TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2018-06-07, n. 201803774

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2018-06-07, n. 201803774
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201803774
Data del deposito : 7 giugno 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/06/2018

N. 03774/2018 REG.PROV.COLL.

N. 05091/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5091 del 2013, proposto da:
A M, rappresentata e difesa dall'avv. C T con il quale domicilia ai sensi dell’art. 25 c.p.a. in Napoli presso la segreteria del T.A.R.;

contro

Comune di Barano d'Ischia, in persona del legale rappresentante pro – tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato C R con il quale domicilia ai sensi dell’art. 25 c.p.a. in Napoli presso la segreteria del T.A.R.;

per l'annullamento

- dell’ordinanza di demolizione n. 44 dell’8 luglio 2013;

- di ogni altro atto connesso;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Barano d'Ischia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 23 maggio 2018 la dott.ssa Paola Palmarini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il gravame in epigrafe la ricorrente impugna, unitamente agli atti connessi, l’ordine di demolizione n. 44 dell’8 luglio 2013, emesso dal Comune di Barano d’Ischia ai sensi dell’articolo 31 del d.p.r. 380/2001 ed avente ad oggetto la realizzazione, alla via Vittorio Emanuele, delle seguenti opere in difformità dal permesso di costruire n. 12/2011: “1) all’interno del vecchio fabbricato in difformità da quanto previsto, al posto dell’area soppalcata risulta realizzato un solaio intermedio in c.a. pari ad una superficie di circa mq. 30,00. Si precisa che le quote sono le stesse previste in progetto, pertanto allo stato attuale il piano terra (che non è comunicante con il piano primo) presenta una quota interna di circa mt. 2,70, mentre il piano primo presenta una quota interna di circa mt. 2,00;
2) il portico previsto in progetto, allo stato attuale risulta completamente chiuso e quindi trasformato in ambienti abitativi in ampliamento al manufatto esistente pari ad un volume di circa mc. 81,00 (superficie circa mq. 30 x altezza interna circa mt. 2,70). Inoltre, sul prospetto posteriore del manufatto principale risulta realizzato un altro piccolo ampliamento pari a circa mq. 3,75 ottenuto mediante la tompagnatura della soletta (di progetto) che conduce alla copertura del portico (trasformato). Anche il piccolo locale bagno posto a piano terra risulta leggermente ampliato per una superficie di circa mq. 1,40 ottenuto sfruttando il vano scala esterno realizzato in progetto;
3) in conseguenza delle opere abusive sopra descritte il fabbricato risulta frazionato in due unità abitative: la prima comprendente tutto il piano terra e la seconda realizzata al piano primo al quale vi si accede solo attraverso la scale esterna prevista in progetto;
4) sul prospetto est risulta realizzata un vano finestra (a servizio del piano primo) avente dimensioni di circa mt. 0,85 x 0,60 non previsto in progetto”.

Vale, altresì, soggiungere che l’intero territorio comunale è stato dichiarato di notevole interesse ai sensi dell’art. 1 lett. d) della legge n. 1497/1939 con d.m. del 19.06.1958 ed è sottoposto a regime vincolistico disciplinato dal PTP dell’Isola d’Ischia.

A sostegno del gravame deduce varie censure di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere.

Si è costituito per resistere il Comune di Barano d’Ischia.

Alla pubblica udienza del 23 maggio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Nel procedimento delibativo che questo Tribunale è chiamato a svolgere assume priorità logica l’esame delle censure che investono la legalità estrinseca dell’atto impugnato, vale a dire l’osservanza degli obblighi procedurali, nonchè la ricorrenza di quei requisiti di affidabilità formale, la cui esistenza condiziona, in via pregiudiziale, il corretto approccio – in sede di sindacato giurisdizionale - ai profili di contenuto delle determinazioni assunte dall’Amministrazione.

Nella suddetta prospettiva va, anzitutto, disattesa la censura con cui parte ricorrente deduce l’incompetenza dell’organo burocratico che ha adottato il provvedimento impugnato.

