TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2021-11-22, n. 202100784
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Pubblicato il 22/11/2021
N. 00784/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00470/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 470 del 2015, proposto da:
La Gioconda di O C &C S, rappresentata e difesa dagli avvocati A I, G M L e C S, con domicilio eletto presso il loro studio, in Cagliari, via Salaris n. 29;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, ivi domiciliataria in via Dante n. 23;
- Agenzia delle Entrate - Riscossione, rappresentata e difesa dall'avvocato F G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, viale Diaz n. 29;
per l'accertamento:
- nella somma di euro 209.643,97, alla data del 31 maggio 2014, oltre euro 5,64 di dietim successivo, l’ammontare del credito del Ministero pe cui è causa;
- che il ricorrente ha già provveduto al suo integrale pagamento;
- dell’insussistenza del diritto della controparte a procedere a esecuzione forzata per la maggiore somma oggetto della cartella di pagamento n. 0252014003782055;
nonché per l’annullamento:
- della cartella di pagamento n. 0252014003782055 emessa da Equitalia per conto del Ministero dello Sviluppo Economico.
Visti il ricorso e i relativi allegati.
Visti gli atti di costituzione in giudizio Del Ministero dello Sviluppo Economico e di Equitalia S.p.A. e dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione.
Visti tutti gli atti della causa.
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2021 il dott. A P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Gioconda di O C &C S.a.s. (da qui in poi soltanto “La Gioconda”) espone quanto segue.
In data 23 maggio 1995 il sig. Mario Cireddu -che ha, poi, costituito l’attuale S.a.s. insieme alla moglie e al quale è, infine, succeduto il figlio Olivier- aveva chiesto al Comune di Muravera l’autorizzazione a realizzare un punto di ristoro su un fondo di sua proprietà, distinto al Foglio 12, Mappale 152, in Zona urbanistica G, ottenendo il relativo titolo edilizio nel 2003.
Una volta costituita, la società La Gioconda aveva, poi, ottenuto -in virtù di decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 22 marzo 2001, n. 2450, nell’ambito del Patto territoriale del Sarrabus-Gerrei- un contributo pubblico di euro 1.967.000,00 per la realizzazione, sullo stesso terreno, di una struttura ricettiva di n. 100 posti letto, ricevendo, a tal fine, un’anticipazione di contributo pari a euro 338.623,57.
Una volta iniziati i lavori, la prosecuzione degli stessi aveva trovato ostacolo nell’entrata in vigore della deliberazione della Giunta regionale n. 33/1 del 2004, della legge regionale 25 novembre 2004, n. 8 e del Piano Paesaggistico Regionale, per effetto dei quali il proposto intervento edilizio era risultato non più realizzabile sino all’approvazione, da parte del Comune di Muravera, di un nuovo P.U.C. in adeguamento al P.P.R.;per giunta il Comune di Muravera, in seno al nuovo P.U.C. adottato nel 2005 (e non adeguato al P.P.R.), aveva abrogato la sopra citata variante urbanistica, riclassificando l’area di proprietà di La Gioconda in zona agricola, anche se il provvedimento di adozione del nuovo strumento urbanistico era stata, poi, dichiarata improcedibile dalla Regione Sardegna, per cui l’area in questione aveva ritrovato l’originaria qualificazione in Zona G.
Perdurando tale situazione, con decreto direttoriale 3 aprile 2013, n. 620, il Ministero per lo Sviluppo Economico ha dichiarato la “revoca” per inadempimento del contributo concesso a La Gioconda, non avendo quest’ultima tempestivamente richiesto l’erogazione della seconda tranche di contributo, e su tali presupposti ha ritenuto applicabile l’art. 9, comma 4, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 123, che prevede, a carico del beneficiario del contributo inadempiente, la restituzione della somma già ricevuta “maggiorata di un interesse pari al tasso ufficiale di sconto vigente alla data dell’ordinativo di pagamento maggiorato di cinque percentuali” , per cui aveva ingiunto a La Gioconda il pagamento di euro 338.623,57 a titolo di contributo percepito e di ulteriori euro 305.693,59 a titolo di interessi, come sopra quantificati.
A tale decreto direttoriale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 maggio 2013 e notificato alla società in data 26 luglio 2013, ha fatto seguito la notifica da parte di Equitalia S.p.A., in data 13 marzo 2014, della cartella di pagamento n. 02520140003782055, per l’importo complessivo di euro 664.294,10.
