TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-06-24, n. 201020910

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-06-24, n. 201020910
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201020910
Data del deposito : 24 giugno 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08546/2009 REG.RIC.

N. 20910/2010 REG.SEN.

N. 08546/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 8546 del 2009, proposto da:
SMI - SIERRA MANAGEMENT ITALY S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. L M, dall’Avv. G G, dall’Avv. M S, dall’Avv. M M e dall’Avv. C S, con domicilio eletto presso lo Studio dell’Avv. L M sito in Roma, via F. Confalonieri, 5;

contro

- l’AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso il cui Ufficio sito in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è domiciliata;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

- della delibera dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato n. 19984, adottata nell’adunanza del 18 giugno 2009 a conclusione del procedimento PS/2806, con la quale è stata ritenuta scorretta, ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lettere a) e b), e 22 del Codice del Consumo, la pratica commerciale posta in essere dalla ricorrente, ne è stata vietata l’ulteriore diffusione ed è stata irrogata alla ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 65.000;

- della comunicazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 19 dicembre 2008 avente ad oggetto la richiesta di informazioni alla società ricorrente;

- della comunicazione del 25 febbraio 2009 di avvio del procedimento;

- del provvedimento dell’11 maggio 2009 di conclusione della fase istruttoria;

- di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale;


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 12 maggio 2010 il Consigliere Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Premette in fatto la società odierna ricorrente – specializzata nella gestione di centri commerciali - che con nota del 25 febbraio 2009 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha comunicato l’avvio del procedimento, con contestuale richiesta di informazioni, in relazione alla segnalazione presentata da un consumatore relativa alla presunta scorrettezza di un messaggio diffuso tramite cartellone pubblicitario riguardante il Centro Commerciale ‘Gli Orsi’ sito in Biella.

In esito al procedimento, nel corso del quale la società ricorrente ha svolto le proprie difese mediante presentazione di memorie e tramite audizione, è stata adottata la gravata determinazione con la quale l’Autorità ha ritenuto scorretta, ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lett. a) e b), e 22, del Codice di Consumo, la pratica commerciale oggetto di contestazione, vietandone l’ulteriore continuazione e comminando una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 65.000.

Avverso tale delibera deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

1 - Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 16 del Regolamento approvato con delibera AGCM n. 17589/2007. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti e sviamento.

Nel premettere l’assenza di profili di ingannevolezza nel messaggio promozionale oggetto di sanzione essendo comunque garantita al consumatore un’ampia e variegata facoltà di scelta, nonché l’errata applicazione della disciplina dettata in materia, soprattutto con riferimento al parametro del consumatore medio, e la mancata valutazione delle risultanze istruttorie, lamenta parte ricorrente, sotto un primo profilo, l’illegittimità della gravata delibera in quanto notificata oltre il termine di 120 giorni decorrenti dalla data di comunicazione dell’avvio del procedimento, nel ritenuto presupposto della natura recettizia di tale atto che ne impone la comunicazione entro il termine perentorio stabilito dal relativo Regolamento.

2 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 16 del Regolamento approvato con delibera AGCM n. 17589/2007.

Nel precisare che il messaggio pubblicitario sanzionato è stato diffuso anche a mezzo stampa, tramite radio e sul sito internet, denuncia parte ricorrente l’omessa acquisizione del parere obbligatorio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

3 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche: travisamento dei fatti in relazione all’individuazione del consumatore mediamente informato, attento e avveduto destinatario della pubblicità censurata.

Denuncia parte ricorrente che l’Autorità non avrebbe preso a riferimento la nozione di consumatore medio come dettata dalla Direttiva 2005/29/CE, in base alla quale il consumatore è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, ma, nell’avere riguardo ad un consumatore privo di esperienza non abituato a comunicazioni pubblicitarie quale quella sanzionata, avrebbe integrato una violazione della disciplina comunitaria e dello stesso Codice del Consumo, da interpretarsi alla luce di tale disciplina cui viene data con esso attuazione nell’ordinamento giuridico italiano.

Afferma inoltre, in proposito, parte ricorrente, il travisamento da parte dell’Autorità delle risultanze dell’istruttoria e, in particolare, delle deduzioni difensive presentate nel corso del procedimento relativamente alla non esistenza in zona di centri commerciali paragonabili a quello cui si riferisce il messaggio pubblicitario, sulla cui base non può affermarsi, contrariamente a quanto ritenuto dall’Autorità, che i consumatori non siano abituali destinatari di messaggi pubblicitari di centri commerciali, stante, peraltro, la presenza di numerosi centri commerciali in zona, come emergente dalle risultanze dell’istruttoria che, quini, non sarebbero state adeguatamente considerate dall’Autorità, così trascurando di parametrare la propria valutazione all’effettivo ambiente ed al livello medio di informazione e conoscenza.

4 – In via subordinata: violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21, 22 e 27 del Codice del Consumo ed eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche in relazione alla valutazione sull’idoneità del messaggio ad incidere sul comportamento anche di un consumatore di medio-bassa avvedutezza. Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica.

Sostiene parte ricorrente che, anche a voler fare riferimento ad una figura di consumatore di livello medio-basso, non potrebbe comunque ravvisarsi alcun profilo di scorrettezza nella pratica commerciale sanzionata, posto che l’aspettativa creata con il messaggio pubblicitario di trovare un centro commerciale con un’ampia e variegata offerta trovava effettiva rispondenza nelle caratteristiche che il centro commerciale offriva al momento della sua inaugurazione.

