TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2023-06-20, n. 202310480

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2023-06-20, n. 202310480
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202310480
Data del deposito : 20 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/06/2023

N. 10480/2023 REG.PROV.COLL.

N. 10845/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10845 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da
P G, P P, M P, V F, V N F, P G M, G P, P G, F M, E D B, F D M, D D F, L F, M A, rappresentati e difesi dall'avvocato C V, con domicilio eletto presso lo studio Roberto Tartaglia in Roma, via Archimede, 44;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Avvocatura Generale dello Stato, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Lydia Fiandaca, non costituita in giudizio;

per la corresponsione degli onorari di causa arretrati e per il risarcimento del danno;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dellai Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’Avvocatura Generale dello Stato;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 28 aprile 2023 il dott. A S A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti, tutti avvocati dello Stato in servizio presso l’Avvocatura generale dello Stato di Roma, agiscono per ottenere la condanna dell’amministrazione alla corresponsione di tutti gli onorarî maturati sino al 24 giugno 2014, data di entrata in vigore dell’art. 9 d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, che procedeva alla rideterminazione delle modalità di corresponsione dei compensi professionali agli avvocati e procuratori dello Stato.

2. Si costituivano in resistenza le amministrazioni intimate.

3. Con successivo ricorso per motivi aggiunti il solo Giuseppe Albenzio articolava ulteriormente la propria pretesa economica facendo leva soprattutto su una peculiare intrepretazione della portata del pronunciamento di Corte cost. 10 novembre 2017, n. 236.

3.1. In seguito, anche gli altri esponenti presentavano ricorso per motivi aggiunti per mezzo del quale procedevano ad evidenziare la fondatezza della propria domanda.

4. Le parti si scambiavano documenti e memorie in vista della pubblica udienza del 28 aprile 2023, all’esito della quale il Collegio tratteneva la causa per la decisione di merito.

5. Esaurita l’esposizione dello sviluppo del processo, appare opportuno descrivere la vicenda fattuale principiando l’illustrazione dall’evoluzione normativa.

5.1. In particolare, va rammentato come gli avvocati e procuratori dello Stato percepiscono, come è noto, sia un trattamento retributivo fisso, sia i compensi tipici della professione forense (c.d. propine). Difatti, l’art. 21 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (t.u. avv. Stato) prevedeva (nel testo vigente a seguito delle modifiche operate a mezzo dell’art. 27 l. 3 aprile 1979, n. 103 e dell’art. 43 l. 18 giugno 2009, n. 69) che l’Avvocatura dello Stato curi l’esazione delle competenze di avvocato e di procuratore relative ai giudizî trattati, per ripartirle fra avvocati e procuratori. Nel dettaglio, in caso di condanna della controparte, la riscossione veniva effettuata nei loro confronti (c.d. spese liquidate), mentre nelle ipotesi di compensazione delle spese, per giudizî nei quali l’amministrazione non fosse risultata soccombente, veniva prevista (terzo comma) la corresponsione dall’Erario all’Avvocatura dello Stato della metà delle competenze che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente.

5.2. La ripartizione delle somme cosí determinate avveniva dopo che i titoli, in base ai quali esse erano state riscosse, fossero divenuti irrevocabili.

5.3. Su questo impianto normativo interveniva l’art. 1, comma 457, l. 27 dicembre 2013, n. 147, che dettava una disciplina transitoria (per gli anni dal 2014 al 2016), che riduceva parzialmente la ripartizione tra il personale dell’Avvocatura dello Stato delle somme per i compensi professionali.

5.4. In seguito, il già menzionato art. 9 d.l. 90 cit. abrogava sia la disposizione di cui al paragrafo precedente, sia l’art. 21, comma 3, t.u. avv. Stato relativo alla corresponsione di competenze da parte dell’Erario per i casi di c.d. spese compensate, limitatamente alle sentenze depositate dopo l’entrata in vigore del decreto legge (ossia dopo il 25 giugno 2014). Quanto alle spese liquidate, veniva prevista la ripartizione del «dieci per cento delle somme recuperate». Il decreto legge veniva convertito con modificazioni che interessavano anche il citato art. 9: in particolare, veniva previsto che i compensi professionali corrisposti al personale dell’Avvocatura dello Stato venissero computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all’art. 23-ter d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, nonché veniva incrementata la quota da ripartire tra avvocati e procuratori dello Stato per le spese liquidate, passando dal dieci al cinquanta percento (la rimanente parte veniva destinata in eguale misura al fondo per la riduzione della pressione fiscale e al finanziamento di borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato;
quest’ultima finalità veniva soppressa dall’art. 1, comma 486, l. 27 dicembre 2017, n. 205, aumentando la quota da ripartire tra avvocati e procuratori sino al settantacinque percento).

5.5. Inoltre, veniva previsto come la corresponsione dei compensi professionali (relativi unicamente alle spese liquidate) dovesse seguire dei criterî di riparto, basati sul rendimento individuale, fissati in un regolamento dell’Avvocatura dello Stato che individuasse anche i criterî di assegnazione degli affari. La disposizione, poi, precisava come la mancata adozione dei provvedimenti attuativi fosse preclusiva, a far data dal 1° gennaio 2015, della corresponsione dei compensi professionali.

