TAR Napoli, sez. V, sentenza 2018-04-11, n. 201802355

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2018-04-11, n. 201802355
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201802355
Data del deposito : 11 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/04/2018

N. 02355/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00787/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 787 del 2016, proposto da
M M, rappresentato e difeso dagli avvocati A L, C M L, con domicilio eletto presso lo studio A L in Napoli, via S. Pasquale A Chiaia, 55;

contro

Comune di San Marcellino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato R M, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via S.Lucia,62;

per

a) l'accertamento e la dichiarazione dell'illecita ed abusiva occupazione e detenzione da parte del Comune di San Marcellino del fondo di comproprietà del ricorrente sito nel Comune di San Marcellino, località Biancolella, di complessivi mq. 4.190,50, in catasto al foglio 1, p.lla 7;

b)la condanna del Comune di San Marcellino alla restitutio in integrum e riconsegna al ricorrente del suolo di sua proprietà sopra descritto nel termine all'uopo assegnato nonché al risarcimento dei danni prodotti per la perpetrata sottrazione alla sua disponibilità del suolo di proprietà da valutarsi in misura almeno pari al 5% del valore che l'immobile aveva in ogni anno successivo allo scadere della dichiarazione di pubblica utilità calcolato ai sensi del comma 3 dell'art. 42 bis D.P.R. 327/2001;

c) in via gradata, salvi gli effetti vincolanti degli esiti irretrattabili degli accertamenti compiuti nella sede giudiziaria tra i quali quelli richiesti con la domanda sub a), in contestato mancato accoglimento della domanda restitutoria, in applicazione dei principi derivanti dall'interpretazione sistematica dell'art. 42 bis del T.U. delle espropriazioni e delle possibilità insite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna, ex art. 34 lette. c.p.a., la condanna del Comune di San Marcellino all'obbligo generico di provvedere ex art. 42 bis


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di San Marcellino;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2018 la dott.ssa D C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato al Comune di San Marcellino in data 12 febbraio 2016 e successivamente depositato in data 19 febbraio M M ha richiesto l'accertamento e la dichiarazione dell'illecita ed abusiva occupazione e detenzione da parte del Comune di San Marcellino del fondo di sua comproprietà, sito nel Comune di San Marcellino, località Biancolella, di complessivi mq. 4.190,50, in catasto al foglio 1, p.lla 7;
la consequenziale condanna del Comune di San Marcellino alla restitutio in integrum e riconsegna al ricorrente di detto suolo nel termine all'uopo assegnato nonché al risarcimento dei danni prodotti per la perpetrata sottrazione alla sua disponibilità del suolo di proprietà, da valutarsi in misura almeno pari al 5% del valore che l'immobile aveva in ogni anno successivo allo scadere della dichiarazione di pubblica utilità, calcolato ai sensi del comma 3 dell'art. 42 bis D.P.R. 327/2001;
ed in via gradata, salvi gli effetti vincolanti degli esiti irretrattabili degli accertamenti compiuti nella sede giudiziaria, in ipotesi di mancato accoglimento della domanda restitutoria, in applicazione dei principi derivanti dall'interpretazione sistematica dell'art. 42 bis del T.U. delle espropriazioni e delle possibilità insite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna, ex art. 34 c.p.a., la condanna del Comune di San Marcellino all’obbligo di provvedere ex art. 42 bis.

2. A sostegno del ricorso deduce in punto di fatto:

a) di essere comproprietario di tale suolo quale erede del proprio genitore sig. V M;

b) con deliberazione di Giunta n. 362 del 4.10.1984, il Comune di San Marcellino aveva approvato il progetto dei lavori per la Costruzione del Campo Sportivo 2° lotto e in data 14.06.1985 aveva emesso decreto di occupazione di durata triennale, relativo ad una porzione di terreno della estensione di mq. 2773 distaccata dalla maggiore superficie dell'indicato fondo;
l'immissione nel possesso avveniva in data 10.07.1985;

c) con deliberazioni del Consiglio Comunale n. 158 del 5.06.1987 e n. 14 del 28.01.1989, il Comune di San Marcellino approvava, altresì, progetto riguardante i lavori di costruzione del prolungamento di Via Foscolo, cui seguiva, in data 6.03.1989, decreto di occupazione d'urgenza di durata triennale relativo ad una superficie dell'estensione di mq. 1417,50, parte della maggiore estensione del suindicato fondo;
con immissione in possesso in data 30.3.1989;

d) entrambe le indicate procedure espropriative non erano state concluse con l'adozione del decreto di espropriazione né con altro provvedimento traslativo del diritto di proprietà. Allo stato le opere peraltro erano state realizzate ed il suolo di (com)proprietà del ricorrente era illecitamente occupato, stante l’assenza di provvedimenti in grado di legittimare tale occupazione.

3. Da ciò il diritto del ricorrente alla restituzione dei suoli e al risarcimento del danno da occupazione illegittima, ovvero, nell’ipotesi di accertata impossibilità di restituzione, la condanna del Comune all’adozione del provvedimento di acquisizione sanante, ex art. 42 bis T.U. espropri.

