TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2018-04-19, n. 201804375

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2018-04-19, n. 201804375
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201804375
Data del deposito : 19 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/04/2018

N. 04375/2018 REG.PROV.COLL.

N. 11982/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11982 del 2016, proposto da
E D S, rappresentata e difesa dall'avvocato A F, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Padre Reginaldo Giuliani, 40;

contro

Roma Capitale, in persona del sindaco p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato U G, con domicilio eletto presso l’Avvocatura del Comune di Roma;

per l'annullamento

della D.D. n. 713 del 16 giugno 2016 di ingiunzione a rimuovere o demolire l'opera abusiva realizzata in via Dolzago s.n.c.;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2018 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato a Roma Capitale il 29 settembre 2016 e depositato il 4 novembre 2016, la ricorrente impugna la determinazione dirigenziale del 16 giugno 2016, numero di protocollo 713, notificata il 30 giugno 2016, di ingiunzione a demolire le opere abusive realizzate in via Dolzago.

Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce violazione dell’articolo 31 del testo unico edilizia ed eccesso di potere sotto vari profili;
l’amministrazione non avrebbe considerato la pendenza dei termini per il completamento delle opere autorizzate alla ricorrente con il permesso di costruire in sanatoria numero 156 del 10 aprile 2013.

Con il 2º motivo, la ricorrente deduce violazione della stessa legge ed eccesso di potere sotto altri profili, facendosi erroneamente riferimento, nel provvedimento impugnato, ad interventi non ancora ultimati, asseritamente eseguiti con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire numero 78 del 2014, variazioni individuate nell’accertamento tecnico del 17 luglio 2014.

Con il 3º motivo, deduce violazione della legge sul procedimento amministrativo e illegittimità derivata del provvedimento impugnato facendosi riferimento a una nota numero di protocollo 237 del 3 gennaio 2012, priva di sottoscrizione.

Con il 4º motivo, lamenta l’omessa comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio.

A sostegno del ricorso, la ricorrente allega una consulenza tecnica d’ufficio redatta nel procedimento penale numero di registro 40.715 del 2014, relativa agli stessi fatti presi in considerazione con il provvedimento impugnato.

Roma Capitale si costituisce in giudizio depositando documentazione e chiedendo il rigetto del ricorso, eccependo la regolare sottoscrizione della nota numero di protocollo 237 del 3 gennaio 2012 e la natura abusiva delle tamponature e delle tramezzature interne del piano sottotetto dell’immobile di cui si tratta, per le quali anche il permesso di costruire in sanatoria numero 156 aveva previsto la demolizione;
la sussistenza di opere abusive escluderebbe la possibilità di applicare la legge regionale numero 21 del 2009 sul piano casa agli interventi realizzati;
l’amministrazione evidenzia, inoltre, di aver respinto con il provvedimento numero di protocollo 37740 del 12 maggio 2014 una denuncia di inizio attività ai sensi della legge regionale numero 21 del 2009, presentata dalla ricorrente il 28 aprile 2014.

Alla camera di consiglio del 14 dicembre 2016, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, il Tribunale amministrativo sospende l’esecuzione del provvedimento impugnato con ordinanza numero 7989 del 14 dicembre 2016.

All’udienza pubblica del 6 aprile 2018 il ricorso è trattato e posto in decisione.

DIRITTO

È impugnata la determinazione dirigenziale numero 713 del 16 giugno 2016.

Con il provvedimento impugnato si ordina la demolizione, entro 90 giorni, delle opere in corso di ultimazione eseguite in variante essenziale rispetto al permesso di costruire numero 78 del 2014, meglio individuate nell’accertamento tecnico numero di protocollo 59442 del 17 luglio 2014 su area di interesse archeologico tutelata dall’articolo 41 del piano territoriale paesistico regionale.

