TAR Venezia, sez. I, sentenza 2018-01-03, n. 201800005

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2018-01-03, n. 201800005
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201800005
Data del deposito : 3 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/01/2018

N. 00005/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02630/2000 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2630 del 2000, proposto dall’ing.
E C, rappresentato e difeso dagli avv.ti L M B, G O e G V e con domicilio eletto presso lo studio dei primi due, in Venezia, Santa Croce, n. 205

contro

Ministero delle Finanze (ora dell’Economia e delle Finanze), in persona del Ministro pro tempore, ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia e domiciliato presso gli Uffici della stessa, in Venezia, San Marco, n. 63

in via principale, per l’accertamento

del diritto del ricorrente alla corresponsione del trattamento economico previsto per i dirigenti dello Stato in conseguenza dello svolgimento di incarichi di reggenza ex art. 17 della l. n. 146/1980 e art. 3, comma 129, della l. n. 662/1996

e per la conseguente condanna

del Ministero intimato al pagamento degli emolumenti sopra indicati, con interessi e rivalutazione monetaria, nonché alla ricostruzione della posizione previdenziale del ricorrente e dell’indennità di fine rapporto

in subordine, per l’accertamento

del diritto del ricorrente al risarcimento del danno subito per effetto della durata del concorso per la copertura di n. 151 posti di dirigente, indetto con d.m. 19 gennaio 1993 (pubblicato nella G.U. del 29 gennaio 1993)

e per la conseguente condanna

del Ministero intimato al risarcimento del danno suindicato, consistente nell’omessa corresponsione del trattamento economico previsto per i dirigenti, oltre interessi e rivalutazione monetaria, nonché all’adeguamento della posizione previdenziale e dell’indennità di fine rapporto.


Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visti il controricorso e la documentazione del Ministero delle Finanze (ora: dell’Economia e delle Finanze);

Vista la memoria conclusiva del ricorrente;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 9, 11 e 35, comma 1, lett. b), del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.p.a.);

Nominato relatore nella udienza smaltimento del 18 dicembre 2017 il dott. Pietro De Berardinis;

Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue


FATTO

Con il ricorso in epigrafe l’ing. E C espone che, quale dipendente del Ministero delle Finanze con qualifica di ingegnere direttore coordinatore (IX^ q.f.), gli è stata affidata, nel corso degli anni, la direzione di alcuni uffici periferici del Ministero di appartenenza, ai sensi, dapprima, dell’art. 17 della l. n. 146/1980, e poi dell’art. 3, comma 129, della l. n. 662/1996.

In particolare, il deducente espone che, a seguito di decreto del direttore generale del Dipartimento del Territorio prot. n. P4/9828 del 19 maggio 1994, ha espletato, con formale incarico di reggenza, le funzioni di direttore dell’Ufficio Tecnico Erariale di Pordenone;
a seguito di decreto ministeriale prot. n. 4/10386 del 18 settembre 1998, ha poi svolto, sempre con incarico di reggenza, le funzioni di direttore dell’Ufficio del Territorio di Pordenone.

In data 17 aprile 2000, infine, l’esponente è stato dichiarato vincitore del concorso speciale per titoli e colloquio a n. 151 posti di dirigente, indetto con d.m. 19 gennaio 1993.

L’ing. C lamenta di aver svolto, a seguito delle indicate preposizioni con incarichi formali di reggenza, le funzioni dirigenziali dal 19 maggio 1994 fino al 17 aprile 2000, senza mai percepire il corrispondente trattamento economico, essendogli stati corrisposti i soli emolumenti relativi alla qualifica originariamente posseduta (la IX^), oltre che l’indennità di posizione (e di risultato, pur se in misura ridotta). Si duole, altresì, dei danni cagionatigli – in termini di mancato inquadramento – dall’eccessiva durata del concorso per il conferimento dei n. 151 posti vacanti da dirigente, poiché tali posti sarebbero stati disponibili già dal 1992 ed il concorso, bandito addirittura nel gennaio del 1993, si è concluso solo nell’aprile del 2000.