Inoltre, provenendo la segnalazione da un solo consumatore, mancherebbe il presupposto di cui all’art. 27 del Codice del Consumo costituito dalla segnalazione di più consumatori interessati.

In subordine, l’Autorità avrebbe dovuto verificare che la segnalazione provenisse effettivamente da un consumatore e non da un concorrente della società ricorrente.

5 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, contraddittorietà di motivazione in merito alla valutazione dell’Autorità della prassi di settore.

Lamenta parte ricorrente l’illegittimità della gravata determinazione per non avere l’Autorità tenuto in debita considerazione la prassi nazionale ed internazionale in materia di comunicazione pubblicitaria di centri commerciali - cui il consumatore è abituato – in base alla quale viene indicata la capacità complessiva di spazi a pieno regime, con indicazione della superficie e delle unità commerciali anche se non tutte operativo alla data di inaugurazione, come peraltro sarebbe stato dimostrato dalla ricorrente nel corso della svolta istruttoria, richiamando inoltre, a sostegno dell’assunto, la legge della Regione Piemonte sull’autorizzazione all’apertura di centri commerciali anche in mancanza di attivazione di tutti i punti vendita.

6 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche in relazione alla determinazione della scorrettezza delle pratiche per contrarietà al canone della diligenza professionale.

Sostiene parte ricorrente che l’Autorità avrebbe errato nel ritenere scorretta una pratica commerciale che è invece conforme al normale grado della specifica competenza degli altri operatori del settore, segnalando la non consapevolezza circa il grado di completamento degli spazi disponibili, essendo stato il relativo prolungamento dei tempi determinato dalla fase recessiva dell’economia.

7 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo ed eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche: difetto di motivazione ed illogicità manifesta in relazione alla dichiarata idoneità della pratica commerciale a deludere le aspettative del consumatore.

Denuncia parte ricorrente come la ritenuta ingannevolezza del messaggio pubblicitario non trovi adeguato fondamento nelle risultanze istruttore, posto che alla data di inaugurazione del centro commerciale erano presenti 66 esercizi commerciali, con attivazione del 64% della superficie di vendita, così integrando un’offerta completa, ricca e diversificata che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Autorità, non poteva deludere l’aspettativa creata nel consumatore con il messaggio pubblicitario.

8 - Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo ed eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche in merito alla idoneità della condotta ad alterare in misura apprezzabile la capacità di decisione del consumatore.

Afferma parte ricorrente la non idoneità del messaggio pubblicitario contestato ad indurre il consumatore medio ad una decisione di natura commerciale, essendo l’accesso al centro commerciale gratuito ed essendo l’interesse dei consumatori con esso sollecitato quello di visitare una nuova importante realizzazione urbanistica.

Inoltre, la presenza di 58 esercizi commerciali, di cui 4 megastores e l’Ipercoop, oltre ad 8 ristoranti, sarebbe idonea a soddisfare la possibilità di scelta del consumatore, non potendosi quindi ritenere che la mancanza dei 120 esercizi commerciali indicati nel messaggio pubblicitario potesse falsarne in misura rilevante il relativo comportamento, non potendo l’aspettativa sorta per effetto del messaggio risultare delusa.

9 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 22 del Codice del Consumo. Le restrizioni imposte dal mezzo di comunicazione utilizzato da SMI.

L’autorità, secondo parte ricorrente, non avrebbe tenuto conto delle restrizioni imposte dal mezzo di comunicazione utilizzato, che non consentiva di rendere informazioni aggiuntive le quali, peraltro, non avrebbero potuto descrivere più chiaramente le caratteristiche del centro, non costituendo l’effettivo numero di esercizi commerciali informazione necessaria al fine di orientare la scelta dei consumatori, con riferimento alla quale rileva solo l’ampiezza e la varietà dell’offerta.

10 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del Codice del Consumo nonché dell’art. 11 della legge 24 novembre 1981 n. 689. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche in relazione alla valutazione della gravità della pratica censurata e della personalità dell’agente.

Contesta parte ricorrente il rilievo attribuito dall’Autorità, ai fini della quantificazione della sanzione, all’importanza dell’operatore commerciale come desunta dal gruppo internazionale di cui la ricorrente è parte, così omettendo di considerare la sua natura di operatore autonomo che peraltro ha conseguito, nell’ultimo esercizio riferito al 2008, un risultato economico negativo.

Avuto riguardo al profilo della diligenza professionale, afferma parte ricorrente di non poter essere in grado di conoscere quando sarebbe stata raggiunta la piena operatività del centro commerciale, denunciando altresì la contraddittorietà nel ritenere la gravità di una condotta protrattasi per poco più di un mese diffusa solo a livello locale.

11 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge 24 novembre 1981 n. 689 in relazione alle attività poste in essere da SMI successivamente alla notifica del Provvedimento.

Afferma parte ricorrente di aver posto in essere, successivamente alla notifica del gravato provvedimento, modifiche al cartellone pubblicitario censurato, lamentando l’illegittimità della omessa considerazione della tempestività e diligenza nell’adeguarsi ai rilievi mossi dall’Autorità.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione depositando pertinente documentazione e sostenendo con successiva memoria, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.

Alla Pubblica Udienza del 12 maggio 2010, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso la deliberazione – meglio descritta in epigrafe nei suoi estremi - con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic hinde Autorità), in esito alla compiuta istruttoria, apprezzata la scorrettezza e la contrarietà al Codice del Consumo della pratica commerciale posta in essere dalla società ricorrente ed oggetto di segnalazione, ne ha inibito la continuazione ed ha comminato la sanzione amministrativa pecuniaria di 65.000 euro, previa riduzione – in ragione della situazione economica della società ricorrente - della somma inizialmente fissata in euro 75.000.

