TAR Roma, sez. 3T, sentenza breve 2021-11-30, n. 202112392

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3T, sentenza breve 2021-11-30, n. 202112392
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202112392
Data del deposito : 30 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/11/2021

N. 12392/2021 REG.PROV.COLL.

N. 10606/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cp.a.;
sul ricorso numero di registro generale 10606 del 2021, proposto da


FAMIR

Cooperativa Sociale in Liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato G F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Dott. F P, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

previa sospensiva,

- del Decreto Ministeriale n. 246/2021 del 27 luglio 2021 (in GU Serie Generale n.189 del 09-08-2021) con il quale la

FAMIR

Cooperativa Sociale è stata posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell'art. 2545- terdecies c.c.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2021 la dott.ssa Paola Patatini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Dato avviso alle parti ai sensi dell'art. 60 c.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Col presente ricorso, la cooperativa ricorrente ha impugnato il decreto con cui il Ministero dello Sviluppo economico ha sottoposto la stessa a liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’art. 2545- terdecies c.c., chiedendone l’annullamento previa sospensiva dell’efficacia.

2. Il gravame è affidato alle seguenti censure:

I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 241/1990. Illegittimità del provvedimento emanato dall’autorità amministrativa per violazione del principio di ragionevole durata del procedimento .

Il Ministero non avrebbe rispettato il termine di conclusione procedimentale di cui all’art. 2 della legge n. 241/1990 e ciò avrebbe determinato la consumazione del potere dell’amministrazione di adottare il provvedimento.

II. Violazione e falsa applicazione degli artt. 195 l.f., 202 l.f., 2545 terdecies c.c. Eccesso di potere per arbitrarietà. Irragionevolezza e sviamento .

Ad avviso della ricorrente, l’accertamento dello stato di insolvenza spetterebbe all’autorità giudiziaria, non a quella amministrativa. In ogni caso, non sussisterebbe l’asserita condizione insolvenziale, posta alla base del provvedimento impugnato, «dal momento che la società deducente non si trova in una situazione di incapacità “definitiva” ed “irreversibile” a far fronte alle proprie

obbligazioni, disponendo […] di un attivo societario composto da crediti verso clienti, che è assolutamente in grado di recuperare a stretto giro di posta e che comunque è idoneo a garantire l’assolvimento della debenza contratta».

3. Si è costituito in giudizio il MISE che, con memoria, ha argomentato per l’infondatezza del ricorso, eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione attiva dell’ente, in favore del commissario liquidatore.

4. Alla camera di consiglio del 24 novembre 2021, la causa è passata in decisione sulla base degli scritti difensivi, previo avviso a verbale della possibile definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a.

5. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato.

Invero, alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale formatosi al riguardo (Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 542/2017, poi ripreso, ex multis , TAR Campania, Napoli, I, n. 6139/2018;
TAR Lazio, questa Sezione, n. 13436/2020) che distingue tra controversie relative, in generale, all’attività di impresa – per le quali la legittimazione attiva o passiva spetta al commissario liquidatore, una volta disposta la liquidazione coatta amministrativa dell’ente – e le controversie aventi ad oggetto il provvedimento che ha assoggettato l’impresa a una procedura concorsuale – per le quali invece «appare fisiologico il riconoscimento della legittimazione ad causam agli organi della società in bonis, che, limitatamente a quel tipo di controversia, conservano la capacità di agire in giudizio al fine di contestare, a tutela di un interesse personale, e, come tale, non trasferito alla gestione commissariale, la validità del provvedimento che ha prodotto l’effetto della degradazione dello status giuridico della società» – deve, nella specie, riconoscersi la legittimazione processuale in capo al legale rappresentante della società cooperativa. Il giudizio in esame riguarda infatti, non la gestione societaria in genere, ma l’esistenza dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento costitutivo avverso cui la società mantiene integre le proprie ragioni di impugnazione.

6. Il ricorso è in ogni caso infondato.

7. Va disatteso il primo motivo di doglianza, relativo alla violazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990 e all’asserita consumazione del potere dell’amministrazione, in quanto, contrariamente all’assunto di parte, il termine di conclusione del procedimento di liquidazione coatta amministrativa, conclusosi nella specie in un anno e dieci mesi circa, non ha natura perentoria, per cui il provvedimento tardivo non è per ciò solo illegittimo, ben potendo l’amministrazione decidere anche successivamente alla scadenza del termine stesso.

Come noto, la perentorietà dei termini procedimentali sussiste, quale eccezione alla regola della loro natura meramente ordinatoria o acceleratoria, soltanto laddove sia la stessa norma che disciplina il procedimento specifico a qualificare il termine come perentorio o a sanzionare espressamente con la decadenza il mancato esercizio del potere entro il termine stesso: condizione che non ricorre nel caso in esame.