Al fine di individuare le opere asseritamente consistenti in nuove costruzioni eseguite con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire, è necessario fare riferimento all’accertamento tecnico del 17 luglio 2014, richiamato con il provvedimento impugnato.

L’atto di accertamento tecnico redatto il 17 luglio 2014 rileva lavori in corso, in difformità rispetto al permesso di costruire numero 78 del 27 febbraio 2014.

Tale permesso di costruire è stato generato dalla scissione di un precedente permesso di costruire numero 156 del 10 aprile 2013 ed è collegato a quest’ultimo per i tempi di esecuzione delle opere e per le prescrizioni indicate.

Le difformità rilevate risulterebbero essere già state descritte in parte in una precedente relazione numero di protocollo 237 del 3 gennaio 2012, ma, contrariamente all’impegno assunto dalla proprietà per il ripristino dello stato dei luoghi, i lavori sarebbero proseguiti con la finitura e tinteggiatura delle parti che avrebbero dovuto essere demolite.

La relazione tecnica segnala la presentazione di una denuncia di inizio attività per il piano casa ai sensi della legge regionale numero 21 del 2009 per ampliamento di circa 46 m² di superficie utile legale e il recupero di 41 m² di superficie utile legale dai volumi accessori;
ma gli interventi oggetto di quest’ultima denuncia di inizio attività sarebbero stati inibiti per le motivazioni contenute in una nota del 12 maggio 2014.

Le superfici realizzate in difformità rispetto al progetto assentito ammonterebbero a 46 m² di ampliamento al piano 2º mediante la sopraelevazione del tetto e a 41 m² di ampliamento con cambio di destinazione d’uso da non residenziale in residenziale mediante innalzamento della quota del solaio.

Le superfici abusivamente realizzate, quindi, corrisponderebbero a circa 87 m²;
inoltre nel piano interrato risulterebbe rilevata una maggiore altezza rispetto a quanto autorizzato, pari a 2,77 m rispetto ai 2,50 m assentiti;
la stessa maggiore altezza sarebbe stata rilevata anche nei locali posti al 2º piano interrato.

Pertanto le opere sarebbero da considerare in variante essenziale rispetto al permesso di costruire numero 78 del 2014, dunque perseguibili ai sensi dell’articolo 15 della legge regionale numero 15 del 2008 e dell’articolo 31 del d.p.r. numero 380 del 2001.

Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce, sostanzialmente, il difetto di istruttoria e dei presupposti per l’adozione dell’ordine di demolizione.

A suo avviso l’amministrazione non avrebbe considerato che, alla data del provvedimento impugnato, erano ancora pendenti i termini per il completamento delle opere autorizzate con il permesso di costruire in sanatoria numero 156 del 10 aprile 2013, essendo stato comunicato l’inizio dei lavori il 13 marzo 2014;
pertanto non sarebbe ancora decorso il termine di 3 anni previsto dalla legge per il completamento delle opere di adeguamento, termine ulteriormente prorogato di 2 anni ai sensi della legge 9 agosto 2013, numero 98;
inoltre, la ricorrente avrebbe presentato una denuncia di inizio attività per il piano casa, in data 28 aprile 2014, per la contestata superficie lorda di circa 87 m².

Al fine di comprendere la reale consistenza delle opere realizzate e in corso di realizzazione è utile fare riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio allegata dalla difesa della ricorrente, eseguita su incarico della procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma nel procedimento penale numero 40715 del 2014, da cui è scaturita la richiesta di archiviazione del procedimento penale a carico della ricorrente per il reato edilizio contestato per gli stessi interventi oggetto del provvedimento amministrativo sanzionatorio.