Con atto di citazione del 12 giugno 2014 La Gioconda ha chiesto l’annullamento di tale cartella esattoriale l’accertamento dell’importo da restituire nella somma euro 209.643,97, deducendo l’inapplicabilità della sopra citata disposizione sul calcolo maggiorato degli interessi in quanto la mancata attuazione dell’intervento sarebbe dovuta, anziché a inadempimento colpevole, a factum principis , per cui, sempre secondo la ricorrente, l’obbligo restitutorio avrebbe a oggetto soltanto il capitale ricevuto a titolo di prima tranches (pari a euro 338.623,57), al netto delle spese sostenute (pari euro 132.938,34) e con l’aggiunta degli interessi legali, per un importo finale di euro 209.643,97, già interamente restituito nell’anno 2014 (vedi infra ).
Con sentenza 24 febbraio 2015, n. 701, il Tribunale civile di Cagliari, in accoglimento della relativa eccezione proposta dal convenuto Ministero, ha rilevato che il finanziamento in esame era stato concesso nell’ambito di un patto territoriale di cui all’art. 2, commi 203 e segg. della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per cui trova applicazione la disciplina dettata in materia di accordi a oggetto pubblico di cui all’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, conseguentemente declinando la propria giurisdizione, in favore di quella esclusiva del giudice amministrativo, assegnando il termine di tre mesi per la riassunzione del giudizio ai sensi dell’art. 11, comma 2, c.p.a.
Con atto notificato in data 21 maggio 2015 La Gioconda ha riassunto il giudizio innanzi a questo Tribunale, ribadendo le richieste già proposte innanzi al giudice ordinario.
Si è costituito in giudizio il Ministero dello Sviluppo Economico, contestando la fondatezza del ricorso ed eccependone l’inammissibilità per difetto di impugnazione del decreto direttoriale di revoca del contributo.
Si è costituita in giudizio Equitalia S.p.A., cui è, poi, subentrata per legge l’Agenzia delle Entrate - Riscossione, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.
Con memoria dell’8 aprile 2021 il Ministero ha riferito di avere emesso in data 21 aprile 2021 un provvedimento di discarico parziale “sulla base dei pagamenti di € 70.000,00 del 15.09.2014, di € 90.000,00 del 16.09.2014 e di € 50.330,00 del 29.09.2014, acquisiti dall’Amministrazione resistente in data 09.04.2020” (doc. 7).
Con ordinanza 13 maggio 2021, n. 346, questa Sezione ha ritenuto necessario un nuovo esame in contraddittorio delle risultanze processuali, ai sensi dell’art. 63, comma 1, c.p.c., rinviando la trattazione della causa all’udienza del 10 novembre 2021.
È seguito lo scambio di memorie difensive con cui le parti hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi.
Alla pubblica udienza del 10 novembre 2021, all’esito di ampia discussione, la causa è stata trattenuta in decisione nel merito
DIRITTO
Si esamina, prima di tutto, l'eccezione di rito proposta dal resistente Ministero, il quale evidenzia che la ricorrente non ha mai impugnato il decreto direttoriale di revoca del contributo 3 aprile 2013, n. 632, benché lo stesso fosse stato, prima, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e, poi, notificato individualmente alla stessa interessata, il che renderebbe inammissibile la successiva impugnazione della (sola) cartella esattoriale, meramente applicativa di quanto stabilito nel decreto stesso.
Tale eccezione non è fondata.
Occorre preliminarmente evidenziare che la controversia attiene alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione, avendo il Ministero ricollegato le proprie richieste restitutorie a un preteso inadempimento colpevole di cui il beneficiario si sarebbe reso responsabile omettendo di completare l’intervento previsto: su tale aspetto non vi è alcun dubbio, ove soltanto si consideri che la disciplina espressamente richiamata nel citato decreto direttoriale, definito letteralmente di “revoca” del contributo concesso, presuppone una condotta “addebitabile” al beneficiario (vedi ampiamente infra ).
Deve ancora osservarsi come quella di esecuzione sia una fase del rapporto di sovvenzione in cui l’Amministrazione non dispone di poteri autoritativi in senso proprio, a parte, ovviamente, il potere di annullamento del contributo per difetto originario di presupposti (nel caso di specie pacificamente non esercitato) e le prerogative relative alla riscossione in senso stretto (iscrizione a ruolo ed emissione della cartella esattoriale), che nel caso specifico l’interessata ha tempestivamente contestato mediante impugnazione della cartella.
