TAR Catania, sez. III, sentenza 2019-06-06, n. 201901393
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Pubblicato il 06/06/2019
N. 01393/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00675/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 675 del 2018, proposto da
L G C, rappresentata e difesa dall'avvocato R V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in San Salvatore Di Fit, via dei Mille 3;
contro
Comune di Alcara Li Fusi, in persona del Sindaco, rappresentato e difeso dall'avvocato E R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
della nota del Comune intimato n. 2475 in data 3 aprile 2018, previo annullamento o disapplicazione dell’art. 3 del regolamento per la disciplina dei diritti di uso civico di cui alla deliberazione consiliare n. 5 in data 9 aprile 2014;
e per la condanna
del Comune intimato al risarcimento del danno.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Alcara li Fusi;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2019 il dott. Daniele Burzichelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con il presente gravame, chiedendo anche il risarcimento del danno, la ricorrente ha impugnato la nota del Comune intimato n. 2475 in data 3 aprile 2018 ha sollecitato l’annullamento o la disapplicazione dell’art. 3 del regolamento per la disciplina dei diritti di uso civico di cui alla deliberazione n. 5 in data 9 aprile 2014.
Nel ricorso si precisa in punto di fatto quanto segue: a) la ricorrente risiede nel Comune di Alcara Li Fusi da circa due anni (come comprovato dal certificato di residenza e dalla tessera elettorale versati in atti) ed è titolare di un’azienda zootecnica ubicata nel territorio del Comune (in Contrada Cimusaro) dall’1 gennaio 1990;b) in data 30 marzo 2019 la ricorrente ha chiesto di essere autorizzata al pascolo in alcuni fondi gravati da uso civico;c) la ricorrente è anche coniugata da circa quindici anni con Gioitta Carmelo, originario titolare dell’azienda zootecnica;d) con il citato provvedimento n. 2475 del 3 aprile 2018, il Comune ha rigettato l’istanza, richiamando l’art. 3 del regolamento per la disciplina dei diritti di uso civico di cui alla deliberazione consiliare n. 5 in data 9 aprile 2014, secondo cui “sono titolari dei diritti di uso civico nel territorio del Comune di Alcara Li Fusi tutti i cittadini che vi risiedono continuativamente da almeno cinque anni”.
Il contenuto dei motivi di gravame può sintetizzarsi come segue: a) l’art. 26 della legge n. 1766/1927 stabilisce che “i terreni di uso civico dei Comuni e delle frazioni e quelli delle associazioni, sia che passino ai Comuni od alle frazioni, sia che restino alle associazioni stesse, debbono essere aperti agli usi di tutti i cittadini del Comune o della frazione”;b) come affermato dalla giurisprudenza (cfr. T.A.R. Piemonte, Torino, II, n. 610/2016), i terreni di uso civico devono essere aperti agli usi di tutti i cittadini del Comune e della frazione e i titolari dell’uso civico devono essere identificati con i membri di una collettività locale aventi un collegamento stabile con il territorio;c) la ricorrente, oltre ad essere residente nel Comune di Alcara Li Fusi da circa due anni, può vantare uno stabile collegamento con il territorio, rappresentato sia dalla titolarità di un’azienda zootecnica da tempo insediata sul territorio, sia dal rapporto coniugale con un soggetto da sempre residente nel Comune medesimo;d) il periodo di residenza anagrafica nel Comune non può assumere rilievo, pena la violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Il Comune di Alcara Li Fusi, cui il presente ricorso è stato ritualmente notificato in data 2 maggio 2018, non si è inizialmente costituito in giudizio.
Con ordinanza n. 314/2918 del 23 maggio 2018, il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare della ricorrente, osservando che: a) “il ricorso appare assistito da sufficienti profili di fondatezza nella parte in cui si denuncia l’illegittimità del regolamento per la disciplina dei diritti di uso civico nel territorio comunale per violazione dell’art. 26 della legge n. 1766/1927, che consente l’utilizzo dei terreni gravati da uso civico a tutti i cittadini del Comune, senza possibilità di introdurre limitazioni legate alla residenza per periodi determinati”;b) “la ricorrente è residente e titolare di un’azienda zootecnica nel Comune di Alcara Li Fusi, rientrando pertanto a pieno titolo nell’ambito della comunità cittadina”.
La decisione cautelare del Tribunale è stata confermata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con ordinanza n. 485/2018 del 25 luglio 2018.
Con memoria in data 18 aprile 2019, il Comune intimato si è costituito in giudizio.
