TAR Venezia, sez. I, sentenza 2023-07-07, n. 202301011

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2023-07-07, n. 202301011
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202301011
Data del deposito : 7 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/07/2023

N. 01011/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00744/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 744 del 2021, proposto da
A Z, rappresentato e difeso dagli avvocati G S, G G e A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, rappresentato e difeso dagli avvocati A G, A T, S A, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Regionale Inps di Venezia, Santa Croce n. 929, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
I.N.P.S. - Istituto Nazionale di Previsione Sociale, Direzione provinciale di Verona, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

- del provvedimento n. 900000-21-0118 del 7 maggio 2021 dell’Istituto Previdenza Sociale, sede di Verona, avente ad oggetto “ Conferma in Autotutela del provvedimento, notificato in data 03/09/2020, in materia di "Contributi - TFR ESATTORIALI " provvedimento protocollo n. INPS.9000.30/09/2020.0694168 di liquidazione del TFS;

- del provvedimento, notificato in data 3 settembre 2020, in materia di “ Contributi - TFR ESATTORIALI” provvedimento protocollo n. INPS.9000.30/09/2020.0694168 di liquidazione del TFS;

- del provvedimento in data 11 novembre 2019, protocollo n. INPS.9000.11/11/2019.0379899;

e comunque per l’accertamento del diritto del Prof. A Z alla liquidazione del TFS nella misura spettante, in relazione a quanto dallo stesso percepito a titolo di stipendio all’atto della cessazione dal servizio o - in via subordinata - nella misura ritenuta dovuta, senza le riduzioni operate in pretesa applicazione della legge 27 dicembre 2013, n. 147;

con la conseguente condanna dell’Amministrazione resistente alla corresponsione delle somme spettanti al ricorrente a seguito del ricalcolo dell’indennità di fine servizio, con rivalutazione monetaria ed interessi dal dovuto e fino al soddisfo.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2023 il dott. Filippo Dallari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente, professore ordinario di Diritto civile presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Verona, in data 6 novembre 2014 veniva eletto componente del Consiglio Superiore della Magistratura (in seguito, C.S.M.) dal Parlamento in seduta comune.

1.1. Il ricorrente rassegnava le dimissioni da professore ordinario in data 20 settembre 2017, allorché percepiva complessivamente dall’Università e dal Ministero della Giustizia C.S.M., ai sensi dell’art. 40 della legge n. 195 del 1958, Euro 15.423,22 mensili, pari ad Euro 185.078,64 annui.

1.2. Cessato l’incarico di componente del C.S.M., con nota dell’11 novembre 2019 l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (in seguito, Inps) determinava l’importo del trattamento di fine servizio del ricorrente in Euro 252.577,70, individuando “ lo stipendio alla cessazione ” in Euro 7.342,33 mensili, pari ad Euro 88.108,50, ossia l’importo della retribuzione quale professore universitario con i miglioramenti economici attribuibili per il mero decorso dell’anzianità di servizio che avrebbe maturato qualora fosse rimasto in servizio presso l’Università.

1.3. Avverso tale determinazione del TFS, il ricorrente in data 2 dicembre 2019 proponeva ricorso amministrativo.

1.4. Con nota del 24 dicembre 2019 l’Inps comunicava al ricorrente che, ritenute le osservazioni “ meritevoli d’essere prese in considerazione al fine di un riesame ”, la sua richiesta era stata inoltrata all’Ufficio competente e conseguentemente “ la ricevuta del ricorso doveva essere considerata nulla a tutti gli effetti ”.

1.5. In data 30 settembre 2020, l’Inps adottava un nuovo prospetto di liquidazione del TFS del ricorrente con i medesimi importi di quello dell’11 novembre 2019.

1.6. Il ricorrente impugnava anche tale nuovo prospetto con ricorso amministrativo.

1.7. L’Inps respingeva tale ricorso, confermando con provvedimento del 7 maggio 2021 la precedente liquidazione del TFS sulla base della seguente motivazione: “ I professori di ruolo delle Università, eletti componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, sono collocati fuori del ruolo organico per la durata dell’incarico con provvedimento del Ministero della Pubblica Istruzione che avrà efficacia dal giorno dell’insediamento del CSM.

