TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2015-03-04, n. 201503738
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N. 03738/2015 REG.PROV.COLL.
N. 04863/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4863 del 2011, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. R M, con domicilio eletto presso R M in Roma, Via Paolo Emilio, 34;
contro
Ministero della Difesa, Ministero dell'Economia e delle Finanze Dipartimento, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del decreto del Ministero della Difesa n. 4232 del 21.10.2010 diniego riconoscimento di infermità dipendenti da causa di servizio - equo indennizzo.
nonché del parere espresso dal Comitato per la verifica delle cause di servizio presso il Ministero dell'economia e delle finanze nella seduta del 30.9.2010.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2015 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Il Maresciallo Capo dei Carabinieri ricorrente, in servizio dal giugno 1983, premette di aver presentato in data 14.7.2002 un’istanza di riconoscimento causa di servizio per l’infermità da cui era affetto (-OMISSIS-).
Con il ricorso in esame egli impugna il decreto n. 4232 del 21.10.2010 con cui il Ministero della Difesa, recependo il parere espresso dal Comitato per la verifica delle cause di servizio presso il Ministero dell'economia e delle finanze nella seduta del 30.9.2010, ha respinto l’istanza di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
Il ricorso è affidato a censure riconducibili all’eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche, in particolare difetto di istruttoria, di motivazione, erronea valutazione dei presupposti di fatto-travisamento;ingiustizia manifesta.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, il quale ha depositato documentazione e rapporto difensivo. Si è costituito in giudizio anche il Ministero dell’Economia per chiedere la propria estromissione.
Alla pubblica udienza del 9.1.2015 la causa è trattenuta in decisione.
Va in via preliminare disposta l’estromissione del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, in quanto il parere da questo espresso costituisce un atto endoprocedimentale privo di carattere vincolante, e quindi di natura definitiva, vista la facoltà dell’Amministrazione di promuoverne il riesame prevista dall’art.14 del DPR n. 461/2001.
Il ricorrente si duole che il provvedimento impugnato si sia fondato esclusivamente sul parere espresso dal Comitato per la verifica delle cause di servizio presso il Ministero dell'economia e delle finanze nella seduta del 30.9.2010, divergente dal parere espresso dalla Commissione Medica Ospedaliera, senza addurre una motivazione al riguardo e senza effettuare una adeguata ed un’autonoma valutazione di tutte le circostanze del servizio prestato.
Questo si caratterizzava per mansioni di vigilanza notturna e diurna del territorio, sia a piedi che in auto, con indosso il giubbotto antiproiettile, in condizioni atmosferiche avverse, in clima caldo umido;circostanze che hanno sicuramente influito sull’insorgere e/o aggravarsi della patologia in questione, come affermato dal consulente tecnico di parte nella perizia allegata. In tal modo l’Amministrazione sarebbe incorsa in un vero e proprio travisamento dei fatti presupposti.
La prospettazione del ricorrente non può essere condivisa.
Innanzitutto, non sussiste l’onere motivazionale “aggravato” invocato dal ricorrente per il prospettato contrasto con le conclusioni della CMO.
Come ricordato dall’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, la CMO ed il Comitato di verifica sono organi distinti, chiamati ad esprimere pareri diversi per oggetto e finalità, atteso che, ai sensi dell'art. 11 del D.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, compito della Commissione è solo la diagnosi sull'infermità, sulla sua effettiva esistenza e gravità (Tar Lazio, sez. I bis, 9 settembre 2010, n. 32201;10 maggio 2010, n. 10480;dicembre 2008, n. 11300), l'indicazione della categoria, il giudizio di idoneità al servizio, mentre il Comitato di verifica ha competenza esclusiva ad accertare la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l'infermità o lesione, e pronunciarsi con parere motivato sulla dipendenza dell'infermità o lesione da causa di servizio (Cons. Stato, sez. IV, 27 gennaio 2011, n. 618).
Inoltre non è condivisibile neppure la censure con cui si contesta la genericità della motivazione del parere espresso dal Comitato di Verifica, in quanto i motivi del disconoscimento dell’eziopatogenesi delle infermità in questione sono chiaramente evidenziati e sono riconducibili ad una diversa individuazione dell’origine delle patologie sofferte dal ricorrente.
Secondo la ricostruzione eziologica del predetto Comitato tanto la spondiloartrosi cervicale quanto la discopatia L5S1 sarebbero ricondubicili a fattori dismetabolici-degenerativi a lievello delle articolazioni intervertebrali associati ad usura dei dischi cartilaginei intervertrebrali. In particolare è stato evidenziato come i processi artrosici costituiscono sintomo del fisologico processo di invecchiamento. L’Amministrazione ha pertanto escluso in radice l’influenza nociva dell’attività di servizio, sull’insorgenza e sul decorso delle patologie artrosiche e discali mettendole in correlazione con l’usura conseguente al progredire dell’età.
Le ragioni addotte dal predetto Comitato a sostegno del proprio parere non sono invalidate dalla diversa opinione, del medico di parte, sull’origine della patologia in questione. Quest’ultimo si è infatti limitato ad affermare l’esistenza del contestato nesso causale, riconducendolo alla “esposizione alle perfrigereazioni ambientali, al carico continuativo e costante sulla collonna vertebrale”, tanto da definire le -OMISSIS-come “reattive” a tali esposizioni – sottolineando l’effetto della -OMISSIS-, - , e contestare la opposta ricostruzione del Comitato sulla base della considerazione che non vi sono elementi di natura primitiva o familiare o abitudini di vita del soggetto che possano aver indotto tale patologia.
