TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2017-10-19, n. 201710513

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2017-10-19, n. 201710513
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201710513
Data del deposito : 19 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/10/2017

N. 10513/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00138/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 138 del 2001, proposto da:
Rezza R, rappresentato e difeso dall'avvocato A P, con domicilio eletto presso lo studio l’avv. C Pereno in Roma, viale dell'Astronomia, 5;

contro

Comune di Velletri rappresentato e difeso dall’avv. M G R, con domicilio eletto in Roma via sant’Agatone Papa 5 presso l’avv. Caterina Mele;

per l'annullamento

del provvedimento del 22 settembre 2000 di demolizione delle opere abusive consistenti in un manufatto di circa 140 metri quadri realizzato in contrada Acqua Palomba 9;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2017 la dott.ssa Cecilia Altavista e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO e DIRITTO

Con il presente ricorso è stato impugnato il provvedimento del dirigente del settore urbanistica del Comune di Velletri n. 294 del 22 settembre 2000 con cui è stata ordinata la demolizione delle opere abusive, consistenti in un manufatto di circa 140 metri quadri, in contrada Acqua Palomba n. 9 (identificato al Catasto al foglio 21, particelle 383, 384 e 385).

Sono stati formulati i seguenti motivi di ricorso:

- violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 per la mancata comunicazione di avvio del procedimento;

- violazione dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985, non essendo specificamente indicata l’area oggetto di acquisizione.

Nella parte del ricorso relativo alla domanda cautelare deduceva, altresì, allegando la relativa documentazione, di avere presentato domanda di condono ai sensi della legge n. 47 del 1985 per altro immobile realizzato sulla sua proprietà tra il 1967 e il 1976, mentre per l’immobile oggetto del provvedimento impugnato, asseritamente realizzato nel 1993 ( per le esigenze abitative del proprio figlio), non era stata presentata domanda di condono, ai sensi della legge n. 724 del 1994, ma il 10 dicembre 2000 una richiesta di “riapertura del condono”.

Si è costituito il Comune di Velletri contestando la fondatezza del ricorso.

Con ordinanza n. 797 del 2001 è stata respinta la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con decreto n. 11331 del 12 giugno 2014 il giudizio è stato dichiarato perento ai sensi dell’art. 1 delle norme transitorie del codice del processo amministrativo. In base al comma 2 di tale disposizione il decreto è stato successivamente revocato a seguito della dichiarazione di interesse presentata da parte ricorrente.

Nella memoria presentata in vista dell’udienza pubblica deduceva che alla domanda di condono presentata il 10 dicembre 2000 sarebbe stato applicabile il comma 10 bis dell’art 39 della legge n. 724 del 1994, che consentiva il riesame ai sensi della detta legge delle domande di condono respinte ai sensi della legge n. 47 del 1985 e di avere presentato nel corso del 2016 richiesta di autorizzazione paesaggistica.

All’udienza pubblica del 10 ottobre 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato.

Con riferimento al primo motivo di censura, relativo alla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 per la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, ritiene il Collegio sufficiente richiamare il costante orientamento giurisprudenziale per cui i provvedimenti di repressione degli abusi edilizi sono atti vincolati, per cui non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento: “l'ordine di demolizione conseguente all'accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto e, in quanto tale, non deve essere preceduto dall'avviso ex art. 7, L. 7 agosto 1990, n. 241, trattandosi di una misura sanzionatoria per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge;
pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia l'abuso, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 giugno 2017, n. 2681;
V, 28 aprile 2014, n. 2194).

E’ infondato, altresì, il secondo profilo di censura, relativo alla mancata individuazione delle aree oggetto della successiva acquisizione, non discendendo immediatamente dal provvedimento impugnato l’effetto acquisitivo, che segue alla mancata spontanea ottemperanza alla ingiunzione di demolizione. Per costante giurisprudenza, infatti, l'individuazione dell'area di sedime da acquisire al patrimonio comunale, in caso mancata spontanea esecuzione dell'ordine di demolizione, non deve necessariamente farsi nel provvedimento che impartisce l'ordine, potendo essere effettuata anche successivamente mediante distinto provvedimento, e precisamente in quello in cui viene accertata l'inottemperanza all'ordine impartito (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 luglio 2014, n. 3438;
T.A.R. Lombardia Milano 6 febbraio 2017 n. 299;
T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 27 luglio 2015, n. 3941;
T.A.R. Toscana, sez. III, 13 gennaio 2015, n. 31). L'omissione denunciata dalla ricorrente non costituisce dunque causa di illegittimità dell'atto.

Nel caso di specie, risulta dal provvedimento impugnato, la individuazione dell’immobile e la dimensionale consistenza delle opere realizzate in assenza di titolo edilizio, circostanza peraltro non contestata in fatto dalla difesa ricorrente.

Le ulteriori argomentazione difensive, specificate anche nella memoria difensiva, relative alla avvenuta presentazione delle domande di condono, oltre a non essere state formalizzate in apposito motivo di censura, sono del tutto infondate.

L’art. 39 della legge n. 724 del 1994 prevedeva la presentazione della domanda di condono entro il 31 marzo 1995, mentre, nel caso di specie, la domanda di condono relativa all’immobile oggetto del provvedimento impugnato è stata presentata il 13 dicembre 2000.

Infondata è anche la ulteriore deduzione contenuta nella memoria difensiva circa l’applicazione del comma 10 bis dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994 a tale domanda presentata il 13 dicembre 2000.

Infatti il comma 10 bis dell’art 39, introdotto dalla legge n. 662 del 1996, si riferisce “alle domande di concessione o autorizzazione in sanatoria presentate entro il 30 giugno 1987 sulle quali il sindaco abbia espresso provvedimento di diniego successivamente al 31 marzo 1995, disponendo che gli interessati possano chiederne “la rideterminazione sulla base delle disposizioni della presente legge”. Nel caso di specie, la domanda presentata ai sensi della legge n. 47 del 1985 si riferiva, in base a quanto dedotto dalla stessa difesa ricorrente, ad immobile diverso da quello oggetto del provvedimento qui impugnato, per cui è stata presentata la domanda del 13 dicembre 2000.

Inoltre, ai sensi del comma 38 dell’art. 2 della legge n. 662 del 1996, la domanda ai sensi del comma 10 bis dell’art. 39 doveva essere presentata entro 60 giorni dal 1 gennaio 1997 (data di entrata in vigore della legge n. 662 del 1996) “anche qualora la notifica del provvedimento di diniego intervenga successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Ne deriva che alla data del 13 dicembre 2000 non poteva essere presentata più alcuna domanda di condono né ai sensi della legge n. 724 del 1994 né in base alla norma introdotta dalla legge n. 662 del 1996, rispetto a cui, nel caso di specie, non sussistevano neppure i presupposti di fatto, in quanto l’immobile oggetto delle domanda di condono presentata nel 1986 era diverso da quello per cui è causa, in base a quanto affermato dalla stessa difesa ricorrente.

Il ricorso è quindi infondato e deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nella somma di euro 2.000,00 (duemila,00) oltre accessori di legge.

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