nel disciplinare il procedimento di emersione del lavoro irregolare, stabilisce, tra l’altro, che non possono essere ammessi al beneficio i lavoratori extracomunitari condannati per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 del c.p.p.

In applicazione di tale disposizione, quindi, la Prefettura di Lecce ha ritenuto di dover archiviare l’istanza di emersione presentata dalla sig.ra Patera a favore del ricorrente, posto che lo stesso ricorrente, condannato ai sensi dell’art. 14, comma 5 ter, della legge n. 286/98, avrebbe realizzato una fattispecie delittuosa riconducibile, in ragione della misura della pena massima stabilita (quattro anni di reclusione), tra i reati contemplati dall’art. 381 del c.p.p.

Orbene, la conclusione cui perviene l’Amministrazione ad avviso del Collegio non può essere condivisa.

Al riguardo occorre innanzitutto rilevare che a svolgere un ruolo prevalente nella determinazione della sanzione, quale conseguenza giuridica del reato previsto dal su richiamato art 14, comma 5 ter, L. n. 286/98, non è tanto la considerazione della condotta dello straniero il quale, in violazione dell’ordine del Questore, permane illegalmente nel territorio dello Stato, quanto soprattutto i motivi per i quali l’Autorità amministrativa esercita il potere espulsivo.

In buona sostanza la disapprovazione dell’ordinamento investe soprattutto la condotta antecedente la violazione dell’ordine dell’Autorità amministrativa;
tant’è che laddove l’ordine inosservato fosse intervenuto per il mancato rinnovo del permesso di soggiorno scaduto (ipotesi pure considerata dalla norma), la pena applicabile risulterebbe di gran lunga inferiore (reclusione da sei mesi ad un anno) rispetto a quella prevista (reclusione da uno a quattro anni) in caso di espulsione disposta “per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell’art. 2 lett. a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine previsto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato”.

Ciò significa però che i fatti costitutivi del reato in questione, al netto della violazione dell’ordine questorile (marginale nella determinazione della pena edittale), si identificano con quelli suscettibili d’essere assunti a presupposto della domanda di emersione ex L. n. 102/09.

Sicchè ricondurre il reato previsto dall’art. 14, comma 5 ter, della L. n. 286/98, sanzionato con la pena della reclusione da uno a quattro anni, tra i reati previsti dagli artt. 380 e 381 del c.p.p., risulterebbe del tutto illogico e contraddittorio ove si consideri che una medesima condotta, per un verso legittimerebbe la domanda di emersione, per altro verso ne costituirebbe una causa ostativa.

Pertanto, una corretta interpretazione dell’art. 1 ter, comma 13, lett. c) della L. n. 102/09 induce a ritenere che, quantunque sia possibile ricondurre tra i reati previsti dall’art. 381 del c.p.p. un reato punibile con la pena da uno a quattro anni, tuttavia la regola della non ammissione alla procedura di emersione non possa ritenersi operante nei confronti del reato di cui all’art. 14, comma 5 ter, della L. n. 268/98, posto che i fatti costitutivi, valutati dal legislatore ai fini della determinazione della pena edittale, si traducono sostanzialmente nei presupposti indicati dalla norma per accedere alla procedura di emersione.

D’altro canto, una diversa interpretazione sicuramente porterebbe a soluzione configgenti con fondamentali principi di eguaglianza.

Nel sistema delineato dalla L. n. 102/09, infatti, è dato distinguere, tra le diverse posizioni considerate ai fini della “emersione”, quelle riguardanti: a) gli stranieri irregolarmente presenti nel territorio nazionale;
b) gli stranieri irregolari sottoposti a procedimento penale o amministrativo;
c) gli stranieri condannati per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381.

Orbene, concorrendovi le condizioni richieste dalla norma, la prima categoria di soggetti sarebbe regolarmente ammessa alla procedura di emersione;
la seconda categoria sarebbe anch’essa ammessa in quanto beneficiaria della sospensione dei procedimenti penali e amministrativi per violazione delle norme relative all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale (art. 1, comma 8);
la terza categoria, invece, risulterebbe tagliata fuori dal beneficio, stante la condizione ostativa di cui al comma 13, lett. c).

Gli stranieri condannati per il reato previsto dall’art. 14, comma 5 ter., della L. n. 286/98, quindi, riceverebbero un trattamento diverso e penalizzante non perchè autori di fatti diversi, bensì a causa della condanna riportata, cui soltanto per motivi contingenti altri soggetti ammessi alla procedura di emersione si sono potuti sottrarre.

La sanzione penale, tuttavia, nulla può aggiungere al giudizio di disvalore già contenuto nella norma incriminatrice;
anzi, qualunque sia la funzione della pena, colui che paga il suo debito con la giustizia non può essere trattato con disfavore rispetto a chi, responsabile della medesima condotta illecita, non ne ha subito le conseguenze giuridiche.

Ne discende che, ritenere non riconducibile tra i reati previsti dagli artt. 380 e 381 la fattispecie descritta dall’art. 14, comma 5 ter., della L. n. 286/98, significa non soltanto superare una contraddizione logico-giuridica (un medesimo fatto non può costituire, al contempo, presupposto necessario e condizione ostativa ai fini della “emersione”), bensì evitare anche una ingiustificata disparità di trattamento in violazione di un più generale principio di uguaglianza, secondo quanto più volte evidenziato da questa Sezione in sede cautelare nella esigenza di “una lettura costituzionalmente orientata delle norme nel loro combinato disposto” (ord. n. 776/10).

Bisogna altresì osservare che l’introduzione nel T.U. sull’immigrazione dell’art. 14, commi 5-ter e seguenti (aggiunti dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 e sostituiti, prima, dall’art. 1 del D.L. n. 241/04 e, infine, dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94) si palesa ancorata a scelte legislative del tutto speciali di contenimento del flusso migratorio (più che a ragioni di prevenzione penale) e, in tale contesto, la stessa previsione dell’arresto obbligatorio mira a evitare la permanenza in Italia del soggetto già destinatario dell’ordine di allontanamento dal territorio nazionale, allo scopo di facilitarne l’espulsione.

Viceversa, le norme dettate per l’emersione del lavoro irregolare sono correlate all’esigenza opposta di ammettere al soggiorno in Italia il cittadino extracomunitario già concretamente adibito a un’attività lavorativa, sicché – a ben vedere – i motivi ostativi ex art.

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