Indipendentemente dalla rilevanza nel processo amministrativo di quanto accertato nella differente e separata sede penale, in ambito di reati edilizi, ai sensi dell'art. 654 c.p.p., secondo i principi generali che presiedono alla valutazione delle risultanze istruttorie, enunciati dall'art. 116 c.p.c. ed oggi espressamente codificati nel processo amministrativo dall'art. 64 c.p.a., il Giudice amministrativo ben può utilizzare come fonte anche esclusiva del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale, ancorché non esplicante autorità di giudicato e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purché le risultanze probatorie siano sottoposte ad un autonomo vaglio critico (T.A.R. L'Aquila, Abruzzo, 12 maggio 2016 n. 301).

Il consulente tecnico d’ufficio prende in considerazione tutti i titoli abilitativi rilasciati per l’immobile in esame e, in particolare, il permesso di costruire in sanatoria numero 156 del 10 aprile 2013 e il successivo permesso di costruire numero 78 del 27 febbraio 2014, rilasciato in scissione del permesso di costruire in sanatoria numero 156 del 2013, per la proprietà della ricorrente, contraddistinta dalla sigla A1 nell’ambito dell’edificio considerato nel suo insieme.

Il consulente tecnico d’ufficio considera anche la denuncia di inizio attività in applicazione della legge regionale sul piano casa presentata il 28 aprile 2014 per un ampliamento di circa 87 m², di cui 46 m² di ampliamento vero e proprio e 41 m² per il recupero di volumi accessori mediante trasformazione di volumi tecnici.

Il consulente tecnico d’ufficio prende atto dell’ordinanza dirigenziale del 12 maggio 2014 inibitoria degli interventi di cui alla denuncia di inizio attività per il piano casa del 28 aprile 2014.

Infine, il consulente tecnico d’ufficio prende in esame la determinazione dirigenziale numero 713 del 16 gennaio 2016, di ingiunzione a demolire le opere abusive, impugnata con il ricorso giurisdizionale amministrativo in decisione.

Dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio risulta che l’organismo edilizio, costituito da una porzione del fabbricato, individuata con la sigla A1, comprende un piano interrato, un piano seminterrato, un piano terra rialzato, un primo piano e un piano sottotetto.

I lavori di rifinitura dell’appartamento risultavano ancora in corso, sia per gli interni che per i prospetti esterni.

Le precedenti vicende amministrative che avevano interessato l’edificio, colpito da un ordine di sospensione dei lavori adottato con determinazione dirigenziale numero 290 del 1 marzo 2012 e da una ordinanza dirigenziale dell’11 luglio 2012, sono state superate dal permesso di costruire in sanatoria numero 156 del 10 aprile 2013.

Il successivo permesso di costruire numero 78 del 27 febbraio 2014, risultante dalla scissione del più ampio permesso di costruire in sanatoria numero 156 del 10 aprile 2013 e la denuncia di inizio attività del 28 aprile 2014 ai sensi della legge regionale sul piano casa per un ampliamento di complessivi 87 m² circa hanno determinato gli ultimi interventi repressivi di Roma Capitale, concretizzatisi dapprima nell’ordine a non effettuare l’intervento di cui alla denuncia di inizio attività per il piano casa del 28 aprile 2014, impartito con provvedimento del 12 maggio 2014 e, quindi, nella determinazione dirigenziale numero 713 del 16 giugno 2016 con cui è ingiunta la demolizione delle opere asseritamente abusive.

In realtà, ad avviso del consulente tecnico d’ufficio, i lavori allo stato attuale sarebbero da ritenere tecnicamente conformi ai titoli rilasciati e agli strumenti urbanistici vigenti, in quanto le differenze misurate sarebbero compatibili con le maggiorazioni previste dal decreto legislativo numero 115 del 2008, fatta eccezione per il piano sottotetto.

In effetti, le contestazioni mosse da Roma Capitale scaturiscono dall’accertamento tecnico numero di protocollo 237 del 3 gennaio 2012, indirettamente richiamato anche nel provvedimento demolitorio impugnato.

Con tale accertamento venivano considerati privi di titoli abilitativi l’intero piano interrato di 226 m² e il piano sottotetto comprendente una superficie coperta di 60 m² e un terrazzo di circa 72 m².