5.6. Al fine di dare piena attuazione all’art. 9 d.l. 90 cit., l’Avvocatura dello Stato emanava (tempestivamente) in data 28 ottobre 2014 due regolamenti disciplinanti rispettivamente la classificazione degli affari trattati dall’istituto e i criterî di determinazione del rendimento individuale.

5.7. In seguito, con la circolare del 2015 si regolavano le modalità operative per la corresponsione delle somme per compensi professionali, stabilendo in primo luogo il limite retributivo per l’anno 2014 (in adesione all’orientamento del Consiglio di Stato e della Corte dei conti) tenuto conto dell’effettiva modalità di liquidazione delle propine per quadrimestri. Quanto ai titoli in forza dei quali procedere al riparto, veniva posta una disciplina transitoria per l’anno 2014, chiarendo come gli onorari per le spese compensate andavano ripartiti nella misura del 75% per sentenze depositate entro il 24 giugno 2014 (in forza della previsione di cui all’art. 1, comma 457, l. 147 cit.). Viceversa, per le spese liquidate veniva operata una tripartizione: quelle nascenti da titoli depositati fino al 24 giugno 2014 subivano la sola riduzione prevista dall’art. 1, comma 457, l. 147 cit. (ossia una decurtazione del 12,5%);
per le sentenze depositate tra il 25 giugno ed il 31 dicembre 2014 veniva prevista la riscossione integrale secondo la previgente disciplina;
per i provvedimenti depositati successivamente all’entrata in vigore del regolamento interno (1° gennaio 2015), la ripartizione non poteva superare il 50% delle competenze liquidate. Infine, quanto alle ulteriori ipotesi (es. transazioni anteriori alla lite con spese a carico della controparte), veniva prevista la ripartizione integrale, non essendo stato novellato l’art. 21, comma 1, t.u. avv. Stato.

6. Esaurita l’esposizione fattuale, va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del ricorso per genericità della domanda.

6.1. Difatti, viene avanzata una pretesa economica senza allegare alcun principio di prova, basata unicamente su fatti di cui i ricorrenti sono venuti a conoscenza «del tutto informalmente».

6.2. Va al contempo rilevato come la circostanza che le amministrazioni fossero in ritardo nel pagamento delle competenze professionali, ovvero che non si fosse proceduto ancora alla riscossione, è conseguenza delle fisiologiche tempistiche per la formazione dei titoli giudiziari definitivi (v. § 5.2.) nonché delle procedure necessarie alla liquidazione. Tra l’altro, come osservato dalla difesa dell’amministrazione in udienza, si tratta di ritardi «innocui», atteso che la continuità delle liquidazioni (che intervengono quadrimestralmente) rende sostanzialmente impercettibile all’avvocato dello Stato la maggiore o minore celerità nella corresponsione delle propine (che peraltro beneficiano di un favorevole regime fiscale).

6.3. In ogni caso, va rilevato come l’Avvocatura dello Stato con i provvedimenti attuativi dell’art. 9 d.l. 90 cit. abbia agito in piena aderenza non solo al dettato normativo, ma anche alla pretesa di parte ricorrente che, pertanto, si presenta in ogni caso infondata. Difatti, esattamente come esposto nel ricorso, con la circolare n. 34 veniva limitato il riparto delle spese compensate secondo la decurtazione prevista dall’art. 1, comma 457, l. 147 cit. Quanto alle spese liquidate, l’amministrazione nelle proprie difese chiariva come il regime fosse triplice facendo riferimento temporale alla data di deposito del provvedimento che regolava le competenze professionali: in primo luogo per le sentenze pubblicate prima dell’entrata in vigore del d.l. 90 cit. (ossia fino al 24 giugno 2014) il riparto era limitato al 87,5% della somma liquidata;
successivamente, stante la mancata conversione dell’art. 9, comma 1, terzo periodo, del d.l. 90 cit., si riespandeva l’efficacia dell’originario art. 21 t.u. avv. Stato fino alla data di entrata in vigore del regolamento attuativo;
successivamente a tale data (ossia dopo il 1° gennaio 2015), per le spese liquidate il riparto seguiva la misura del 50% del liquidato secondo i criterî di meritevolezza fissati nel regolamento. Su quest’ultimo punto appare opportuno precisare come l’espressione «con riferimento alle sentenze depositate successivamente all’entrata in vigore del decreto-legge» va interpretata tenuto conto dell’effettiva formulazione dell’art. 9 d.l. 90 cit.: invero, la disposizione che prevedeva la ripartizione solo del 50% delle spese liquidate entrava in vigore (ai sensi dell’ottavo comma) solo dal momento dell’adeguamento regolamentare, avvenuto a far data dal 1° gennaio 2015.