4. Si è costituito il Comune di San Marcellino, il quale ha eccepito l’intervenuta prescrizione avuto riguardo all’intervenuta irreversibile trasformazione del fondo, da qualificarsi quale illecito istantaneo con effetti permanenti;
momento questo, a dire del Comune, da individuarsi, per la costruzione del campo sportivo, nel 1985 e, per il prolungamento di via Foscolo, nel 1989.

4.1. Ha in ogni caso dedotto l’impossibilità di restituzione di dette aree per l’intervenuta irreversibile trasformazione e affermato che il ricorrente aveva formulato rinuncia abdicativa al diritto di comproprietà, con la sottoscrizione di due atti di cessione volontaria in favore del Comune di San Marcellino, registrati presso l'Ufficio delle Entrate di Aversa, uno il 17.12.93 al n. 2067 serie 3, l’altro il 21 04 2000 al n. 4763.

4.2. Inoltre, il Comune, secondo quanto dal medesimo dedotto, sarebbe interessato, in qualità di appellante, in un ulteriore giudizio pendente a tutt'oggi innanzi al Consiglio di Stato avverso gli altri coeredi dell'odierno ricorrente che avevano ottenuto, in primo grado, la condanna dell'Ente al risarcimento del danno, pronuncia oggetto di gravame in secondo grado.

5. Il ricorrente ha replicato con memoria prodotta ritualmente in vista dell’udienza di discussione del ricorso.

6. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 11 gennaio 2018.

7. Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti di seguito precisati.

8. Ciò posto, si ritiene necessario ripercorrere, sia pur per brevi linee, l'evoluzione giurisprudenziale e normativa che, al fine di contemperare le ragioni proprietarie con le finalità di pubblico interesse perseguite dall'amministrazione espropriante, ha caratterizzato la disciplina dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità qualificati da un esito patologico, ovvero dalla realizzazione sine titulo dell'opera pubblica per sopravvenuta inefficacia o annullamento degli atti del procedimento.

In siffatte evenienze si è tradizionalmente negata al privato la tutela possessoria, riconoscendosi solo una limitata tutela risarcitoria, in ragione dell'esigenza di assicurare l'opera pubblica alla collettività pur in assenza di un legittimo atto traslativo della proprietà in capo alla pubblica amministrazione, sia esso di tipo autoritativo (decreto di esproprio) ovvero di natura consensuale (accordo di cessione del bene espropriando).

L'acquisto della proprietà dell'opera pubblica così realizzata si è fatta risalire all'istituto di creazione pretoria dell'accessione invertita, elaborata in base ai principi di diritto desumibili per analogia iuris dall'art. 938 c.c. , comportante l'acquisto della proprietà del suolo illegittimamente occupato a partire dal momento della sua irreversibile trasformazione, ovvero dalla modifica della consistenza e natura, con l'emersione di un bene nuovo e diverso, incorporato inscindibilmente al suolo.

L'istituto in questione è stato reputato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo contrario all'art. 1 Prot. 1 della Carta E.D.U., in quanto contrastante con il riconoscimento della natura fondamentale del diritto del proprietario al rispetto dei propri beni, stigmatizzandolo nella misura in cui lasciava il privato danneggiato in balia di regole non sufficientemente chiare, accessibili e prevedibili, auspicandone la damnatio memoriae (sentenze 30 maggio 2000 Carbonara e Ventura c/Italia e Belvedere Alberghiera c/ Italia).

Al fine di adeguare l'ordinamento interno ai principi espressi dalle su richiamate pronunce della Corte Europea, in adempimento agli obblighi specificamente assunti dall'Italia con la riforma dell'art. 117, comma 1, Cost, che impegna il legislatore al rispetto dei "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario", è stata introdotta all'art. 43 T.U espropri (

DPR

327/2001) la cd. acquisizione sanante o occupazione provvedimentale. Essa rilevava quale 'legale via d'uscita' per l'amministrazione nei casi in cui fosse riscontrabile la realizzazione di un'opera pubblica su terreno di proprietà privata in assenza di valido ed efficace decreto di esproprio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sentt. n. 5830 del 2007;
n. 1552 del 2008).

Abiurata l'occupazione appropriativa tra i modi di acquisto della proprietà, sulla base della ratio e dei principi sottesi al nuovo istituto, la giurisprudenza amministrativa ha ampliato gli strumenti a tutela dei diritto di proprietà, non più limitati a quelli risarcitori, ma estesi a piena ragione alla tutela ripristinatoria di natura reale, mediante azione di restituzione, ancorché accompagnata dalla richiesta di riduzione in pristino.