L’impianto ricorsuale, come delineato dalle doglianze proposte, è volto, da un lato, a censurare profili prettamente procedimentali asseritamente invalidanti il provvedimento finale e, dall’altro, a confutare le valutazioni espresse dall’Autorità mediante allegazione di una diversa prospettazione degli elementi di rilievo, sulla cui base parte ricorrente nega la sussistenza di profili di scorrettezza, per l’effetto denunciando l’illegittimità della gravata decisione in quanto affetta da numerosi vizi, variamente articolati ed argomentati in relazione alle singole valutazioni espresse dall’Autorità.

Prima di procedere alla disamina delle censure ricorsuali proposte, giova premettere una breve illustrazione della condotta sanzionata con il gravato provvedimento, al fine di meglio delineare i contorni della vicenda in esame e più compiutamente definire la portata delle doglianze che alla stessa afferiscono.

In tale direzione, va precisato che il gravato provvedimento ha ritenuto scorretta la pratica relativa alla diffusione da parte della società ricorrente, operante nel settore di attività della compravendita e gestione di immobili e di centri commerciali, di un messaggio tramite cartellone pubblicitario riguardante il ‘Centro Commerciale Gli Orsi’ sito in Biella, ove sono riportate le scritte: “dal 30 ottobre”;
“Ipercoop + Euronics + Sasch + Upim + Longoni” “120 negozi + 19 ristoranti + 3500 posti auto gratuiti”.

La ritenuta scorrettezza della pratica commerciale, realizzata con il sopra descritto messaggio pubblicitario, poggia sulla sua rilevata idoneità ad orientare indebitamente le scelte dei consumatori in quanto – essendo gli esercizi commerciali operativi nel centro commerciale, alla data di inaugurazione del centro, solo 66, di cui 57 punti vendita, un ipermercato e 8 unità commerciali adibite al ristoro – suscettibile di indurre in errore circa la caratteristica fondamentale del centro commerciale, inerente la quantità e la tipologia dell’offerta ivi presente, in ragione dell’omissione di informazioni rilevanti per definire e limitare il contenuto dell’offerta reclamizzata, la cui consistenza è riferibile solo all’operatività a pieno regime del centro.

Tanto brevemente precisato in ordine alla fattispecie in esame, il Collegio, nella gradata elaborazione logica delle questioni sollevate in ordine alla controversia in esame, è tenuto innanzitutto ad affrontare la questione inerente la dedotta illegittimità della gravata delibera sotto il profilo della violazione degli artt. 7 e 16 del Regolamento, approvato con delibera dell’Autorità n. 17589/2007, in quanto notificata oltre il termine di 120 giorni decorrenti dalla data di comunicazione dell’avvio del procedimento, intervenuta in data 25 febbraio 2009.

Presupposto teorico ed argomentativo della proposta censura è l’asserita natura recettizia dei provvedimenti sanzionatori adottati dall’Autorità, dovendo conseguentemente la relativa comunicazione intervenire entro il termine perentorio stabilito dal relativo Regolamento stante la natura costitutiva di tale comunicazione.

La censura non ha pregio, erronea essendo la qualificazione di tali provvedimenti quali atti aventi natura recettizia.

La norma regolamentare di cui al richiamato art. 7 dispone che “il termine per la conclusione del procedimento è di centoventi giorni, decorrenti dalla data di protocollo della comunicazione di avvio”.

Tale norma va interpretata nel senso che nel termine indicato deve intervenire l’adozione del provvedimento conclusivo, e non già la relativa comunicazione, la quale attiene alla successiva fase integrativa dell’efficacia del provvedimento, e non già alla fase del suo perfezionamento, e ciò in coerente applicazione del tradizionale schema provvedimentale basato sulla distinzione tra la fase inerente la perfezione dell’atto e quella integrativa della sua efficacia, recepita nel corpus normativo generale sul procedimento di cui alla legge n. 241 del 1990, come modificata dalla legge n. 15 del 2005, agli artt. 21 bis e 21 quater, il primo dei quali stabilisce che i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati acquistano efficacia nei confronti del destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata, così espressamente riconducendo alla comunicazione dei provvedimenti sanzionatori la sola loro efficacia nei confronti dei destinatari, ovvero la loro idoneità a produrre effetti, con tutte le conseguenze connesse alla eventuale omissione di tale adempimento.

Efficacia che va tenuta, quindi, distinta dalla fase di perfezionamento del provvedimento, che interviene con la sua adozione, la quale sola rileva ai fini del rispetto del termine finale del procedimento.

Discende, da quanto sopra illustrato, che il termine di centoventi giorni, previsto per la definizione del procedimento innanzi all’Autorità, deve ritenersi rispettato con la mera adozione del provvedimento finale, non essendo necessario che entro tale termine intervenga anche la comunicazione o notificazione dello stesso, afferendo tali adempimenti al profilo dell'efficacia e non a quello del perfezionamento dell’atto.

A rafforzare tale conclusione, con riferimento ai provvedimenti sanzionatori, interviene la disposizione di cui al richiamato art. 21 bis della legge n. 241 del 1990, la quale prevede che solo i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati non aventi carattere sanzionatorio possono contenere una clausola di immediata efficacia, con la conseguenza che, operata la distinzione anche per i provvedimenti sanzionatori tra perfezionamento dell’atto e fase integrativa dell’efficacia – da attuarsi con la relativa comunicazione – per tale tipologia di atti viene espressamente esclusa la possibilità di esecuzione prima della loro comunicazione.