Tanto premesso, il deducente ha chiesto:

a) in via principale, l’accertamento del diritto alla corresponsione della retribuzione prevista per la qualifica di dirigente, trattandosi di reggenza qualificabile come “speciale”, perché conferita in base a specifiche disposizioni di legge;

b) in subordine, il riconoscimento e la corresponsione delle differenze retributive commisurate alla qualifica dirigenziale, a titolo di svolgimento di mansioni superiori, attesa la sussistenza dei relativi presupposti costituiti dalla vacanza del posto, dal conferimento formale delle mansioni, nonché dal carattere di esclusività dell’incarico;

c) in via ulteriormente subordinata, il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del ritardo nella conclusione del già citato concorso a n. 151 posti da dirigente, indetto con il d.m. 19 gennaio 1993, con interessi e rivalutazione monetaria, nonché con l’adeguamento della posizione previdenziale e dell’indennità di fine rapporto.

Si è costituito in giudizio il Ministero delle Finanze (ora dell’Economia e delle Finanze), versando in atti documentazione sui fatti di causa e resistendo alle domande attoree.

In vista dell’udienza pubblica il deducente ha depositato memoria conclusiva, prendendo atto degli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi in materia quanto al riparto della giurisdizione, nonché al merito della pretesa fatta valere, e palesando il proprio interesse ad insistere nella coltivazione del ricorso.

All’udienza “di smaltimento” del 18 dicembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

In via preliminare il Collegio deve osservare che non hanno ragion d’essere eventuali dubbi circa la competenza territoriale di questo Tribunale Amministrativo a conoscere della presente controversia, attesa la disciplina dettata in tema di foro del pubblico impiego dall’art. 3, secondo comma, della l. n. 1034/1971 (l. T.A.R.), in vigore all’epoca della proposizione del gravame (secondo la quale, per i ricorsi avverso atti relativi ai pubblici dipendenti in servizio, alla data di emissione dell’atto, presso uffici aventi sede nella circoscrizione del Tribunale Amministrativo Regionale, la competenza è del medesimo Tribunale): disciplina, peraltro, riproposta dall’art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 104/2010 (“codice del processo amministrativo”).

Infatti, è vero che il ricorrente ha espletato le mansioni per cui chiede le differenze retributive come dirigente di uffici ministeriali periferici siti in Pordenone, e che, pur avendo stipulato il 22 marzo 2000 un contratto con il Ministero delle Finanze per il conferimento dell’incarico di direttore della Divisione I della Direzione Compartimentale del Territorio per le Regioni Trentino A.A., Veneto e Friuli V.G. (doc. 3 della difesa erariale), è dalla sede di Pordenone che egli ha inoltrato, il 7 agosto 2000, l’istanza per il riconoscimento delle mansioni superiori (all. 5 al ricorso). È, poi, altrettanto vero che, ai sensi degli artt. 13, comma 4, e 15 c.p.a., per i Tribunali Amministrativi Regionali la competenza territoriale è inderogabile ed il difetto di competenza è rilevato in primo grado, anche d’ufficio, con ordinanza che indica il giudice competente.

Tuttavia, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con ordinanza 7 marzo 2011, n. 1, ha precisato che la nuova disciplina della competenza, compresi i modi di rilevabilità della relativa questione di cui all’art. 15 del codice del processo amministrativo, si applica solo ai processi instaurati sotto la vigenza del medesimo codice e cioè a decorrere dalla data della sua entrata in vigore (16 settembre 2010), dovendosi intendere per “instaurati” i ricorsi per i quali a tale data sia intervenuta la prima notifica alle controparti, con cui si realizza la “proposizione” del ricorso (cfr. Corte cost., 26 maggio 2005, n. 313).

Se ne desume che al ricorso in epigrafe, poiché instaurato prima del 16 settembre 2010, si applica la disciplina processuale anteriore – che prevedeva la rilevabilità ad opera della parte della questione di competenza territoriale, con regolamento di competenza (v. art. 31 della l. n. 1034/1971) – e che, perciò, per tale ricorso resta ferma la competenza territoriale di questo Tribunale, non essendovi in atti alcun rilievo di parte in ordine alla suddetta competenza territoriale.