Si è dunque ravvisata nel provvedimento di acquisizione sanante l'unico possibile presupposto ostativo alla tutela reale accordata dall'ordinamento al proprietario illegittimamente privato dei propri beni, non essendo infatti predicabili i limiti intrinseci alla disciplina risarcitoria, come l'eccessiva onerosità prevista dall'art. 2058 c.c., comma 2;
né potendo farsi ricorso alla previsione dell'art. 2933 cod. civ., comma 2, ove non risulti che la distruzione della "res" indebitamente edificata sia di pregiudizio all'intera economia del Paese, ma abbia, al contrario, riflessi di natura individuale o locale (v. decisione Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 29 aprile 2005 n. 2, sent. Corte di Cassazione, sez. I civile, 23 agosto 2012 n. 14609, sent. TAR. Toscana, sez. I, 23 ottobre 2012 n. 1707).

A seguito della declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 43, per eccesso di delega, l'istituto dell'acquisizione sanante, sia pure rivisitato nei presupposti e modalità applicative, è stato reintrodotto con l'art. 42 bis inserito nel testo unico sugli espropri dall'art. 34, comma 1, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, per cui si può in tutta evidenza affermare che alcuni fondamentali arresti giurisprudenziali elaborati con riferimento all'istituto in questione conservino la loro validità e vigenza.

L'istituto dell'acquisizione sanante, nel testo introdotto dall'art. 42 bis è stato, tuttavia, sospettato d'incostituzionalità dalla Corte di Cassazione, sezioni unite civili con due ordinanze del 13 gennaio 2014 e dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con ordinanze del 12 maggio e del 5 giugno 2014, per una serie di plurime considerazioni, che di seguito sinteticamente si riportano e cioè:

- perché avrebbe riservato un trattamento privilegiato alla pubblica amministrazione che abbia commesso un fatto illecito, concedendogli la facoltà di mutare - successivamente all'evento dannoso - il titolo e l'ambito di responsabilità, nonché il tipo di sanzione (da risarcimento in indennizzo), traendo vantaggio da una situazione di illegalità da essa stessa determinata;

- perché avrebbe trasformato il precedente regime risarcitorio in un indennizzo derivante da atto lecito;

- perché, prescindendo dalla dichiarazione di pubblica utilità, autorizzerebbe l'espropriazione in assenza di una predeterminazione dei motivi di interesse generale che, nella prospettiva dell'art. 42 Cost., dovrebbero palesarsi gradualmente ed anteriormente al sacrificio del diritto di proprietà, in un momento in cui la comparazione tra l'interesse pubblico e l'interesse privato possa effettivamente evidenziare la scelta migliore;

- perché non vi sarebbero termini certi di avvio e conclusione del procedimento;

- perché la nuova operazione "sanante" presenterebbe numerosi ed insuperabili profili di contrasto con le norme convenzionali, non risolvibili in via ermeneutica, sulla base dell'interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo che, in più occasioni avrebbe considerato "in radicale contrasto" con la CEDU il principio dell'"espropriazione indiretta", nella quale il trasferimento della proprietà del bene dal privato alla pubblica amministrazione avviene in virtù della constatazione della situazione di illegalità o illiceità commessa dalla stessa amministrazione, con l'effetto di convalidarla, consentendo a quest'ultima di trarne vantaggio e di passare oltre le regole fissate in materia di espropriazione. In sostanza, la "legalizzazione dell'illegale" non sarebbe consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tanto meno ad un provvedimento amministrativo di essa attuativo, qual è quello che disponga la cosiddetta acquisizione "sanante";

- perché la Corte EDU avrebbe ripetutamente considerato lecita l'applicazione dello ius superveniens in cause già pendenti soltanto in presenza di "ragioni imperative di interesse generale", pena la violazione del principio di legalità nonché del diritto ad un processo equo. La norma censurata violerebbe questo principio perché avrebbe confermato la possibilità dell'amministrazione di utilizzare il provvedimento ex tunc, per fatti anteriori alla sua entrata in vigore, al fine di attribuire alle amministrazioni occupanti una legale via d'uscita dalle situazioni di illegalità.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 71/2015 del 30/4/2015 ha respinto tutte le censure.

Dopo aver sommariamente descritto il contesto, anche giurisprudenziale, nel quale sono stati inseriti dapprima l'art. 43 e poi l'art. 42 bis del T.U. sulle espropriazioni, finalizzati a risolvere le anomalie del procedimento espropriativo per le quali la giurisprudenza amministrativa aveva elaborato gli istituti dell'occupazione "appropriativa" ed "usurpativa", ha rimarcato le ragioni poste a fondamento della declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 43 Del T.U. sulle espropriazioni e segnatamente che "l'intervento della pubblica amministrazione sulle procedure ablatorie, come disciplinato dalla norma da ultimo richiamata, eccedeva gli istituti della occupazione appropriativa ed usurpativa, così come delineati dalla giurisprudenza di legittimità, prevedendo un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che aveva commesso l'illecito, addirittura a dispetto di un giudicato che avesse disposto il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato", oltre ai numerosi dubbi sulla compatibilità del meccanismo di "acquisizione sanate" con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, orientata a ritenere l'espropriazione cosiddetta indiretta in contrasto con il principio di legalità e non utilizzabile come valida alternativa ad un'espropriazione adottata secondo "buona e debita forma" (sentenza 12 gennaio 2006, Sciarrotta ed altri

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