Applicando tali coordinate di giudizio alla fattispecie in esame deve, dunque, ritenersi che, essendo stata la gravata delibera adottata nell’adunanza del 18 giugno 2008 ed essendo la comunicazione di avvio del procedimento intervenuta in data 25 febbraio 2009, risulta che il termine di conclusione del procedimento – scadente in data 25 giugno 2009 – sia stato pienamente rispettato.

Con riguardo al procedimento confluito nella adozione della gravata delibera, parte ricorrente articola un ulteriore motivo di censura, sotto i profili della violazione del Regolamento e del difetto di istruttoria, per non avere l’Autorità richiesto il prescritto parere obbligatorio dell’Autorità Garante per le Comunicazioni, necessario a fronte dell’intervenuta diffusione del messaggio sanzionato anche a mezzo stampa, via radio e tramite internet.

La censura non merita favorevole esame alla luce dell’oggetto del procedimento e della portata da attribuirsi al disposto di cui all’art. 27, comma 6, del Codice del Consumo, approvato con D.Lgs. n. 206 del 2005.

Avuto riguardo al primo profilo, deve infatti rilevarsi che la pratica commerciale ritenuta scorretta, come chiaramente evincibile dal tenore del gravato provvedimento, è quella integrata con la diffusione del messaggio contenuto nel cartellone pubblicitario – sopra descritto nei suoi contenuti essenziali – che costituisce l’oggetto del procedimento e cui si riferisce l’irrogata sanzione, con la conseguenza che deve ritenersi esclusa la necessità della richiesta del parere obbligatorio dell’AGCOM.

Né, a diversamente ritenere, può assumere rilievo la circostanza che messaggi di identico o analogo contenuto siano stati diffusi a mezzo stampa, via radio ed internet, non avendo formato tali pratiche oggetto di specifico accertamento da parte dell’Autorità e che risultano richiamate nel gravato provvedimento a mero titolo descrittivo della complessiva pratica commerciale posta in essere, mentre lo svolto accertamento e la determinazione della sanzione si riferiscono alla sola diffusione del messaggio tramite cartelloni pubblicitari e mezzi affissionali, cui esclusivamente si riferiscono i riscontrati profili di scorrettezza.

Aggiungasi, sotto il profilo sistematico, che ai sensi del citato art. 27, comma 6, del Codice del Consumo, il quale dispone che “Quando la pratica commerciale è stata o deve essere diffusa attraverso la stampa periodica o quotidiana ovvero per via radiofonica o televisiva o altro mezzo di telecomunicazione, l'Autorità, prima di provvedere, richiede il parere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”, va inteso nel senso che il parere dell’AGCOM deve essere richiesto solo nelle ipotesi in cui la pratica commerciale sia necessariamente e non occasionalmente collegata all’uso di mezzi di comunicazione di massa costituente l’oggetto principale del procedimento sanzionatorio, il che non è avvenuto, come dianzi precisato, nella fattispecie in esame, con riferimento alla quale la pratica sanzionata non è quella che ha raggiunto i consumatori tramite stampa quotidiana o periodica o via radio ed internet.

Al fine di completare la disamina delle questioni inerenti aspetti procedimentali, sollevate con il ricorso in esame, va affrontata – disattendendo l’ordine sotteso alla relativa proposizione - la censura volta a denunciare la mancanza del presupposto per l’avvio del procedimento asseritamente individuato, dall’art. 27 del Codice del Consumo, nell’istanza ‘dei consumatori interessati’, laddove, nella fattispecie, la segnalazione proviene da un solo consumatore il quale, secondo gli assunti ricorsuali, avrebbe anche potuto agire per scopi concorrenziali, sui quali, peraltro, l’Autorità avrebbe omesso qualsiasi accertamento.

La censura va disattesa in quanto basata su di una errata individuazione dei presupposti per l’avvio dei procedimenti di accertamento da parte dell’Autorità, fondata su di una forzata lettura della norma con omessa considerazione della valenza da attribuirsi alla procedibilità d’ufficio degli accertamenti in questione.

Posto che l’art. 27, comma 2, del Codice del Consumo prevede che l’Autorità “d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e ne elimina gli effetti”, la tesi di parte ricorrente - volta ad identificare il presupposto per l’avvio del procedimento nella segnalazione proveniente da più di un consumatore - trova espressa smentita nella stessa norma invocata a suo sostegno, laddove fa riferimento ad ‘ogni soggetto’.

Inoltre, potendo l’Autorità agire d’ufficio, è del tutto irrilevante il numero di consumatori dai quali prevengono le eventuali segnalazioni, così come nessun rilievo può attribuirsi alla relativa legittimazione dei segnalanti, il cui ruolo si arresta alla mera azione di stimolo all’esercizio dei propri poteri da parte dell’Autorità, la quale è tenuta a valutare autonomamente la sussistenza di possibili profili di violazione del Codice del Consumo al fine della adozione dei conseguenti provvedimenti.

Esaurita la disamina delle questioni riconducibili a profili procedimentali, dalla parte ricorrente sollevate al fine di sostenere l’illegittimità del provvedimento finale oggetto di gravame, e procedendo all’esame delle censure più strettamente inerenti il contenuto dello stesso, viene in rilievo la dedotta erroneità dei presupposti su cui si fonda la gravata delibera avuto riguardo al parametro di riferimento del consumatore medio, sulla cui base è stata riscontrata l’idoneità della pratica sanzionata ad orientare indebitamente le scelte dei consumatori inducendoli in errore circa le caratteristiche fondamentali dell’offerta.