Venendo ora alla questione oggetto di controversia, sottolinea il Collegio che il ricorso è infondato per le pretese attinenti al periodo che va dal 19 maggio 1994 al 30 giugno 1998 (per le quali sussiste la giurisdizione esclusiva di questo G.A.), mentre è viziato da difetto di giurisdizione per le pretese relative al periodo successivo, in ordine alle quali – come meglio si dirà infra – la cognizione spetta al G.O..

Invero, la tematica degli emolumenti per le funzioni dirigenziali svolte dai dipendenti del Ministero delle Finanze appartenenti alla IX^ qualifica funzionale, a seguito del conferimento di incarichi di reggenza di uffici dirigenziali periferici ai sensi dell’art. 17 della l. n. 146/1980 e dell’art. 3, comma 129, della l. n. 662/1996, è stata affrontata e risolta dalla giurisprudenza (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 2 ottobre 2017, n. 4570;
id., 15 settembre 2006, n. 5409, delle quali si riportano di seguito ampi stralci).

Giova premettere, al riguardo, il testo delle disposizioni normative invocate dall’ing. C a fondamento delle proprie pretese.

L’art. 17 della l. 24 aprile 1980, n. 146 recita:

“Durante l’assenza del titolare, dovuta a vacanza del posto o a qualsiasi altra causa, la direzione degli uffici delle amministrazioni periferiche del Ministero delle finanze, che per legge spetta ad un funzionario con qualifica di dirigente superiore, può essere affidata, a titolo di temporanea reggenza e con provvedimento del competente direttore generale, ad un funzionario della corrispondente carriera direttiva che rivesta la qualifica di primo dirigente” (primo comma).

“Nelle stesse ipotesi e con le stesse modalità di cui al precedente comma, la direzione degli uffici delle amministrazioni periferiche del Ministero delle finanze, che per legge spetta ad un funzionario con qualifica di primo dirigente, può essere affidata a titolo di reggenza temporanea ad un funzionario della corrispondente carriera direttiva che rivesta una qualifica non inferiore a direttore aggiunto di divisione o equiparata” (secondo comma).

Detta disposizione è stata abrogata dall’art. 3, comma 130, della l. n. 662/1996, il cui precedente comma 129 ha così stabilito:

“Durante l’assenza del titolare, dovuta a vacanza del posto o a qualsiasi altra causa, la direzione degli uffici centrali e periferici del Ministero delle finanze e degli uffici della Amministrazione dei monopoli di Stato può essere affidata, a titolo di temporanea reggenza, con il procedimento previsto dall’articolo 19, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29”.

Occorre, altresì, richiamare la disciplina generale sulla reggenza, contenuta nell’art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (recante “norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri”). Tale disposizione – che per il ricorrente avrebbe ad oggetto un istituto ben diverso dalla reggenza “speciale” ex artt. 17 della l. n. 146/1980 e 3, comma 129, della l. n. 662/1996 – così testualmente recita:

“Il personale appartenente alla nona qualifica funzionale, istituita dall’art. 2 del D.L. 28 gennaio 1986, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1986, n. 78, espleta le seguenti funzioni:

a) sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento;

b) reggenza dell’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare;

c) collaborazione diretta alla attività di direzione espletata dal dirigente;

d) direzione di uffici, istituti o servizi di particolare rilevanza o di stabilimenti di notevole complessità non riservati a qualifiche dirigenziali;

e) prestazioni per elaborazione, studio e ricerca altamente qualificata, richiedenti capacità professionali di livello universitario nei campi amministrativo, tecnico o scientifico, convalidate da documentate esperienze nel settore, ed ove necessario, da abilitazione all'esercizio della professione, ovvero da specializzazione post-universitaria;

f) attività ispettive di particolare importanza, anche sulla gestione di progetti-obiettivo e di attività programmate, in funzione del conseguimento dei risultati e verifica degli stessi”.

Orbene, vi sono indubbiamente differenze tra la reggenza “speciale” ex artt. 17 della l. n. 146/1980 e 3, comma 129, della l. n. 662/1996, e quella ex art. 20 del d.P.R. n. 266/1987, poiché – in disparte la diversità della fonte quanto a natura e grado (da un lato la legge ordinaria, dall’altro un accordo economico collettivo recepito con un decreto avente efficacia di regolamento) – solo la reggenza “speciale” presuppone un provvedimento espresso di conferimento, cosicché essa non è assimilabile allo svolgimento in via ordinaria della reggenza dell’ufficio, nell’ipotesi della vacanza del posto di dirigente (C.d.S., Sez. IV, n. 4570/2017, cit.).