6.4. Quella testé illustrata costituisce l’applicazione corretta della disciplina posta dall’art. 9 d.l. 90 cit., che ha ricevuto l’indiretto avallo anche da parte della Corte costituzionale («la disciplina impugnata, avuto riguardo alla ipotesi del “compensato”, limita l’applicabilità delle nuove norme alle sole pretese patrimoniali inerenti a prestazioni rese in giudizi definiti con provvedimento depositato (o con una transazione formalizzata) in data successiva alla entrata in vigore del decreto. Quanto al “riscosso”, l’operatività della novella è stata altresì subordinata alla avvenuta adozione dei parametri di rendimento, demandata alla fonte regolamentare», cosí Corte cost., 236 cit.).

7. Quanto ai due atti di motivi aggiunti, va osservato che la sostanziale identità delle censure permette di analizzarli congiuntamente.

7.1. In particolare, viene evidenziata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, d.l. 90 cit., nella parte in cui ricomprende nel limite retributivo di cui all’art. 23-ter d.l. 201 cit. anche le spese liquidate, non essendo queste a carico dell’Erario.

7.2. Inoltre, viene dedotta l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, conv. dalla l. 23 giugno 2014, n. 89, nella parte in cui fissa il limite retributivo ad € 240.000,00, nonché dell’art. 9 commi 2, 4, 5 e 8 d.l. 90 cit., nelle parti in cui sopprime le competenze c.d. «compensate» e riduce le competenze cd. «liquidate» precedentemente spettanti agli avvocati dello Stato e dell’art. 16, comma 2, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv. dalla l. 10 ottobre 2014, n. 162, che riduceva da quarantacinque a trenta i giorni di ferie per gli avvocati dello Stato.

7.3. Infine, in caso di reputata manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità indicate ai paragrafi precedenti, si postula di far decorrere il limite retributivo dal 1° gennaio 2015 e non anche dal 19 agosto 2014.

7.4. Le dedotte questioni di legittimità costituzionale appaiono manifestamente infondate: difatti, in linea generale, va osservato come la Corte costituzionale (investita della questione da parte di Cons. Stato, sez. V, 26 agosto 2020, n. 5220) abbia già avuto modo di evidenziare che l’applicazione del tetto retributivo agli avvocati dello Stato non sia contrario alla Costituzione, atteso che anche il riparto delle competenze professionali costituisce un onere per le finanze pubbliche: difatti, la condanna alle spese fa sorgere in capo alla parte (cioè l’amministrazione patrocinata) il diritto di credito, con la conseguenza che le somme incassate spettano allo Stato e solo successivamente vengono «trasferite» all’Avvocatura dello Stato per il riparto tra il personale (v. Corte cost., 26 maggio 2022, n. 128).

7.5. Similmente, anche le altre questioni di legittimità costituzionale appaiono già esaminate e risolte dalla Corte costituzionale, sicché se ne può affermare la manifesta infondatezza (in particolare, sul limite retributivo fissato ad € 240.000,00 v. Corte cost., 26 maggio 2017, n. 124;
sulla soppressione delle competenze per le spese compensate v. Corte cost., 10 novembre 2017, n. 236;
sulla riduzione dei giorni di ferie v. Corte cost., 5 novembre 2015, n. 222).

7.6. Viepiú, va osservato che la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 890, l. 29 dicembre 2022, n. 197, non muta i termini della questione: difatti, la disposizione appare sciogliere unicamente dubbî circa il regime fiscale delle propine, mentre nulla innova circa le modalità di corresponsione delle stesse. In aggiunta, la difesa dell’amministrazione ha precisato in udienza come la disposizione fosse anche utile per ribadire – come da prassi consolidata – l’esclusione della pensionabilità delle competenze professionali.

7.7. In ultimo, sull’entrata in vigore della disposizione che estende anche alle competenze accessorie il tetto stipendiale, va osservato come per mezzo della circolare del 2015 illustrata nelle difese dell’amministrazione, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, venivano correttamente individuate le modalità per calcolarne la soglia. Difatti, veniva fissata a far data 19 agosto 2014 l’applicazione del massimale retributivo, ossia dalla data di entrata in vigore della legge di conversione: invero, contrariamente alla disposizione per il riparto delle competenze, l’art. 9, comma 1, d.l. 90 cit. non necessitava di alcun atto attuativo, con la conseguenza che esso trova diretta applicazione sin dall’entrata in vigore della legge di conversione. Inoltre, quanto alla concreta liquidazione delle competenze, veniva previsto solo un adeguamento del pagamento del secondo quadrimestre del 2014 onde evitare di dover ripetere le somme versate in eccedenza agli avvocati dello Stato.

8. La descritta legittimità degli atti gravati determina la conseguente infondatezza della domanda alla restituzione delle somme non corrisposte dall’amministrazione, atteso che, come si è rilevato, che quest’ultima individuava i corretti parametri per liquidare le competenze professionali ai ricorrenti sulla base alle disposizioni applicabili: appare quindi indimostrata la lesione patrimoniale denunciata dagli esponenti.

9. Il ricorso e i motivi aggiunti, pertanto, vanno rigettati.

10. Le spese, stante l’originalità della controversia, possono essere compensate.

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