Il periodo lavorato prestato in posizione ‘fuori ruolo’ non risolver il rapporto di lavorio del soggetto con l’amministrazione di appartenenza.

Il trattamento economico in base al quale viene determinata la contribuzione ai fini TFS è quello in godimento dell’iscritto presso l’Università alla data di collocamento fuori ruolo con l’aggiunta dei miglioramenti economici attribuibili per il mero decorso dell’anzianità di servizio e che sarebbero stati maturati qualora l’interessato fosse rimasto in servizio presso l’codesto Ateneo.

Peraltro, l’art. 202 del d.P.R. 3/57 che prevedeva la valutabilità, sia pure unicamente ai fini pensionistici, dell’assegno personale pari alla differenza tra l’indennità di carica percepita come componente laico presso l’organo di autogoverno e la retribuzione di docente universitario, è stato abrogato dalla legge 147/2013 che ha disposto quanto segue: ‘Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità’ ”.

2. Con ricorso, notificato in data 5 luglio 2021 e depositato in data 16 luglio 2021, il ricorrente ha impugnato tale provvedimento di rigetto del ricorso amministrativo e di conferma della determinazione del TFS sulla base del seguente unico motivo: violazione dell’art. 40 della legge 24 marzo 1958 n. 195, dell’art. 202 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e dell’artt. 3 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032.

Il ricorrente si sarebbe dimesso da professore ordinario prima della cessazione dell’incarico di membro del C.S.M., senza mai rientrare presso l’Amministrazione di appartenenza.

Di conseguenza la fattispecie non sarebbe sottoposta alla disciplina di cui all’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013, bensì a quella generale di cui all’art. 3, comma 3, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 secondo cui: “ Per la determinazione della base contributiva, ai fini dell'applicazione del comma precedente, si considera l'ultimo stipendio o l'ultima paga o retribuzione integralmente percepiti ”. Tale interpretazione troverebbe conferma nella nota del 16 aprile 2018 con cui l’Inps, rispondendo ad un quesito dell’Università di Verona, avrebbe riconosciuto che “ la retribuzione pensionabile sarà quella complessivamente percepita dall’interessato ”, vale a dire quella erogatagli ai sensi dell’art. 40 della legge 24 marzo 1958, n. 195. Ai fini del calcolo del TFS l’Inps avrebbe quindi dovuto considerare la medesima base contributiva considerata a fini pensionistici.

Al momento delle dimissioni il ricorrente avrebbe percepito uno stipendio lordo mensile complessivo – da parte dell’Università e del Ministero della Giustizia - di Euro 15.423,22, ossia Euro 185.078,64, e dunque l’Inps avrebbe dovuto determinare il TFS sulla base di tale importo.

3. L’Inps si è costituita in giudizio e ha contestato nel merito le censure proposte, evidenziando che il compenso corrisposto dal C.S.M. non avrebbe natura retributiva e quindi non dovrebbe essere computato ai fini della determinazione del TFS.

4. In vista dell’udienza parte ricorrente ha depositato una memoria in cui ha ulteriormente sviluppato le sue difese, rimarcando la natura sostanzialmente retributiva delle somme corrisposte dal C.S.M..

5. All’udienza pubblica del 24 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Le censure proposte non possono essere condivise.

6.1. L’articolo 1, comma 458, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ( legge di stabilità per il 2014 ), ha abrogato l’articolo 202 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 e l’articolo 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e ha stabilito che “ Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall’incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità ”.

La giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Ad. Plen. 5 agosto 2022, n. 10) ha chiarito che tale disposizione:

- si compone di due norme. “ La prima abroga espressamente l’art. 202 d.P.R. n. 3 del 1957, unitamente all’art. 3, commi 57 e 58 l. n. 537 del 1993, le quali, come si è detto, completavano la disciplina dei c.d. passaggi di carriera. La seconda fissa la regola per la quale alla cessazione dell’incarico ricoperto (o del diverso ruolo assunto) al dipendente pubblico che rientri (nei ruoli) nell’amministrazione di provenienza spetta un trattamento pari quello del collega con pari anzianità ”;