Il Comune ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e ha sollecitato comunque il suo rigetto nel merito, osservando quanto segue: a) ai sensi dell’art. 43 della legge n. 1766/1927 e dell’art. 43 del regio decreto n. 332/1928, l’ente locale è libero di stabilire il collegamento con il territorio che ritiene necessario ai fini del riconoscimento del diritto di uso civico, entro i limiti di proporzionalità e ragionevolezza;b) la giurisprudenza amministrativa (cfr. T.A.R. Piemonte, Torino, I, n. 1459/2002 e T.A.R. Piemonte, Torino, II, n. 4239/2010) si è espressa nel senso che gli enti locali hanno facoltà di stabilire diverse modalità di accesso e diversi criteri di priorità in relazione a posizione soggettive non omogenee nella disciplina degli diritti di uso civico;c) la sentenza, apparentemente di diverso tenore, del T.A.R. Piemonte, Torino, II, n. 610/2016 si riferisce alla diversa ipotesi di assegnazione diretta e definitiva di lotti pascolivi mediante procedure di evidenza pubblica e afferma che l’art. 26 della legge n. 1766/1927 consente agli enti locali di stabilire diverse modalità di accesso e diversi criteri di priorità in relazione a posizioni soggettive non omogenee;d) in ogni caso, nella specie non è provato il legame stabile e duraturo con la comunità dal momento che: - non viene in rilievo una società, bensì una semplice azienda agricola;- la ricorrente non afferma che l’azienda ha sede in Alcara Li Fusi, né tantomeno che gli animali vengano tenuti stabilmente nel territorio del Comune;- le uniche argomentazioni svolte dalla ricorrente attengono ad elementi di natura fiscale e amministrativa che non rilevano in questa sede;e) il ricorso, ad ogni buon conto, non è stato notificato ad almeno uno dei controinteressati, non risultando che la ricorrente abbia svolto, secondo un canone di ordinaria diligenza, l’attività necessaria all’individuazione della loro residenza, domicilio o dimora.
Nella pubblica udienza in data odierna la causa è stata trattenuta in decisione.
Deve premettersi che (sul punto, cfr. T.A.R. Lazio, Roma, III-quater, n. 58/2912) è stato correttamente osservato che il ricorso va notificato ad almeno un controinteressato che sia espressamente contemplato nel provvedimento impugnato (circostanza nella specie assolutamente insussistente), o comunque agevolmente identificabile sulla base di esso (circostanza anch’essa inesistente), il quale sia titolare di un interesse concreto e attuale alla conservazione di detto provvedimento e abbia un interesse sostanzialmente speculare all’interesse legittimo che muove il ricorrente, in quanto il provvedimento gli attribuisce un vantaggio immediato giuridicamente rilevante. Pertanto, non sono contraddittori necessari i soggetti che comunque possono trarre un vantaggio di mero fatto dall'atto impugnato e la cui identità non sia deducibile in via immediata dal provvedimento. Va aggiunto che, nella specie, a seguito della pronuncia cautelare del Tribunale, la ricorrente ha avuto accesso ai terreni in questione senza che alcuno, a seguito di ciò, abbia ritenuto di manifestare le proprie doglianze in questa sede.
Tanto precisato, a giudizio del Collegio il ricorso è fondato per le assorbenti ragioni di seguito indicate.
L’art. 26, primo comma, della legge n. 1766/1926 stabilisce che “i terreni di uso civico dei Comuni e delle frazioni e quelli delle associazioni, sia che passino ai Comuni od alle frazioni, sia che restino alle associazioni stesse, debbono essere aperti agli usi di tutti i cittadini del Comune o della frazione”.
Può essere opportuno aggiungere che, secondo la medesima previsione, “qualora per disposizioni speciali di leggi anteriori o per sentenze passate in giudicato fosse stato assicurato un diritto particolare ad alcune categorie di persone, il Ministero dell’economia nazionale, d’accordo col Ministero dell'interno, potrà stabilire i provvedimenti che secondo le circostanze si riterranno opportuni”.
La norma di legge, quindi, fa esplicito ed inequivocabile riferimento a “tutti i cittadini del Comune”.
Ne consegue che il potere regolamentare dei Comune contemplato dall’art. 43 del regio decreto n. 322/1928 sembra potersi esplicarsi nell’ambito della puntuale previsione normativa di rango primario, secondo cui i terreni devono essere aperti agli usi di tutti i cittadini.