Sul punto, è agevole obiettare che il passaggio ai dirigenti, nella materia edilizia, delle competenze originariamente attribuite al Sindaco ha avuto un'evoluzione progressiva, che risulta, però, da tempo definitivamente completata: ad opera dell'art. 6, comma 2, della legge n. 127/1997, che ha modificato l'art. 51 legge n. 142/90, è stata, infatti, attribuita ai dirigenti, tra l'altro, la competenza ad emanare atti in materia edilizia, anche se solo in virtù dell'art. 2 della legge n. 191/1998 il legislatore ha univocamente ricompreso tra gli atti di gestione anche i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi. Ad ogni buon conto, l’art. 107, comma 2, del d. l.vo 18 agosto 2000 n. 267, nel quale sono confluite le disposizioni citate, prevede che sono di competenza dei dirigenti "tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'Ente o non rientrati tra le funzioni del segretario o del direttore generale".

Va, inoltre, aggiunto che, del tutto coerentemente con il descritto quadro normativo, il Testo unico sull’edilizia, di cui al d.p.r. 380 del 2001, attribuisce la competenza ad adottare le misure sanzionatorie in subiecta materia sempre “al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale”.

In tale quadro normativo, che risponde ad una tendenza irretrattabile di organizzazione dei poteri pubblici secondo l’apicale esigenza di distinzione fra livello politico e livello burocratico di gestione amministrativa, l’orientamento della giurisprudenza si è da tempo consolidato nel far rientrare le ripetute misure, direttamente e senza l’intermediazione di fonti regolamentari, nella sfera di competenza del dirigente (cfr., ex multis, Cons. Stato, sezione quinta, 18 novembre 2003, n. 7318, Tar Campania, Napoli, questa sesta sezione, 25 settembre 2009, n. 5088 e 24 settembre 2009, n. 5071;
sezione seconda, 13 febbraio 2009, n. 802;
sezione terza, 6 novembre 2007, n. 10670;
sezione quarta, 13 gennaio 2006, n. 651;
sezione ottava, n. 9600 del 2008;
Cass. civ., sezione seconda, 6 ottobre 2006, n. 21631).

Prive di pregio si rivelano, poi, le doglianze con cui la parte ricorrente lamenta la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, la cui cura è imposta all’Autorità procedente dall’art. 7 della legge 241/1990 ovvero, nei procedimenti ad istanza di parte, anche dall’art. 10 bis della medesima legge.

L’infondatezza delle censure in esame discende, invero, come già ripetutamente affermato dalla Sezione (cfr., tra le tante, sentenze n. 1847 del 30 marzo 2011 e n. 8776 del 25 maggio 2010) e dal giudice d’appello (cfr. Cons. Stato, sezione quarta, 4 febbraio 2013, n. 666 e 5 marzo 2010, n. 1277), dalla ineluttabilità della sanzione repressiva applicata dal Comune di Barano d’Ischia, anche a cagione dell’assenza – come di seguito meglio evidenziato - di specifici e rilevanti profili di contestazione in ordine ai presupposti di fatto e di diritto che ne costituiscono il fondamento giustificativo, sicchè alcuna alternativa sul piano decisionale si poneva all’Amministrazione procedente.

Palesemente infondate si rivelano, poi, le ulteriori censure con cui parte ricorrente lamenta l’inadeguatezza dell’istruttoria condotta dal Comune intimato e l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato.

Sul punto, è sufficiente osservare che alcun dubbio residua sulla completezza delle risultanze istruttorie acquisite dal Comune attraverso i propri organi, di cui vi è indiretta conferma nella stessa mancanza di una sostanziale contestazione, in fatto, sulla natura degli abusi accertati.

Giusta quanto già evidenziato in premessa, all’esito dei suddetti accertamenti, sono stati compiutamente descritti gli abusi in contestazione, che consistono in un frazionamento del manufatto, nella creazione di nuovi volumi e superfici nonché nella modifica del prospetto.

Vale, anzitutto, rammentare che l'intervento ricade in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in considerazione - giusta quanto si evince dal preambolo dell’atto impugnato e come sopra evidenziato– della sua realizzazione in un'area dichiarata di notevole interesse pubblico e soggetta al P.T.P. dell’Isola d’Ischia ed alle previsioni di cui al d. l.vo 22 gennaio 2004, n. 42.

In ragione di quanto detto, stante l'alterazione dell'aspetto esteriore dei luoghi, l’intervento in questione, per il solo fatto di insistere in zona vincolata, risultava soggetto alla previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica.