Tuttavia, si è da tempo precisato che l’art. 17 della l. n. 146/1980 e l’art. 3 della l. n. 662/1996 non disciplinano in modo speciale, rispetto alla previsione generale del pubblico impiego, un’ipotesi di riconoscimento, dal punto di vista economico, dello svolgimento di mansioni superiori, limitandosi a prevedere la possibilità di affidare la temporanea reggenza di uffici finanziari periferici, per cui il posto di dirigente sia vacante, a funzionari dell’ex carriera direttiva, della IX^ qualifica funzionale, in conformità alla declaratoria di mansioni prevista per tale livello retributivo. Si tratta, in ambedue i casi, di una disposizione con mera valenza organizzatoria, volta a consentire l’adeguato e continuo funzionamento degli uffici ivi considerati, non essendovi elementi dai quali possa dedursi che detta normativa riguardi anche la posizione del dipendente (C.d.S., Sez. IV, n. 5409/2006, cit.).

Invero, in assenza di una disciplina specifica circa gli effetti economici del conferimento degli ora visti incarichi di reggenza, la loro peculiarità è un argomento giuridico “neutro”, nel senso che tale argomento non consente di affermare che detti incarichi comportino ex se il riconoscimento di un trattamento retributivo superiore, corrispondente alla qualifica dirigenziale (così C.d.S., Sez. IV, n. 4570/2017, cit.).

Per la verità, una disciplina speciale sugli effetti economici dell’affidamento a titolo di reggenza di uffici dirigenziali è stata introdotta dall’art. 12, comma 3, del d.l. n. 74/1997, convertito con l. n. 140/1997, in attuazione del quale è stato emanato il decreto ministeriale n. 2592/IX del 2 febbraio 1998. L’art. 1, commi 1 e 2, di tale decreto prevede, infatti che al personale appartenente ai ruoli ad esaurimento ed alla IX^ e VIII^ qualifica funzionale, cui è stata conferita la reggenza di un ufficio dirigenziale non generale, venga corrisposta per la durata dell’incarico una retribuzione di posizione nella stessa misura stabilita per il personale delle qualifiche dirigenziali con decreto ministeriale del 24 novembre 1997, in relazione all’articolazione dei livelli di posizione determinata con decreto ministeriale del 21 novembre 1997. Detta retribuzione di posizione decorre dalla data di formale conferimento dell’incarico e comunque non prima del 1° luglio 1997.

Tuttavia, da un lato lo stesso ing. C ammette, a pag. 4 del ricorso, di percepire l’indennità di posizione. In secondo luogo, detta indennità fuoriesce dal petitum del ricorso. Ancora, si tratta di un beneficio economico che la normativa suvvista prevede – come detto – a decorrere dal 1° luglio 1997, cosicché in ogni caso la stessa non risulta dovuta per i periodi anteriori a tale data. Da ultimo, la giurisprudenza ha posto l’accento sul carattere aggiuntivo e specifico dell’emolumento di cui al d.m. del 2 febbraio 1998, rispetto al trattamento retributivo corrispondente alla qualifica rivestita, in quanto l’attribuzione di un emolumento con tali caratteristiche – sia pure a far tempo dal 1° luglio 1997 – esclude l’eventualità che per lo stesso titolo giuridico (e cioè lo svolgimento delle mansioni dirigenziali in relazione a uno specifico incarico di reggenza) sia possibile riconoscere il diritto alle differenze retributive rivendicate (C.d.S., Sez. IV, n. 4570/2017, cit.).

Pertanto, l’incarico di reggenza svolto ai sensi delle ridette disposizioni (art. 17 della l. n. 146/1980 e art. 3 della l. n. 662/1996) non comporta il diritto né alla retribuzione per l’incardinamento in un ufficio dirigenziale, né al compenso per lo svolgimento di mansioni superiori di livello dirigenziale, ma può servire soltanto come titolo da far valere in sede di procedure concorsuali (C.d.S., Sez. IV, n. 5409/2006, cit.). Né giova la qualificazione della reggenza come “speciale”, anziché ordinaria, in quanto, in assenza di una specifica volizione del Legislatore circa gli effetti (soprattutto retributivi) da riconnettere alla “specialità” dell’incarico, detta qualificazione risulta irrilevante (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 16 giugno 2008, n. 5840).