E’ vero, peraltro, che, come indicato nella sentenza del T.A.R. Piemonte, Torino, II, n. 4239/2010 e sottolineato dall’Amministrazione resistente con le sue difese, nell’elaborazione giurisprudenziale che si è susseguita nel tempo, anche in considerazione della diversa configurazione dell’istituto in questione a fronte dei mutamenti della società economica, è stato ritenuto ammissibile che i terreni demaniali, pur sottoposti al regime dell’uso civico, potessero essere indirizzati a destinazioni cosiddette atipiche, laddove essi risultassero eccedenti rispetto ai bisogni della popolazione, ovvero rimanessero temporaneamente non utilizzati dalla medesima, e purché tale diversa destinazione fosse temporanea e non determinasse l’alterazione della qualità originaria dei terreni (cfr., sul punto, Cass. Civ., Sez. Un., n. 2806/1995), ammettendosi, quindi, la possibilità della concessione onerosa di un terreno gravato da uso civico all’utilizzo esclusivo di un privato concessionario, da realizzarsi mediante atti di concessione amministrativa o contratti d’affitto stipulati dal Comune (cfr. Cass. Civ., Sez. II, n. 4694/1999).
E’, altresì, vero che la giurisprudenza (cfr. la citata sentenza del T.A.R. Piemonte, Torino, II, n. 4239/2010) ha affermato che, in sede regolamentare, non risulta “illegittimo il conferimento della titolarità dell’uso solo ai cittadini residenti da almeno cinque anni nel territorio comunale, trattandosi di un criterio non irragionevole di delimitazione degli aventi diritto caratterizzato dal collegamento stabile con la comunità locale”.
Tale affermazione, tuttavia, non è condivisa da questo Collegio, in quanto la legge fa riferimento a tutti i cittadini del Comune (cioè a tutti i residenti), senza consentire, quindi, distinzioni che appaiano meglio idonee ad individuare uno stabile collegamento dell’interessato con la comunità locale.
Nessuno può negare, in altri termini, che il Comune possa stabilire un uso individuale del terreno al ricorrere dei presupposti sopra indicati, ovvero, nell’ipotesi inversa di eccedenza nelle richieste di utilizzazione, possa disciplinare una turnazione su basi assolutamente paritarie o all’esito di procedure concorsuali cui possano accedere, senza alcuna irragionevole discriminazione, tutti i cittadini e ciò in ossequio al ribadito precetto di cui all’art. 26, primo comma, della legge n. 1766/1926, il quale impone che “i terreni di uso civico” restino “aperti agli usi di tutti i cittadini del Comune o della frazione”.
Non può, quindi, considerarsi conforme a legge, a giudizio di questo Collegio, la previsione regolamentare che introduca una distinzione in base al requisito della residenza anagrafica da almeno cinque anni, poiché essa determina una discriminazione sostanzialmente arbitraria e priva di effettive giustificazioni, la quale si pone in contrasto con l’ampia formula “tutti i cittadini” utilizzata nella norma primaria. Tale conclusione vale doppiamente nel caso in cui non risulti un’eccedenza nella richiesta di fruizione del terreno da parte dei cittadini (come, appunto nel caso di specie, in difetto di qualsivoglia indicazione in senso contrario da parte dell’Amministrazione resistente), di talché appare obiettivamente incomprensibile e violativa del citato art. 26, primo comma, la previsione di riservare il godimento dei beni (non oggetto di una profluvio di domande) ai soli cittadini residenti da almeno cinque anni.
Non appare in contrasto con siffatta conclusione quanto affermato dal T.A.R. Piemonte, Torino, II, n. 610/2016, posto che tale decisione si riferisce alla diversa e particolare ipotesi di assegnazione diretta e definitiva di lotti pascolivi mediante procedure di evidenza pubblica e afferma che l’art. 26 della legge n. 1766/1927 consente agli enti locali di stabilire, in questi casi, diverse modalità di accesso e diversi criteri di priorità in relazione a posizioni soggettive non omogenee (non risultando trasponibili tali principi, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, al caso in esame, in cui il terreno non deve essere obiettivamente riservato ad un numero determinato di utenti e la distinzione in relazione all’anzianità anagrafica risulta, quindi, sostanzialmente gratuita e incomprensibile).
Per le considerazioni che precedono, la Sezione ritiene che la domanda impugnatoria proposta dalla ricorrente debba essere accolta, con conseguente annullamento dell’impugnata nota del Comune intimato n. 2475 in data 3 aprile 2018, previa disapplicazione dell’art. 3, primo comma, del regolamento per la disciplina dei diritti di uso civico di cui alla deliberazione consiliare n. 5 in data 9 aprile 2014.
Va, invece, rigettata la domanda risarcitoria, sia in quanto il danno è stato scongiurato dalla sollecita concessione della richiesta misura cautelare, sia in quanto sul punto la ricorrente non ha fornito puntuali allegazioni, né un principio di prova idoneo a sostenere adeguatamente la richiesta formulata.
In conclusione, il ricorso va in parte accolto e in parte rigettato, nei termini sopra rassegnati.
In ragione della reciproca soccombenza, le spese di lite devono essere compensate.