TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2022-07-04, n. 202209042
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Pubblicato il 04/07/2022
N. 09042/2022 REG.PROV.COLL.
N. 07323/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7323 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati P F, E R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25, comma 1, lett. a), cod. proc. amm., presso la Segreteria dell’intestato Tribunale in Roma, via Flaminia, n. 189;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso
ope legis
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
del provvedimento del Ministero dell’Interno prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificato in data -OMISSIS-, di diniego dell’istanza di cittadinanza italiana ai sensi dell’articolo 9, comma 1 lettera f) della legge 5 febbraio 1992, n.91, presentata dal sig. -OMISSIS-in data -OMISSIS-;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 20 giugno 2022 il dott. E M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento prot. n. -OMISSIS-, emesso dal Ministero dell’Interno in data -OMISSIS-, con il quale è stata rigettata la domanda di cittadinanza italiana presentata dal sig. -OMISSIS-ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, risultando a carico dell’istante una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444,445 c.p.p.) del Tribunale in composizione monocratica di -OMISSIS-· sezione distaccata di -OMISSIS- in data -OMISSIS-, divenuta irrevocabile il -OMISSIS-, per guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche ex art. 186, comma 2, lett. c) del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (nuovo codice della strada).
Avverso il diniego impugnato il ricorrente deduce violazione dell’articolo 24 della Costituzione, degli artt. 3 e 10-bis della legge n. 241/1990, e dell’art. 7, comma 1, della legge n. 91/1992, nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti, non avendo l’Amministrazione tenuto in debito conto la riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di -OMISSIS- con ordinanza n. -OMISSIS-.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con atto di mera forma.
All’udienza di smaltimento del giorno 20 giugno 2022, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato e va respinto.
Sul punto il Collegio osserva quanto segue in merito alla natura del provvedimento di concessione della cittadinanza alla luce della giurisprudenza in materia, di recente sintetizzata dalla Sezione (T.A.R. Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), secondo cui l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della L. n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.
Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell'istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;sez. IV n. 798/1999;n. 4460/2000;n. 195/2005;sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;sez. VI, n. 3006/2011;Sez. III, n. 6374/2018;n. 1390/2019, n. 4121/2021;TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;n. 3920/2013;4199/2013).
L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.
Se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.
In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.
In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021;n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;n. 8233/2020;n. 7122/2019;n. 7036/2020;n. 2131/2019;n. 1930/2019;n. 657/2017;n. 2601/2015;sez. VI, n. 3103/2006;n.798/1999).
Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo, ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.
Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino;il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021;Sez. VI, n. 5913/2011;n. 4862/2010;n. 3456/2006;TAR Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).
Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione del ricorrente, ben potendo anche un solo precedente penale essere indice sintomatico di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi, non soltanto penali, vigenti nell’ordinamento giuridico italiano.
Comprova quanto sopra rappresentato in termini di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, il rapporto informativo della Questura di -OMISSIS- del -OMISSIS-, dal quale figurano a carico dell’interessato numerosi controlli in compagnia di persone gravate da precedenti di polizia per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, ricettazione, reati inerenti agli stupefacenti, minacce, porto d’armi od oggetti ad offendere, resistenza a pubblico ufficiale e rapina.
Non può d’altra parte valutarsi positivamente la riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di -OMISSIS- con ordinanza n. -OMISSIS-, atteso che il comportamento dell’istante rimane comunque valutabile come fatto storico e può pertanto essere ragionevolmente considerato come indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e delle regole di civile convivenza, tale da giustificare il diniego di riconoscimento della cittadinanza italiana.
E ciò coerentemente al consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui “le valutazioni volte all’accertamento di una responsabilità penale si pongono su di un piano assolutamente differente ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo, sicché può darsi la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale vengano valutate negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti del parallelo iter giudiziale” (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato sez. III, 14.02.2022, n.1057).
Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.