TAR Genova, sez. I, sentenza 2014-02-05, n. 201400186
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N. 00186/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01392/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1392 del 2011, proposto da:
D T, rappresentato e difeso dall'avv. L P, con domicilio eletto presso L P in Genova, corso Saffi 7/2;
contro
Comune di Alassio;
per l'annullamento
anmnullamento provvedimento di diniego condono edilizio
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2014 il dott. D P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame parte ricorrente impugnava il provvedimento di cui in epigrafe, recante diniego su istanza di condono, presentata in relazione a lavori di ampliamento dell’immobile consistenti nella realizzazione nell’intercapedine di un appartamento;il diniego si basava sul carattere di volumetria rilevante in senso urbanistico dell’abuso, non rientrante quindi nelle previsioni di ammissibilità contemplate dall’art. 4 comma 1 l.r. 5 in quanto abuso in tipologia 1 in zona di vincolo ai sensi del dlgs. 42\2004 eseguito dopo il 1\9\1967.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda e gli atti procedimentali che hanno portato alla determinazione contestata, venivano quindi dedotte le seguenti censure:
- violazione degli artt. 4 l.r. 5\2004, 3 ss. l. 241\1990 e diversi profili di eccesso di potere, in quanto non vi sarebbe un volume rilevante, essendo comunque intercapedine preesistente come risultante nell’atto di acquisto;
- violazione degli artt. art. 32 comma 27 d) d.l. 269\2003 ed analoghi vizi, in quanto la norma regionale avrebbe ampliato le ipotesi di condonabilità e non risulta comunque dimostrata la contrarietà urbanistica;
- difetto di motivazione in ordine alle osservazioni formulate in sede procedimentale ex art. 10 bis l. 241 cit.;
- analoghi vizi di difetto di motivazione non essendo mai stato comunicato al ricorrente il parere negativo della commissione edilizia;
- violazione degli artt. 5 cit. e 2 l.r. 22\2009 per mancata acquisizione del parere della commissione locale per il paesaggio;
- violazione dell’art. 107 t.u.ee.ll. e 27 statuto comunale per incompetenza, a fronte della doppia sottoscrizione del provvedimento da parte del dirigente e del responsabile del procedimento.
Il Comune intimato non si costituiva in giudizio.
Alla pubblica udienza del 30\1\2014 la causa passava in decisione.
Il ricorso appare infondato.
Il diniego in contestazione riguarda la realizzazione di un appartamento nell’intercapedine sottostante la preesistente abitazione, in zona pacificamente soggetta a vincolo paesaggistico.
Le censure si dividono in due gruppi: per un verso (motivi da 3 a 6), profili di carattere prevalentemente formale (procedimentale, motivazionale e di incompetenza);per un altro verso (motivi 1 e 2), profili inerenti la consistenza dell’opera, la relativa qualificazione urbanistica e, conseguentemente, la ammissibilità del condono ai sensi della disciplina vigente.
Sul primo versante, le censure appaiono palesemente destituite di fondamento oltre che in gran parte di carattere pretestuoso.
Il procedimento svolto dalla p.a. intimata ha seguito le necessarie scansioni procedimentali, avendo messo in condizione parte ricorrente di partecipare ed interloquire in ogni fase dell’iter;ciò, in particolare, sia anteriormente al passaggio in commissione edilizia (memoria 12\5\2011 doc. 3) sia in seguito al parere di tale organo consultivo (memoria 8\11\2010 doc. 5).
Il provvedimento finale ha dato adeguato e sufficiente conto di tali passaggi e delle valutazioni conclusive, tali da escludere rilevanza alle osservazioni proposte, nel senso della chiara indicazione di quale sia il motivo del diniego (sia in termini di fatto, realizzazione di volume urbanisticamente rilevante in zona vincolata, che di diritto, indicando la normativa ostativa).