Sotto diverso profilo, la consistenza delle nuove opere realizzate, comportanti incremento di superfici e di volumi, riflette con assoluta evidenza la sussistenza del contestato abuso che imponeva il previo rilascio (oltre che dell’autorizzazione paesistica anche) del permesso di costruire.

A fronte delle descritte emergenze istruttorie, la realizzazione delle opere in contestazione, e sopra passate in rassegna, siccome non supportata dai prescritti titoli abilitativi, di per se stessa, fondava la reazione repressiva dell’organo di vigilanza.

Ed invero, la disciplina di settore (id est art. 31 del d.p.r. 380/2001) sanziona con la demolizione la realizzazione senza titolo di nuove opere in zone vincolate;
come disposto dall’art. 32, comma 3 del D.P.R. n. 380/2001, qualunque intervento effettuato su immobili sottoposti a vincolo paesistico è da qualificarsi almeno come “variazione essenziale” e, in quanto tale, è suscettibile di esser demolito ai sensi dell’art. 31 co. 1, T.U. ed. cit. (art. 32 co. 3 T.U. ed.: «gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico ed ambientale, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali»). Di qui l’infondatezza di ogni censura afferente la dedotta sproporzione della sanzione, o l’applicabilità della diversa fattispecie di sanzione pecuniaria di cui all’art. 34 d.p.r. n. 380 del 2001 del tutto incompatibile con l’ipotesi in esame. Non è, infatti, possibile prendere in esame le conseguenze asseritamente pregiudizievoli per l’integrità delle opere regolarmente assentite trattandosi di impedimento che assume rilievo esclusivamente nell’economia di fattispecie (ex art. 33 e 34 del d.p.r. 380/2001) – qui non configurabili – diverse da quella (art. 31 del d.p.r. 380/2001) in contestazione.

Ribadita la mancanza dei prescritti titoli abilitativi, sopra individuati nell’autorizzazione paesaggistica e nel permesso di costruire, deve soggiungersi che ad analoghe conclusioni si perverrebbe anche se, in via di mera ipotesi, quod non, si ritenesse che le opere in argomento potessero essere assentite in virtù della presentazione di una mera D.I.A.

Ed, invero, quand’anche si ritenessero tali le opere qui sanzionate, va detto che l’applicazione della sanzione demolitoria ai sensi dell’art. 31 (o più correttamente dell’art. 27) D.P.R. 380/2001 sarebbe, comunque, doverosa, essendo, peraltro, incontestato che gli interventi edilizi sanzionati non risultano supportati neppure da una D.I.A., così come del tutto sprovvisti della autorizzazione paesistica. Si osserva, in proposito, in aderenza ad un indirizzo giurisprudenziale più volte affermato da questa Sezione, che l’articolo 27 cit. non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la semplice D.I.A. in quanto impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico (cfr. Tar Campania, Sez. VI, n. 05516 del 04/12/2013;
5519 del 4.12.2013;
Tar Campania, IV Sezione 05 giugno 2013 n. 2898).

In considerazione di quanto fin qui espresso – e cioè a cagione della ineluttabilità della sanzione comminata non essendovi spazio per l’applicazione di una sanzione pecuniaria - non può poi esser concesso ingresso ai profili di doglianza che lamentano la mancanza di ulteriori approfondimenti istruttori, anche in ragione dell’omessa acquisizione del parere della commissione edilizia integrata;
d’altro canto, in sede di emanazione di ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata non è necessario acquisire il parere della Commissione Edilizia Integrata, dal momento che l'ordine di ripristino discende direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia vigente.

In considerazione delle divisate emerge processuali si rivela immune dalle censure attoree l’ordito motivazionale in cui impinge il provvedimento impugnato, manifestamente idoneo ad evidenziare la consistenza degli abusi in contestazione. Nel modello legale di riferimento non vi è, infatti, spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione ( cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 26 agosto 2010 , n. 17240). Tanto assorbe ogni doglianza riferita alla scelta – in realtà preclusa all’Amministrazione – di non applicare, in luogo di quella ripristinatoria, sanzioni pecuniarie. Occorre, poi, soggiungere che è ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui, una volta accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia (T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556;
T.A.R. Lazio, sez. II ter, 21 giugno 1999, n. 1540): l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.

Conclusivamente ribadite le svolte considerazioni il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e trovano liquidazione in dispositivo.

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