TAR Roma, sez. 5S, sentenza 2024-08-05, n. 202415686

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5S, sentenza 2024-08-05, n. 202415686
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202415686
Data del deposito : 5 agosto 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/08/2024

N. 15686/2024 REG.PROV.COLL.

N. 04769/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4769 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato F A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del decreto del Ministro dell’Interno n. K-OMISSIS- del 17 gennaio 2019, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dalla ricorrente in data 28 novembre 2011, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett f), della legge n. 91/1992;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 19 luglio 2024 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del decreto del Ministro dell’Interno n. K-OMISSIS- del 17 gennaio 2019, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dalla ricorrente in data 28 novembre 2011, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett f), della legge n. 91/1992, essendo emersa sul suo conto una segnalazione in data 5 aprile 2010 per il reato di cui all’art. 591 c.p. (abbandono di minori o di incapaci).

Avverso il provvedimento impugnato si eccepiscono i vizi di violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 9, comma 1, lett f), della legge n. 91/1992, nonché di eccesso di potere per sviamento, difetto istruttorio, contraddittorietà, carenza di motivazione, manifesta illogicità e irragionevolezza, non avendo l’Amministrazione considerato che la Procura della Repubblica aveva immediatamente archiviato il procedimento penale incardinato nei confronti della ricorrente per il reato contestatole, ritenendo il fatto non sussistere (decreto di archiviazione in data 6 maggio 2010 per fatti del 5 aprile 2010).

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, contestando le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato.

All’udienza di smaltimento dell’arretrato del giorno 19 luglio 2024 la causa è passata in decisione.

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto nei limiti che seguono.

Osserva in via preliminare il Collegio, alla luce della giurisprudenza in formatasi in materia di concessione della cittadinanza, di recente sintetizzata dalla Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), che l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale e se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo, ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino;
il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. St., sez. IV n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 3226/2021, sez. II quater, n. 5665/2012).

Applicando le coordinate tracciate al caso in esame, ritiene il Collegio fondate le censure mosse con il ricorso in termini di difetto di motivazione e di istruttoria del diniego impugnato, nonché in termini di manifesta illogicità e irragionevolezza della valutazione compiuta dall’Amministrazione, attesa la totale mancanza, nel corredo motivazionale del provvedimento, di qualsivoglia riferimento al successivo esito della segnalazione a carico della ricorrente per abbandono di minori, la quale è stata archiviata per insussistenza del fatto con decreto del G.I.P. presso il Tribunale di -OMISSIS- in data 6 maggio 2010.

Tale pronuncia favorevole, ancorché intervenuta in data antecedente non solo al gravato diniego ma anche all’istanza di cittadinanza presentata in data 28 novembre 2011, non è stata neppure menzionata nella motivazione del decreto di rigetto, e ciò in quanto verosimilmente neanche acquisita agli atti del procedimento amministrativo a causa di un’istruttoria manifestamente insufficiente e inadeguata, che ha tenuto conto soltanto della segnalazione di reato (cfr., rapporto informativo della Questura di -OMISSIS- del 1° marzo 2012) e non anche dell’esito della stessa.

E ciò nonostante la ricorrente, con comunicazione in data 18 novembre 2013, resa in risposta al preavviso di diniego del 22 ottobre 2013, avesse edotto l’Amministrazione procedente che “[....]La notizia di reato di cui sopra è stata archiviata essendo emersa la totale infondatezza del fatto;
un tanto in ragione della indagine svolta dai Servizi Sociali di -OMISSIS- su incarico della Procura presso il Tribunale dei Minori di -OMISSIS-”
.

L’omissione innanzi indicata denota, pertanto, un grave deficit istruttorio e di motivazione che vale evidentemente a viziare l’impugnato decreto di rigetto, siccome adottato sulla base di un quadro fattuale e documentale inesatto e, comunque, non completo, giacché la penale responsabilità della richiedente è stata poi definitivamente esclusa con decreto di archiviazione della notizia di reato perché “il fatto non sussiste” .

Del resto, sebbene sia indubitabile che le valutazioni relative all’accertamento di una responsabilità penale si pongano – per giurisprudenza costante condivisa anche da questa Sezione - su di un piano assolutamente differente ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo, nondimeno si ritiene che, nel caso in esame, l’Amministrazione avrebbe quanto meno dovuto menzionare, nella motivazione, l’intervenuta archiviazione per insussistenza del fatto, per poi esplicitare le eventuali ragioni fondanti, ciò nonostante, il giudizio di inaffidabilità e di non compiuta integrazione della ricorrente nella comunità nazionale.

Per converso, la laconicità della motivazione del decreto ministeriale e il difetto d’istruttoria del procedimento costituiscono vizi inficianti l’impugnato decreto di rigetto.

Ne consegue dunque che, in accoglimento del ricorso proposto, il diniego di cittadinanza deve essere annullato.

Per l’effetto, l’Amministrazione, fatte salve le ulteriori determinazioni in merito, avrà l’obbligo di rivalutare, nei sensi sopra chiariti, la posizione complessiva della richiedente e la sua effettiva integrazione nel tessuto economico e sociale, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto ed esplicitando adeguatamente nel corredo motivazionale del provvedimento finale le ragioni sottese all’eventuale diniego dell’istanza di concessione della cittadinanza.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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