Per la stessa ragione è pacifico in giurisprudenza che le controversie relative alla fase di esecuzione del rapporto di sovvenzione, nella quale si inquadrano eventuali condotte inadempimenti del beneficiario del contributo, si ascrivono normalmente alla giurisdizione ordinaria (cfr. Cassazione, Sezioni unite, 25 gennaio 2013, n. 1776, poi costantemente ribadita), cui la vicenda ora in esame sfugge soltanto perché il contributo è stato concesso nell’ambito di un patto territoriale, modello procedimentale che la Cassazione riconduce alla categoria degli accordi a oggetto pubblico di cui all’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguente operatività dell’ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A. prevista dall’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, che espressamente menziona le controversie relative alla “esecuzione” degli accordi a oggetto pubblico.
Non vi è dubbio, comunque, proprio per la rilevata assenza di poteri autoritativi dell’amministrazione concedente, che in tale fase esecutiva i rapporti fra le parti si atteggino in termini di “diritto/obbligo”, piuttosto che di “potere/interesse legittimo”, come costantemente evidenziato dalla giurisprudenza, sia amministrativa che ordinaria (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato Sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1251, ove si legge che “qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo, sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall'acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, …il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto…attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione (cfr. Cass., sez. un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776, cit.);- viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo…solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass., sez. un., 24 gennaio 2013, n. 1710, cit.;Cons. Stato, ad. plen., 29 luglio 2013, n. 17, cit.)” .
Considerata, dunque, l’assenza di un potere autoritativo in senso proprio e la conseguente natura privatistica delle situazioni soggettive in conflitto, il regime temporale per l’esercizio dei mezzi di tutela avverso gli atti di ritiro del contributo per inadempimento è necessariamente rappresentato, invece che dal termine di sessanta giorni previsto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, come vorrebbe parte resistente, dall’ordinario termine di prescrizione dei diritti soggettivi, che la ricorrente ha pacificamente rispettato, salvo il distinto onere di impugnare tempestivamente la cartella esattoriale -quale atto della procedura autoritativa di riscossione autoritativa mediante ruolo- adempimento processuale, questo, tempestivamente assolto dall’odierna ricorrente.
Pertanto, in virtù di quanto esposto, deve attribuirsi al decreto direttoriale in discussione una portata -non già autoritativa-provvedimentale, bensì- paritetica-accertativa di presupposti del potere di ritiro che il legislatore ha predeterminato compiutamente, nonché del quantum concretamente spettante all’Amministrazione in sede di restituzione, il che conclusivamente esclude che il suddetto decreto dovesse essere impugnato entro sessanta giorni dalla sua notificazione;del resto, ove si ragionasse diversamente, si giungerebbe a configurare un’ingiustificata deminutio di tutela rispetto alle controversie in materia di ritiro dei contributi non riconducibili ai patti territoriali, sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario e alla conseguente operatività del termine generale di prescrizione, oltre che del potere officioso di disapplicazione degli atti amministrativi di cui lo stesso G.O. notoriamente dispone ai sensi dell’art. 5 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo.
Ciò posto si può passare all’esame della controversia nel merito.
Il Collegio reputa fondata l’argomentazione di carattere sostanziale -che, perciò, determina assorbimento degli altri profili dedotti- relativa all’inapplicabilità nel caso in esame dello speciale regime normativo dettato in materia di ritiro del contributo per fatto addebitabile al beneficiario e della conseguente maggiorazione degli interessi in funzione sanzionatoria.
Giova, al riguardo, preliminarmente richiamare il tenore letterale della disciplina normativa di riferimento, rappresentata:
- dall’art. 29, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, a mente del quale “2. Al fine di conseguire la definitiva chiusura dei procedimenti relativi alle agevolazioni di cui al comma 1, di quelle di cui alla legge 1° marzo 1986, n. 64, nonché di quelle concesse nell'ambito dei patti territoriali e dei contratti d'area, qualora alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge non sia stata avanzata alcuna richiesta di erogazione per stato di avanzamento, il Ministero dello sviluppo economico, entro novanta giorni dalla predetta data, accerta la decadenza dai benefici per l'insieme delle imprese interessate con provvedimento da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana” ;
- dall’art. 9, comma 4, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 123, a mente del quale “Nei casi di restituzione dell'intervento in conseguenza della revoca … comunque disposta per azioni o fatti addebitati all'impresa beneficiaria, …, disposta anche in misura parziale purché proporzionale all'inadempimento riscontrato…” .