8. Parimenti da disattendere il secondo motivo, con cui, da un lato, si denuncia l’incompetenza dell’Amministrazione nell’accertamento dello stato di insolvenza, dall’altro, si contesta la ricorrenza nella specie di detta condizione.

8.1.Va ricordato che ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. 2 agosto 2002 n. 220, “Norme in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi”, il Ministero dello Sviluppo economico esercita la vigilanza su tutte le forme di società cooperative e loro consorzi mediante revisioni cooperative ed ispezioni straordinarie e che, ai sensi del successivo art. 12, comma 1, lettera e), d.lgs. n. 220 cit., lo stesso può adottare, sulla base delle risultanze emerse in sede di vigilanza, valutate le circostanze del caso, anche il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ex art. 2545- terdecies c.c.

In base al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, “Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa” (cd. Legge Fallimentare), poi, l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza può invero essere anteriore all’apertura della liquidazione coatta amministrativa, come disposto dall’art. 195 l.f., ovvero successivo, come previsto dall’art. 202 l.f., allorché la procedura di liquidazione sia stata già avviata dall’autorità di vigilanza, come accaduto nel caso in esame.

Alla luce della normativa richiamata, quindi, vanno distinti due ruoli, attribuiti rispettivamente al MISE quale autorità governativa di vigilanza, e all’autorità giudiziaria quale il Tribunale del luogo ove l’impresa ha la sede principale, per cui al primo compete l’accertamento di una sostanziale condizione insolvenziale, mentre alla seconda l’accertamento e la dichiarazione dello stato d’insolvenza, fermo restando l’esclusivo esercizio del potere da parte dell’autorità governativa nell’adottare il decreto di liquidazione coatta amministrativa.

Nel caso in esame, emerge dagli atti che il MISE, quale autorità di vigilanza ai sensi del d.lgs. n.220/2002, rilevava già in sede di revisione biennale 2017/2018 una grave situazione di difficoltà sia finanziaria che economica della cooperativa ricorrente, diffidando all’epoca l’ente, già posto in scioglimento volontario del 2008, a eliminare le irregolarità riscontrate, concludendo infine l’accertamento in data 15 dicembre 2018 con la proposta di liquidazione coatta amministrativa (giusta verbale di accertamento di pari data).

Non essendo emersi elementi ulteriori, il Ministero si determinava quindi ad avviare il procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa dell’Ente, inviando la relativa comunicazione, oltreché alla società cooperativa stessa, anche all’autorità giudiziaria (Tribunale Civile di Frosinone e poi Tribunale di Cassino, competente per territorio).

Viste le controdeduzioni della società – con cui si deduceva unicamente l’insussistenza del presupposto dell’insolvenza;
il MISE, sulla base degli elementi conosciuti e dei dati contabili dell’ultimo bilancio depositato relativo all’esercizio 2019 che confermavano il permanere dello stato di potenziale insolvenza e nessun miglioramento intervenuto rispetto alla situazione del 2017, ha pertanto adottato il decreto impugnato.

Alla luce della procedura svolta e dei documenti pure depositati in atti non si ravvisa quindi alcuna violazione della normativa di riferimento, né il denunciato eccesso di potere per arbitrarietà e irragionevolezza.

8.2. Sotto il profilo dell’asserita insussistenza della condizione di insolvenza, risulta invero per tabulas la passività di oltre 300mila euro (€ - 342.865,00). Pertanto, l’assunto di parte, contenuto nel ricorso, per cui “allo stato, la Famir vanta un attivo patrimoniale di euro 674.463,51, che è di gran lunga superiore alle passività riscontrate nel suo patrimonio netto (-342.865,00 euro)”, non trova alcun riscontro nella documentazione in atti.

Né può ritenersi di alcun rilievo l’affermazione, parimenti indimostrata, per cui “la Cooperativa sta già predisponendo dei piani di rientro del debito con gli enti creditori al fine di definire le debenze ad oggi contratte, come sarà dimostrato in corso di istruttoria”.

Tale assunzione, resa nei medesimi termini anche in sede di osservazioni procedimentali, non è infatti suffragata da alcuna documentazione e non è in grado di soddisfare pienamente l’onere, che ricade sul debitore che contesti la propria fallibilità, di allegare e quindi provare l’equilibrio o l’eccedenza dell’attivo.

Da ultimo, non vale opporre il principio di “prevenzione”, invocato dalla ricorrente nel secondo motivo di doglianza, ad avviso della quale, trovandosi la stessa in liquidazione non potrebbe essere assoggettata anche alla procedura di liquidazione coatta amministrativa. Tale principio opera solo nei rapporti tra procedure concorsuali diverse, come la liquidazione coatta amministrativa e il fallimento, non già nei confronti di uno status di mera liquidazione volontaria frutto di una scelta di autonomia privata.

9. Alla stregua di quanto sopra, il ricorso va quindi respinto.

10. Le spese di lite, da liquidarsi in dispositivo, seguono la soccombenza.

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