Sostiene in proposito parte ricorrente che l’Autorità, nell’aver preso a riferimento un modello di consumatore disinformato ed ignaro delle comuni pratiche commerciali in uso, sarebbe incorsa in una erronea applicazione della disciplina comunitaria recepita nel Codice del Consumo, che identifica il consumatore medio in un soggetto mediamente avveduto ed attento, omettendo altresì di compiutamente considerare le risultanze istruttorie ed il contesto informativo complessivo in cui si colloca la pratica commerciale sanzionata.

Le argomentazioni spese da parte ricorrente a sostegno della ritenuta erroneità del parametro di riferimento del consumatore medio adottato dall’Autorità non possono essere condivise.

La figura del consumatore medio preso a riferimento dall’Autorità è delineata, nel gravato provvedimento, quale soggetto “non certamente avvezzo a tale tipologia di comunicazione pubblicitaria” alla luce degli elementi fattuali che contestualizzano l’impatto informativo delle comunicazioni di altri operatori del settore e sulla base della considerazione che le prassi degli altri operatori non potrebbero condizionare l’impatto dei messaggi sui destinatari degli stessi, tenuto anche conto che non esistono, come affermato dal professionista, strutture commerciali paragonabili riferite al bacino di utenza del centro reclamizzato.

Contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, il Collegio non ritiene che l’individuazione del consumatore medio, effettuata dall’Autorità, si ponga in contrasto con il modello comunitario – che imporrebbe, secondo gli assunti ricorsuali, un modello di consumatore di livello di attenzione ed informazione più alto – posto che deve rifuggirsi dal ricorso ad un modello astratto di consumatore medio risultante da definizioni generali o basato su dati statistici, dovendo invece tale individuazione essere effettuata caso per caso sulla base della valutazione dei concreti fattori emergenti dal complessivo contesto di riferimento, necessariamente mutevole a seconda della natura dell’offerta e dei destinatari della stessa.

Se, dunque, occorre procedere a declinare la figura del consumatore medio in relazione alla singola fattispecie al fine di individuare profili di scorrettezza di una determinata pratica commerciale, ritiene il Collegio che correttamente l’Autorità ha ritenuto di identificare tale consumatore medio in un soggetto non avvezzo alla tipologia di comunicazione pubblicitaria sanzionata, condivisibile essendo il rilievo attribuito alla mancanza di strutture commerciali paragonabili a quella pubblicizzata per il medesimo bacino di utenza – come affermato dalla stessa società ricorrente – e della non idoneità di eventuali prassi di altri operatori, volte a pubblicizzare i centri con riferimento alla loro piena e potenziale operatività e non alla effettività dell’offerta, a ridimensionare l’impatto del messaggio.

Ed infatti, avuto riguardo a tale ultimo profilo, la circostanza che i centri commerciali, sulla base della prassi invocata da parte ricorrente – prassi sulla quale ci si soffermerà più approfonditamente più avanti - non sarebbero mai operativi nella loro piena potenzialità al momento della relativa inaugurazione, non costituisce nozione di comune conoscenza ed esperienza che ci si possa ragionevolmente attendere da parte del consumatore medio, non essendo essa, anche laddove esistente, necessariamente nota, né essendo esigibile che anche un consumatore attento ed informato sia a conoscenza di tale prassi e possa correttamente intendere la portata di un messaggio pubblicitario di un centro commerciale di nuova inaugurazione, tanto da avere la consapevolezza che le unità commerciali pubblicizzate non corrispondano a quelle effettive ma si riferiscano, in virtù di tale prassi, solo ad una piena operatività insussistente al momento dell’inaugurazione.

Siffatto livello di avvedutezza, invero, non può in alcun modo ricondursi alla figura del consumatore medio – come tale mediamente informato ed avveduto in relazione al contesto di riferimento – cui la tutela apprestata dal Codice del Consumo è rivolta, apparendo più propriamente riferibile ad un inesigibile modello di soggetto con un livello particolarmente alto di informazione ed avvedutezza, il ricorso al quale contrasterebbe con la stessa normativa comunitaria e frustrerebbe quelle esigenze di tutela che la stessa mira a garantire.

Non è, inoltre, ravvisabile alcun profilo di erroneità o di strumentale travisamento nell’avere l’Autorità valorizzato, al fine di valutare l’impatto del messaggio sul consumatore medio, la circostanza – dedotta dalla stessa ricorrente in sede di istruttoria procedimentale – della insussistenza nel bacino di utenza di centri commerciali paragonabili a quello pubblicizzato, trattandosi di considerazione che non sottende in alcun modo la mancanza in assoluto di altri centri commerciali, ma che, nel doverosamente riferirsi al complessivo contesto fattuale, più compiutamente lo delinea avvalorando, anche tramite tale elemento, la mancata dimestichezza del consumatore medio rispetto alla invocata prassi di pubblicizzare i centri commerciali sulla base della loro potenziale capacità operativa e non di quella effettiva.

Quanto al contesto informativo complessivo in cui si colloca la pratica commerciale sanzionata, invocato da parte ricorrente al fine di confutare l’idoneità della stessa ad indurre in errore il consumatore medio – sulla quale, in relazione agli elementi sostanziali della condotta, ci si soffermerà più diffusamente in seguito, alla luce delle censure proposte – ritiene il Collegio che, in adesione al costante orientamento espresso sul punto anche dalla Sezione, è irrilevante la possibilità che informazioni più dettagliate siano fornite o rese comunque disponibili in un contesto diverso o in una fase successiva a quella in cui la condotta si realizza, dovendo la correttezza della stessa essere verificata nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione in cui la pratica commerciale oggetto di indagine viene integrata e non già sulla base di ulteriori informazioni caratterizzanti il complessivo contesto informativo.

