TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2023-03-30, n. 202300288
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Segnala un errore nella sintesiIl giudice, tuttavia, ha argomentato che l'interdittiva antimafia è una misura preventiva che non richiede la prova di un'infiltrazione mafiosa, ma solo indizi significativi di rischio. Ha sottolineato che la valutazione del Prefetto si basa su un quadro indiziario coerente e che la mancanza di contraddittorio non viola i diritti del ricorrente, in quanto il provvedimento è soggetto a un controllo giurisdizionale completo. La sentenza ribadisce la compatibilità costituzionale delle norme in materia di interdittive antimafia, confermando la legittimità del provvedimento impugnato.
Testo completo
Pubblicato il 30/03/2023
N. 00288/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00303/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 303 del 2020, proposto da -O-, rappresentato e difeso dall'avvocato M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, ciascuno in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, domiciliataria ex lege in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15;
per l'annullamento
dell’informazione interdittiva antimafia prot. n. 0050816 emessa il 19 maggio 2020 dal Prefetto di Reggio Calabria nei confronti della ditta individuale di proprietà del ricorrente;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2023 il dott. A S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. -O-, nella qualità di titolare della ditta individuale “-O-”, con il ricorso in epigrafe chiede l’annullamento dell’informazione interdittiva antimafia, prot. n. 0050816, emessa il 19 maggio 2020 dal Prefetto di Reggio Calabria.
2. L’odierno provvedimento origina dall'istruttoria svolta dall’autorità prefettizia in esito ad una richiesta del comune di Reggio Calabria, ed intesa ad ottenere il rilascio della informazione antimafia ex artt. 91 e 100 del D.lgs. n. 159/2011 nei confronti del ricorrente.
Dalla istruttoria compiuta è però emerso un quadro indiziario reputato dal Prefetto di sicura rilevanza, inducendolo a valutare come in effetti sussistente il rischio di infiltrazione nella ditta di proprietà del ricorrente delle consorterie criminali.
Tale rischio è stato in particolare desunto:
- dai gravi precedenti penali dell’odierno ricorrente che è risultato gravato da pesanti pregiudizi tra l’altro per associazione di tipo mafioso, rapina, associazione a delinquere, estorsione, truffa, danneggiamento seguito da incendio, porto d’armi e oggetti atti ad offendere, detenzione illecita di sostanze stupefacenti, spendita di monete contraffatte;
- dalla circostanza che anche la moglie del ricorrente è gravata da significativi pregiudizi penali e che -O- è comunque inserito in un contesto familiare fortemente controindicato, essendo in particolare legato da vincoli di affinità con -O-, considerato affiliato alla cosca "-O-" e condannato con sentenza definitiva per associazione di tipo mafioso, e con -O-, ritenuto affiliato alla cosca “-O-” con pregiudizi per associazione a delinquere, lesioni personali e detenzione abusiva di armi;
- dalla ulteriore circostanza che il ricorrente è stato ripetutamente controllato dalle forze di polizia con persone gravate da rilevanti precedenti penali, anche per associazione di stampo mafioso;
- dai pregiudizi penali e dai controlli di polizia del signor -O- preposto alla gestione tecnica della ditta di proprietà del ricorrente.
3. Per chiedere l’annullamento del provvedimento interdittivo in discorso è dunque insorto il ricorrente con il ricorso in epigrafe, notificato l’8 luglio 2020 e depositato il giorno successivo.
Il ricorso è affidato ad articolate censure con cui si denunzia la violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione in relazione agli artt. 89 bis e 92 commi 3 e 4 del D.lgs. n. 159/2011, la violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, la violazione e falsa applicazione degli artt. 84 e 91 comma 5 del D.lgs. n. 159/2001, eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, motivazione apparente.
Con il primo ordine di censure parte ricorrente denunzia che gli artt. 89 bis e 92 comma 3 del D.lgs. n. 159/2011 violerebbero gli artt. 3 e 41 della Costituzione. Premesso che le citate disposizioni hanno esteso gli effetti dell’informativa antimafia ad una serie di atti funzionali all’esercizio dell’attività imprenditoriale puramente privatistica, osserva la difesa del ricorrente che il soggetto destinatario dell’interdittiva si troverebbe nella medesima situazione del destinatario di una misura di prevenzione personale, che però è applicata solo all’esito di un provvedimento giurisdizionale definitivo che prevede la necessaria partecipazione dell’interessato, mentre nel caso dell’interdittiva antimafia l’autorità prefettizia non è tenuta ad attivare alcuna interlocuzione con il destinatario dell’interdittiva. In sostanza, secondo parte ricorrente, non sarebbe conforme ai principi fissati dai citati articoli della Costituzione che un provvedimento amministrativo adottato senza le necessarie garanzie di partecipazione abbia i medesimi effetti di una misura di prevenzione personale, che però è adottata in esito ad un procedimento di natura giurisdizionale.
Con le altre censure sostiene in sintesi la difesa della ricorrente che il gravato provvedimento interdittivo sarebbe stato emesso dall’autorità prefettizia senza consentire alla ditta di partecipare al procedimento, ed in mancanza di riscontri oggettivi attestanti l'esistenza in concreto di comportamenti e situazioni tali da fare desumere il condizionamento mafioso della ditta. Il gravato provvedimento sarebbe stato infatti ancorato ad elementi e circostanze incongrue, non attuali, inconducenti e/o irrilevanti rispetto ai fatti della organizzazione e gestione della società ricorrente.
In particolare, secondo parte ricorrente, il giudizio dell’autorità prefettizia in ordine alla sussistenza del rischio di infiltrazione della ditta di proprietà del ricorrente sarebbe stato emesso senza tenere conto della circostanza che dal 2010 in poi il signor -O- non sarebbe mai stato interessato dalle varie operazioni condotte dall’Autorità Giudiziaria nel territorio reggino per contrastare le locali consorterie criminali.
Privi di attualità sarebbero anche i precedenti penali contestati a -O-, cognato del ricorrente, la cui condanna per associazione mafiosa risale a fatti del 2005 e che da allora non sarebbe mai stato più interessato da alcuna indagine.
Irrilevanti, per altro verso, sarebbero i controlli di polizia subiti dal ricorrente con soggetti controindicati ed i precedenti e controlli del signor -O- che, pur formalmente preposto alla gestione tecnica della ditta, non avrebbe mai avuto alcuna influenza nella gestione di essa.