Lo stesso diniego risulta poi sottoscritto dal dirigente competente che, nel fare propri gli esiti dell’iter procedimentale, ha espresso con chiarezza l’esito della propria valutazione e le relative ragioni. Nessun autonomo e concreto vizio (che infatti neppure parte ricorrente è stata in grado di adombrare) può imputarsi alla contestuale sottoscrizione del responsabile del procedimento, non risultando alcun elemento in base al quale anche solo ipotizzare contraddittorietà di valutazioni o posizioni;né tale ultroneo elemento è in grado di far sorgere un qualsiasi dubbio su quale sia la manifestazione di volontà dell’amministrazione comunale, resa evidente dal provvedimento.
I precedenti espressi dal Tribunale in termini di censura della doppia sottoscrizione riguardano unicamente ipotesi di organi diversi, portatori di funzioni e compiti diversi (ad esempio dirigente comunale e commissario ad acta nominato dal Giudice ovvero, per citare un caso invocato da parte ricorrente tramite richiamo giurisprudenziale, organo politico o organo gestionale), tali da ingenerare il dubbio su quale fosse il potere esercitato (se quello ordinario della p.a. o quello proprio di ausiliario del giudice ovvero se quello peculiare ed eccezionale del Sindaco ovvero quello ordinario del dirigente). Nulla di tutto ciò è rilevabile nella specie dove, all’opposto, chiara, lineare e consequenzionale – rispetto agli esiti dell’iter procedimentale – è la posizioni del Comune, espressa tramite i propri competenti organi di carattere strettamente gestionale.
Sul secondo versante, i due profili dedotti assumono valenza prima urbanistica, in termini di qualificazione dell’abuso e della relativa consistenza, e quindi di compatibilità con la normativa che ammette la condonabilità sulla scorta di puntuali presupposti.
Il profilo urbanistico riguarda la qualificazione dell’intervento abusivo. In proposito, del tutto irrilevante è l’elemento invocato da parte ricorrente a fini di dimostrazione della preesistenza di un volume;infatti, la previsione di tale elemento nell’atto di acquisto può solo essere fonte di rilevanti dubbi in ordine alla correttezza e responsabilità del notaio rogante, senza poter assumere alcuna rilevanza a fini urbanistico edilizi, rispetto ai quali unico elemento di interesse è la consistenza dei titoli in base ai quali l’abitazione risultava realizzata.
Pertanto, appare pienamente corretta e scevra dalle censure dedotte la valutazione svolta dal Comune sulla scorta degli atti edilizi vigenti: rispetto alla situazione “titolata”, l’appartamento abusivamente creato nell’intercapedine assume i chiari connotati di nuova costruzione, quale nuovo volume urbanisticamente rilevante, di carattere residenziale e quindi avente conseguente pari impatto urbanistico, a partire dai necessari standards. Se già lo stesso art. 3 t.u. edilizia in termini di principio dà rilievo ai manufatti anche interrati, quale possibile nuova costruzione, ai fini della presente decisione assume carattere dirimente il semplice raffronto fra il nulla preesistente, negli unici termini rilevanti ai fini in esame - cioè quelli ricavabili dai titoli edilizi - e l’appartamento realizzato ex novo abusivamente, oggetto dell’istanza di condono. Nel dettaglio, diversamente da quanto prospettato in ricorso, l’intervento non è limitato alla semplice apertura di finestre, avendo comportato sia lo scavo del piano originario, sia la realizzazione ex novo di un appartamento, con tutti i relativi accessori, nell’ambito di uno spazio in precdenza privo di concreta valenza ed impatto urbanistico. Sul punto tali considerazioni e gli elementi esposti dal Comune trovano immediato conforto dal semplice raffronto fra le varie tavole progettuali nonché fra le diverse fotografie raffiguranti lo stato dei luoghi.