Non riveste dunque rilevanza alcuna la circostanza che l’apertura del centro commerciale sia stata pubblicizzata anche sulla stampa locale con la specificazione che non sarebbero stati operativi tutti gli esercizi, non potendo da tale elemento desumersi la sussistenza di un livello di consapevolezza nei consumatori tale da escludere la scorrettezza della pratica commerciale sanzionata, elidendone i rilevati profili di scorrettezza, e ciò sia perché non è esigibile un determinato livello di consapevolezza e di informazione in capo ai consumatori in ragione della complessiva campagnia pubblicitaria posta in essere, e sia perché le condotte vanno considerate ex se alla luce dei relativi elementi costitutivi.

Tali elementi vengono dall’Autorità correttamente enucleati sulla base del contenuto del messaggio, nel quale viene ricollegata chiaramente e senza possibilità di equivoco - stante l’assenza di informazioni limitative del relativo contenuto - alla data di inaugurazione del centro commerciale la presenza di 120 negozi e 19 ristoranti, non potendosi quindi ipotizzare che un consumatore sia consapevole che in realtà, a quella data, siano presenti meno della metà dei reclamizzati esercizi commerciali, che peraltro sono andati progressivamente aumentando nel tempo senza raggiungere la piena operatività del centro.

Il richiamo alla sussistenza di una prassi sia nazionale che internazionale nella pubblicizzazione dell’apertura di nuovi centri commerciali, in base alla quale sarebbe d’uso specificare la capacità a pieno regime degli stessi, viene da parte ricorrente invocato, oltre che al fine di delineare la figura del consumatore medio cui fare riferimento – profilo di cui si è in precedenza trattato – anche al fine di denunciare la contraddittorietà in cui sarebbe incorsa l’Autorità la quale, nel dare atto di tale prassi alla luce della documentazione prodotta dalla ricorrente, conclude per l’insussistenza della stessa, incorrendo altresì in un’ipotesi di omessa adeguata considerazione della produzione documentale offerta nel corso dell’istruttoria.

La censura non ha pregio.

Nessuna contraddittorietà è, nella specie, rilevabile, posto che l’Autorità si limita nella gravata delibera a riferire le argomentazioni svolte dal professionista in ordine alla sussistenza di tale prassi, concludendo che, anche laddove la stessa fosse provata, essa non sarebbe comunque idonea ad incidere riduttivamente sulla portata del messaggio pubblicitario sul consumatore medio e ciò in quanto, come sopra rilevato, non può esigersi in capo al consumatore medio la conoscenza di siffatta eventuale prassi e non potendo, inoltre, la mera esistenza di una prassi escludere la scorrettezza di una condotta alla stessa conforme, potendo anche la prima presentare aspetti lesivi degli interessi dei consumatori.

Il richiamo alla prassi asseritamente invalsa nel settore di riferimento viene da parte ricorrente invocato anche quale parametro di riferimento per la individuazione dell’onere di diligenza, affermando sul punto come l’Autorità avrebbe errato nel riferire la diligenza alla sola qualità del professionista ed alle caratteristiche dell’attività svolta, così omettendo di prendere nella dovuta considerazione tale prassi, rispetto alla quale la condotta realizzata andrebbe ritenuta corretta in quanto conforme al normale grado della specifica competenza ed attenzione manifestata da tutti gli operatori del settore.

Ribadite le considerazioni sopra illustrate con riferimento al rilievo da attribuirsi alla prassi invocata da parte ricorrente, va ulteriormente osservato, avuto riguardo alla suggerita necessità di parametrare l’onere di diligenza a tale prassi, che la mera – eventuale – sussistenza di siffatta prassi non potrebbe escludere la portata lesiva di una condotta ad essa conforme, posto che eventuali profili di lesività rispetto agli interessi dei consumatori ben potrebbero discendere dalla stessa prassi, la cui sussistenza non esonera quindi il professionista dall’obbligo di discostarsene in ottemperanza ai propri doveri di diligenza professionale.

Non risulta, dunque, censurabile, sul punto, la gravata delibera laddove si afferma la contrarietà della condotta alla diligenza professionale sull’assunto che non sia riscontrabile da parte del professionista il normale grado di competenza e attenzione che ragionevolmente ci si può attendere, avuto riguardo alla qualità dello stesso ed alle caratteristiche dell’attività svolta, rispetto alla completezza dei contenuti informativi dei messaggi relativamente alle caratteristiche del centro commerciale, gravando sul professionista l’obbligo di diffondere una informazione corretta e completa circa la tipologia di offerta rinvenibile nel proprio centro commerciale, ininfluente dovendo ritenersi, sotto tale profilo, l’eventuale esistenza di una prassi conforme.

Onere di diligenza che si sarebbe potuto correttamente adempiere, come rilevato nella gravata delibera, attraverso il semplice inserimento nel messaggio di un elemento testuale che delimitasse la portata dell’informazione resa, laddove invece il professionista non ha fornito informazioni sufficientemente chiare e complete nei messaggi circa le caratteristiche del centro commerciale.

L’illegittimità della gravata delibera viene da parte ricorrente ricondotta anche alla denunciata erroneità delle considerazioni ivi espresse con riferimento all’aspettativa creata nel consumatore attraverso la condotta sanzionata.