- ha così determinato “ un’abrogazione delle disposizioni previgenti incompatibili per rinnovazione della materia. Il legislatore, con la norma contenuta nella seconda parte del comma 458 della legge di stabilità per il 2014, ha fissato una regola unitaria per quella particolare vicenda del rapporto di pubblico impiego rappresentata dal rientro nei ruoli di provenienza in seguito alla cessazione dell’incarico (o del ruolo) al quale il dipendente sia stato eletto o nominato;
si è disposto che il trattamento dovuto sarà equivalente a quello attribuito al collega di pari anzianità
”;

- in particolare ha determinato l’abrogazione anche dell’art. 3 della legge n. 312 del 1971 che disciplinava i trattamenti di quiescenza e di previdenza dei membri del C.S.M., eletti dal Parlamento in seduta comune. Pertanto l’art. 1, comma 458, l n. 147 del 2013, deve “ trovare applicazione anche nei confronti dei professori universitari eletti componenti c.d. laici del C.S.M. che alla cessazione dell’incarico siano rientrati nei ruoli dell’università di provenienza” ;

- ha portato “ a definire un unico trattamento dei consiglieri eletti dal Parlamento alla cessazione dell’incarico a fronte delle differenti discipline prima esistenti in ragione della categoria di provenienza al momento dell’elezione ”.

- si applica “ ai ratei da corrispondersi a partire dal 1°febbraio 2014, anche se il conferimento dell’incarico di componente c.d. laico del C.S.M. sia avvenuto antecedentemente alla data di entrata in vigore della l. n. 147 del 2003 e senza che ciò comporti lesione del legittimo affidamento maturato dal consigliere” .

In definitiva, come chiarito dall’Adunanza Plenaria, il legislatore ha ritenuto di superare le precedenti differenze di trattamento, e come sostenuto dall’Inps, ha sottoposto i professori universitari eletti componenti c.d. laici del C.S.M. ad un trattamento equivalente a quello attribuito al collega dell’Amministrazione di appartenenza di pari anzianità.

6.2. In ragione della ratio e della natura generale – non speciale – dell’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013 nessun rilievo può essere attribuito al fatto che il ricorrente si sia dimesso dall’Università prima della cessazione della carica presso il C.S.M. e non sia quindi rientrato presso l’Amministrazione di appartenenza.

Invero non emergono ragioni – né peraltro il ricorrente le ha evidenziate – che giustifichino un diverso trattamento – significativamente più favorevole – del professore che si dimette dall’Università prima della scadenza della carica presso il C.S.M. rispetto a quello riconosciuto al professore che invece alla scadenza rientra presso la propria Amministrazione di appartenenza.

D’altra parte per evidenti ragioni di parità di trattamento e di giustizia sostanziale, il riconoscimento di un trattamento diverso, come quello preteso dal ricorrente, non può essere correlato né a circostanze meramente contingenti – il raggiungimento del limite di età nel corso della carica presso il C.S.M. – né ad una scelta discrezionale dell’interessato.

La disposizione di cui all’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013 deve quindi ritenersi a fortiori applicabile anche al professore che non rientra presso la propria Amministrazione di appartenenza.

7. A diverse conclusioni non conduce nemmeno la disposizione – invocata dal ricorrente – secondo cui “ Per la determinazione della base contributiva, ai fini dell'applicazione del comma precedente, si considera l'ultimo stipendio o l'ultima paga o retribuzione integralmente percepiti ” (art. 3, comma 3, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032).

7.1. Infatti, come sostenuto dall’Inps, l’emolumento di cui all’art. 40 della legge 24 marzo 1958, n. 195, quantomeno nella parte a carico del Ministero della Giustizia, “ non è assimilabile a una normale retribuzione in quanto è stato istituito a ristoro di peculiari sacrifici conseguenti alla rinunzia a vantaggi attuali o potenziali della quale il legislatore si è dato carico ” (Cons. giust. amm. Reg. Sic., Sez. giurisd., 14 aprile 2016, n. 89).

Tale temporaneo emolumento non può quindi integrare – come sostenuto invece dal ricorrente - “ l'ultimo stipendio” ai fini della determinazione del TFS .

8. Il ricorso non può pertanto essere accolto.

9. In ragione della peculiarità della fattispecie e della novità delle questioni trattate, sussistono le condizioni per compensare le spese.

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