Più in generale, la ammissibilità della trasformazione di spazi privi di consistenza autonoma ha richiesto ad esempio specifiche normative derogatorie, come in tema di sottotetti. Ciò conferma che, in carenza di ciò, appare insostenibile la pretesa di qualificare quale volume urbanisticamente rilevante una mera intercapedine (avente in genere funzione di isolamento dell'edificio), i cui caratteri costruttivi non ne consentivano alcuna possibilità di autonomo utilizzo, se non tramite un intervento di consistenza ed impatto tali, quale quello in esame, da non potersi che qualificare nei termini seguiti dal Comune nella specie.
Assodato il profilo urbanistico, in ordine alla questione della condonabilità occorre prendere le mosse dal dato normativo regionale in questione, a mente del quale: “Ai sensi dell'articolo 32, comma 26, del D.L. n. 269/2003, convertito dalla L. n. 326/2003 e modificato dalla L. n. 350/2003, e ad integrazione di quanto stabilito nel successivo comma 27, lettera d), relativamente alle opere abusive realizzate in aree assoggettate ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e successive modificazioni, sono suscettibili di sanatoria, ancorché eseguiti nelle aree vincolate sopraindicate [ed in epoca successiva alla imposizione del relativo vincolo]… (come noto, la Corte costituzionale, con sentenza 8-11 ottobre 2012, n. 225, in Gazz. Uff. 17 ottobre 2012, n. 41, prima serie speciale, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, limitatamente alle parole racchiuse fra le parentesi quadre): …
…b) le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume e gli interventi comportanti violazioni relative all'altezza, ai distacchi e alla cubatura o alla superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte dal progetto assentito, sempreché entrambe tali fattispecie non si pongano in contrasto con le specifiche discipline di tutela del relativo vincolo.”
Preliminarmente, va esclusa rilevanza a quella parte di censura che invoca il potere del legislatore regionale di ampliare le ipotesi di condonabilità in zona vincolata, come reso evidente dalla statuizione resa dalla Consulta e sopra richiamata.
In sede di memoria conclusiva parte ricorrente cerca di spostare e concentrare il tiro, rispetto all’originaria impostazione (il ricorso è anteriore infatti alla pronuncia della Consulta) reputando applicabile l’eccezione alle esclusioni di cui alla normativa statale (art. 32 comma 27 lett d come inteso in sede di circolare applicativa). L’infondatezza della prospettazione appare evidente a monte, sulla scorta delle seguenti due dirimenti considerazioni: da un lato è assodato, sulla scorta di quanto sopra analizzato, che nel caso de quo ci si trova dinanzi ad un nuovo volume urbanisticamente rilevante, in zona vincolata;dall’altro lato, la stessa Corte Costituzionale, nell’evidenziare la necessità di riconoscere al legislatore regionale un ruolo rilevante di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo, ha ammesso l’opzione legislativa limitativa, potendo il legislatore regionale seguire fini di ulteriore tutela dei valori primari connessi alla tutela ambientale e paesaggistica. In coerenza con questa impostazione, ad esempio, è stato, tra l'altro, dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 25 dell'art. 32 del citato decreto-legge sul condono edilizio, nella parte in cui non prevedeva che la legge regionale potesse determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella medesima disposizione.
Al contrario, e ciò ha costituito il dictum primario della sentenza 225, è stata ritenuta di stretta interpretazione, in quanto espressione di principio generale afferente ai limiti della sanatoria, l'individuazione da parte della legge dello Stato delle fattispecie ad essa assoggettabili, di modo che le stesse non possono essere comunque ampliate o interpretate estensivamente dalla legislazione regionale.
Nella specie il legislatore regionale, nei limiti riconosciuti dalla predetta giurisprudenza costituzionale, esclude a priori la condonabilità di nuovi volumi urbanisticamente rilevanti in zona vincolata, sulla scorta di una previsione puntualmente applicata nella specie dal Comune di Alassio. Incidentalmente, va evidenziato come tale legislazione escluderebbe la condonabilità anche laddove l’intervento non dovesse essere qualificato quale volume ma come semplice superficie ex novo.
Nulla va disposto per le spese a fronte della mancata costituzione del Comune intimato.