Quanto rappresentato dal medico di parte non vale a smentire il parere del Comitato, dato che fa riferimento all’ordinaria modalità della prestazione lavorativa, limitandosi ad asserire l’influenza dei fattori patogeni sopra richiamati, senza però caratterizzare in termini di estrema gravosità, e quindi eccedenti l’ordinario, le condizioni lavorative. Ciò costituisce invece un elemento necessario per il riconoscimento della causa di servizio come chiarito dall’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in materia che ha precisato che al fine di riconoscere che l’infermità sia riconducile a causa di servizio l’istante deve non solo fornire la prova di essere stato sottoposto a lavori particolarmente stressanti e protratti per lungo tempo (Tar Lazio, Roma, sez. III, 18 gennaio 2010, n. 309 su un caso di infarto del miocardio), ma deve anche provare che si tratta "di condizioni di lavoro particolarmente gravose eccezionali ed esorbitanti rispetto alle ordinarie mansioni", cioè di fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, gravosi per intensità e durata, che vanno necessariamente documentati con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa (TAR Lazio, I, 3 aprile 2008 n. 2828;sez. I, 3 dicembre 2010, n.35286;sez. I, 1 gennaio 2010, n. 192;sez. II, 5 gennaio 2011, n. 27;TAR Lazio, sez. II, 5 gennaio 2011, n. 27;T.A.R. Lecce sez. II 12 settembre 2012 n. 1522;Cons. Stato, 11 maggio 2007, n. 2274).
L’onere di dimostrare l’aggravio rispetto alle condizioni normali di lavoro, che possa aver influito in senso nocivo sulle patologie in questione, incombe sull’attore, come chiarito dall’orientamento giurisprudenziale dominante, in applicazione della regola generale posta dall’art. 2697 cod. civ. (Cons. Stato, V, 23 novembre 1994 n. 1360;TAR Campania Napoli, III, 6 marzo 2007 n. 1385;TAR Lombardia Brescia, I, 16 giugno 2008 n. 655;Tar Puglia, Lecce, sez. II, n. 322/2011).
Al mancato assolvimento da parte dell’interessato non può porre rimedio il giudice amministrativo avvalendosi di una CTU, in quanto la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, ma può essere disposta solo per fornire al giudice un ausilio per la valutazione, sotto il profilo tecnico, di fatti già acquisiti e dimostrati, e non per supplire ad un onere probatorio non assolto dalla parte (Cons. Stato, VI, 4 settembre 2007 n. 4621).
In applicazione di tali principi giurisprudenziali, il ricorrente ha l’onere probatorio di contestare in giudizio le valutazioni specifiche sul punto dell’ordinarietà o meno delle condizioni lavorative, non potendo tale onere ritenersi soddisfatto dalla produzione di una relazione tecnica che si limiti a menzionare l’esistenza di tali condizioni di lavoro, senza contestare specificamente l’assunto del Comitato di verifica relativo alla mancanza di specifici disagi ambientali. In altri termini, il ricorrente potuto superare il diverso avviso espresso dal competente comitato solo con la dimostrazione della prova contraria e cioè escludendo l’incidenza dei fattori costituzionali indicati dal Comitato come cause principali – per effetto del naturale invecchiamento - delle patologie in questione e soprattutto evidenziando specifiche circostanze di fatto relative alle modalità di svolgimento delle proprie alle mansioni o alle condizioni ambientali di lavoro che superassero “l’ordinarietà delle condizioni di impiego”, che, come ribadito dalla giurisprudenza sopraindicata, costituiscono elemento indefettibile per il riconoscimento della causa di servizio. Non è sufficiente, a tal fine, la mera diversa opinione di un medico di parte, specialista in medicina legale e delle assicurazioni, sull'insorgenza dell’infermità in questione senza evidenziare dal complesso delle circostanze desumibili dalle relazioni informative quegli specifici elementi elementi di “eccedenza” rispetto all’ordinario svolgimento del servizio che possono indurre a superare le argomentazioni valutative svolte dal Comitato di verifica.
Nella fattispecie in esame tale onere probatorio non è stato soddisfatto in quanto non sono stati addotti specifici elementi atti a dimostrare che le richiamate modalità di prestazioni lavorative fossero eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro –che comporta impiego lavorativo all’aperto per lo svolgimento dei compiti di istituto - ed abbiano determinato uno stato di stress “meccanico” – riconducibili a non meglio specificati “microtraumatismi” a carico della colonna vertebrale (probabilmente riconducibili all’aver portato un giubbotto antiproiettile- tale da determinare l’insorgenza delle patologie in questione.
Tanto più che nelle relazioni di servizio prodotte in giudizio si fa generico riferimento ad un “gravoso, prolungato e disagiato servizio” con fattori perfrigeranti - anche con riferimento a tre anni trascorsi presso le Scuole Allievi ed un anno presso il Nucleo Banca d’Italia di Milano – senza specificare la durata e la frequenza del servizio esterno.
Peraltro, il Collegio non può esimersi dall’osservare che, com’è noto, le patologie discali in area lombare sono estremamente comuni nella popolazione e sono fortemente influenzate da abitudini di vita (sono tipiche di soggetti sedentari) mentre quelle in area cervicale costituiscono una conseguenza tipica della verticalizzazione che, a sua volta, deriva da fattori meccanici (tipico il colpo di frusta in caso di incidente stradale);evento traumatico che, ove occorso in servizio, avrebbe dovuto essere tempestivamente denunciato e documentato dall’interessato.
Alla luce dell’insieme delle considerazioni soprasvolte, le conclusioni del Comitato di verifica non possono essere ritenute inficiate da eccesso di potere per travisamento dei fatti o errore manifesto di apprezzamento o affette da “manifesta ingiustizia” (uniche evenienze in cui le valutazioni in parola sono sindacabili in questa sede di giudizio di legittimità).
Per le considerazioni che precedono, il ricorso va respinto.
Sussistono motivi d’equità per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.