Afferma in proposito parte ricorrente che il centro commerciale, sin dalla data della sua inaugurazione, offrisse comunque un considerevole numero di esercizi commerciali operativi, pari a 66, risultando quindi la proposta commerciale vasta e differenziata, anche sotto il profilo merceologico, tale da non poter deludere le aspettative dei consumatori di trovare – come affermato dell’Autorità - un numero considerevole di negozi e quindi una rilevante gamma di marche, con conseguente mancanza di qualsivoglia profilo di ingannevolezza della condotta.

Osserva in proposito il Collegio che il numero di esercizi effettivamente operanti alla data di inaugurazione del centro commerciale, seppur qualificabile come considerevole, non priva il messaggio con cui si è realizzata la condotta del carattere di correttezza, posto che – come correttamente rilevato dall’Autorità – il riferimento del messaggio a 120 negozi, non accompagnato da elementi testuali o grafici che ne specificassero in senso limitativo la portata o la sua riferibilità ad un momento successivo rispetto a quello di apertura, ha creato un’aspettativa contrastante con la realtà del centro, la cui offerta era significativamente inferiore alla data indicata, in cui erano operativi solo 57 negozi, ovvero meno della metà di quelli pubblicizzati, laddove il numero di esercizi commerciali caratterizza in modo oggettivo la gamma dell’offerta, essendo conseguentemente l’offerta reale quantitativamente inferiore, in misura molto significativa, rispetto a quella prospettata ed attesa dai consumatori sulla base del messaggio.

Ne discende che correttamente l’Autorità ha ritenuto l’idoneità della condotta ad influenzare indebitamente le scelte economiche del consumatore medio in relazione alle caratteristiche del professionista e dei servizi pubblicizzati, essendo stato il centro accreditato come composto da una varietà di negozi che non trova rispondenza nella realtà, omettendo di specificare informazioni rilevanti con riferimento alle caratteristiche essenziali del centro commerciale, atte a influenzare in modo decisivo la scelta del consumatore di recarsi presso il medesimo.

Né il gradimento manifestato dal pubblico – invocato da parte ricorrente - può costituire elemento idoneo a privare la condotta dei rilevati profili di scorrettezza, posto che vengono in rilievo, nella specifica finalizzazione della tutela dei consumatori, fattispecie di pericolo che prescindono dal verificarsi in concreto di un danno economico, essendo il pregiudizio del consumatore ancorato alla influenza anche solo potenziale di una determinata condotta sul suo comportamento, rispetto al quale viene apprestata una tutela di tipo preventivo a fronte anche di potenziali od ipotetici effetti dannosi.

Difatti, attraverso l’ampio raggio di tutela consentito dalle norme sulle pratiche commerciali scorrette, il legislatore ha inteso garantire la libertà del consumatore di autodeterminarsi al riparo da ogni possibile influenza, anche indiretta, che possa anche solo teoricamente incidere sulle sue scelte economiche.

Tale normativa non ha, quindi, la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate dalle pratiche commerciali scorrette – come anche dalla pubblicità ingannevole – agli interessi dei consumatori, collocandosi su di un più avanzato fronte di prevenzione in quanto tesa ad evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici.

Va, inoltre, rilevato, in proposito, come correttamente evidenziato nella gravata delibera, che l’idoneità del messaggio ad orientare indebitamente le scelte dei consumatori, inducendoli in errore circa la caratteristica fondamentale del centro commerciale, ovvero la quantità e tipologia dell’offerta ivi presente, va riferita anche alla loro capacità di indirizzare la loro scelta in ordine al luogo ove recarsi per effettuare i propri acquisti, inducendoli, nell’erroneo convincimento che nel centro commerciali esiste la varietà di offerta derivante dalla reclamizzata presenza di 120 negozi e 19 ristoranti, ad effettuare il tragitto per recarsi presso tale centro preferendolo ad altri luoghi di acquisto, e solo giungendo presso medesimo - quando il costo della scelta di consumo è stato sopportato e alternative di acquisto potrebbero non essere più accessibili - vengono a conoscenza del fatto che l’offerta commerciale ivi disponibile è notevolmente inferiore a quella pubblicizzata.

Deve, dunque, ritenersi la sussistenza, nella fattispecie, dell’idoneità della condotta ad indurre in errore i consumatori sia in quanto sono state omesse informazioni rilevanti necessarie per l’adozione di una decisione di natura commerciale consapevole, sia in quanto tali omissioni –evitabili mediante il ricorso al grado di diligenza esigibile - risultano idonee ad indurre il consumatore medio ad assumere decisioni che altrimenti non avrebbe adottato.

Ciò posto, nessun rilievo può attribuirsi alla circostanza, dedotta da parte ricorrente, circa la gratuità dell’ingresso al centro commerciale e circa la – invero forzata – individuazione dell’interesse suscitato nei consumatori nella visita ad una ‘nuova importante realizzazione urbanistica’, essendo tale ultima prospettazione inverosimile e potendo ravvisarsi la scorrettezza di pratiche commerciali anche se consistenti in un mero aggancio del consumatore.

Sotto altro profilo, deduce parte ricorrente l’illegittimità della gravata delibera per non avere l’Autorità tenuto conto dei limiti di spazio imposti dal mezzo di comunicazione utilizzato, come imposto dall’art. 22, comma 3, del Codice del Consumo, sostenendo altresì che l’indicazione del numero di esercizi commerciali aperti non costituirebbe informazione necessaria al fine di meglio orientare la scelta del consumatore.