Nella relazione di accertamento tecnico del 3 gennaio 2012, peraltro, non si è tenuto conto, erroneamente, di una denuncia di inizio attività in variante in corso d’opera, numero di protocollo 37457 depositata il 7 ottobre 2010, avente ad oggetto la realizzazione di garage e cantine nel piano interrato.

Inoltre, diversamente da quanto ritenuto nella relazione di accertamento tecnico, il piano sottotetto era contemplato nell’originario permesso di costruire del 9 ottobre 2009 così come nella denuncia di inizio attività del 7 ottobre 2010.

Ne consegue che la valutazione di totale difformità delle opere rispetto al titolo abilitativo, il permesso di costruire numero 708 del 9 ottobre 2009, espressa con l’accertamento tecnico del 3 gennaio 2012, richiamato nel provvedimento impugnato, è da ritenersi gravemente viziata per erroneità dei presupposti.

Al fine di valutare la conformità urbanistica ed edilizia delle opere in corso di realizzazione, il consulente tecnico d’ufficio tiene correttamente conto dell’articolo 11 del decreto legislativo 115 del 2008, di attuazione della direttiva europea numero 32 del 2006 relativa all’efficienza energetica, che consente la maggiorazione degli spessori delle tamponature e dei solai.

In esito alle misurazioni eseguite, il consulente tecnico d’ufficio nominato dalla procura della Repubblica conclude per l’inesistenza delle difformità contestate, fatta eccezione per le cubature riscontrate nel piano sottotetto, generate dalla presenza di 3 tamponature che chiudono il piano sottotetto e che devono essere rimosse in attuazione delle prescrizioni imposte con il permesso di costruire in sanatoria numero 156 del 10 aprile 2013.

D’altra parte, la persistenza delle 3 tamponature al piano sottotetto non dovrebbe essere ritenuta abusiva allo stato dei fatti, non essendo ancora scaduto il termine per l’esecuzione delle prescrizioni imposte con il permesso di costruire numero 156 del 2013 e considerato altresì che i lavori risultavano ancora in corso.

Dall’esame della relazione del consulente tecnico d’ufficio nominato dalla procura della Repubblica si può giungere alle seguenti conclusioni.

Il provvedimento impugnato è illegittimo per difetto di istruttoria ed erroneità dei presupposti, facendosi riferimento, indirettamente, a difformità rilevate in una precedente relazione, numero di protocollo 237 del 3 gennaio 2012, completamente errata.

Inoltre, il contestato ampliamento di circa 87 m² di superficie utile lorda rispetto al permesso di costruire numero 78 del 2014, mediante l’innalzamento del tetto e del solaio, risulta smentito dal consulente tecnico d’ufficio della procura della Repubblica che ha avuto modo di accertare la impossibilità di innalzamento del tetto essendo stata già realizzata interamente la struttura del fabbricato all’epoca del primo sequestro giudiziario risalente al 2012 e trattandosi di struttura corrispondente all’accertamento di conformità e allo stato attuale del fabbricato.

Le discrepanze nelle altezze, maggiori rispetto a quanto autorizzato, sono agevolmente spiegabili con la considerazione che l’edificio si trova ancora allo stato rustico e pertanto, in mancanza delle normali opere di finitura comprendenti massetti, pavimenti e controsoffitti, determinanti l’inevitabile diminuzione dell’altezza interna, sono da ritenere inesistenti.

Pertanto, indipendentemente dall’inibitoria della denuncia di inizio attività per il piano casa disposta dall’amministrazione capitolina, al momento dell’adozione dell’ordine di demolizione impugnato deve essere esclusa la presenza di costruzioni in variazione essenziale al titolo abilitativo presupposta dal provvedimento sanzionatorio, atteso che la ricorrente era ancora in tempo per demolire le tamponature eseguite al piano sottotetto in ossequio alle prescrizioni imposte con il permesso di costruire in sanatoria numero 156 del 2013, da intendersi confermate con il permesso di costruire in scissione numero 78 del 2014, non essendo ancora scaduto il termine triennale, prorogato “ex lege” di un biennio, per la conclusione dei lavori prescritti con il permesso di costruire.

