TAR Perugia, sez. I, sentenza 2023-05-11, n. 202300310
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Pubblicato il 11/05/2023
N. 00310/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00486/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 486 del 2020, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato P G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ufficio Territoriale del Governo Perugia, Ministero dell’Interno, in persona dei legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi
ope legis
dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Perugia, via degli Offici, 14;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia
- della nota della Prefettura di Perugia del -OMISSIS-, prot. n°-OMISSIS-, con la quale è stato trasmesso il provvedimento interdittivo nei confronti della -OMISSIS-.;
- del provvedimento interdittivo prot. n. -OMISSIS- adottato dalla medesima Prefettura in data -OMISSIS-;
- nonché di ogni altro atto presupposto e/o connesso e/o conseguente anche non conosciuto negli estremi e nel contenuto, in quanto lesivo dei diritti ed interessi legittimi della ricorrente;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo Perugia e del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 aprile 2023 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento interdittivo antimafia ex artt. 67 e 92 del d.lgs. n. 159/2001, emesso dal Prefetto di Perugia nei confronti della società odierna ricorrente a seguito di s.c.i.a. presentata al Comune di Bastia Umbra nell’-OMISSIS-, risultando a carico dell’amministratore e socio unico di detta società numerosi precedenti penali per furto in concorso, insolvenza fraudolenta, falsità ideologica del privato in atto pubblico, associazione a delinquere finalizzata a truffe e riciclaggio, ricettazione e falsificazione di monete.
L’impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi di diritto:
I. Violazione degli artt. 4, 25, 27, 35, 41, 111 e 117 della Costituzione, del combinato disposto degli artt. 6 e 18 della CEDU e del combinato disposto degli artt. 67, 83, 84, 87, 88, 88-bis, 91, 94 e 97 del d.lgs. n. 159/2011, nonché motivazione insufficiente e contraddittoria , atteso che l’informazione di cui all’art. 91 del d.lgs. n. 159/2011 può essere richiesta unicamente in relazione a rapporti tra privato ed Amministrazione e non avrebbe dunque potuto paralizzare un’attività, come quella svolta dalla ricorrente, articolantesi solo attraverso contratti con privati.
II. Violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 85, 89 bis, 91, 92, 93 e 94 del d.lgs. n. 159/2011 e dell’art. 3 della legge n. 241/1990, nonché eccesso di potere per difetto di motivazione e mancata considerazione dei presupposti, difetto di istruttoria, insufficienza, incongruità ed illogicità della motivazione , risultando il provvedimento impugnato fondato sulla sussistenza di precedenti penali e misure di prevenzione risalenti nel tempo.
Con ordinanza cautelare n. -OMISSIS- è stata respinta la domanda di sospensione dell’efficacia del provvedimento interdittivo impugnato, in ragione dei numerosi precedenti penali a carico dell’amministratore unico della società ricorrente.
All’udienza pubblica del giorno 4 aprile 2023, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato e va respinto.
Non coglie infatti nel segno la prospettazione di parte ricorrente secondo cui l’informazione antimafia può essere richiesta unicamente in relazione a rapporti tra privato e pubblica amministrazione, deponendo in senso contrario il chiaro tenore letterale dell’art. 91, comma 1, del d.lgs. n. 159/2011, ai sensi del quale i soggetti pubblici (tra cui il Comune) “devono acquisire l’informazione” antimafia prima di stipulare contratti, “ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67” , tra i quali figura anche la s.c.i.a. come in più occasioni chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (da ultimo, Cons. Stato, n. 6057/2019), a tenore della quale “anche le attività soggette al rilascio di autorizzazioni, licenze o a s.c.i.a. soggiacciono alle informative antimafia ed è pertanto superata la rigida bipartizione e la tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni” (cfr., Cons. Stato n. 2343/2018).
Peraltro, come ricorda la stessa giurisprudenza sopra richiamata, la tesi di parte ricorrente “ contrasta con una visione moderna, dinamica e non formalistica del diritto amministrativo, quale effettivamente vive e si svolge nel tessuto economico e nell’evoluzione dell’ordinamento, che individua un rapporto tra amministrato e amministrazione in ogni ipotesi in cui l’attività economica sia sottoposta ad attività provvedimentale, che essa sia di tipo concessorio o autorizzatorio o, addirittura soggetta a s.c.i.a.” (Cons. Stato n. 6057/19 citato).
Del resto l’art. 89, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011 prevede espressamente, alla lett. a), che l’autocertificazione, da parte dell’interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione, di cui all’art. 67, riguarda anche “attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla pubblica amministrazione” .
Né rilevanza alcuna può attribuirsi alla dedotta risalenza nel tempo dei precedenti penali su cui si basa il provvedimento interdittivo impugnato, atteso che, a norma dell’art. 70 del d.lgs. n. 159/11, solo la riabilitazione (peraltro attivabile solo dopo tre anni dalla cessazione della misura di prevenzione, nel caso di specie efficace fino a luglio 2005) comporta, per espressa volontà legislativa, “la cessazione di tutti gli effetti pregiudizievoli riconnessi allo stato di persona sottoposta a misure di prevenzione nonché la cessazione dei divieti previsti dall’art. 67” .
Ne consegue che, in assenza della riabilitazione, che presuppone un controllo dell’A.G. sulla “costante ed effettiva buona condotta” dell’interessato, la misura di prevenzione, anche ove abbia esaurito la sua efficacia, continua a spiegare effetti ostativi all’adozione di provvedimenti autorizzatori in favore del richiedente.
Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.