TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza breve 2015-07-08, n. 201500683
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N. 00683/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00114/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso n. 114 del 2010, proposto da S S A, rappresentato e difeso dagli avv.ti M R e G R, presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Reggio Calabria, via Nicolò da Reggio n. 10;
contro
- il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;
- la Questura di Reggio Calabria in persona del Questore p.t.;
rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, presso la quale sono elettivamente domiciliati, in Reggio Calabria, alla via del Plebiscito n. 15;
per l'annullamento
- del decreto prot. n. 22/Div.P.A.S./Cat. 6F/2009, emesso in data 2 novembre 2009, notificato il 4 dicembre 2009, con il quale il Questore di Reggio Calabria ha respinto la richiesta di rilascio della licenza di porto di fucile avanzata dal ricorrente;
- nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2015 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Espone parte ricorrente che la motivazione dell’avversato provvedimento – preceduto da preavviso di rigetto dell’istanza di rilascio di porto di fucile uso caccia – è fondata sull’informativa del Comando Stazione Carabinieri di Bruzzano Zeffirio, dalla quale si evince che “il richiedente è legato da vincoli di parentela con soggetti accusati di aver agevolato l’associazione mafiosa facente capo alla famiglia Rodà – Talia, operante in Bruzzano Zeffirio”;e che “il predetto è stato controllato in compagnia di persone con a carico gravi pregiudizi di polizia”.
Assume che l’atto gravato sia illegittimo per i seguenti motivi:
1) Violazione ed erronea applicazione di legge: artt. 11 e 33 del T.U.L.P.S. di cui al R.D. 18 giugno 1931 n. 773.
Esclude il ricorrente di trovarsi in alcuna fattispecie dalle epigrafate disposizioni di legge indicate come ostative al rilascio del titolo di polizia di che trattasi.
2) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e sostanziale difetto di motivazione.
Nell’osservare come l’adozione del provvedimento non sia stata preceduta da alcun accertamento istruttorio volto ad appurare la reale posizione del ricorrente, quest’ultimo contesta le frequentazioni con congiunti legati ad associazioni malavitose, nonché le frequentazioni – comunque risalenti – con soggetti controindicati ed aventi a carico pregiudizi di polizia.
In ogni caso, la gravata determinazione non recherebbe alcuna concreta indicazione in ordine alle ragion i per le quali è stato rassegnato, ai fini in discorso, un giudizio di “non affidabilità” del ricorrente medesimo.
Conclude la parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame ed il conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.
L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.
La domanda di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato, dalla parte ricorrente proposta in via incidentale, è stata da questa Sezione respinta con ordinanza n. 87, pronunziata nella Camera di Consiglio del 24 marzo 2010.
Rileva il Collegio, quanto alla sottoposta vicenda contenziosa, la presenza dei presupposti indicati all’art. 74 c.p.a. ai fini della definizione della stessa con sentenza in forma semplificata.
Tale tipologia di pronunzia, infatti, è suscettibile di definire il giudizio nel caso in cui l’adito organo di giustizia “ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso”;la relativa motivazione potendo “consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme”.
Ciò preliminarmente posto, la normativa suscettibile di applicazione alla controversia all’esame è rappresentata:
- dall’art. 11 del TULPS di cui al R.D. 18 giugno 1931 n. 773, che così dispone:
“Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:
1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;
2) a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.
Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione.”
- dall’art. 43 dello stesso TULPS, che stabilisce:
“Oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;
c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.
La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”.
La sentenza della Corte costituzionale 2-16 dicembre 1993 n. 440 ha dichiarato illegittime le suddette norme solo con riferimento all’attribuzione all’interessato dell’onere di dover provare la buona condotta, così confermando la piena legittimità degli accertamenti e delle valutazioni discrezionali dell’Autorità di pubblica sicurezza in ordine alla sussistenza di elementi oggettivi relativi alla buona condotta.
Con riferimento a questo aspetto, la giurisprudenza (cfr., ex plurimis , Cons. Stato, sez. III, 28 aprile 2015 n. 2162 e 14 ottobre 2014 n. 5398) ha affermato che “la valutazione al riguardo dell'Autorità di pubblica sicurezza, caratterizzata da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta” (Cons. Stato, sez. III, 19 settembre 2013 n. 4666)”.
Nell’osservare come l’autorizzazione al possesso delle armi non integri un diritto, ma costituisca, piuttosto, il frutto di una valutazione discrezionale nel quale devono unirsi la mancanza di requisiti negativi e la sussistenza di specifiche ragioni positive, deve ritenersi che la regola generale sia rappresentata dal divieto di detenzione delle armi, che la autorizzazione di polizia è suscettibile di rimuovere in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’autorità di pubblica sicurezza prevenire.
Può, conseguentemente, affermarsi che:
- l'autorizzazione alla detenzione ed al porto d’armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell'ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza (da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 11 marzo 2015 n. 1270);
- la valutazione che compie l'Autorità di Pubblica Sicurezza in materia è caratterizzata, quindi, da ampia discrezionalità e persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili;
- il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta” (Cons. Stato, sez. III, 27 aprile 2015 n. 2158 e 14 ottobre 2014 n. 5398).
Inoltre, va rammentato come il nostro ordinamento sia ispirato a regole limitative della diffusione e possesso dei mezzi di offesa, tant’è che i provvedimenti che ne consentono la detenzione ed utilizzo vengono ad assumere – su un piano di eccezionalità – connotazioni concessorie di una prerogativa che esula dall’ ordinaria sfera soggettiva delle persone.
Ciò determina che, nel bilanciamento degli interessi coinvolti, assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato, tanto più nei casi di impiego dell’arma per attività di diporto o sportiva.
Quanto, poi, alla latitudine espansiva assunta in subiecta materia dal sindacato giurisdizionale, è utile ricordare come i fatti presi in considerazione ed il pericolo di abuso che si è inteso prevenire non siano suscettibili di scrutinio nel merito da parte del giudice della legittimità dell’azione amministrativa, salvi evidenti profili di travisamento dei presupposti del provvedere, irragionevolezza e non adeguatezza allo scopo perseguito, che non emergono nella fattispecie di cui è controversia (cfr. Cons. Stato, sez. III, 1° aprile 2015 n. 1731).
Con riferimento alla presente controversia, quanto precedentemente esposto persuade il Collegio che la discrezionale valutazione operata dalla competente Autorità –sostanziatasi nell’adozione del gravato provvedimento – abbia correttamente apprezzato gli elementi aventi rilevanza ai fini del rilascio del titolo abilitativo di che trattasi.
Ribadite le esposte considerazioni, dispone il Collegio la reiezione del presente gravame.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.