Con specifico riferimento al profilo delle differenze retributive per le mansioni superiori – che come già detto costituisce pretesa avanzata in subordine dal ricorrente –, si osserva preliminarmente che trattasi di istituto diverso rispetto alla reggenza. Quest’ultima, infatti, costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito ed è consentita, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo quando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per la relativa procedura, mentre al di fuori di tale ipotesi la reggenza va configurata in termini di svolgimento di mansioni superiori (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, n. 5840/2008, cit.).

Ciò premesso, la giurisprudenza consolidata ha escluso la possibilità per il dipendente pubblico di ottenere il riconoscimento delle differenze retributive per l’espletamento di mansioni superiori nel periodo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 (e cioè in epoca anteriore al 22 novembre 1998).

Si rammenta, sul punto, che l’art. 57 del d.lgs. n. 29/1993 (rubricato “Attribuzione temporanea di mansioni superiori”), nel testo novellato dall’art. 1 del d.l. n. 254/1996, conv. con l. n. 395/1996, al comma 6 aveva differito il riconoscimento della retribuibilità delle mansioni superiori nel pubblico impiego alla data di emanazione, in ciascuna P.A., dei provvedimenti di ridefinizione degli uffici e delle piante organiche e, comunque, dal 31 dicembre 1996 in poi.

Successivamente, il d.lgs. n. 80/1998 ha abrogato (con l’art. 43) l’art. 57 cit. ed ha introdotto (con l’art. 25) un nuovo testo dell’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 (rubricato “Disciplina delle mansioni”). Per quanto qui interessa, il comma 6 dell’art. 56 cit. recitava:

“Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4 (cioè l’adibizione a mansioni superiori ed i relativi effetti). Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore”.

Orbene, l’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 ha espunto l’inciso “differenze retributive o” dall’ora visto testo dell’art. 56, comma 6, cit., con disposizione ritenuta innovativa dalla costante giurisprudenza amministrativa (cfr., ex multis, C.d.S., A.P., 24 marzo 2006, n. 3;
id., A.P., 23 febbraio 2000, n. 11), come ribadito ancora di recente (C.d.S., Sez. VI, 17 marzo 2016, n. 1093).

Né tale soluzione, che per il pubblico impiego esclude la retribuibilità delle mansioni superiori per il periodo precedente l’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. n. 387 cit., appare incostituzionale, non essendo, sotto l’aspetto dello svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente, il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato.

Infatti, nel rapporto di pubblico impiego concorrono con l’art. 36 Cost. (il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato) altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall’art. 98 Cost. (il quale, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, fa divieto che la valutazione del rapporto di pubblico impiego venga ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall’art. 97 Cost., contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con i principi di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari (C.d.S., Sez. VI, n. 1093/2016, cit.;
id., Sez. IV, n. 5409/2006, cit.).

La pregressa disciplina non può, invero, ritenersi incostituzionale, poiché essa mirava, in assenza di un compiuto quadro di regolamentazione del diritto dei dipendenti pubblici al riconoscimento delle differenze retributive e in vista del contemperamento dei princìpi costituzionali ricavabili dagli artt. 51, 97 e 98 Cost., ad evitare che le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico potessero, nel pubblico impiego, formare oggetto di libere determinazioni da parte dei funzionari (cfr., ex multis, C.d.S., A.P., n. 11/2000, cit.;
id., Sez. VI, 8 gennaio 2003, n. 17).

Nemmeno può invocarsi, a sostegno della pretesa alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori, l’art. 2126 c.c., in quanto detta norma afferma il principio della retribuibilità del lavoro prestato in base ad un contratto o ad un atto nullo o annullato (C.d.S., Sez. IV, n. 5409/2006 cit.;
id., Sez. V, 5 aprile 2005, n. 1534).