Le difese dell’amministrazione capitolina insistono, peraltro, nella contestazione del comportamento della ricorrente che, oltre a non demolire le parti d’opera incompatibili con il permesso di costruire in sanatoria, avrebbe continuato a rifinire le murature da demolire, come evidenziato nella relazione del 18 dicembre 2017 e negli accertamenti eseguiti in esito ai sopralluoghi del 29 novembre 2017 e del 2 febbraio 2018.

Al riguardo, si deve rilevare che di tali contestazioni non vi è traccia nel provvedimento impugnato, laddove si ordina la demolizione di interventi di nuova costruzione eseguiti con variazioni essenziali rispetto al titolo abilitativo, asseritamente meglio individuate nell’accertamento tecnico protocollo 59442 del 17 luglio 2014.

Si è già osservato che la relazione di accertamento tecnico del 17 luglio 2014 qualifica come interventi eseguiti con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire un complesso di opere difficilmente qualificabili come abusive, in quanto sostanzialmente conformi al titolo abilitativo.

Il fatto che una parte dei lavori in corso appaia in controtendenza rispetto all’obbligo di conformazione dell’organismo edilizio al titolo abilitativo certamente non potrebbe giustificare un provvedimento demolitorio dall’oggetto più ampio del dovuto, fermo restando l’obbligo del privato di non porre in essere lavori di completamento e di avanzamento delle parti che, ai sensi del permesso di costruire n. 156 del 2013, devono formare oggetto di demolizione, e con riferimento alle quali permane il potere di vigilanza edilizia dell’Amministrazione.

Ciò in quanto, per giurisprudenza costante (T.A.R. Napoli, sez. III, 06 marzo 2017 n. 1303;
T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 27 febbraio 2017, n. 73;
T.A.R. Piemonte, sez. I, 04 gennaio 2017 n. 16;
T.A.R. Piemonte, sez. I, 22 novembre 2016, n. 1435;
T.A.R. Napoli, sez. VIII, 07 aprile 2016, n. 1767) l'ordine di demolizione degli abusi edilizi non richiede nessuna specifica motivazione oltre alla descrizione dell'abuso commesso e alla sua identificazione oggettiva, essendo sufficiente che nell'ordinanza sia rinvenibile l'individuazione della violazione commessa e la puntuale descrizione delle opere abusive.

Nella fattispecie difetta proprio il presupposto fondamentale legittimante l’ordine di demolizione, consistente nella puntuale descrizione delle opere abusive.

In presenza di un provvedimento fondato su presupposti scorretti e non sorretto da una puntuale e precisa indicazione delle opere abusive, il giudice amministrativo non può fare altro che annullare l’atto repressivo, non essendo consentito al giudice sostituirsi all’amministrazione, eseguire una propria istruttoria e adottare un provvedimento di disciplina edilizia dall’oggetto meglio definito e correttamente motivato.

Il giudizio di legittimità, infatti, a differenza del giudizio di merito, non contempla tale possibilità, né è ammissibile un annullamento parziale di un ordine di demolizione non scomponibile in singoli elementi in quanto presupponente una valutazione complessiva di difformità essenziale delle opere espressa sulla base di presupposti errati.

Il ricorso, in conclusione, deve essere accolto, essendo stata accertata la fondatezza delle censure dedotte con il primo motivo di impugnazione, assorbente tutti gli altri motivi.

Per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento impugnato.

La complessità della vicenda, anche in relazione alla pluralità di titoli abilitativi da prendere in considerazione, giustifica la compensazione delle spese processuali tra le parti costituite.

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