Il tenore letterale di quest’ultima previsione normativa è, dunque, univoco, laddove fa riferimento a “azioni o fatti addebitati all’impresa” , nell’esigere, affinché la relativa disciplina possa trovare applicazione, che la mancata attuazione dell’intervento sia legata a fatto colpevole del beneficiario del contributo.
Pertanto, a differenza di quanto sostiene la difesa erariale, le due disposizioni sopra citate non operano necessariamente in modo congiunto, nel senso che la mancata richiesta in termini delle successive tranches di contributo comporta effettivamente decadenza dallo stesso (non revoca, peraltro, come erroneamente la definisce il Ministero nel citato decreto direttoriale), ai sensi dell’art. 29, comma 2, del d.l. n. 83/2012, ma ciò non implica necessariamente l’applicazione degli interessi sanzionatori di cui all’art. 9, comma 4, del d.lgs. n. 123/1998, giacché questi ultimi, in coerenza con la loro evidente funzione sanzionatoria, presuppongono un fatto addebitabile al beneficiario e non sono, dunque, prospettabili nei casi, come quello ora in esame, in cui il mancato completamento dell’intervento edilizio sia, invece, dovuto a factum principis , per definizione non riconducibile alla sfera di controllo del debitore/beneficiario, nel caso di specie pacificamente rappresentato dalla deliberazione della Giunta regionale n. 33/1 del 2004, dalla l.r. n. 8/2004 e dal P.P.R., che hanno subordinato la realizzabilità del manufatto previsto all’approvazione, da parte del Comune di Muravera, di un nuovo P.U.C. in adeguamento al P.P.R., il che non è accaduto (vedi narrativa).
Tale circostanza di fatto è pacifica in causa, non essendo mai stata contestata -sia nel presente giudizio che in quello svoltosi di fronte al G.O.- da parte dell’Amministrazione resistente, la quale si limita a rimarcare la mancata richiesta, da parte dell’odierna ricorrente, della seconda tranche di contributo, evidentemente individuando proprio in tale omessa richiesta l’inadempimento colpevole, il che, però, esprime una valutazione ictu oculi errata, ove solo si consideri, a tacer d’altro, che la richiesta della seconda tranche di contributo non avrebbe avuto alcun senso in presenza delle sopra descritte sopravvenienze normative ostative all’avanzamento dei lavori, che avrebbero, dunque, impedito l’utilizzo delle ulteriori somme allo scopo cui erano preordinate.
Né può individuarsi un inadempimento colpevole dell’interessata nel “ritardo” con cui la stessa ha, poi, restituito, nel 2014, la somma ricevuta a titolo di anticipazione e ciò per due ordini di ragioni:
- prima di tutto perché un comportamento tenuto molto tempo dopo il verificarsi del factum principis impeditivo dell’intervento non può, per definizione, avere impedito la realizzazione dell’intervento stesso, trovando quest’ultimo autonomo (e già consumato) ostacolo nel factum principis stesso;
- in secondo luogo perché, comunque, non emerge dagli atti che, prima dell’adozione del decreto direttoriale n. 632/2013, fosse mai stata rivolta alla ricorrente alcuna richiesta restitutoria e, tanto meno, alcuna formale costituzione in mora.
Pertanto, alla luce di quanto esposto, la vicenda in esame appare sostanzialmente paragonabile a quella che si verifica in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione per fatto non imputabile alla parte tenuta alla sua esecuzione, fattispecie civilistica che, per effetto del combinato disposto tra gli artt. 1256, 1463 e 2033 c.c., comporta, nel contratto a prestazioni corrispettive, la risoluzione dello stesso e la restituzione delle prestazioni già eseguite, maggiorate sulla base della comune disciplina in materia di ripetizione d’indebito e, dunque, applicando gli interessi legali, peraltro differentemente computati a seconda dello stato soggettivo (di buona o mala fede) dell’ accipiens .
Evidente, dunque, l’assenza dei presupposti necessari all’applicazione dei ben diversi “interessi maggiorati”, con natura e funzione spiccatamente sanzionatoria, previsti dall’art. 9, comma 4, della legge n. 123/1998, previsti per l’ipotesi, del tutto differente, di mancata esecuzione dell’intervento finanziato per fatto addebitabile al beneficiario.
Pertanto l’impugnata cartella esattoriale è illegittima e deve essere annullata, con la conseguente definizione del rapporto giuridico oggetto di controversia, essendo incontestato che la ricorrente ha già restituito il capitale ricevuto maggiorato degli interessi legali, esaurendo i propri obblighi restitutori.
Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.