Da tutto quanto finora detto consegue, pertanto, l’impossibilità di riconoscere all’ing. C il diritto alle differenze retributive per le mansioni svolte, per essere il relativo divieto caduto solo a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, quindi a far tempo dal 22 novembre 1998, mentre le pretese economiche attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998 esulano dalla giurisdizione del G.A. e rientrano in quella del G.O., ai sensi dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80/1998 (C.d.S., Sez. IV, n. 4570/2017, cit.).

Invero, se l’esercizio delle mansioni superiori copre un arco di tempo a cavallo del 30 giugno 1998, la giurisdizione va ripartita tra il G.A. in sede di giurisdizione esclusiva ed il G.O. in relazione, rispettivamente, alle due suddette fasi temporali, tenuto conto del fatto che il rapporto di lavoro, pur nella sua unicità, si articola in distinti segmenti temporali, corrispondenti alla cadenza periodica in cui rileva lo svolgimento della prestazione lavorativa: il fatto costitutivo del diritto alla retribuzione deve, perciò, individuarsi nello svolgimento della prestazione lavorativa durante l’unità di tempo assunta a base di tale periodicità, con il conseguente rifluire di ogni questione attinente all’importo della retribuzione in una questione attinente alla fase del rapporto di lavoro in cui si colloca la cadenza periodica di riferimento (v. Cass. civ., SS.UU., 27 gennaio 2005, n. 1624;
T.A.R. Toscana, Sez. II, 16 dicembre 2009, n. 3756).

In altre parole, nel caso di svolgimento di compiti propri di una qualifica più alta e di azione per il riconoscimento delle relative differenze retributive, ai fini del discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa, in relazione all’avvenuto trasferimento al primo giudice delle questioni attinenti al periodo del rapporto successivo al 30 giugno 1998, rileva esclusivamente il periodo di maturazione delle relative spettanze economiche, e non l’emanazione o meno, da parte della P.A., di un atto. Orbene, nello svolgimento di mansioni superiori, tale fattispecie si realizza giorno per giorno, con conseguente sorgere del relativo credito retributivo, sicché il mancato pagamento delle differenze retributive alla scadenza dei singoli periodi in relazione ai quali esso è dovuto, costituisce integrale inadempimento della P.A. datrice di lavoro. Ne discende la necessità, per casi come quello in esame, in cui le pretese retributive investono un periodo in parte anteriore ed in parte posteriore alla data del 30 giugno 1998, del frazionamento della domanda tra G.A. e G.O. in relazione alle due suddette fasi temporali (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2009, n. 24755;
T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 3756/2009, cit.).

Da ultimo, è infondata e da respingere altresì la domanda di risarcimento del danno correlata alla durata eccessiva del concorso per posti dirigenziali a cui ha partecipato il ricorrente, risultando tra i vincitori.

Nel caso di specie, infatti, non vi è alcuna certezza che, ove la procedura concorsuale avesse avuto un iter diverso – e, nella prospettazione del ricorrente, più breve – quest’ultimo ne sarebbe risultato vincitore. Nella fattispecie all’esame, dunque, ad avviso del Collegio non è configurabile un danno risarcibile in capo all’ing. C, né il medesimo ha agito per il risarcimento della cd. perdita di chances.

In definitiva, perciò, il ricorso è infondato e da respingere con riferimento alle pretese economiche formulate dal ricorrente per il periodo dal 19 maggio 1994 al 30 giugno 1998, mentre va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione di questo G.A. relativamente alle pretese economiche del ricorrente attinenti al periodo successivo al 30 giugno 1998 (e che si estendono fino alla data del 17 aprile 2000).

Per il periodo posteriore al 30 giugno 1998, in base all’art. 11 c.p.a. va indicato il giudice ordinario quale giudice nazionale munito di giurisdizione sulle relative pretese, davanti al quale il processo potrà essere (per questa parte) riproposto nel termine perentorio fissato dal comma 2 del citato art. 11, con salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda, ferme restando le preclusioni e le decadenze già intervenute.

Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese tra le parti, tenuto conto sia dei contrasti circa l’interpretazione dell’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 quale norma innovativa o, come ritiene la giurisprudenza lavoristica, quale norma interpretativa, sia dei contrasti interni alla stessa giurisprudenza di legittimità circa il frazionamento delle controversie riguardanti pretese poste a cavallo del termine del 30 giugno 1998.

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