Sotto tale ultimo profilo, giova richiamare quanto già sopra illustrato in ordine alle caratteristiche essenziali dell’offerta, correttamente individuate dall’Autorità nella quantità e tipologia degli esercizi commerciali operativi, il che non necessariamente implica – come sostenuto da parte ricorrente al fine di dimostrarne la non praticabilità – l’indicazione di un analitico elenco degli stessi, posto che sarebbe stata a tal fine sufficiente una qualche indicazione volta a ridimensionare l’offerta reclamizzata, anche mediante il semplice riferimento della stessa alla futura piena operatività del centro, pienamente compatibile con i limiti del mezzo utilizzato, costituito – giova ricordare - da un cartellone pubblicitario in cui, peraltro, sono presenti molti spazi liberi che ben avrebbero potuto ospitare le necessarie informazioni aggiuntive.

Inoltre, il principio della autosufficienza informativa, più volte affermato dalla giurisprudenza anche della Sezione, alla stregua del quale occorre valutare l’eventuale scorrettezza di una pratica commerciale ed in base al quale deve escludersi la rilevanza di informazioni più dettagliate eventualmente fornite in una fase successiva o in un contesto diverso, non consente di annettere rilievo alcuno alla dedotta circostanza della disponibilità, presso il centro commerciale, di una brochure informativa contenente l’indicazione degli esercizi commerciali operativi, dovendo la completezza e la veridicità di un messaggio essere verificate nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione commerciale oggetto di indagine e non già sulla base di ulteriori informazioni che il professionista renda disponibili solo a contatto già avvenuto e quando, quindi, l’effetto promozionale si è ormai prodotto.

Delibata, alla luce delle superiori considerazioni, l’immunità del gravato giudizio di scorrettezza della pratica commerciale sanzionata dai denunciati vizi, occorre procedere alla disamina dei profili di censura volti a contestare le valutazioni sottese alla quantificazione della sanzione, determinata nella pena pecuniaria di euro 75.000, ridotta ad euro 65.000 per avere il professionista registrato per il 2008 un risultato economico negativo.

Avuto riguardo al criterio inerente la gravità della violazione, l’Autorità ha correttamente valutato la natura della condotta, tenuto conto della essenzialità dell’informazione inerente la quantità e tipologia di esercizi commerciali per la scelta del consumatore di recarsi in un centro commerciale ed essendo il carattere di incertezza di tale variabile noto al professionista sin dal momento di programmazione della campagna pubblicitaria, cosicché questi avrebbe potuto agevolmente e diligentemente fornire una informazione corretta ai consumatori inserendo minime variazioni testuali dei messaggi.

Deve parimenti rilevarsi la correttezza della valutazione inerente la capacità di penetrazione della campagna pubblicitaria, diffusa nella città di Biella, la sua provincia e città delle contigue province di Novara e Torino tramite affissione statica e dinamica in un arco temporale concentrato nel periodo di inaugurazione del centro commerciale, nonché di quella relativa alla durata di oltre un mese della violazione.

Appare, invece, censurabile la valutazione effettuata dall’Autorità con riguardo alla gravità della violazione sulla base dell’importanza dell’operatore commerciale e della sua dimensione economica, desunte dal mero riferimento al gruppo di appartenenza, che possiede circa 50 centri commerciali in Europa e Brasile.

In proposito, deve il Collegio rilevare che, essendo la società ricorrente un operatore autonomo tenuto alla presentazione di un autonomo bilancio, non vengono nella gravata delibera in alcun modo esplicitati gli elementi che consentono – al di là di mere presunzioni semplici e deduzioni non comprovate - di ricondurre l’operazione commerciale, cui la sanzionata condotta si riferisce, al gruppo internazionale di appartenenza, non risultando peraltro essere stata svolta alcuna istruttoria o intervenuta l’acquisizione di informazioni sul punto.

La valutazione delle caratteristiche soggettive del professionista, avuto riguardo all’importanza ed alla dimensione economica dello stesso al fine di parametrare la gravità della violazione, non risulta quindi sorretta da adeguata motivazione né poggiare su concreti e verificabili elementi, in quanto basata su di un apodittico riferimento al gruppo di appartenenza senza alcun ulteriore apprezzamento circa l’effettiva sussistenza di un collegamento tra tale gruppo e l’operazione commerciale sanzionata.

Ne consegue l’accoglimento, sotto tale profilo, del ricorso in esame e, per l’effetto, va annullata in parte qua la gravata delibera, dovendo conseguentemente l’Autorità resistente nuovamente pronunciarsi in ordine al giudizio di gravità della violazione alla luce di quanto sopra illustrato, provvedendo all’eventuale riduzione della sanzione in esito alla nuova valutazione dei parametri costituiti dall’importanza dell’operatore commerciale e della sua dimensione economica.

A fini di completezza, giova procedere alla delibazione anche dell’ultima delle censure proposte, volta a lamentare la mancata considerazione, da parte dell’Autorità, dell’intervenuta tempestiva modifica del messaggio pubblicitario oggetto di accertamento successivamente alla notifica del provvedimento, potendo in proposito il Collegio limitarsi ad osservare che, trattandosi di attività posta in essere successivamente all’adozione della delibera impugnata, essa non potrebbe rivestire rilievo alcuno ai fini del vaglio della legittimità di tale delibera, né, all’evidenza, avrebbe potuto essere presa in considerazione dall’Autorità in quanto non esistente alla data di conclusione del procedimento. Piuttosto, tale attività costituisce esecuzione dell’ordine di cessazione del comportamento scorretto, contenuto nel gravato provvedimento

L’infondatezza di tale censura consente di ribadire l’accoglimento del ricorso limitatamente al sopra rilevato profilo.

Valutati tutti gli elementi della controversia e tenuto conto della parziale soccombenza, si ravvisano giuste ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

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